Che fine ha fatto Totò baby?

Lei è vedovo di moglie? Colgo l’occasione per farle le mie congratulazioni!

Totò Baby

Inizio riprese: aprile 1964, Stabilimenti Titanus, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 26 giugno 1964 - Incasso lire 185.735.000 - Spettatori 770.685


Titolo originale Che fine ha fatto Totò Baby?
Paese Italia - Anno 1964 - Durata 87 min - Colore B/N - Audio sonoro - Genere commedia nera - Regia Ottavio Alessi - Soggetto Ottavio Alessi, Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi - Sceneggiatura Ottavio Alessi, Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi - Produttore Alberto Pugliese, Luciano Ercoli - Fotografia Sergio d'Offizi - Montaggio Licia Quaglia - Musiche Armando Trovajoli - Scenografia Nedo Azzini


Totò: Totò Baby; padre di Totò Baby e Pietro - Pietro De Vico: Pietro, fratello di Totò Baby - Mischa Auer: conte Mischa Auer - Alvaro Alvisi: il commissario - Ivy Holzer: Inga - Alicia Brandet: Helga - Gina Mascetti: la moglie di Mischa - Mario Castellani: Il direttore dell'orfanotrofio - Olimpia Cavalli: matrigna di Totò Baby - Lina Alberti: la patronessa - Inna Alexeievna: la vecchietta alla stazione - Peppino De Martino: il maresciallo - Giuseppe Tosi: il pensionato alto e grosso - Renato Montalbano: il postino


Soggetto 

Il film racconta le avventure di una coppia di fratellastri, (Totò e Pietro De Vico) ladri di mestiere, che organizzando una serie di furti di valige alla Stazione Termini di Roma, scoprono che quella sottratta a una dolce vecchina, contiene in realtà un cadavere. Nel tentare di disfarsene la scambiano erroneamente con la valigia di una coppia di due autostoppiste tedesche - chiamate Helga e Inga - con cui avevano fatto conoscenza.
Costretti a recuperare il 'corpo del reato' riescono a scoprire la villa dove alloggiano le ragazze ma vengono scoperti dal padrone di casa, il barone Miscia (Mischa Auer) che li ricatta: in cambio del suo silenzio con la polizia, dovranno aiutarlo a sbarazzarsi della ricca moglie alla cui eredità egli aspira. Totò esegue l'ordine del barone ma adesso, a seguito di un incidente che costringe temporaneamente il fratello su una sedia a rotelle, in cambio del favore fatto al barone pretende vitto e alloggio fino alla guarigione di suo fratello.

Il barone, temendo che Totò possa rivelare il piano uxoricida alla polizia, decide insieme alle autostoppiste di eliminare i due ospiti indesiderati. In seguito, durante la sua permanenza presso Miscia, Totò scopre per caso una strana pianta coltivata nell'orticello della villa: la marijuana. Pensando che si tratti di un ortaggio da tavola, inizia a mangiarla in grandi quantità condita come insalata Gli effetti allucinogeni non tarderanno a farsi sentire; Totò impazzisce e in poco tempo commette un omicidio dietro l'altro: una delle due autostoppiste sciolta nell'acido durante un tentativo di seduzione e l'altra strangolata, il barone fatto a pezzi e servito per cena al fratello inorridito, quindi il giardiniere e un malcapitato portalettere, entrambi trucidati con un coltello da macelleria e poi murati all'interno della villa con le braccia lasciate in bella vista, macabramente penzolanti a mo' di reggilampade. Totò infine fugge col fratellastro su una spiaggia del litorale ostiense, dove sarà catturato dalla polizia: verrà quindi internato in un manicomio criminale, nel quale sarà perennemente intento a scrivere le sue memorie con una macchina da scrivere inesistente. 

Critica e curiosità 

Ercoli e Pugliese tornano a proporgli un film, una parodia di Che fine ha fatto Baby Jane? di Robert Aldrich, e Antonio de Curtis acconsente. La regia è sempre di Heusch ma al suo posto firmerà il cosceneggiatore Ottavio Alessi: il suo nome sarebbe inviso ai noleggiatori, secondo Heusch a causa dell’esito negativo del film Il Comandante, secondo Alessi perché sulla stampa erano trapelate notizie sulle visite di Heusch a un appartamento frequentato da omosessuali.

Da notare la presenza di Mischa Auer, fino ad allora famoso in Italia solo per aver interpretato film del cinema horror e drammatici. Memorabile e sottilissima la battuta che il regista Ottavio Alessi fa dire al turista inglese a cui Totò aveva rubato la valigia alla stazione: mentre corre lungo la pensilina in cerca di aiuto e non trovando nessuno, grida con spiccato accento anglofono: "Polizia! Polizia! Aiuto! Ma non esiste polizia in questo paese?"

Il contesto produttivo è meno che misero, e la recitazione a livello di filodrammatica (a parte Pietro De Vico nuova spalla di Totò). Ma gli sceneggiatori osano, e avviene un miracolo: un Totò crudele come quello di Che fine ha fatto Totò Baby? non si è mai visto, neanche nel chirurgo tagliabudella del Diabolicus, né mai si vedrà più: prima per congenito sadismo, poi per indigestione di marijuana, il protagonista spezza ossa, strangola, scioglie nell’acido, mura cadaveri lasciando sporgere braccia per reggere coppie di applique. Gli spettatori sono abituati a riconoscere nella maschera di Totò una buona dose di cattiveria e sopraffazione ma qui l’aggressività è malvagità pura, metafìsica. Antonio de Curtis si diverte visibilmente a premere l’acceleratore su questa nera follia, e il film guadagna una forza che rimane ad anni di distanza sovversiva e disarmante, perché lo sberleffo comico toglie ogni logica agli atti di sadismo raddoppiandone l’impatto. Il film verrà vietato ai minori di anni 14.

"I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998


Così la stampa dell'epoca

Che fine ha fatto Baby Jane? Era già un brutto film, ma la sua parodia è anche peggiore [...] Si può ridere per queste cose ? Mah! A un certo punto la sua follia criminale non conosce limiti, così come le incontrollate smorfie del peggior Totò di questi ultimi tempi. Un attimo, fuggevolissimo, di grazia, quando intona sottovoce Non ho l'età per amarti.

