Totò, Firenze e la malafemmena

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Anniversari - Il Principe della risata e i suoi giorni in città: storie e aneddoti a cinquantanni dalla morte Qui conobbe la prima moglie (a cui dedicò la celebre canzone), girò un film e fu picchiato da un partigiano

Una carezza e un pugno. E poi un film, non dei migliori, una brutta polmonite, e tante tournée, fra il Verdi e la Pergola. Il rapporto fra Firenze e Totò può essere compendiato in questo modo. La carezza è stata senz’altro la più importante, perché è coincisa con il primo grande amore della sua vita. Era il 1931 e l’artista recitava a Firenze alle Follie estive. Come sempre conquistò il pubblico, ma conquistò anche l’amore di una collegiale, Diana Rogliani, figlia naturale di un colonnello, che la madre aveva affidato alle suore per preservarla, senza successo, dalle tentazioni.

Diana aveva 16 anni, Totò 33, più del doppio; ma la differenza d’età non gl’impedì di chiederne la mano. La madre si oppose, e fu subito fuga d’amore a Roma, con relativa denuncia per corruzione di minore. Totò rischiò l’arresto, ma per fortuna il questore, che era un suo ammiratore, l’avvertì in tempo. Professando i suoi sentimenti, promettendo nozze riparatrici, l’artista riuscì a convincere la signora Dogliani a ritirare la denuncia.

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2017 04 15 Corriere Fiorentino Toto 50 f2Tournée con colpo di fulmine.Totò conobbe a Firenze la prima moglie: era il 1931, il principe, morto 50 anni fa, incontrò Diana Rogliani, 16 anni più giovane (con lui nella foto). Amore, fuga e matrimonio riparatore. Dopo il divorzio lui le dedicò Malafemmena.

E il matrimonio vi fu, prima civile poi, dopo la nascita di una figlia Liliana, religioso, ma non durò a lungo: gelosissimo di quella sposa così giovane, Totò chiese e ottenne il divorzio, in Bulgaria (a lei dedicò la famosissima canzone Malafemmena).

Il 15 aprile di 50 anni fa moriva Antonio de Curtis o se preferite Totò, il principe della risata

Ventitré anni dopo quell’amore tempestoso, il comico «cercò pace» a Firenze. Totò cerca pace è il titolo della pellicola ambientata nel capoluogo toscano che Antonio de Curtis girò nel 1954. La trama, ispirata a una commedia di Emilio Caglieri, narra la storia di due vedovi che decidono di sposarsi a dispetto dei figli. Il cast, diretto da Mario Mattoli, era di tutto rispetto, con Ave Ninchi, Isa Barzizza e un esordiente Paolo Ferrari che già faceva strage di cuori, ma il film non emulò il successo di Totò cerca moglie e Totò cerca casa, di cui aveva cercato di sfruttare la scia.

Totò cerca pace cominciava con l’incontro dei due futuri sposi a Trespiano. Al camposanto fiorentino Totò rischiò tuttavia di finirci davvero, tre anni dopo, per aver voluto recitare lo stesso nonostante una terribile polmonite. L’artista era in tournée con A prescindere: un successo trionfale, che dipendeva tutto da lui. Non volendo lasciare senza incassi la compagnia, andò in scena febbricitante e con la vista che gli veniva meno. Non ci rimise la vita, ma i suoi occhi, già compromessi, non sarebbe più stati gli stessi. Poco dopo, al Politeama di Palermo, il comico avrebbe dovuto dare forfait, e dire addio per sempre alla rivista.

L'attore, maschera comica napoletana ineguagliabile, conobbe a Firenze, durante una tournée la moglie Diana Rogliani

Nel capoluogo toscano Totò conobbe un’altra disavventura, questa volta legata al virus della politica. Era il 25 febbraio 1945 e l’artista, reduce con la compagnia da un massacrante viaggio in camion, mise in scena Imputati, alziamoci!, un collage simpaticamente sconclusionato di parodie di personaggi e romanzi celebri, che aveva furoreggiato in tutta Italia, almeno l’Italia al di sotto della linea Gotica. Ultima grande maschera della commedia dell’arte, Totò recitava a soggetto, improvvisando e spesso modificando le battute in empatia col suo pubblico. Ma quella volta mancò l’empatia, almeno con una parte degli spettatori.

