Stival Giulio

giulio stival

(Venezia, 4 marzo 1902 – Novara, 1º aprile 1953) è stato un attore italiano.

Biografia

Appassionato del teatro fin da ragazzo, organizza nella sua città natale una filodrammatica della quale è anche il regista, per diventare attore professionista nel 1927 nella compagnia di Emma Gramatica. Passa poi l'anno successivo nella De Riso-Benassi e recita quindi con Marta Abba, Gandusio, Ruggeri finché nel 1933 forma una propria compagnia con Dora Menichelli e Armando Migliari. È poi con Dina Galli, accanto alla quale recita nei grandi successi Felicita Colombo e Nonna Felicita di Adami. Quindi entra a far parte di una formazione con prima attrice Kiki Palmer e ritrova nel 1939 Emma Gramatica, fino a trovare un'allettante scrittura nel 1942 nella Compagnia del Teatro Eliseo diretta da Zacconi, ricevendo consensi per le sue interpretazioni in due opere di Shaw, Candida e Le case del vedovo. Anche nel dopoguerra Stival è attivissimo in teatro e sempre presente in allestimenti di opere classiche e moderne.

Attore serio, colto, elegante, misurato ma viscerale, alterna l'attività teatrale con quella cinematografica dove però la sua presenza è molto marginale, limitata a buone caratterizzazioni ma nulla più, a partire dal 1937 con Gli uomini non sono ingrati di Guido Brignone, fino al 1952 con Il cappotto di Alberto Lattuada, tratto da un romanzo di Gogol e con al fianco Renato Rascel.

Ha anche lavorato in alcune circostanze come doppiatore cinematografico.

Giulio Stival muore prematuramente a Novara il 1º aprile 1953, a causa di un incidente d'auto. È sepolto presso il cimitero di Mogliano Veneto.

Galleria fotografica e stampa dell'epoca

1944 05 06 Film Giulio Stival intro

«Film», 6 maggio 1944 - Giulio Stival


1944 08 19 Film Giulio Stival intro

«Film», 19 agosto 1944 - Giulio Stival


1953 04 15 Il Dramma Giulio Stival intro

Il primo aprile 1953, proveniente da Torino dove girava un film, per recarsi a Milano dove recitava al teatro Olimpia con la Compagnia. «Calindri-Pola-Stival-Volpi» che dirigeva, è morto per tragico incidente stradale Giulio Stival. La sciagura è avvenuta sull'autostrada, alle 19.30 mentre era a bordo della sua auto e gli sedeva accanto l’attore Romano Cantore. Giulio Stival era nato a Venezia il 14 marzo 1902.