Ugo Casiraghi, 1964


Lo sketch della clinica ha un seguito naturale un paio di anni dopo nel nerissimo Che fine ha fatto Totò Baby?. Dopo il tirocinio di vittima sul lettino ospedaliero, De Vico assume stavolta il ruolo di capro espiatorio per l'intero svolgimento del film. Che fine ha fatto Totò Baby? nasce come ripiego delle Produzioni Cinematografiche Mediterranee di Ercoli e Pugliese dopo l'insuccesso del Comandante, uno sfortunato film drammatico di cui si parla nel prossimo capitolo. I due produttori decidono di tenersi l'interprete ma di cambiare totalmente strada; si recano quindi speranzosi in casa del principe per sottoporgli il soggetto di una parodia, esemplificata sul terrificante Che fine ha fatto Baby Jane? di Robert Aldrich.

Alberto Anile


Totò interpreta Totò baby. Il film è la parodia di un celebre horror interpretato da Bette Davis che Totò imita nella gestualità e nelle espressioni del volto. Due fratelli, Totò e Piero (Pietro De Vico), che vivono di espedienti, rubano due valigie, in una delle quali trovano un cadavere. Nel tentativo di sbarazzarsene, i fratelli abbordano due turiste che, per un errore, si portano via il morto, scambiando la loro valigia con quella di Totò e Piero, i quali si ritrovano con un carico di marijuana.

Matilde Amorosi


ROMA, agosto 

Alla già ricca filmografia di Totò mancava la figura dello strozzatore di donne, di assassino, di eroe dell'orrore. A colmare questa lacuna ci ha pensato un giovane regista, Ottavio Alessi, il quale con «Che fine ha fatto Totò baby?» ha fornito al gran comico napoletano di sbalordirci ancora una volta. 

Totò — ci dice il regista Alessi — ha paura dei «nuovi» registi, è pieno di sospetti, forse perchè, in alcune occasioni, le esperienze sono state negative. Quando gli proponemmo di fare «Che fine ha fatto Totò baby?» parve indeciso, poi, letta la sceneggiatura, accettò di fare il film. I primi giorni di lavorazione stette sul chi vive, ma poi, constatato che tutto filava come un olio, lo abbiamo visto sfrenarsi in una serie di improvvisazioni che hanno accentuato, con sottile umorismo, lo scherzo cinematografico che ci eravamo proposti di realizzare a spese dei film dell'orrore. Certe scene, basate su un puro gioco meccanico di comicità di rimbalzo, hanno acquistato un brio pungente grazie a certe battute improvvisate da Totò ...ad un certo punto, ci siamo accorti che Totò si divertiva a recitare una finzione di cui era l’assoluto dominatore indirizzandola là dove le sue intuizioni gli suggerivano. 

Totò, vicino a noi, sorride divertito alle dichiarazioni del giovane regista Alessi, intimamente soddisfatto per essere stato apprezzato nel suo lavoro di attore. Sì, perchè Totò, tiene moltissimo al suo lavoro. E’ uno degli attori più precisi e seri. Nessun regista si è mai lamentato. Totò, per essere napoletano, ha più tenacia di un lombardo; la sua lunga carriera non ha zone grigie. 

L’amico Alessi — interviene Totò — è troppo buono; sono io che devo molto a lui per avermi latto protagonista di «Che fine ha fatto Totò baby?». Se non ci fossero autori e registi come Alessi che rinnovano continuamente il mio personaggio, dovrei immancabilmente ripetermi e questo segnerebbe la mia fine. 

Totò — interviene il regista, durante una pausa del doppiaggio del film — per la prima volta lo si vedrà nel ruolo di ammazza-donne, ma questa metamorfosi non è gratuita. Egli, insieme a Pietro, ladri per tradizione, finisce in un mare di guai il giorno che, oltre a dei preziosi, ruba un cadavere. Non solo. Circostanze fortuite lo porteranno a mangiare della marijuana che lo trasformerà in un sadico assassino. Un assassino che abbia la faccia di Totò è un assassino particolare, per questo il film dell'orrore, malgrado i morti, si colora di parodia, prende il ritmo dello «scherzo», suscita brividi e divertimento. Ad un certo punto Totò si rende conto della sua follia e cerca scampo nella fuga; è allora che in lui lottano i ricordi della sua lontana infanzia e la ferocia del presente. _raccontare con ordine la trama diventa oltre che difficile assurdo perchè la comicità di Totò non si può «raccontare» bisogna «vederla» per sentirsi contagiati dal riso. «Che fine ha fatto Totò baby?» costituisce una sorpresa per coloro che amano Totò, perchè prima è stata per noi una sorpresa.

1964 08 20 La Gazzetta di Mantova Che fine ha fatto Toto baby f1

Come ha detto Alessi — interviene Totò — non volevo fare «Che fine ha fatto Totò baby?», il titolo mi aveva fatto pensare, come capita spesso, ad un pretesto per un filmetto da due soldi. Niente di male a voler fare filmetti da due soldi, ne ho fatto tanti. Ma non volevo naufragare nel ridicolo. Poi ho letto la sceneggiatura e mi ha bene impressionato. Poi abbiamo incominciato a girare il film. Sa come capita quando si va in un posto senza entusiasmo e poi, imprevedibilmente, lo entusiasmo arriva a travolgerci? Ebbene, cosi è stato per file nei riguardi di «Che fine ha fatto Totò baby?». Ho scoperto che il personaggio del ladro incallito, che si muta in assassino, poteva mettere a fuoco certe esasperar zioni cinematografiche, parodiandole con divertimento, prendendosi gioco garbata-mente dei realizzatori del film quanto degli spettatori che amano l’orrore. ...nell’insieme un pretesto del pretesto per divertirci tutti e così «Che fine ha fatto Totò baby?» è venuto uri film che, a suo modo, è originale, mi pare... se la dente avrà la bontà di andarlo a vedere, potrà constatare se sono nel vero. 

— Dopo questa esperienza dell’orrore, che programmi ha per il futuro? 

Intanto tornerò a Lugano per «portare a termine» le mie vacanze, poi farò «Totò belva '65 e «Totò d'Arabia», e poi e poi... molte altre cose.

Franco Tosi, «La Gazzetta di Mantova», 20 agosto 1964 


Già dal titolo è facile intuire che ai tratta di una parodia del noto film di Aldrich i cui spunti fortemente drammatici sono qui risolti, né poteva essere altrimenti in chiave decisamente comica. Dopo un avvio a ruota libera piuttosto movimentato i «sostituti» della Davis e della Crawford, Totò e Pietro De Vico, si introducono nella villa di uno strano personaggio dedito, fra l'altro, alla coltivazione della marijuana che diviene, in breve, teatro delle più sconcertanti e tragicomiche avventure. Un’insalata alla marijuana scatena la follia omicida di Totò che miete vittime a ritmo continuo e si dà a tormentare con compiaciuto sadismo il «compare» succubo e messo nell'impossibilità di reagire.

