I DUE ORFANELLI
Detti & contraddetti
Era talmente vecchio che aveva fatto la prima comunione con Garibaldi.
Per un tartassato è bello parlare con i preti, persone di culto, soprattutto se parlano per bocca di Sant'Agostino.
- Mi sembrate annoiato. Ma come, non è bello essere duca?
- Sì, ma... sapete com'è: è una carriera senza avvenire.
Sant'Agostino si interessava di tasse e ha dichiarato che se i tributi sono troppo alti, non è peccato non pagarli. Io obbedisco a Sant'Agostino, il patrono dei tartassati, per non arrivare nudo alla meta.
Il denaro fa la guerra, la guerra fa il dopoguerra, il dopoguerra fa la borsanera, la borsanera rifà il denaro e il denaro rifà la guerra.
Guerra era un corridore ciclista, perciò gridiamo in coro: "Viva Girardengo, viva Edison, che scoprendo la bussola disse: Eppur si muove".
I giovani servono solo per certe cose, e spesso neanche per quelle.
Io non so leggere, so soltanto scrivere.
Ottone si scrive con due "t", come Torino e Domodossola.
In guerra sono tutti in pericolo, tranne quelli che hanno voluto la guerra.
I soldati per fare la guerra non guadagnano niente. Le persone se le paghi non hanno voglia di lavorare, è gratis che se le danno di santa ragione.
Chi dice che i soldi non fanno la felicità, oltre a essere antipatico, è pure fesso.
Gasparre
Scheda film
Titolo originale I due orfanelli
Paese Italia - Anno 1947 - Durata 90 min - B/N - Audio sonoro - Genere Commedia - Regia Mario Mattoli - Soggetto Agenore Scarpelli (Age), Steno, Jean Jacques Rastier - Sceneggiatura Age, Steno, Jean Jacques Rastier - Produttore Excelsa, Roma - Fotografia Jan Stillich, Tino Santoni - Montaggio Ferdinando Tropea - Musiche Eldo Di Lazzaro diretta da Pippo Barzizza - Scenografia Gastone Medin, Roland Quignon - Costumi Maria De Matteis
Totò: Gasparre - Carlo Campanini: Battista - Isa Barzizza: Matilde - Nerio Bernardi: il duca Filippo - Raymond Bussières: Il signor Deval - Franca Marzi: Susanne de la Pleine - Ada Dondini: Direttrice dell'orfanotrofio - Guglielmo Barnabò: il giudice - Annette Poivre: La chiromante Madame Therese - Galeazzo Benti: Giorgio, l'ufficiale - Mario Castellani: il maggiordomo - Raimondo Vianello: un ufficiale - Ughetto Bertucci: il generale - Luigi Almirante: il boia di Parigi - Dina Romano: la domestica del boia - Luigi Erminio D'Oliva: Napoleone III - Achille Maieroni: il segretario di Napoleone - Totò Mignone: il cinese - Paolo Ferrara: il custode del parco - Irene Genna: una collegiale - Vera Bergman: una collegiale - Giorgio Capecchi: il direttore del club - Lionelli Zanchi: il cameriere del club - Mario Besesti: la voce narrante - Nico Pepe: L'abate Faria
Soggetto, Critica & Curiosità
Soggetto
Parigi, epoca del secondo impero napoleonico. In un collegio di orfanelle Matilde, una delle ragazze, è innamorata di Giorgio, un ufficiale che la vede clandestinamente, senza che la direttrice lo sappia. Il loro matrimonio è però ostacolato dalla famiglia di Giorgio per via delle origini sconosciute della povera Matilde. Intenzionata a scoprire la verità, incarica gli inservienti Gasparre e Battista (anche loro orfani dei genitori) di recarsi da una chiromante con una ciocca dei suoi capelli per scoprire le sue origini. Gasparre perde però questa ciocca, rimpiazzandola con una propria. Egli viene così a scoprire le proprie origini nobiliari. Recatosi alla casa del Duca suo zio per reclamare la propria eredità viene accolto con apparente benevolenza, mentre nel buio i famigliari ordiscono la trama per eliminare il nuovo pretendente. Dopo una ripetuta serie di fallimenti, Gasparre cade nella trappola, sedotto da Susanne de la Pleine ed è costretto a battersi in duello; la fortuna lo accompagna ancora una volta e riesce a salvarsi per una provvidenziale battaglia. Attirati poi con l'inganno in un noto night club parigino, vengono coinvolti in un attentato ai loro danni e riescono miracolosamente a fuggire nelle fogne di Parigi dove incontrano l'abate Faria, anch'egli evaso e con lui tentano di risalire in superficie: sfortuna vuole che i tre si trovino ad emergere in una stanza del palazzo reale dove Napoleone III sta posando per un quadro. Convinto che siano dei cospiratori della corona, l'Imperatore ordina il loro arresto: Battista riesce a fuggire, mentre Gasparre viene catturato, imprigionato e condannato a morte come cospiratore. Tornato al collegio confessa l'accaduto alla direttrice che gli consegna l'indirizzo di suo padre e una medaglietta che aveva un tempo per riconoscimento. Giunto alla casa del padre, egli scopre che il proprio genitore non è un nobile né un musicista come egli aveva sempre ritenuto, ma è in realtà il boia di Parigi e lo coinvolge per aiutarlo a salvare l'amico Gasparre, condannato alla ghigliottina. Il giorno dell'esecuzione, dopo una serie di rocamboleschi tentativi di salvare l'amico, si scopre che in realtà la vicenda è tutta un sogno e la vita trascorre come sempre al collegio.