In teatro nessuno è inai contento: ma Stival lo era. E la tragicità della sua morte è tanto più sgomenta in quanto il fatto terrificante non si riesce a disgiungerlo dal ricordo lieto di quel suo raggiunto stato di grazia, sola condizione che determina l’euforia che si suole indicare come la felicità dell’individuo. Altrimenti non si capirebbe davvero in che cosa consiste la felicità. Giulio era lieto di vivere perché le sue aspirazioni, le tendenze del suo spirito, gli stessi desideri materiali, condotti dalla sua volontà e guidati dal suo istinto per anni ed anni verso un punto limite, si erano — a suo modo di intendere vedere e sentire — individuati sommati realizzati. Era felice di recitare (diceva: finalmente il mio momento); era pago del successo del cinema, della simpatia clic i diversi pubblici della ribalta e dello schermo gli dimostravano, del benessere materiale raggiunto. Di ogni e più piccola cosa — perfino di quelle umili ed innocenti — si compiaceva, intimamente soddisfatto; ma non gli bastava: aveva bisogno di farne parte, di comunicare la sua gioia, di riconoscere nell’assenso degli altri di essere nel vero e nel giusto. Ecco: nel giusto; perché onesto e laborioso, disciplinato ed entusiasta, era convinto che la sorte nell'essergli favorevole, era nel giusLo. Quest'uomo iieto, questo attore contento, se mai ve ne furono, ha invece avuto dal destino la sorte più tragica che possa essere serbata — inesorabile — ad una creatura umana. Per una coincidenza che ci lascia perplessi, in questo stesso fascicolo si pubblica la commedia Selle settimi azzurri nella quale Egli ha recitato la sua ultima parte, componendo un irreale «Angelo Custode» che sul pianerottolo di una casa qualunque attende il protagonista Melami e gli dice che «era scrittto» (giorno, ora, luogo, istante) e che quindi è necessario seguirlo. Al volante della sua automobile color amaranto e che tanto gli piaceva di possedere, sull’autostrada Torino-Milano, al chilometro 78.600, come precisa la cronaca, «nei pressi del casello di Agognate» il suo Angelo Custode lo attendeva col taccuino in mano (giorno, ora, luogo, istante): lo ha fermato spegnendogli di colpo la batteria elettrica, gli ha fatto aprire intempestivamente lo sportello nel mezzo della strada, gli ha fatto posare un piede in terra. Non di più. Nulla di più «fatale», di più «comandato dal cielo» diremo, dal momento che l’uomo equilibrato cosciente e prudente che si chiamava Giulio Stival, non avrebbe mai commesso una serie di gesti tanto assurdi da costargli la vita. Ed un’altra considerazione sorge a conclusione dei nostri ricordi, poiché la tragica fine di Giulio ci ha resi all’annuncio improvviso della incredibile sciagura così sgomenti da avere avuto un attimo di irriflessiva rivolta, sì da considerare la morte un’ingiustizia. Iddio ci perdoni della inconsulta considerazione, poiché solo l’affetto ed il dolore hanno fatto leva sulla nostra remissione. Con Giulio Stival eravamo amici da trentanni, prima ancora che entrasse in arte, da quando era filodrammatico, ma a Venezia esercitava già un mestiere che era quello di commerciare in vetrerie.

1953 04 15 Il Dramma Giulio Stival f1

Il suo volto, allora, non era esattamente quello che gli si ricorda perché aveva un po’ lunga la punta del naso già leggermente storto, ma era magro e distinto, un bel viso aperto cordiale e gentile. Per fare l’attore di prosa quel piccolo difetto al naso era trascurabile, ma si convinse che era invece insormontabile quando fu preso dal desiderio di tentare il cinema: i provini denunciavano l'imperfezione come una deformità. Non si arrese, voleva «fare il cinema» e decise perciò di operarsi. Questo avvenne nel 1937 quando già aveva una certa notorietà e recitava al fianco di Dina Galli quelle famose commedie di Adami Felicita Colombo e Nonna Felicita nelle quali anche Stival aveva avuto una buona parte di successo. Andava rapidamente affermandosi, come si dice, e il cinema lo attraeva sempre di più. Poiché quando si operò io mi recai a trovarlo in clinica e sul «caso» certo non comune scrissi un articolo sulla «Gazzetta del Popolo» del 3 agosto 1937 posso essere preciso nel trascrivere che lo operò il prof. Gustavo Sanvenero-Rosselli, nel Padiglione Sarfatti di Milano (sorto durante la guerra per soccorrere i mutilati del viso) e con l’assistenza del nostro fraterno amico, tanto di Giulio come mio, dottor Alberto Bianchi, Albertino per la nostra generazione teatrale. Rileggo e riporto dal mio stesso articolo di allora, la gioia di Stival per la riuscita operazione, per la guarigione rapida, per il nuovo «provino» risultato efficace ed in tutto adatto allo schermo. Egli amava in quei giorni scherzosamente indicarsi come «Stival seconda maniera», ed il mio scritto termina con le sue parole: «speriamo mi porti fortuna». Proprio per il cinema, indirettamente, si è ucciso. Si era comperata un’auto fuori serie che chiamava «il cappotto» perché materialmente aveva potuto realizzare quel desiderio col denaro guadagnato nel film omonimo. Si era sottoposto alla fatica di fare la spola Milano-Torino, girando una pellicola alla Fert nelle ore diurne, mentre nql tardo pomeriggio si trasportava a Milano per recitare all’«Olimpia» con la Compagnia che dirigeva. E’ troppo facile pensare che se non si fosse sottoposto in quel lontano 1937 all’intervento chirurgico sarebbe rimasto estraneo al cinema, e quindi ecc.; ma sono pensieri vuoti e considerazioni prive di costrutto, naturalmente. Il suo Angelo Custode, dobbiamo proprio credere, avendo tutto scritto nel suo taccuino per cinquantanni, ha terminato — come per sempre e come per tutti — con una data (giorno, ora, istante) e l’indicazione del chilometro 78.600 dell’autostrada ccc. Giulio doveva fare in vita quanto stabilito: esattamente come nella commedia, cioè come Egli stesso aveva ripetuto alla ribalta pochi giorni prima nella fantasia poetica dei tre autori di Sette scalini azzurri.

