Adani Laura
(Modena, 7 ottobre 1913 – Moncalieri, 30 agosto 1996) è stata un'attrice italiana.
Biografìa
Quartogenita del commerciante Alberto Adani e di Pia Capri, sin da piccola sente una certa predilezione per la recitazione nonostante non sia figlia d'arte, fatta eccezione per le due sorelle maggiori, entrambe unite in matrimonio; la prima, Lena Adani, con l'attore Ernesto Sabbatini, l'altra (Efrem) con un impresario teatrale. Ha anche un fratello, Giorgio, nato nel 1909. Nel 1928, appena quindicenne, venne presentata dal cognato Ernesto a Tatiana Pavlova, e nella sua Compagnia debuttò in ruoli da generica facendosi immediatamente apprezzare. Attrice dotata di grandissimo temperamento, negli anni trenta diventò fra le più importanti attrici del nostro teatro. Nella stagione 1930-1931 venne scritturata da Mario Mattoli nella sua famosa Compagnia Teatrale Za-Bum (per la precisione la n. 9) e figurò come unica presenza femminile nel cast del dramma bellico I rivali, accanto a Vittorio De Sica.
Nella stagione 1932-1933 recitò nella Compagnia degli Spettacoli Gialli diretta da Romano Calò. Già dalla stagione seguente (la 1934-1935) accede a ruoli più impegnativi in grandi compagini e accanto ad attori come Luigi Cimara e Umberto Melnati, ma raggiunse il definitivo status di prima donna dal 1935-1936 con Renzo Ricci, accanto al quale affrontò i ruoli più significativi della sua carriera, anche in molte tragedie shakespeariane e dannunziane, fra cui le lodevoli Ofelia nell'Amleto, la Giulietta di Romeo e Giulietta, la Caterina della Bisbetica domata, Margherita Gauthier e infine la Mila di Codra de La figlia di Jorio diretto nel 1942 da Guido Salvini, oltre naturalmente a testi di altri autori italiani quali Ho sognato il paradiso scritto da Guido Cantini e portato in scena nella stagione 1942-1943.
Nella seconda parte degli anni quaranta e per tutti gli anni cinquanta del XX secolo si dimostrò attrice espressiva ed estremamente versatile, esibendosi in copioni di autori contemporanei quali Erskine Caldwell e John Kirkland (La via del tabacco), Marcel Achard (Adamo) Jean Cocteau (La macchina da scrivere), Georges Salacrou, Georges Feydeau e, tra gli italiani, Luigi Pirandello (Ma non è una cosa seria, con Ernesto Calindri e Tino Carraro, del 1944) Eduardo De Filippo, Corrado Alvaro e Carlo Goldoni (La vedova scaltra, del 1953) sotto la direzione di registi importanti come Luchino Visconti, Luigi Squarzina e tanti altri.
Anche negli anni sessanta si cimentò in testi di estrema difficoltà come in Giorno d'ottobre di Georg Kaiser diretto da Paolo Grassi accanto a Vittorio Gassman, a Pick-up-girl di Shelley diretta da Giorgio Strehler, arrivando all'ostico Oh papà, povero papà, la mamma ti ha appeso nell'armadio e io mi sento tanto triste di Arthur Kopit, diretto nel 1964 da Mario Missiroli, quindi in Giorni felici di Samuel Beckett diretto da Roger Blin nel 1965, quest'ultimo portato anche in tournée negli Stati Uniti d'America, culminato con il trionfo della prima messinscena diretta da Maurizio Scaparro, La Venexiana, commedia di anonimo veneziano del XVI secolo, del 1966 (che vent'anni dopo, verrà trasposta con successo sul grande schermo da Mauro Bolognini).
Nella stagione 1967-1968 recitò insieme a Gigi Proietti, Marisa Belli e Paila Pavese nello spettacolo La Celestina di Fernando de Rojas, sotto la direzione di Antonio Calenda. La sua ultima apparizione sul palcoscenico risalì al 1981, con la commedia Divorziamo di Victorien Sardou diretta da Lorenzo Salveti, ripresa anche dalla televisione. Attrice essenzialmente teatrale, nel cinema la sua presenza è assai saltuaria con soltanto undici film interpretati tra il 1933 e il 1979, nonostante i suoi primi ruoli siano piuttosto rilevanti. Debuttò a 27 anni nel modesto Aria di paese, accanto a un altro debuttante, il comico Erminio Macario. Nello stesso anno gira anche un film con Amleto Palermi, Il treno delle 21,15, una delle prime pellicole italiane del genere giallo. Tra questo e il successivo passeranno ben sei anni, anche se vi torna da protagonista, nel musicale Torna caro ideal! diretto da Guido Brignone nel 1939.
