Rizzo Carlo

(Trieste, 30 aprile 1907 – Milano, 26 luglio 1979) è stato un attore italiano.

Biografia

Si dedicò giovanissimo al teatro, dimostrandosi presto portato per gli spettacoli di rivista, in cui affiancò eccezionalmente Erminio Macario, grazie al quale esordì al cinema in Imputato, alzatevi! di Mario Mattoli (1939). Il 17 giugno 1923 è Gontrano nella prima assoluta di La bambola della prateria di Carlo Lombardo con la Compagnia C. Lombardo al Politeama Margherita di Genova ed il successivo 23 novembre Tom nella prima assoluta di Il paese dei campanelli diretto dal compositore al Teatro Lirico di Milano. Al Teatro La Fenice di Venezia debutta il 13 febbraio 1924 con La bambola della prateria seguita il 16 febbraio da Il paese dei campanelli, il 25 febbraio è Bruneder/Schwind/2°musicista in La casa delle tre ragazze di Heinrich Berté, il 3 marzo Sibilla ne La signorina Puck di Walter Kollo, l'8 marzo il domestico in Scugnizza ed il 16 marzo lo scozzese in La danza delle libellule di Franz Lehar. Con la Compagnia dei Grandi Spettacoli d'Arte Operettistica il 29 ottobre 1926 è Desiré nella prima assoluta di Primarosa di Giuseppe Pietri con Nella De Campi, Ines Lidelba Fronticelli e Nuto Navarrini al Teatro Lirico di Milano dove il 30 dicembre è padrone eremitaggio nella prima assoluta di Gigolette di Lombardo con Navarrini. Nel 1927 torna alla Fenice con Navarrini come Blum in Cin Ci La, seguita da Primarosa, Il paese dei campanelli, La bambola della prateria e Gigolette. In seguito Rizzo avrebbe affiancato Macario, in qualità di spalla, in numerosi spettacoli teatrali e televisivi.

In seguito lavorò in altre famose compagnie di rivista, accanto a personaggi di successo come Wanda Osiris e Carlo Dapporto e comparve in numerosi film, soprattutto di genere comico-leggero.

Nel 1960 costituì con il fratello Alfredo una propria compagnia di rivista, che tuttavia non durò a lungo.

Per il Teatro Verdi (Trieste) debutta come Sua Altezza Imperiale in Al cavallino bianco nel Teatro Stabile Politeama Rossetti nel 1970 con Tony Renis, Aldo Fabrizi, Sandro Massimini, Graziella Porta, e Gianni Brezza per la regia di Vito Molinari e le coreografie di Gino Landi.

Il suo ultimo lavoro fu Macario più (1978), serie televisiva in cui venivano riproposti i più celebri spettacoli del comico torinese.

Fu sposato con la ballerina Rosita Pinkel.


Le grandi spalle

Riccardo Billi viene dalla paziente “gavetta” dell’avanspettacolo; Mario Riva dalla falange dei “presentatori”. Un bel giorno questi due s’incontrano, e la loro unione — che ricorda quella di certe sostanze chimiche ciascuna delle quali, per proprio conto, è abbastanza innocua, ma mescolata ad altre formano un composto esplosivo — fa deflagrare un clamoroso successo. Questo successo è La bisarca, cui seguono Alta tensione e I fanatici. Ormai la “ditta” è affermata: la sua comicità vince di prepotenza, ed è infatti una comicità prepotente. Non c’è modo di resisterle: fate conto di giocare a poker con un avversario — anzi, due — che abbia costantemente in mano quattro assi. Billi è un parodista di prima forza: la sua imitazione di Anna Magnani ha fatto epoca. Riva è, pirandellianamente, uno, nessuno e centomila: le sue battute rapidissime hanno la persistenza e la suggestività del tam-tam nella foresta: come ne sentite i primi colpi, siete già disposti ad arrendervi; sapete che la vostra resa è inevitabile. In Billi e Riva c’è tutta Roma: la corrosività del Belli, la cordialità di Pascarella, l’ironia di Trilussa. Straordinariamente divertenti, con tutta l’aria di chi sa di esserlo e fa il possibile per non darlo a vedere: un’immodestia che abbassa gli occhi e arrossisce lievemente, come una signorina di famiglia (del secolo scorso). Una cosa è certa: che la loro è una comicità tutta godibile; quando avete finito di saziarvene, vi avvedete che della lauta imbandigione non è avanzata neppure una briciola.