Le considerazioni sono terminate; resta nel nostro cuore e davanti ai nostri occhi, Giulio. Più che ingrassato, in questi ultimi anni, era divenuto corposo: non obesità flaccida del corpo, ma abbondante saldezza della carne ancora contenuta e sorretta dall’ottima salute, dalla serenità dello spirito, soprattutto — se detto — dalla gioia di vivere. «Faceva i caratteri» come si dice nel gergo degli attori, e sta a significare che aveva la duttilità di un mestiere già del tutto compiuto, affinato e raffinato; la sensibilità artistica pronta e sicura; l’aderenza ai personaggi più differenti. Signorile nella persona, affabile cortese affettuoso: veneziano nei movimenti pacati e nella parola facile e rotonda; aveva perfino imparato a respirare con destrezza, mancandogli la naturale facilità per quella deformazione postraumatica cui s’è fatto cenno. Buon attore fin dall’inizio di carriera, era giunto facilmente e sicuramente ai ruoli principali trovandosi sempre con sicurezza a proprio agio, sia al fianco di Marta Abba come di Ermete Zacconi; aderendo alla sensibilità di Ruggeri ed all’estro di Emma Gramatica, appoggiandosi a Dina Galli come dosando il proprio valore sul piano di molti altri suoi compagni con i quali ha sempre recitato esemplarmente in questi ultimi vent’anni. Nelle Compagnie dell’Ottocento e fin sulla soglia della nostra generazione, gli attori come Stival erano il sostegno dei «mattatori» : si chiamavano Lambertini, Cappelli, Ruta, Ciarli, Dondini, Gottardi, Stacchini, Olivieri, Piamonti, Calamai, Salsilli, Fossi, Lotti è mille e mille altri. Avevano un «ruolo» come era nell’uso ma si consideravano soprattutto «utilità», sempre come dal gergo, cioè servivano in ogni modo, erano utili per «rimediare» al bisogno, anche all’istante, il che voleva dire fare ciò clic ha fatto Pertile, nella Compagnia che Stival dirigeva: mettersi la parrucca di Stival, indossare il suo abito, ed uscire a fare la sua parte quando il povero Giulio quella sera non è mai più giunto a teatro. Stival era soprattutto uno di questi, ma poiché oggi il teatro offre possibilità ben maggiori, chi possiede quelle doti sale di non pochi scalini nella valorizzazione della scena e nella considerazione del pubblico. Anche perché non esiste più il concetto del mattatore; Ruggeri e Emma Gramatica, Alda Borelli e Alfredo De Sanctis, per il pubblico di oggi, sono i magnifici interpreti di un passato che le nuove generazioni guardano stupiti come ad un prodigio.

Renato Cialente — che dieci anni fa perse la vita in un tragico incidente stradale per taluni aspetti non dissimile — è rimasto sempre nel nostro cuore; così non dimenticheremo Giulio Stival che abbiamo avuto tutti buon compagno, che per moltissimi è stato amico, e per qualcuno fratello. Addio, Giulio.