Partecipò in seguito a qualche altro film di poco conto, tranne quello che girò con Mauro Bolognini, Arrangiatevi del 1959, insieme con Totò (trasposizione cinematografica della commedia in vernacolo fiorentino Casa nova... vita nova, scritta da Vinicio Gioli nel 1956) nel quale ebbe il ruolo della moglie del protagonista (Peppino De Filippo) costretta suo malgrado ad accettare, a causa della difficoltà nel trovare alloggi, di trasferirsi in una ex casa di tolleranza diventata rispettabile subito dopo l'entrata in vigore della Legge Merlin.
In televisione recitò in molte commedie adattate, fra cui La fine della signora Cheyney (1958) tratto da Lonsdale e La Pisana (1960) da Ippolito Nievo, entrambi diretti da Giacomo Vaccari. Appare nell'originale Il grande statista (1962) diretto da Luigi Squarzina e poi fece parte del nutrito cast dello sceneggiato Melissa (1966) da Francis Durbridge diretto da Daniele D'Anza. Fra le sue ultime apparizioni ci sono i due episodi della serie Racconti italiani di Dino Buzzati, Otto donne diretto da Mario Ferrero e La giacca stregata diretto da Massimo Franciosa, entrambi del 1969, quindi, molto più tardi, nella già citata commedia Divorziamo da Victorien Sardou ripresa direttamente sul palcoscenico.
Entrò nell'alta aristocrazia milanese dopo il matrimonio, avvenuto il 2 dicembre 1947, con il duca Luigi Visconti di Modrone, fratello del celebre regista Luchino e ne rimase vedova vent'anni dopo. Si risposò una seconda volta nel 1969 con l'ammiraglio Ernesto Balbo Bertone, conte di Sambuy, duca di Nochera. Con il secondo marito andò a vivere in una villa ai piedi della collina di Torino, dove poi morì. È sepolta nel cimitero di Chieri.
Oltre a essere un comico, Totò era e si sentiva un principe per cui non sopportava la volgarità e impose il suo stile anche durante la sua lunga attività cinematografica, a costo di mostrarsi burbero. Per esempio litigò con una raffinata attrice, Laura Adani, moglie del duca Visconti di Modrone perché durante le riprese di Arrangiatevi, girato in una ex casa chiusa, invitava gli amici aristocratici in cerca di sensazioni forti a visitare le varie stanze affrescate con immagini osé, mentre Peppino De Filippo si abbandonava a sberleffi e doppi sensi.
Ebbene, Totò che non era mai sgarbato con una signora, quella volta perse le staffe e intimò all’attrice: “Laura, ricordati che sei una duchessa e comportati come tale, altrimenti sarò costretto a lasciare il set”. Immediatamente fu accontentato, ma il comportamento dell’Adani lo irritò, tanto da confidare al regista Mauro Bolognini: “Se una donna manca di riserbo e di delicatezza, per me, anche se è bellissima perde ogni fascino, in pratica la vedo come un camionista e sono portato a trattarla come tale”.
Liliana de Curtis
Galleria fotografica e stampa dell'epoca
Laura Adami presentata da Ermanno Contini
Ci vuole molto coraggio per passare dal teatro al cinema; un coraggio fatto di rinuncia e di rassegnazione. Abituato ad essere padrone e responsabile delle sue risorse e dei suoi mezzi libero di regolare di scena in scena gesti e voce sul vivente sviluppo dello spettacolo secondo la guida e lo stimolo offertigli dalla reagente presenza del pubblico, fattore di teatro conta su le sue forze, sulla sua intelligenza, cu la sua fantasia ed anche su quel complesso di formule e di effetti che, graduato dalia tradizione sopra le particolari illusioni della vasta prospettiva scenica, si riassume con la parola «mestiere». Su lo schermo fattore deve rinunciare a tutto questo e ad altro ancora; devo innanzi tutto rinunciare a sé stesso perchè l'immagine che di lui è data al pubblico risulta da un insieme di elementi sfuggenti alla sua volontà e al suo controllo, vale a dire dall'interpretazione che della sua persona, delle sue qualità e dei suoi difetti rendono il truccatore, il fotografo. il fonico, il regista e perfino le macchine da presa.