Forse il pubblico non si rende ben conto dell’importanza artistica d’una buona “spalla”. Ma chi abbia intima dimestichezza con la ribalta sa i prodigi di affiatamento, i miracoli di tempismo, il preciso istinto umoristico e la sicurezza di scena che occorrono per adempire utilmente ed artisticamente a questo non facile compito. Un passo di più e la buona “spalla” può diventare un buon comico. E se quel passo non viene, a volte, compiuto è forse nella tema di non trovare per se stessi una “spalla” altrettanto brava. Il nostro palcoscenico di rivista ne conta alcune che sono veri maestri del genere. E per non sapere in coscienza, a chi dare la palma del primato, adotteremo, nel ricordare le tre principali “spalle” del teatro di rivista italiano, il comodo ordine alfabetico.

Cominciamo dunque da Mario Castellani, l’ottima “spalla” di S.A.R.I. Totò. Magro, distinto, piacevole, Castellani — quando ha cominciato — si avviava brillantemente per la carriera di dicitore-danseur. Ha incontrato per via Totò e si è fermato all'insegna del buonumore. Ormai Castellani ha talmente ben compreso la comicità del suo illustre collega che — forse — potrebbero apparire entrambi sulla scena, senza un rigo di copione scritto, senza aver preso il minimo accordo, senza aver ricevuto il più vago suggerimento, e divertire ugualmente il pubblico per mezz’ora. Al contrario della “spalla” tradizionale, Castellani non finge di incollerirsi per le buffe scemenze del proprio interlocutore, ma anzi sembra sforzarsi di comprenderle, con elaborato interesse, e di fraintenderle, poi, con stupore dignitoso. La sua corretta mansuetudine, allora, serve da sprone alla balordaggine dell’altro, che si fa petulante, proterva, aggressiva. Quando Castellani vorrebbe ribellarsi, è troppo tardi: Totò si è ormai impadronito della situazione e ci gioca, ci giostra, sbatacchiandola in ogni senso al suo inimitabile modo. Tutto questo può parere semplice: ma per arrivare alla progressione esilarante della famosa scena del Vagone letto, ad esempio, ci vuole veramente dell’arte. E la parola non è troppo grossa.

Carlo Rizzo — inarrivabile “spalla” di Macario — è, in un certo senso, un figlio d’arte. Suo zio è stato celebre nel campo dell’operetta: Carlo Lombardo. Suo fratello e sua sorella sono ottimi elementi minori della rivista. Corpulento, cordiale, sicuro di sé, egli oppone alle aeree indecisioni, alle astratte timidezze, alle lunari scemenze di “Maca”, un massiccio buon senso, una solida bonomia, una robusta logica. Alla comicissima balbuzie più spirituale che materiale dell’altro, Rizzo va incontro con alluvionale facondia. È inevitabile che Macario finisca per brancolare in quel torrente di parole e si aggrappi a quella che gli passa più vicina, credendo di salvarsi; ed ecco la parola che gli sembrava cosi promettente e sicura, si sgretola nelle sue mani malferme e dalle briciole, da ogni briciola, sprizza una risata, brilla un concetto ameno, rimbalza un sorriso. E allora Rizzo lancia un’occhiata a “Maca”, tra sorpresa e divertita: sembra domandarsi che razza di individuo sia quell’ometto dalla faccia d’uovo pasquale, dalla bocca a spicchio di luna. Da quel momento lo tratta con la rassegnata pazienza che si usa per i bambini, si fa paterno, quasi materno. “Maca” se ne approfitta subito e — là — butta fragoroso, scattante, il più audace dei suoi frizzi, quello che farà veramente andare su tutte le furie il povero Rizzo. Arte, signori miei, arte anche questa, credeteci sulla parola.

Enzo Turco, forse, non era nato per fare la “spalla”. Le sue innegabili doti di comicità e di spontaneità potevano dargli diritto — come ai grandi di Spagna — di tenere il cappello in testa dinnanzi a Sua Maestà La Risata. Ma Turco è napoletano e perciò è filosofo oltre che artista. Egli deve essersi chiesto quanto formaggio gli sarebbe rimasto, visto che tanti “surice” di buona dentatura e di acuti unghioli erano vittoriosamente mossi all'attacco della forma di cacio capocomicale. E allora ha deciso di dedicarsi al lardo, lasciando parmigiano, provolone e pecorino ai sorci più grossi. Dopo tutto anche il lardo, quando lo si scelga ben stagionato e ben salato, è cibo sopraffino. Ecco dunque Turco “spalla” di Taranto. Napoletano l’uno, napoletano l’altro. Si capiscono a occhiate; meglio ancora, a sbatter di palpebra. Dal modo con cui Nino inizia una battuta, Enzo sa come dargli la ribattuta. Dal modo con cui Enzo pone un interrogativo, Nino sa come deve rispondergli. Sentirli recitare assieme è un piacere cordiale e sottile per chi sia appassionato di arte scenica; è un po’ del glorioso San Carlino che si affaccia nei loro dialoghi; è la tradizione classica che si perpetua, insaporita dal più originale modernismo. Il nasetto a patatina, il viso minuto, la fronte stretta di Turco si contrappongono amenissimamente al naso rapace, alla faccia faunesca, alla fronte mascagnana di Taranto. E Mentre Nino ama — col roteare degli occhi da rana, con le smorfie della bocca tumida — sottolineare l’umorismo di certe battute, Enzo affetta di scivolarvi su, con un gesto vago della mano curiosamente piccola e con un tipico moto del capo, uguale a quello delle foche quando acchiappano a volo il pesciolino premio della loro bravura. Chi è assiduo frequentatore della rivista, vada con la mente, per un attimo, al Turco degli sketches: Edipo turistico e II mago di Napoli. Se non è arte quella, saremmo curiosi di sapere che cosa s’intenda per arte.