Lucio Ridenti, «Il Dramma», 15 aprile 1953


1953 04 16 Europeo Giulio Stival intro

L’aveva comprata coi guadagni del “Cappotto”; la sua fine ricorda la conclusione del film

Roma, aprile

Griulio Stival che non era facile a contentarsi e nella sua vita breve conobbe giorni di amarezza, aveva attraversato anche un lungo periodo di malinconia professionale. Stival aveva sperato di essere primo attore. Esordi giovanissimo, movendo come tanti dalle tavole di un palcoscenico per filodrammatici. Intelligente, appassionato, attivo, la natura gli aveva regalato una voce calda e un aspetto gradevole. I capelli corvini e gli occhi chiari, lucenti, davano vivezza al suo volto, la regolarità del quale, a Stival, sembrava tuttavia compromessa dal naso non altrettanto regolare: un po’ troppo prominente, un po’ cascante verso il labbro superiore. Quel difetto, tutto sommato assai lieve, fu portato da Stival con insopportazione crescente. Gli pareva un ostacolo che avrebbe incrinato la figura ideale del primo attore come egli se la figurava. L’assillo diventò ossessione, e Stival, In tempi in cui la plastica lacciaie non era progredita come oggi, si sottopose a una dolorosa operazione chirurgica.

1953 04 16 Europeo Giulio Stival f1

Uscitone col profilo corretto e l’animo sgombro, ritornò al palcoscenico «vero» sul quale aveva esordito come attor giovane a fianco di Emma Gramatica; primo attore era diventato più tardi con Marta Abba, provenendo dalla compagnia di Giulietta De Riso e di Memo Renassi, ma poi aveva di nuovo accettato altri ruoli, recitando con Antonio Gan-dusio. con Ruggero Ruggeri, con Dora Menlchelll ed Armando Migliari, con Dina Galli, Kiki Palmer e Carlo Ninchi.

Parti di primo attore aveva poi nuovamente sostenuto con la Gramatica (che lo associò alla propria compagnia almeno tre volte), con la Galli, con la compagnia dell’Ordine nazionale degli scrittori, della quale fu anche direttore. Dovunque Stival lasciava buona memoria. Con la Gramatica lo si ricorda nella «Santa Giovanna» di Shaw. Ancora di Shaw, quando fece parte della compagnia del teatro Eliseo diretta da Ermete Zacconi. interpretò «Le case dei vedovo», poi «Fermenti» di O'Neill. Salutato con grande favore al tempo del «Grande viaggio» di Shertff. aveva forse raggiunto il suo maggior successo quale Petruccio nella «Bisbetica domata» di Shakespeare. Si era lasciato tentare anche dal «Tartufo» di Molière, di cui diede una edizione incompleta che tuttavia gli consenti di delineare con vigore i tratti salienti di quel temibile personaggio. Due anni fa lo si era udito nella «Città morta», e da un po’ di tempo i milanesi lo ascoltavano nel repertorio leggero della compagnia affidata alle sue cure direttoriali in quella compagnia, il cui repertorio era cosi diverso da quello perseguito da Stival per un quarto di secolo, egli pareva essersi pacificata La sua aspirazione a diventare primo attore secondo l'immagine che se ne era fatta in giovinezza. era a poco a poco tramontata. Lo avevano distratto molte inquietudini, forse interessi contrastanti, forse la sua stessa duttilità che traeva origine dal sangue veneto. Stival che sapeva essere drammatico accanto alla grande Emma, fu schiettamente comico con la Galli e Gandusio, pensoso quando la Abba gli offerse l'occasione, irridente la volta che divise le sorti della compagnia Menichelli-Mlgliari. Valido nella commedia, sopportò degnamente anche il repertorio classico. E buon attore in lingua, fu anche eccellente attore dialettale. Tra le sue prove più convincenti si annoverano il Pantalone cui diede vita nella «Figlia ubbidiente» del Gol-doni (che interpretò insieme a Rina Morelli, Evi Maltagliati e Paolo Stoppa) e il vecchio gondoliere di «Serenissima» recitato con la Galli e Cesco Baseggio.