Critica e curiosità
Produzione letteralmente di seconda mano, segna l’incontro di Totò con il suo regista decisivo; dall’esempio di Mattoli copieranno tanti, da Bragaglia a Steno fino a Comencini. Lo scotto da pagare è il progressivo allontanamento della critica importante a favore dei vice, delle sigle puntate, delle firme di secondo piano. I produttori del film fanno l’errore di bocciare un nuovo progetto che Mattoli, lungimirante, avrebbe subito voluto cominciare. La matematica li farà ricredere: mentre Il fiacre n. 13 stenta al botteghino, la scatenata parodia di Totò & Campanini funziona subito e incassa di più.
E' un film di recupero; il regista infatti utilizza lo stesso set usato per un altro suo film Il fiacre n.13. Il film segna l'esordio di Osvaldo Natale, in arte Dino Valdi, che per molti anni sarà la controfigura ufficiale di Totò e che in questo film lo sostituisce in alcune scene mentre Totò è in tournee con la rivista Ma se ci toccano nel nostro debole. Abbondano battute che prendono in giro il saluto fascista, la demorazia cristiana, la "celere" e gli impiegati parastatali; tra le tante da ricordare "Siamo in 15 e non facciamo che poi fra un anno, quando si fa il raduno,si presentano in 40000", è evidente il riferimento al raduno promosso quell'anno dagli antifascisti. Sembra che il regista Mattoli abbia girato una scena di nudo per una edizione del film per l'estero, è la giovane Isa Barzizza che gira la scena però vergognandosi di girare in presenza di più persone chiede che venga ripresa solo dal regista e dal suo aiuto, di questa scena però non ve ne è traccia.
Tra gli sceneggiatori accreditati al film figura, accanto ad Age e Scarpelli, Jean-Jaques Rastier, co-autore del Fiacre n.13.
A Totò capita di dover incoraggiare la giovane bella attrice Franca Marzi, in crisi per la scena in cui, seminuda distesa sul divano, lo dovrebbe sedurre. La scena prosegue, anche con qualche battuta imprevista, e termina con un sorriso della Marzi non previsto.
La scena osé
Nel film "I due orfanelli", vennero girate due sequenze diverse della stessa scena: una per il mercato italiano, l'altra per l'estero. Isa Barzizza, nel ruolo di collegiale innamorata dell'ufficiale Galeazzo Benti, a un certo punto, accompagnata dalla musica, doveva esibirsi con le sue compagne in una danza sensuale insieme ad altre collegiali, riparata da una tenda. Ricorda oggi l'attrice:
Isa Barzizza, intervista di Alberto Anile, 2003.
Estratti dalle serie televisive prodotte dalla RAI "Il Pianeta Totò", ideata e condotta da Giancarlo Governi, trasmessa in tre edizioni diverse - riviste e corrette - a partire dal 1988 e "Totò un altro pianeta" speciale in 15 puntate trasmesso nel 1993 su Rai Uno e curato da Giancarlo Governi.