In tali condizioni e soprattutto nella necessità di comporre un personaggio a freddo, pezzetto per pezzetto, traverso l'illogico e discontinuo frammentarismo di un lavoro che dura settimane e settimane sotto la spietata sorveglianza di una prospettiva ristrettissima fattore di teatro si trova mutilato di quanto costituisce il suo valore: l'estro improvvisatore, lo slancio costruttivo, il senso delle proporzioni, l'esperienza, l'autorità. Non è più un Interprete ma un esecutore, non più un artista ma uno strumento.
Bisogna aver visto girare i più grandi attori per rendersi conto di tutto ciò. Davanti all'obbiettivo. fra i segni di gesso che limitano il numero dei passi. I raggi dei riflettori che rendono i movimenti obbligati, le esigenze dell'inquadratura che interrompono fazione ad ogni battuta ed i capricci del microfono che legano la voce, essi diventano come fanciulli Inesperti, come principianti ignari: si lasciano guidare ciecamente accettando — essi che sono maestri — ogni avvertimento, ogni consiglio, ogni ordine, quasi che d'improvviso si fosse spenta in loro ogni capacità creatrice e fossero diventati materia grezza da plasmare. E uno spettacolo ammirevole e deprimente ad un tempo: ammirevole per la pazienza di cui danno prova, deprimente per l'umiliazione passiva cui devono assoggettarsi. E' questa la ragiono per la quale molti attori di prosa non sono risultati su lo schermo all'altezza della loro fama: spersonalizzati dalla necessità tecniche della lavorazione e mal guidati da chi aveva la responsabilità del loro rendimento, sono apparsi alla line dei conti più o meno equivalenti all'anonima mediocrità della maggior parte degli attori dello schermo.
Dopo quanto ho detto, non stupirà se. confesso di essere rimasto meravigliato dalla facilità con cui gli attori di prosa affrontano i rischi della avventura cinematografica. Evidentemente o non sanno che cosa li aspetta o sono armati di un tal coraggio, di una tal volontà, di un tale entusiasmo da meritare la più incondizionata ammirazione. Laura Adani — l'ultima attrice di grido, insieme a Rina Morelli, che abbia tentato il grave passo — appartiene a questa ultima categorìa quella appunto del coraggio, della volontà, dell'entusiasmo..
Di attrici di tal genere, che portino non soltanto il fuoco di una passione attiva, ma la luce di un'arte realizzatrice, il nostro cinema ha gran bisogno e non tanto per rinsanguare i suoi quadri che sono piuttosto poveri, quanto per rinnovarli. Sono anni che si contenta di donnette senza eleganza di ragazzine senza avvenire, di dive senza carattere per le quali l'arte consiste soltanto nel problema dei vestiti, delle fotografie pubblicitarie e di altro grossolane vanità: sarebbe ormai tempo che ti decidesse a badare al sodo scegliendo lo sue attrici fra elementi dotati di sensibilità, di intelligenza, di espressione, di vita. Ma per quanto scottante, è questo un argomento che oggi non ci deve interessare. Ciò che importa è di vedere quello che Laura Adani può dare al cinematografo e quello che il cinema può chiedere a Laura Adani.
Se è vero che il cinema non ha soltanto bisogno di belle donne ma anche e soprattutto di autentiche attrici, Laura Adam potrà dare molto. Ella è oggi senza dubbio uno dei maggiori astri della nostra scena di prese su la quale in nove anni ha saputo arrivare dove molte altre non giungono nemmeno In tutta una vita. Il suo temperamento unisce un'estrema sensibilità ad un’estrema duttilità. Dalla sentimentale Dorina di «Addio giovinezza» alla capricciosa Giannina del «Ventaglio» dalla passionate Magda di «Vivere insieme» alla esaltata Wanda di «Ho sognato il paradiso», da Mila di Codra a Basinola, da Giulietta ad Anegone non c’è grazia della civetteria e dell'amore, sfumatura del sentimento e della passione, accento della gioia e del dolore, grido dell’angoscia e della disperazione che ella non abbia tentato e ripetuto trovando profonda ed immediata rispondenza nel cuore delle folle. Anche quando il cimento poteva sembrare troppo ardito por la sua giovinezza che conserva ancora, nella voce e nell’aspetto, qualche asprezza dell'adolescenza, la prova è stata superata con una volontà ed una intelligenza che il fuoco della scena ha trasformato in esperienza e maturità.