Il film diretto da Ottavio Alessi fa leva su di una comicità tutta esteriore e non brilla certo per originalità ma è a tutti noto che Totò ha la straordinaria capacità di rendere con la sua mimica insuperabile umoristicamente valide ed efficaci anche le situazioni più scontate. Basta un testo, una battuta, una espressione del gran comico per sollecitare le risate e su questo ha puntato soprattutto, l'autore. Gli altri interpreti sono Mischa Auer, Ivy Holzer, Edy Biagetti e Alicia Brandet.

«Il Tempo», 22 agosto 1964


Ladro di professione vanamente ricercato dalla polizia, un bel giorno Totò si trova alle prese con un cadavere sbucato fuori da una valigia che lo sciocco fratello e «partner» ha rubato alla stazione ferroviaria, fingendosi facchino. Nel tentativo di disfarsi dell'incomodo bagaglio i due compari finiscono in una villa abitata da un nobile russo dedito alla coltivazione delia «mariuana» il quale libera i due dal loro «peso morto» pretendendo però che essi sopprimano la propria insopportabile moglie. Il delitto e una indigestione di foglie della famigerata pianticella eccitano a tal punto la mente del «nostro» da trasformarlo in un feroce, quanto sadico assassino, talché egli sopprime due graziose tedesche ospiti nella villa, lo stesso padrone di casa, il giardiniere e un postino, prima di finire, ovviamente, in manicomio.

Alquanto gustoso nell'avvio il film diretto da Ottavio Alessi viene meno tuttavia all'attesa, smarrendo si nello sviluppo stesso della trama, accentuatamente involuta, per cui risulta priva di ogni contenuto la parodia del macabro sulla quale la sceneggiatura evidentemente puntava. Ciò non toglie però che il lavoro mostri un certo contenuto umoristico, fatto di battute e situazioni reso ancor più gustoso dalla efficace interpretazione del sempre validissimo Totò ben coadiuvato da Pietro De Vico, Mischa Auer, Ivy Holzer, Edi Biagetti e Alicia Brandet.

«Il Messaggero», 22 agosto 1964


Facendo il verso, approssimativamente, a Che fine ha fatto Baby Jane?, questa farsaccia sgangherata narra dì due fratelli ladri, l'uno furbo e crudele, l'altro sciocco e pavido, che si trovano nei guai per aver rinvenuto dentro una valigia rubata il cadavere di un uomo. Nell'intento di sbarazzarsi dell’ingombrante e non voluta refurtiva, e passando di complicazione in complicazione, essi finiscono al servizio d’un aristocratico tossicomane: e qui il fratello malvagio incattivisce vieppiù ed esce del tutto fuor di senno, per aver mangiato in insalata la droga cresciuta nell’orticello domestico. Dopo aver distribuito, a destra e a sinistra, tragicomiche morti. Totò Baby concluderà la sua vicenda in un manicomio criminale.

La proterva e a tratti allucinante bravura di Totò argina solo in parte la scarsezza d'inventiva degli autori. Al suo fianco, si notano Pietro De Vico e un quasi patetico Micha Auer. Ha diretto Ottavio Alessi.

«L'Unità», 22 agosto 1964


I negozi cominciano pigramente a riaprire i battenti dopo la chiusura di Ferragosto, e sui nostri schermi passa un'altra folata di films estivi, l'ultima forse, nell’attesa ormai breve che la gente torni dalle vacanze. Di questo tipo é senz'altro quest'ultlma (lieve) fatica di Totò e di Pietro de Vico nelle vesti di due fratellastri, braccio e mente di Imprese ladresche che in una trentina d'anni d'attività hanno riempito gli schedar! della polizia. Dopo una serie di furtarelli. Il lesto Totò e il tardo Pietro capitano in una villa di un coltivatore di marijuana che li libera dell’incomodo fardello di un cadavedere trovato in una valigia rubata, in cambio delia eliminazione di sua moglie brutta, grassa, ricchissima e sofferente di cuore. Soppressa la signora con una paura, i due ladri si istallano nella villa e Totò, ghiotto di insalata di marijuana, si trasforma ad opera della droga in una specie di Dr. Jekill eliminando rapidamente tutti gii abitanti della villa, finché verrà assicurato ad un manicomio criminale.

Scritto con un certo mestiere da Corbucci e Grimaldi. sempre solerti nello sfruttare titoli e spunti di attualità, il film è certamente dei meno divertenti del grande comico napoletano che comunque riesce sempre a rallegrare il pubblico con la sua vena. Con i due protagonisti il vecchio Misha Auer e le stelline Edi Biagetti e Ivy Holzer. Ha diretto Ottavio Alessi.

b.s., «Momento Sera», 23 agosto 1964


Ho visto il film [...] E adesso sono felice di potere scrivere che Totò è vivissimo, e che la sua arte è giovanissima: così fosse la mia!. Scriverò anche di più: Totò è migliorato, perchè alla smaccata e dilatata mimica che richiedeva la partecipazione acrobatica di tutto il suo corpo, e che forse era soltanto l'effetto della giovinezza, della sua intima esuberanza e vitalità, oggi è stato costretto a sostituire una recitazione più paziente e più precisa, più musicale e più raffinata [...] Il film [...],vale poco o niente. Ma Totò è bravissimo. E' sempre, vorrei dire, il più bravo, il più dotato di tutti, il solo che possieda una comicità fisiologica, estrema, veramente poetica. Ci si chiede infine se non sarebbe bello vedere Totò diretto da un sommo regista, de Fellini, per esempio.[...] Caro Totò, in ogni modo, grazie. Grazie di averci tanto divertito. nella tua carriera, e nell'esattezza del tuo più piccolo lazzo, c'è qualche cosa di indomito: un esempio per tutti, e una lezione. Anche di questo, grazie.

Mario Soldati, "E se un giorno Totò incontrasse Fellini?", «Europeo«, n. 37, 13 settembre 1964, "Da spettatore", Mondadori, Milano 1973, pp. 154-157



I documenti


Una volta, dovendo girare una scena del film, Totò si avvicinò e mi disse: ho letto il copione di questa scena, è una vera schifezza. Fai tutto quello che ti dico di fare e segui le mie battute, improvvisiamo... così facemmo e ne venne fuori una delle migliori scene del film.

Pietro De Vico


Una sceneggiatura piena di spifferi, degli attori lasciati al loro destino e una trama più friabile del pane carasau, senza nessun'altra ambizione tranne quella di antologizzare in chiave parodica le scene più note di un film campione d'incassi delle stagioni precedenti. Questa è la composizione di quasi tutti i film di routine girati da Totò, il quale – novello Atlante – doveva accollarsi, per mezzo del suo repertorio, tutto il peso di produzioni scalcinate a cui lui solo poteva dare un senso.