Dino Falconi, Angelo Frattini



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1979 07 28 La Stampa Carlo Rizzo morte intro

MILANO — E morto nel pomeriggio di giovedì, al «Policlinico* di Milano, lattore Carlo Risto. Aveva 72 anni. Attore di teatro leggero, Rizzo era diventato molto popolare come «spalla» di Macario In numerose operette e commedie musicali. Carlo Rizzo nel giugno accorso era stato ricoverato In ospedale per l'acutizzarsi del male del quale era sofferente e aveva dovuto Interrompere la sua partecipatone all'operetta «Il paese del campanelli» In scena al teatro «Odeon» di Milano.

«Abbiamo passato insieme, una vita intera», dice Macario ricordando Carlo Rizzo. Lo aveva lasciato quattro ore prima che morisse, abbracciandolo, dicendogli «vedrai che ti riprenderai anche questa volta, torneremo insieme». Poco prima, gli aveva ricordato «il 39, quando venni a prenderti e ti portai al teatro Balbo, di Torino, e avevamo con noi la soubrette Ida Sprinter..

Con quella commedia, Carlo Rizzo debuttò e Macario lasciò l'avanspettacolo per il teatro dei professionisti Seguirono tante altre riviste, famose, come Mondo allegro. Follie dAmleto, Orlilo al castello, Febbre azzurra, Oklahoma, Sera di festa. Tutte donne: in ognuna ci fu Rizzo, il quale fini con l'essere presto definito «la spalla» di Macario.

«E' stato il più bel primo attore della rivista italiana —ribatte Macario — non una spalla. Questo appellativo mi ha sempre dato fastidio: Rizzo era il mio primo attore che mi conduceva tutto, mi dava i lazzi, mi intratteneva. Era quello che dopo avermi detto in scena "cretino, non capisci niente, vai via", al termine dello spettacolo mi diceva "Scusi, signor Macario, ho fatto bene?" Anche alcune canzoni abbiamo composto insieme, come Camminando sotto la pioggia; Rizzo suggerì le parole, lo provai a fischiettarle e il maestro Frustaci le mise In musica»

Cario Rizzo era nato a Barcellona, da più generazioni figlio d'arte: lo zio materno, Carlo Lombardo, fu autore di numerose operette fra cui Cincillà e Il paese del campanelli. Anche due sorelle di Carlo Rizzo, e un fratello minore, entrarono in teatro, lavorarono con Macario, poi per ragioni diverse, interruppero l'attività sulle scene.

o. r. «Stampa Sera», 28 luglio 1979



Filmografia

Lo vedi come sei... lo vedi come sei?, regia di Mario Mattoli (1939)
Imputato, alzatevi!, regia di Mario Mattoli (1939)
Il pirata sono io!, regia di Mario Mattoli (1940)
Il chiromante, regia di Oreste Biancoli (1941)
La zia di Carlo, regia di Alfredo Guarini (1942)
Macario contro Zagomar, regia di Giorgio Ferroni (1944)
Il cinema delle meraviglie, regia di Pietro Francisci (1945)
La vita ricomincia, regia di Mario Mattoli (1945)
Il deportato, regia di Robert Siodmak (1950)
Il monello della strada, regia di Carlo Borghesio (1950)
Io, mia moglie e la vacca (Ma femme, ma vache et moi), regia di Jean-Devaivre (1952)
Se vincessi cento milioni, regia di Carlo Campogalliani e Carlo Moscovini (1953)
Anna di Brooklyn, regia di Vittorio De Sica e Carlo Lastricati (1958)
Colpo grosso alla napoletana (The Biggest Bundle of Them All), regia di Ken Annakin (1968)
Totò di notte n. 1, regia di Mario Amendola (1962)
Viaggio di nozze all'italiana, regia di Mario Amendola (1966)
Colpo grosso alla napoletana, regia di Ken Annakin (1968)
I clowns, regia di Federico Fellini (1970)
Che cosa è successo tra mio padre e tua madre?, regia di Billy Wilder (1972)
Sorbole... che romagnola, regia di Alfredo Rizzo (1976)


Riferimenti e bibliografie:

  • "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980