2017 04 15 Corriere Fiorentino Toto 50 f1Totò con la prima moglie Diana Rogliani conosciuta a Firenze nel 1931, poi qualche anno più tardi i due si separarono (foto dal sito www.antoniodecurtis.org)

L’episodio è stato ricordato da tutti i biografi dell’artista, da Ennio Bispuri a Orio Caldiron, ma la fonte primaria è l’intervista rilasciata nel 1973 a Gente dall’attore Mario Castellani, che lavorava con lui e che fu a lungo la sua spalla. «Totò—vi si legge—faceva la macchietta di Napoleone, e a un certo punto un attore gli domandava: “Compagno?”. “No, camarade”, rispondeva Totò, storpiando la parola francese in modo che suonasse quasi come l’italiano e fascista “camerata”. L’altro, stupito, chiedeva: “Camarade?”. E Totò: “Va be’, fa’ come vuoi. Camarade o compagno è lo stesso”». In effetti, «camarade» in francese, come in spagnolo, significa proprio «compagno», anche nell’accezione politica, il che ha dato luogo a tragicomici equivoci. Totò non era fascista, anzi aveva dato spettacoli per le truppe alleate. Semmai, era un convinto monarchico: non poteva non esserlo l’uomo che spese un patrimonio per ottenere il diritto di farsi chiamare Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio.

I due che avevano una grande differenza di età, quando si conobbero lei aveva 16 anni e lui 33, si sposarono malgrado le resistenze della madre di lei, dopo una fuga d'amore

Aver gridato «Viva Lauro!» nel 1958 al Musichiere davanti a uno sgomento Mario Riva gli sarebbe costato un lungo esilio dalla tv. Ma un partigiano fiorentino non prese sportivamente quella battuta di sapore qualunquista. Si affacciò al camerino dì Totò con la scusa di un autografo e gli chiese: «Veramente per lei camerata e compagno è lo stesso?».

Sul palco Nel capoluogo toscano tenne tanti spettacoli, al Verdi e non solo Ma nel 1945 fu aggredito nei camerini per una battuta

Totò ebbe appena il tempo di farfugliare qualcosa che un pugno gli spaccò le labbra. L’episodio ebbe un seguito indicativo del clima che si respirava a Firenze in quegli anni. Totò sporse denuncia e l’indo-mani fu convocato in questura. Un funzionario gli comunicò trionfalmente che era stato arrestato il suo aggressore, al che l’artista annunciò l’intenzione di ritirare la querela, se il partigiano gli avesse chiesto scusa. Il funzionario chiese a un agente di portare il detenuto, ma la guardia gli rispose seraficamente: «Non posso, è appena andato a prendere il caffè».

A volte la vita reale assomiglia alla trama di un film comico. Ma il grande comico non apprezzò la sceneggiatura e poco dopo lasciò Firenze, dove non si sentiva più al sicuro.

Enrico Nistri, «Corriere Fiorentino», 15 aprile 2017


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Non sono stati 50 anni di solitudine. Da quando Totò se ne è andato folgorato dal cuore stanco, la sua leggenda è cresciuta come un’onda irresistibile. Con momenti più alti, e fasi di risacca, come è fatale. In questi giorni, che hanno preceduto T anniversario della sua scomparsa, gli articoli di commemorazione si sono moltiplicati in tutti i giornali d’Italia, ognuno alla ricerca di una prospettiva diversa, di un dettaglio originale. Gli interventi più scontati sono quelli che sono tornati sull’ignoranza dei recensori degli anni ’40-’50, che non capirono la grandezza del comico. A questo punto è una polemica datata, nessuno dei critici di quei tempi è ancora in attività, cerchiamo di essere uomini di mondo.

Sicuramente Goffredo Fofi e Franca Faldini, l’amatissima ultima moglie di Totò, contribuirono con il loro libro Totò l’uomo e la maschera, a studiare il cinema del principe-clown con una nuova profondità. Furono bravi ma non è vero che prima di loro ci fosse solo un muro ottuso e ostile, Totò era amato da scrittori estrosi come Ennio Flaiano e da un maestro sacro come Federico Fellini. Per non parlare di Steno e Monicelli, che girarono con lui molti capolavori. E includerei nel gruppo dei grandi cantori di Totò anche Pasolini, che con film come Uccellacci e uccellini o Che cosa sono le nuvole? frenò Tinnente improvvisazione ma sfruttò al meglio la straziante melanconia della vecchiaia dell’autore. Totò, con il suo corpo da burattino elettrizzato, con la sua vita ricca di poesie e di amori, non fu un genio triste e solitario, semmai malinconico come la sua posizione da Principe napoletano in qualche maniera esigeva.