Che fine ha fatto Totò Baby? non si discosta da questo schema: la produzione è un po' poverella, l'attenzione alla continuità è nulla, e pure Pietro De Vico e Mischa Auer non sono le spalle più memorabili di Totò, perché né la sceneggiatura (di Ottavio Alessi e dei laboriosissimi Bruno Corbucci e Giovanni Grimaldi) né la regia sanno valorizzare la loro presenza: al primo non viene dato niente da fare se non lanciare strilletti da ebete, mentre il secondo si propone lodevolmente di fare tante “facciacce” quante Totò.

Che fine ha fatto Totò Baby? comunque ha una marcia in più rispetto a tanti film di Totò con gli stessi handicap. La ragione è che questa pellicola trasuda una perversione che non ha paragoni nella vasta filmografia del Principe De Curtis. Tutto inizia all'insegna delle dita nell'occhio e dei morsi sulle mani a cui lo scafato ladro Totò Baby sottopone il suo fratello scemo, Pietro; ma la situazione degenera quando i due arrivano nella villa dell'aristocratico Mischa e Totò entra (ancora una volta) in contatto con la droga. Già due anni prima lui e Peppino De Filippo si erano fatti una doccia di cocaina (in Totò, Peppino e... la dolce vita), ma stavolta le conseguenze sono più estreme: Totò diventa un serial killer e supera in ferocia la Bette Davis di Che fine ha fatto Baby Jane?, spaziando tra varie tecniche omicide quali lo strangolamento, l'acido solforico e l'accoltellamento.

Con i capelli che gli si rizzano sempre di più sulla testa man mano che la follia si acuisce, Totò invoca letteralmente la complicità del pubblico (invitandolo a tenere l'acqua in bocca quando fa a pezzi un corpulento giardiniere) e si produce in alcuni numeri di mimica mirabolanti che dispensano la regia dal fare alcunché.

Nel clima di sfrenatezza complessivo, c'è spazio – come nel succitato Totò, Peppino e... la dolce vita – per plurimi riferimenti all'omosessualità, mostrata in modo piuttosto variegato. Non mancano i classici fraintendimenti da avanspettacolo così diffusi nei film di Totò: prima Pietro De Vico viene scambiato per un invertito da un maresciallo dei carabinieri, perché nel suo baule viene trovato il corpetto di una procace tedesca; poi Totò accarezza con desiderio il braccio di un aitante postino... ma per la semplice ragione che sta pianificando di mutilarlo! Nel reparto omosessualità maschile c'è anche il succitato giardiniere gorgheggiante, che canterella fino a che Totò non lo fa a tocchetti e che richiama vagamente la figura del grasso ed effeminato Victor Buono di Che fine ha fatto Baby Jane?

Nella compagnia del conte Mischa, dedita a blande trasgressioni, fanno anche un'apparizione – abbastanza precoce per il genere della commedia – delle ragazze presumibilmente devote a Saffo: «Zitta tu, non sono cose per donne!» intima una mora dalla voce scura a un'oca bionda che le chiede di prendere una boccata di marijuana, anticipando una dinamica che negli anni successivi sarebbe divenuta lo standard per i rapporti lesbo cinematografici, con la donna virilizzata che sottomette la sciocchina implume. Anche le turiste tedesche (Ivy Holzer e Alicia Brandet) caricate in macchina da Totò e Pietro De Vico potrebbero essere una coppia, benché la loro intimità si riduca al mugugnare confidenzialmente mentre dormono nello stesso letto.

Ottavio Alessi, accreditato come regista di questa singolare pellicola, nel 1968 ha firmato il suo unico altro film, anch'esso piuttosto memorabile nella sua perversione (e caratterizzato da una recitazione ugualmente disomogenea), vale a dire l'ardito Top Sensation, con Rosalba Neri e Edwige Fenech che “bisessualeggiano” alacremente. Ma prima di attribuire all'oscuro Alessi una vena autoriale (appena accennata data la sua scarsa prolificità) di “regista della perversione”, va considerato che a Totò Baby hanno messo mano anche Paolo Heusch e la più assidua spalla di Totò, Mario Castellani, la cui voce appare in continuazione leggermente contraffatta per doppiare molti dei personaggi secondari. Forse è anche per questa sovrapposizione di mani diverse che la fattura del film appare abbastanza sciatta: troppi cuochi guastano la cucina, come dice il proverbio; per fortuna che Totò mette sul fuoco un po' di buona carne... umana.

Andrea Meroni


Il mistero Paolo Heusch

Paolo Heusch, dimenticato regista italiano morto oltre trenta anni fa, torna con le sue opere al romano Cinema Trevi. Un atto doveroso verso ogni artista.

Lo scriveva Alessandro Aniballi dopo la proiezione triestina, a I Mille Occhi, del sublime Avanzi di galera di Vittorio Cottafavi: “Per chi voglia ben cercare, il cinema italiano del passato regala una miniera inesauribile di meraviglie”. A questo scopo si articola l’ampio lavoro delle cineteche italiane, in collaborazione con i festival dislocati sul territorio nazionale: un’operazione capillare – per quanto spesso di ardua realizzazione – che ha permesso nel corso degli ultimi anni di riscoprire opere come Pagine chiuse di Gianni Da Campo, L’occhio selvaggio di Paolo Cavara, Scano Boa di Renato Dall’Ara, Odissea nuda di Franco Rossi. Solo per fare esempi di film e registi dimenticati, lasciati in seconda linea, abbandonati al proprio destino. La cinefilia italiana, dopotutto, di crimini di questo tipo ne ha perpetrato un numero non indifferente, andando a rivalutare l’epoca d’oro dell’exploitation solo quando i suoi massimi cantori – Mario Bava, Antonio Margheriti, Lucio Fulci – erano morti o completamente fuori dal sistema, donando la giusta visibilità critica a un eroe del mélo come Raffaello Matarazzo solo un decennio dopo la sua morte, e allo stesso modo smarrendo per strada i Cottafavi, Freda, Baldi, Brusati, Tretti e via discorrendo.
All’interno di questo percorso, ci si muove spesso seguendo le direttrici del genere di appartenenza, e da lì allargandosi a macchia d’olio, partendo dal centro e arrivando a toccare le periferie. Così l’appassionato cultore de La maschera del demonio prima o poi lambirà l’orlo della veste di Metempsyco di Antonio Boccacci e Il boia scarlatto di Massimo Pupillo; colui che si è formato sulla tetralogia «Gamma Uno» di Margheriti non tarderà ad approdare a 2 + 5 Operazione Hydra di Pietro Francisci, Il tunnel sotto il mondo di Luigi Cozzi e Ecce Homo – I sopravvissuti di Bruno Gaburro. Quale che sia il campo cinematografico al quale si preferisce aderire, però, è difficile non imbattersi nel nome di Paolo Heusch. Un nome ancora oggi, nel 2016, completamente dimenticato.