Così la stampa dell'epoca
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«Una volta di più, Totò ha deluso quanti gli riconoscono ampie possibilità nel campo del cinema. Ma, una volta di più, bisogna convenire che anche quest'ultimo naufragio è solo e completamente imputabile a chi si ostina ad usare questo nostro estroso comico come una saporosa droga per far trangugiare un pasticcio dal poco gradevole sapore. Il pasticcio, nel caso specifico, è costitutito da un complesso di "quadri" da rivista, ricuciti insieme con molta fretta, che della rivista sfruttano gli stessi identici argomenti, assai abusati e tristi, in mezzo ai quali perfino un paio di scene più azzeccate perdono ogni efficacia».
l.q. [Lorenzo Quaglietti], L'Unità, Roma, 27 novembre 1947
«È naturalmente la parodia maliziosa e furbastra di quel melanconioso romanzo francese cui, ai tempi del muto, Griffith s'era ispirato per un film molto serio e accigliato. Ma la vena umoristica degli sceneggiatori - tra i quali figura l'acutissimo Steno - è andata oltre questo tema vecchiotto cogliendo ad ogni istante pretesto per una satira non molto peregrina, ma sempre divertente, delle attuali agitazioni politiche: non vi manca, persino, una certa morale un tantinello amara e delusa. Totò e Campanini - un incontro veramente felice - han prestato al protagonista tutta la loro varia e saporita comicità. Mattoli ha diretto con facilità proverbiale. Gli rimprovereremo soltanto una sequenza inutilmente scabrosa».
G.L. [Gian Luigi] Rondi, Il Tempo, Roma. 27 novembre 1947
«Girato da Mattoli usufruendo dello stesso materiale scenico e degli stessi costumi che servirono per Il fiacre n.3, questo I due orfanell; (un film di "recupero", si dice in gergo) è una parodia della romantica popolare dell'ultimo Ottocento, di quella romantica, cioè, che ruota attorno ai nomi, famosissimi all'epoca dei nostri nonni, di Saverio de Montépin D'Ennery, Ponson du Terrail, ecc. Nel canovaccio, infatti, troviamo ironizzati tutti gli ingredienti - figli abbandonati trovatelli, duelli all'ultimo sangue, educande - tipici del genere, conditi con uno humour spesso anche elegante, talvolta non peregrino e "forzato".Talune "trovate" - tutto l'inizio di sapore clairiano, il brano "napoleonico" di intonazione surrealista, il gag del saluto romano, ecc. - sono intelligenti e "funzionano". Ma, man mano che il racconto - un po' frammentario e interrotto da intermezzi rivistaiuoli con sfoggio di piccanti nudità - avanza verso la fine, "trovate" azzeccate si fanno più rare e l'interesse decade come un palloncino e si sgonfia un po' per volta [...]».
Caran. [Gaetano Carancini], La Voce Repubblicano, Roma, 27 novembre 1947
«Totò, presumendo evidentemente di poter trasferire sullo schermo di tutto peso l'intero bagaglio delle sue battute e mossette furbe da buon mimo di varietà, ha finito col travolgere e dominare, non solo il regista Mario Mattoli, ma anche coloro che, con la trama de I due orfanelli, si erano sforzati di dare al film un movimento e una libertà di motivi sardonici e acerbamente grotteschi, degni forse di miglior recapito. [...]»
Alfredo Orecchio - 7 novembre 1947
«Una volta di più, Totò ha deluso quanti gli riconoscono ampie possibilità nel campo del cinema. [...]»
Lorenzo Quaglietti - novembre 1947
«Il primo elemento da cui parte Mattoli è dunque il nome dell'attore. Nei film successivi il regista lascerà campeggiare Totò sui manifesti senza comprimari (fino a infilarlo, segno di un'ormai raggiunta gloria cinematografica, fin dentro al titolo di Totò al giro d'Italia); ma nel '47, malgrado i ritrovati fasti teatrali, l'attore napoletano non è ancora in grado di convincere da solo i produttori. Mattoli, che lo conosce bene per averlo ammirato in rivista, lo scrittura per I due orfanelli ma decide prudentemente di affiancargli Carlo Campanini, che con Totò ha girato nel '45 Il ratto delle Sabine. [...]»
Alberto Anile

D. Cammarata
I documenti
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Il presunto orfanello Gasparre scopre di essere in realtà il figlio di un nobile parigino e deve affrontare insieme al compare Battista i tentativi dei parenti per farlo fuori... Primo grande successo di Totò nella parodia di un feuilleton ottocentesco che richiama nel titolo un vecchio film muto di Griffith, felicemente incurante di ogni logica, tanto da mettere in campo anche Napoleone e l'abate Faria. La satira politica affidata alla voce narrante, è assai qualunquista, ma il divertimento non manca grazie alle numerose trovate, anche se Totò non è ancora esplosivo come nei film migliori.
- Uno dei film più surreali di Totò, con una trama e un'ambientazione che richiama i lungometraggi di Laurel e Hardy in costume (in particolare La ragazza di Boemia). La coppia con Campanini funziona, ma è più questo a suscitare la maggior parte del divertimento che non lo stesso Totò, che limita più di altre volte la sua esuberanza. Buoni costumi e scenografie, un po' assente la regia di Mattoli. Nel complesso piacevole.