2017 04 15 Corriere Fiorentino Toto 50 f3Totò durante una serata di gala al Festival di Sanremo (1954)

I lavori di scavo continuano, ognuno può scegliere fra i tanti film del cuore e magari fare qualche scoperta, persino per caso. Io per esempio, nel marzo scorso, ho partecipato a un convegno su Giovanni Arpino, organizzato all’Università di Firenze dalla professoressa Maria Carla Papini. Come tema mi era capitato ovviamente il rapporto fra il romanziere e il cinema. Ero partito dall’idea (sbagliata) che Arpino detestasse il cinema: me lo confermavano alcuni indizi. Ad esempio lo scrittore non aveva mai visto un titolo di gran successo come Profumo di donna (1974) di Dino Risi tratto da II buio e il miele . Lo stesso capitò tre anni dopo con Anima persa, sempre di Risi. Arpino non volle incontrare il regista e addirittura detestò (non senza polemiche pubbliche alquanto violente) il «mattatore» protagonista, Vittorio Gassman. Altri segnali di una forte diffidenza (di Arpino verso il cinema) spuntavano da varie parti. Ma poi, leggendo meglio le carte, mi sono accorto che Arpino amava il cinema e nel corso del tempo aveva scritto importanti articoli su vari giornali.

E per me è stata sorprendente la lettura di una sua Lettera scontrosa, pubblicata nel 1964 sul settimanale Il tempo illustrato, almeno dieci anni prima della sua consacrazione postuma. L’articolo era intitolato, con enfasi premeditata Totò, pater et magister e attaccava così: «Caro Totò, con tutto il rispetto che ho per lei, principe Antonio de Curtis di Griffo-Focas non mi riesce di cominciare questa lettera senza premettere appunto un “caro Totò... lei è il pater et magister di ima grossa vena della comicità italiana. La sua assurdità, il suo essere pazzariello insieme triste e cosciente, insieme folle e marionetta, hanno costituito pane e sale per tre generazioni, non solo di spettatori ma anche di comici. L’hanno imitata nel cinema e nell’avanspettacolo, alla televisione e negli inserti pubblicitari, nei salotti e nei circoli goliardici. Lei, come Totò, è un formulario dell’arte comica, una ricetta, una pila esilarante da trangugiare nel grigio dd vivere quotidiano».

Il pezzo continuava così, sospeso fra l'analisi filologica e la gratitudine commossa. Totò rispose con le lacrime agli occhi con una lettera privata scritta a mano, datata 12 aprile 1965: «Carissimo Arpino, letteralmente non trovo parole per dirle la commozione che ho provato nel leggere lo splendido articolo che lei ha voluto dedicarmi. Le dico che mi sono venute le lacrime agli occhi, mi crede? Deve perché è proprio vero... grazie per gli elogi che ha voluto fare alla mia modesta arte, è un onore per me il sapere che essa è stata apprezzata più di quanto io stesso potessi sperare o immaginare, da un uomo di cultura come lei, letterato illustre, romanziere finissimo. Mi scusi se mi esprimo male ma le parole non bastano per dirle ciò che provo nell’animo».

2017 04 15 Corriere Fiorentino Toto 50 f4Totò con Ninetto Davoli in una scena di «Uccellacci e Uccellini» di Pasolini

Tanti anni sono passati, anche Arpino è volato via, stroncato nel 1987 da un male cattivo. Ma non tutto viene dimenticato. In una pausa del convegno fiorentino, il figlio di Arpino mi ha confidato: «Anche mia madre e io siamo grandi ammiratori di Totò. E la sua lettera l’abbiamo conservata in salotto perché mio padre ci teneva più che a un premio letterario». Alla faccia del caciocavallo, avrebbe forse commentato Totò.

Claudio Carabba, «Corriere Fiorentino», 15 aprile 2017


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Enrico Nistri e Claudio Carabba, «Corriere Fiorentino», 15 aprile 2017