Già, Paolo Heusch. Fino a poco tempo fa online era riportata solo la data di nascita, a Roma nel febbraio del 1924. Avrebbe dunque 92 anni, Heusch, ma il condizionale è d’obbligo: nonostante sia difficile trovarne notizia, il regista morì infatti nel 1982, a soli cinquantotto anni. È stata Roma, direbbe un personaggio di Suburra di Stefano Sollima; un’affermazione non troppo lontana dalla realtà, se si considera Roma come epicentro dell’industria cinematografica italiana, o supposta tale. Per trentaquattro anni la morte di Paolo Heusch è rimasta un segreto, o meglio è stata completamente snobbata dalla critica e dagli addetti ai lavori. Del pubblico, Heusch, aveva perso le tracce da troppo tempo. Dopotutto anche in vita i riconoscimenti erano stati pochi, e altrettanto parchi.
La sua filmografia da regista, così pronta a saltare da film catastrofici ante-litteram (La morte viene dallo spazio, che anticipa di qualche decennio le paure e le angosce di chi temeva che dalle oscurità siderali non arrivassero crudeli alieni ma ben meno pensanti e più letali detriti rocciosi) a nuovi realismi (Una vita violenta, tratto dalle pagine di Pier Paolo Pasolini e tradotto per lo schermo in collaborazione con Brunello Rondi, che solo un anno più tardi avrebbe firmato il suo capolavoro, Il demonio), da truci horror (Lycanthropus, strano caso di licantropia nel cinema italiano ed europeo) a sapide commedie con protagonista Totò (Il comandante, ma anche il casus belli Che fine ha fatto Totò Baby?), per finire con l’avventura un po’ sbilenca di Un colpo da mille miliardi e l’instant-movie El “Che” Guevara – portato a termine con l’uccisione del rivoluzionario marxista avvenuta da pochissimi mesi – non presta il fianco alla comodità del pensiero critico. Non c’è nessun filo rosso a legare le opere, almeno all’apparenza, non ci si può affidare alla facile coperta del “genere”, solitamente usata per coprire le mancanze di un vero apparato di lettura (in tal senso si prenda il caso paradigmatico di Giulio Questi; ma la lista sarebbe lunga), l’ispirazione stessa del regista sembra altalenante.

Chi fu, in ultima analisi, Paolo Heusch, e perché il suo nome è rimasto chiuso nei cassetti della memoria, trattato con una noncuranza che non meritava? Certo, Una vita violenta arriva sull’onda lunga di Accattone, l’esordio alla regia di Pasolini che aveva dirottato sul cinema tutte le scorie belluine del perbenismo fascista, ma è in grado di immortalare il tumulto di un dopoguerra trasformatosi in boom economico e gravido di tensioni, di esuberanze, di slanci di vita (sotto)proletaria destinati a rimanere tali. Per di più Heusch aveva già anticipato il tema dello sguardo sulla Roma più povera e slabbrata nel completamente dimenticato, e a tratti ispirato, Un uomo facile, del 1959. Allo stesso modo appare impossibile che non si sia colto, all’epoca e anche in tempi più recenti, lo spaccato sociale e umano che traspare da Il comandante, con ogni probabilità l’opera che più di tutte – anche del trasognato e cinico Pasolini di Uccellacci e uccellini e Che cosa sono le nuvole?, e del disilluso Roberto Rossellini di Dov’è la libertà? – è stata in grado di trasformare la scucchia/ghigno di Totò da personaggio-marionetta a maschera tragica sul cui volto si può leggere l’intera distruzione di un paese, passo dopo passo.

Solo Pasolini, che però lo “mise in scena” in maniera più classica, fu capace di comprendere il senso delle rughe sul viso di Totò, e di abiurare a una replica stanca di uno spettacolo di varietà condotto film dopo film con inventiva altalenante. Heusch avrebbe potuto forse reinventare davvero Antonio de Curtis negli ultimi anni della sua vita, quando oramai era completamente cieco; se non fu così, è per “colpa” di Che fine ha fatto Totò Baby?, e della polemica (silente, visto che è difficile trovarne prova a distanza di cinquant’anni) che infuriò, portando al licenziamento del regista e all’attribuzione indebita del film allo sceneggiatore Ottavio Alessi.

Per quel che concerne i problemi di lavorazione de Il comandante, destinato poi a un clamoroso insuccesso nelle sale, si possono rintracciare anche dichiarazioni dello stesso Heusch: «La lavorazione era difficoltosa perchè non ci vedeva, anche se suppliva con la sua tecnica straordinaria, mi diceva: “Guidami per un braccio e fammi vedere il percorso che devo fare e dove mi devo fermare, sta’ tranquillo che a quel punto mi fermo”.  Non ci vedeva a doppiarsi, allora bisognava fare tutto in presa diretta e a quell’epoca ancora non c’era stata la televisione, che ha obbligato molti a fare la presa diretta; non c’erano nemmeno tecnici capaci, microfoni adeguati».

Sui motivi che spinsero la produzione di Che fine ha fatto Totò Baby?, pare su inamovibile presa di posizione del protagonista del film, a licenziare Heusch si potrebbe aprire un capitolo a parte, visto che si tratta di uno dei grandi misteri del cinema italiano. Un grande mistero a cui nessuno, paradossalmente, sembra essersi mai troppo interessato. Heusch non era certo un regista di commedie – al momento di approdare su questo set aveva diretto un film di fantascienza, un horror, due ritratti di vita suburbana e Il comandante –, ma aveva lavorato come assistente per Franciolini e Comencini, anche con lo stesso Totò (L’imperatore di Capri, per esempio); il suo nome, per quanto ancora oscuro ai più, iniziava a circolare per le stanze di Cinecittà. Senza farla troppo lunga, anche perché i documenti a disposizione permettono solo illazioni, per quanto probabilmente credibili, si scoprì che Heusch aveva relazioni omosessuali. Nel reazionario seppur libertino mondo del cinema questo equivalse a uccidere socialmente il regista romano. Il resto della sua carriera si articola attorno a un pugno di film, con scarsi mezzi a disposizione e progetti ambiziosi quanto improvvisati, come la Bolivia tomba del Che ricostruita – si fa per dire – in Sardegna.