Tanta duttilità si era manifestata di pari passo con la pinguedine, certo non eccessiva. ma neppure tale da passare inosservata. Il giovane snellissimo degli esordi si era fatto massiccio d'anno in anno e aveva inutilmente lottato contro la corpulenza che cancellava dalla sua mente, se non dall'animo, la immagine alla quale aveva costantemente mirato. Partito per essere primo attore, dopo aver faticato tanti anni tendendo a quel fine, l'età matura portò a Stival la struttura fisica del «caratterista».

Furono quelli gli anni della sua malinconia, alla quale talvolta gli sembrò perfino inutile ribellarsi. Adesso anche quest’altra inquietudine si era placata. Stival aveva raggiunto la serenità. E alla fine della sua vicenda tormentata, durante la quale era vissuto poveramente, aveva per la prima volta conosciuto qualche benessere. Proprio quella sua figura massiccia, oltre alle qualità dell’attore, gli era valsa l’attenzione dei registi cinematografici Fino all'anno scorso non aveva mai posseduto una automobile. La millecento fuori serie, scendendo dalla quale ha trovato la morte sull'autostrada Milano-Torino, era il frutto della sua partecipazione al «Cappotto» di Lattuada. E di possederla, per la prima volta a 50 anni, si sentiva felice.

Di lui, che i suoi compagni di recitazione la sera del 2 aprile attesero invano, e cominciarono a recitare senza sapere che fosse già morto, rimane un film incompiuto. Rimangono negli archivi della RAI alcuni pezzi incisi, uno dei quali fu trasmesso il giorno 3. Stival giaceva nell'obitorio di Novara, e la sua voce viva trasmessa dalla radio (quella voce staccata dal corpo) incrudeliva la sua morte.

Raul Radice, «L'Europeo», anno IX, n.16, 16 aprile 1953



Filmografia

Gli uomini non sono ingrati, regia di Guido Brignone (1937)
La casa del peccato, regia di Max Neufeld (1938)
Fascino, regia di Giacinto Solito (1939)
Frenesia, regia di Mario Bonnard (1939)
Batticuore, regia di Mario Camerini (1939)
Melodie eterne, regia di Carmine Gallone (1940)
Cantate con me!, regia di Guido Brignone (1940)
L'orizzonte dipinto, regia di Guido Salvini (1941)
I mariti (Tempesta d'anime), regia di Camillo Mastrocinque (1941)
La famiglia Brambilla in vacanza, regia di Carl Boese (1941)
Quarta pagina, regia di Nicola Manzari (1942)
Gian Burrasca, regia di Sergio Tofano (1943)
Il paese senza pace, regia di Leo Menardi (1943)
La buona fortuna, regia di Fernando Cerchio (1944)
Quartieri alti, regia di Mario Soldati (1945)
La vita semplice, regia di Francesco De Robertis (1946)
Il cavaliere del sogno, regia di Camillo Mastrocinque (1947)
Yvonne la nuit, regia di Giuseppe Amato (1949)
La taverna della libertà, regia di Maurice Cam (1950)
Il monello della strada, regia di Carlo Borghesio (1950)
Le due verità, regia di Antonio Leonviola (1951)
Ha fatto 13, regia di Carletto Manzoni (1951)
Totò e i re di Roma, regia di Steno e Mario Monicelli (1951)
Tre storie proibite, regia di Augusto Genina (1952)
Il cappotto, regia di Alberto Lattuada (1952)

Doppiaggio

Eugene Pallette in La leggenda di Robin Hood (doppiaggio originale)
Guglielmo Sinaz in L'assedio dell'Alcazar


Riferimenti e bibliografie:

  • Raul Radice, «L'Europeo», anno IX, n.16, 16 aprile 1953
  • Lucio Ridenti, «Il Dramma», 15 aprile 1953