- Forse l'unico Totò movie che mi porta alla mente nell'immediato non battute fulminanti o gag surreali ma la sua presenza nello spazio, le sue posture. In effetti anche nella "revisione" il film spicca per ricercatezza di scenografie/costumi (ereditati peraltro da altri set) e uno script (Age e Steno) meno grezzo del solito, che pare rimandare ad alcuni lungometraggi di Laurel & Hardy (il fondo patetico, i nostri due "servi d'amore" per Benti e Barzizza). Mattoli non spinge da par suo. Notevole la tenuta di Campanini, attore a cui è stato dato meno del dovuto.
- Una storia divertente e con un metro tutto suo, con puntate tra il surreale e l'onirico; ma d’altronde la comicità di Totò, quando viene lasciata libera di esprimersi, è in qualche modo legata al surreale. Per quanto appaia datato ha dalla sua parte una spensieratezza e una leggerezza che lo rende gradevole. Non ci sono momenti di vera stanca e si arriva alla fine senza troppe difficoltà.
- A mio avviso uno dei primi film "davvero" divertenti del grande Totò - anche se io faccio iniziare il "mio" Totò, quello che preferisco, da Fifa e arena (1948), considerando invece Il monaco di Monza (1963) l'ultimo film dove mi diverte ancora tanto - che fino a quell'anno non aveva trovato una sua formula comica efficace e davvero funzionante, limitandosi a copiare comici americani come Larry Semon o simili. Simpatica e ben sviluppata l'idea di parodiare i romanzoni d'appendice. Una nota di merito anche a Carlo Campanini.
- Il film della svolta, per Totò, fondamentale per la sua carriera cinematografica. Primo di diciassette diretti da Mario Mattoli, primo di grande successo al botteghino per il Principe della risata e prima parodia (del feuilleton francese "Le due orfanelle") da lui interpretata. Minestrone sostanzialmente riuscito con una storia tra il dramma familiare e la farsa scatenata, con balli e canti tolti di peso dal teatro di rivista, interventi di satira politica a profusione, ricche scenografie, voce fuori campo e rivelazione finale...
Le incongruenze
- Tra le brevi scenette che introducono l'inizio del film ce ne è una dove si vede un politico che si suicida per un ammanco di 2 soldi. Prende la pistola, si spara un colpo mancandosi clamorosamente. . . e muore!
- La porta della casa del boia di Parigi ha uno spioncino che si aziona facendo salire e scendere una riproduzione della lama di una ghigliottina. Tale finta lama, però, la si vede salire e scendere nelle riprese esterne, mentre manca quando viene mostrato il lato interno nella porta.
www.bloopers.it
Le location del film, ieri e oggi
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Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo | ||
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La piazza di Parigi dalla quale la direttrice dell’orfanotrofio (Dondini) parte con la diligenza quando dovrà assentarsi per qualche giorno, lasciando la direzione nelle mani dell’inserviente Battista (Campanini), è in realtà Piazza di San Bartolomeo all'Isola a Roma. |
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L’orfanotrofio femminile di Passy nel quale vivono Gaspare (Totò) e Battista (Campanini) è in realtà Villa Sciarra, situata in Via Calandrelli 23 a Roma | ||
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Il parigino Bois de Boulogne, nel quale Gaspare (Totò) trasforma un semplice duello in una colossale rissa è in realtà Villa Borghese a Roma. Per la precisione il “principe della risata” si trovava nel settore posto di fronte all’ingresso del giardino zoologico, che intravediamo sullo sfondo | ||
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Nel controcampo, il momento dell’arrivo di una piccola truppa di passaggio che sarà attaccata dai litiganti: sulla sinistra si vede il finto tempio romano di Antonino e Faustina, fatto costruire nel 1792 dal principe Marcantonio Borghese | ||
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Questo è il punto dove si trovava Totò | ||
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Palazzo Latour-Lafitte, nel quale Gaspare (Totò) si reca per reclamare dal duca Filippo Latour-Lafìtte (Bernardi) la sua parte di eredità, dopo aver scoperto da una chiromante che si trattava di suo zio, nella finzione si trova sulla parigina Rue de Varennes ma, in realtà, quello è il Villino Borghese del Vivaro, situato in Lungotevere Marzio 14 a Roma. Grazie a Mauro per fotogramma e descrizione. | ||
Le Locandine
Riferimenti e bibliografie:
"Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
"I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
"Il Cinema di Totò" (D. Cammarata), Roma, Fanucci, 1985
"Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
"Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005