Quale che sia la verità attorno all’epurazione di Heusch (perché di questo, ed è indiscutibile, si trattò), quel che è certo è che quasi tutto Che fine ha fatto Totò Baby? è da ascrivere alla sua filmografia, anche se la firma reca ancora il nome di Alessi, responsabile dietro la macchina da presa solo di Top Sensation, scult erotico che nel 1968 contribuì a lanciare nell’empireo dell’immaginario maschile le forme di Edwige Fenech, oltre ad avere per protagonista Madeleine Sacquard alias Maud de Belleroche, l’autrice de L’Ordinatrice. Altro oggetto degno di un culto a parte e destinato a rimanere con ogni probabilità incompreso, Che fine ha fatto Totò Baby? trascina il grande comico napoletano dalle parti della comicità nera e ferale dei Fratelli Marx, tracimando oltre i bordi del sadico e contribuendo a ridefinire una volta di più Totò, la sua figura, e il senso stesso della sua presenza davanti alla macchina da presa. Regista dotato di uno sguardo mai banale sul reale, e desideroso di spingere sempre un passo oltre la propria curiosità artistica (e questo lo si percepisce soprattutto nelle opere meno riuscite, come Una raffica di piombo, dall’ambientazione esotica grazie alla coproduzione italo-egiziana, o il già citato Un colpo da mille miliardi), Heusch si aggrappò alle poche possibilità di lavoro che gli vennero concesse, per poi essere completamente dimenticato, e abbandonato al suo destino.

Neanche la morte, ultima tetra speranza di rivalutazione per molti suoi colleghi – la rilettura postuma è uno degli esercizi critici più in voga – è venuta in suo soccorso. Anzi, la notizia della sua morte rimase ignota, la stampa se ne disinteressò completamente. A distanza di più di trenta anni dalla fine della vita di Heusch (e a cinquanta da quella della sua carriera artistica), è doveroso permettere al pubblico di riscoprire i suoi film. Non per potersi fregiare della riesumazione di un nuovo “maestro” del cinema sul cui tumulo versare ignobili lacrime di coccodrillo, ma perché la storia del cinema – e dell’umanità – non può essere appannaggio solo dei numi tutelari, delle figure inscalfibili. Paolo Heusch fu un regista alla ricerca di una sua via personale attraverso i percorsi spesso tortuosi dell’industria; dimostrò intelligenza e sensibilità artistica, e venne abbattuto quando stava con ogni probabilità raggiungendo l’apice del proprio percorso creativo. Nell’ottobre del 2016, organizzando una sua retrospettiva (non completa) al Cinema Trevi, sala della Cineteca Nazionale, non si sta compiendo un miracolo, né si pensa di riscrivere la storia del cinema, fosse anche solo italiano. Si sta solo portando a termine ciò che è giusto e doveroso verso ogni regista, la possibilità che le sue opere arrivino ancora al pubblico, e questo possa goderne. Nulla di più.

Raffaele Meale


Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Parodia dell'americano Che fine ha fatto Baby Jane?, il quasi omonimo film di Ottavio Alessi è la storia di due fratelli (uno dei quali violento, appunto Totò Baby) alle prese con un inaspettato cadavere e un'insalata drogata. La trama è come spesso accade poco più di un pretesto per dare modo a Totò (che stavolta non pare avere spalle comiche degne di nota) di dare vita alla sua comicità estrema, anche qui come in Totò diabolicus con venature noir, veramente irresistibile. Il resto è poca cosa.
    I gusti di Galbo (Commedia - Drammatico)

  • Più film in un uno: la storia del camaleontico e abilissimo ladro con fratello scemo, gli intrighi con cadavere da far sparire nella villa dei drogati (con tanto di pasto a base di marijuana-maggiorana) e solo alla fine la parodia vera e propria di Baby Jane. Mettere insieme i diversi percorsi narrativi non aiuta la riuscita del film (soprattutto la prima parte è depressa rispetto alle potenzialità), ma consente comunque a Totò di lanciarsi in buone performance coadiuvato da caratteristi non sempre all'altezza. Carino ma altalenante.
    I gusti di Pigro (Drammatico - Fantascienza - Musicale)

  • Parodia di "Che fine ha fatto Baby Jane?" con un Totò in grande forma. Da quando esce di testa e diventa cattivo, dà il meglio di sè, con espressioni diaboliche, occhi sgranati e una perfidia fuori dal comune. Ne farà di cotte e di crude (i candelabri a muro con braccia vere), dando allo spettatore la giusta soddisfazione nel gustare le sue malefatte. E a farne le spese sarà soprattutto il povero fratello, insultato e terrorizzato di continuo (basta vedere cosa gli cucina). Certo, qui ruota tutto intorno all'estro di Totò, ma può bastare.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò, fuori di testa, che canta in spiaggia : "Non ho l'età per amarti".
    I gusti di Puppigallo (Comico - Fantascienza - Horror)

  • Esilarante parodia del celebre Che fine ha fatto Baby Jane? con un Totò in grandissima forma e un buon cast di contorno (De Vico, Auer). Ottimi anche il tema musicale, la cena con la marijuana, i delitti (una vera e propria overdose di humor nero). Per chi ama Totò, ma non solo, questa commedia è così divertente che piacerà a tutti. Altri momenti memorabili: la morte della moglie di Auer, il bagno "acido", la testa nel piatto, le braccia usate come applique. Memorabile.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Le braccia del postino che diventano un elegante applique.
    I gusti di Ciavazzaro (Giallo - Horror - Thriller)

  • Prodotto splendidamente e insospettabilmente fuori di testa, con ritmo incessante e gag a ripetizione, non privo di passaggi sconfinanti nel non-sense e nel macabro, dallo stacchetto musicale sulla marijuana ad angherie degne di Annie Wilks perpetrate dal Totò più folle e sopra le righe mai visto al cinema. E il tutto, nonostante nel primi minuti nessuno l'avrebbe sospettato, va a confluire proprio dalle parti dell'Aldrich parodizzato nel titolo. Uno di quei prodotti eccentrici, eccessivi e incatalogabili che resero unico il nostro cinema.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La canzone sulla Marijuana; Il rimedio per la gamba.
    I gusti di Deepred89 (Commedia - Drammatico - Thriller)

  • Stravagante, confusionario e divertente Totò, con addirittura una cover in italiano della canzone cantata dalla Davis nel film di cui è (in piccola parte) una parodia. Ovviamente un veicolo per le gag dell'immenso Totò e poco più. Ma intriso di sana cattiveria e momenti memorabili per cui alla fine alla consistenza del film non si fa affatto caso. De Vico è solo una spalla e nient'altro, ma è buffo. Totò domina, concedendosi un respiro più nero del solito.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La cena alla "maggiorana"; lo spettacolino all'inizio. I marijuana addicted, giovani ricchi e stravaganti e la di "lei" semina con Auer che canta.
    I gusti di Matalo! (Commedia - Gangster - Western)

  • Divertente presa per i fondelli del genere horror, con un Totò superlativo. Buone la sceneggiatura e la regia di Alessi, che conferisce alla pellicola un bel ritmo. Ma è chiaro che la pellicola vive sopratutto della divertita e scatenata performance di un Totò inarrestabile. Memorabile quando serve la cena al fratello e il finale sulla spiaggia. Eccellente anche De Vico.
    I gusti di Lovejoy (Comico - Horror - Western)

  • Forse l'ultimo film dove Totò è letteralmente scatenato: la storia non è granchè e fa il verso a Che fine ha fatto Baby Jane, ma le sue improvvisazioni e i duetti con Pietro De Vico (ottima spalla in sostituzione di Peppino) strappano generose risate. Da antologia la seconda parte del film, in cui Totò impazzisce e si trasforma in assassino. Da vedere.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò che canta "Non ho l'età".
    I gusti di Rambo90 (Azione - Musicale - Western)

  • Ancora una volta Totò dimostra il suo grande talento senza bisogno di grandi sceneggiature, dominando la scena in ogni situazione, passando in rassegna ogni tipo di comicità, imprimendo il suo unico e originale marchio di fabbrica. Il soggetto, una parodia come andava di moda in quegli anni, non è male, abbastanza ricco di battute e piuttosto strutturato, costruito ad hoc sulle grandi spalle del principe che tutto nobilita con la sua indiscutibile arte, affiancato da caratteristi che, trascinati dalla sua vitalità, danno, pure loro, il meglio.
    I gusti di Saintgifts (Drammatico - Giallo - Western)

  • Ci son film che vivono di vita propria, teoricamente non avrebbero capo né coda e invece ecco i frame impazziti sprigionarsi dalla pellicola come splendidi zombi accellerati: ne è un fulgido esempio questo remake totoesco del cupo film di Aldrich. Il vecchio Principe al tamonto in un Alessi's movie, senza nessuno dei suoi fidi al fianco (se non il grande De Vico), poteva rischiare il tracollo e invece no: si butta delirante dentro ogni scena e ghigna, folleggia, strabuzza gli occhi, pasteggia marijuana. Qualche pausa di troppo ma è un Totò trip ragazzi!
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "...Questa è carne di vitella"; tutti gli ammazzamenti; gli applique di carne umana; la "sabbiatura" di Pietro De Vico; Totò che canta "Non ho l'età".
    I gusti di Giùan (Commedia - Horror - Thriller)

  • Singolare parodia che vede Totò coinvolto negli insoliti panni del cattivo, come mai più gli succederà in carriera. La prima parte regge bene, poi il ritmo si abbassa leggermente e si trascina stancamente verso la fine, ma la sua performance è assolutamente ineccepibile e camaleontica, specie quando diventa uno psicopatico assassino dopo aver mangiato foglie di marijuana come fosse comune lattuga. Ancora una volta una grande prova attoriale. Bravo anche De Vico.
    I gusti di Minitina80 (Comico - Fantastico - Thriller)

  • Un Totò insolitamente cattivo e sadico è il protagonista di questa commedia nera dove si ride (a volte macabramente) a volontà. Bravo come spalla l'ottimo Pietro De Vico. Parodia del capolavoro Che fine ha fatto Baby Jane? e nonostante la povertà di mezzi può definirsi un'operazione riuscita.
    I gusti di Gabrius79 (Comico - Commedia - Drammatico)

  • Film a due velocità, con la prima parte più convenzionale e piuttosto scontata, dove Totò ripropone se stesso mentre il bravo caratterista De Vico non sempre regge il confronto con il protagonista e spesso di limita a fargli da "specchio". La situazione cambia quando Mischa Auer porta sulla scena il suo talento e trascina il Principe in gustosi duetti. Bella e originale la trama, con momenti horror e sexy piuttosto audaci, per l'epoca. Tutto sommato un buon film, che poteva però, con una regia meglio curata, essere un piccolo capolavoro.
    I gusti di Pessoa (Gangster - Poliziesco - Western)

  • Un film che senza la presenza di Totò sarebbe insignificante e privo d’interesse. La pellicola di Ottavio Alessi rimane uno spettacolo dozzinale e piatto, caotico e confuso, abborracciato nella storia e privo di qualsiasi dignità artistica ma la semplice presenza di Totò riesce a innalzarne la capacità di divertimento. Mai come in questo film il grande comico napoletano riesce a tirare fuori la sua vis comica nera, sovversiva, anarchica e devastatrice, sempre presente in altri film ma qui elevata a ghigno folle e maligno. Mediocri gli altri attori.
    I gusti di Graf (Commedia - Poliziesco - Thriller)

  • Titolo anomalo nella filmografia di Totò. Qui si va ben oltre i ruoli di umanissimo mariuolo. Il suo personaggio è davvero cattivo, anche prima di impazzire a causa della marijuana, da quando lancia addosso al fratello piedi di porco e altri utensili per aprire la valigia rubata a quando colpisce una povera vecchina per depredarla della pensione. Con l'inizio della dieta "vegetariana", si evolve in uno spietato e sadico assassino. Prova di alto livello per Totò e De Vico, ma è il cast tutto a funzionare alla perfezione.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: L'inglese derubato: "Ma non c'è Polizia in questo Paese?"; i vaneggimenti prima dell'arresto.
    I gusti di Smoker85 (Commedia - Drammatico - Fantastico)

  • Parodia col fiato corto del grande capolavoro con Bette Davis. Se nella prima parte il film marcia a tutto vapore senza concedere una tregua allo spettatore (la recita a scuola, la vecchina della stazione, il trucco per rubare le pensioni), la seconda parte è di una rara sciatteria, con interpretazioni squallide a dir poco (la Holzer e la Brandet avrebbero fatto meglio a cambiare mestiere, ed anche Auer ha conosciuto momenti migliori). Unica nota positiva in tale marasma: Gina Mascetti, che disgraziatamente rimane in scena pochi minuti.
    I gusti di Max92 (Animazione - Horror - Thriller)

  • Divertente. Ovvio che la sceneggiatura (poca cosa e non peraltro originalissima) dia molto spazio alle irresistibili gag di Totò che qui sono davvero molte. Spalla del protagonista questa volta il poco ricordato ma molto bravo Pietro De Vico, che interpreta il fratello più tonto e più buono. Regia tranquilla e semplice, ma tutto sommato non fa rimpiangere persone del calibro Steno, Fulci o addirittura Monicelli. Davvero suggestive le location nella seconda parte. La fattura finale è ok, ci si diverte spensieratamente.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il mordimano di Totò; Il pranzo a base di "lattughina"; Lo sballo di Totò.
    I gusti di Albstef90 (Commedia - Horror - Western)

Le incongruenze

  1. Quando Misha fa l'ingresso a casa sua dove ci sono già i suoi amici appare dalla porta in cima alle scale, ma nello sviluppo del film si capisce che quella è una camera da letto mentre l'ingresso è un'altro
  2. Mentre Misha e i suoi amici seminano la marijuana Totò e Pietro de Vico li spiano dal muro. Quando vengo inquadrati i soggetti sul campo l'illuminazione è serale, quando invece la scena stacca sui due dietro al muro la luce è chiaramente diurna
  3. Quando Totò e de Vico gettano la valigia nel pozzo, sembra dal tempo che passa prima del tonfo che questo sia profondissimo, ma quando gettano il secchio il tonfo arriva molto prima. Poi addirittura quando gettano la corda per tirare su Misha, la parte utilizzata è ancora più corta.
  4. Totò uccide una delle tue tedesche buttando acido nella vasca da bagno, ma l'acido corrode tutto il suo corpo....eccetto la fascia che aveva in fronte. Di che materiale era fatta?
  5. Quando Totò va a trovare il fratello in ospedale l'infermiera lo sente rimproverare il fratello e gli chiede cosa succede. Totò la tranquillizza e l'infermiera se ne va. Quando l'infermiera esce fuori dall'inquadratura riprende molto più violentemente a malmenare il fratello, ma l'infermiera stava ancora nella stanza, eppure non interviene

www.bloopers.it


Foto di scena, video e immagini dal set


Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo.

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LA STAZIONE OSTIENSE DI ROMA: MULTIFUZIONE!  - La "fantozziana" stazione Ostiense di Roma, in Piazza dei Partigiani, offre se stessa per tre location diverse!

L'UFFICIO POSTALE - L’ufficio postale all’esterno del quale Totò Baby tramortisce e rapina un’anziana donna, ad esempio.

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La piazza è oggi irriconoscibile (la fontana non c’è più), ma gli edifici sullo sfondo sono gli stessi (quella che si vede sulla sinistra del palazzo B è la sede dell’ACEA di Viale delle Cave Ardeatine, che era la banca rapinata in Bonnie e Clyde all'italiana).

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Alle spalle di Pietro De Vico si nota una delle due alette della caratteristica facciata della stazione.

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LA STAZIONE - La stazione ferroviaria nella quale i due fratelli organizzano furti di valigie (e finiranno per rubarne una contenente un cadavere), è ancora l’Ostiense, stavolta spacciata per quello che effettivamente è. Segnalo che tra questa scena e quella dell’ufficio postale ci sono circa 5 minuti di film.

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IL PARCHEGGIO - Il parcheggio nel quale Totò Baby si spaccia per posteggiatore per rubare un’auto, in modo da nasconderci la valigia col cadavere (dopo che se l’erano portata a casa, scoprendone il contenuto) e così sbarazzarsene è di nuovo quello dell’Ostiense.

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Per essere precisi si tratta del vecchio parcheggio (l’unico prima della rimozione della fontana centrale), tuttora esistente e funzionante e caratterizzato dalla “Fontana dei Cavalli”, della quale se ne nota uno spicchio qui sotto (E) tutti i punti sono indicati nei fotogrammi.

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La strada dove Totò Baby e il fratello Pietro, viaggiando sull’auto rubata, s’imbattono in un posto di blocco è Via di Torricola a Roma, all’altezza del bivio con Via della Stazione di Torricola. Si riconoscono l’edificio posto esattamente sul bivio...

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...e il casolare tra le campagne, oggi in parte diroccato e seminascosto dalla vegetazione (quest'ultimo si nota meglio arretrando su Via di Torricola, in direzione dell'Ardeatina)

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La spiaggia nella quale Toto Baby seppellisce nella sabbia il fratello Pietro (De Vico) è quella di Fiumicino (Roma). Cominciamo a stabilire che la zona è quella osservando il faro di Fiumicino sullo sfondo. Con la dicitura spiaggia vediamo già indicato dove stavano Totò e De Vico

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Ora passiamo a individuare il punto esatto grazie all'edificio (B) e soprattutto a quello alla sua sinistra, all'epoca in costruzione e che si trova, completato, sul Lungomare della Salute, all’altezza dell’intersezione con Via Ugo Botti (inoltrandosi in quest’ultima s’incontra subito dopo il basso edificio B con sei aperture che coincide con quello che si vede nel secondo fotogramma; si nota anche il “separè” tra le prime tre aperture e le rimanenti). Sotto, osserviamo anche qui la forma inconfondibile dell'edificio in costruzione: si riconoscono l’attico e la parte di cornicione avanzato. Non c'è dubbio che i due, al tempo, stessero seduti proprio in questa spiaggia 
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Il manicomio nel quale viene rinchiuso Totò Baby è uno dei due grattacieli quasi-gemelli di Via Nairobi a Roma (l'altro è quello in cui vive Sordi in Scusi lei è favorevole o contrario). Sotto, una immagine più ravvicinata dello stesso palazzo (presa da Via dell'Umanesimo) mostra come il disegno delle finestre sia inequivocabilmente quello.
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Il bar all’aperto dove, all’inizio del film, Pietro (Pietro De Vico) tenta di rubare un portafogli, è il Cafè du Parc, davanti Porta S. Paolo (Piramide) a Roma. Lo vedete oggi come allora coperto da una tenda. Grazie a Mauro per fotogramma e descrizione

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La location principale, ovvero la villa del barone Miscia, nella quale i due fratelli si stabiliscono a seguito dell’incidente di Pietro e nella quale Totò Baby, impazzito dopo aver mangiato la marijuana, ucciderà tutti gli occupanti, è il Casale di Santa Maria Nova sull'Appia Antica a Roma già inquadrata lo stesso anno in Sei donne per l'assassino (di cui vedete un particolare da un fotogramma) e quindi già radarizzata al tempo.

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Ecco la villa in una foto

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10 Ott 2016

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23 Nov 2016

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23 Gen 2020

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07 Giu 2016

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Totò e... Mario Castellani Un improvvisatore nato Per quarant’anni gli sono stato vicino nella vita e sul palcoscenico. Ho avuto l’onore di essere la sua « spalla » prediletta. Ci…
Orio Caldiron, Davide Morganti, repubblica.it, Alessandro Nocera, Giuseppe Grieco
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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • Andrea Meroni in http://www.culturagay.it
  • Raffaele Meale in https://quinlan.it
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998