La ricordo ancora — oggi che ò prima attrice da tanti anni che sembra lo sia stata da sempre — con i suoi grandi occhi azzurri luminosamente dilaganti su un visino da bimba, aggirarsi leggiadramente nel salone baiocco di un palazzo nordico al secondo atto di una burrascosissima prima rappresentazione data al Teatro Valle dalla compagnia di Tatiana Pavlova, Nel nervosismo della scena e della platea la sua figurina acerba e lusingatrice conservava una padronanza serena: il nembo della tempesta che stava por travolgere lo spettacolo non la turbava affatto. E il suo sorriso, reso più vivo dall'oro dei riccioli che le scendeva intorno, sembrava una sfida ridente alla minacciante avversità. Cosi, come in quella sera lontana che segnò una dello sue prime apparizioni su la scena, la immagino ferma e sicura dinanzi alla vita: con un sorriso primaverile nel quale si riflette più che la gioia di vivere la volontà di vivere più che la gioia di vincere la volontà di vincere. E negli occhi la luce arguta di chi conosce la propria meta e sa raggiungerla senza lasciarsi ingannare nè da lusinghe, nè da diversivi.
Oggi è, naturalmente, entusiasta del cinematografo al punto da non rigettare la possibilità di dedicarvisi stabilmente abbandonando il teatro.
Ma sono certo che nel suo segreto non si deciderà mai a questo cambio: resterà nell'uno e nell’altro, fedele soprattutto a sè stessa al suo bisogno di lavoro, alla sua ambizione di vittoria. Come sono certo che non sentirò mai dirle come a tanti altri suoi compagni: «Il cinematografo? Lo laccio per guadagnare, per l'arte c’è il teatro». Laura Adani crede sempre in quello che fa e crederà sempre, perciò, nel cinematografo. Almeno fino a quando militerà nel suoi ranghi.
Ermanno Contini, «Film», 23 settembre 1939
Laura Adani capocomica
«Laura Adani, capocomica». E' un bel dire, non lo si può discutere. Fa piacere vedere una cosi giovane attrice tanto sicura di sò da impiantare, di punto in bianco una compagnia di complesso, con un bel repertorio, con intendimenti elevati. E' proprio una delle nuove compagnie sulle quali il mondo teatrale, ha più gii occhi puntati (basta ascoltare i colleghi — o, meglio, le colleghe — quando stanne tra loro per rendersi conto di quanto la Adani faccia parlare di sé). Ma per il gran bene che le si vuole, a questo dannino, ora tenero come un passerotto ora scattante come un gattopardo, bisogna proprio dire : «Addio, cara Lalla nostra». Già, il lettore non lo sa o non se lo ricorda, ma Laura Adani sarebbe la «Lalla», e non solo per gli amici intimi, ma per tutti (cosi come Falconi è «Armando» o il «signor Armando» e mai il è commendator Falconi»), compagni, colleghi, amici, giornalisti. La Lalla pareva non dividere le giornate in ventiquattr'ore, ma in tanti momenti di gioia da distribuire a chi le chiedeva cinque minuti di ascolto e di comprensione. La Lalla aveva, si, i suoi pensieri, studiava tutta la notte, provava tutto il giorno, recitava tutta la sera, aveva da spicciare sarte, parrucchieri, modiste, calzolai, pellicciai, ma la Lalla cera per tutti. Adesso è finita la cuccagna. Addio, Lalla! Adesso la Lalla è proprio la Adani, anzi la signorina Adani (ma chi sarà quel disgraziato che si prenderà la briga, per primo, di trattarla con tanto sussiego? Noi, certo no), la titolare e la padrona assoluta (— Senza soci, — precisa sempre lei) della «Compagnia di Laura Adani».
— Dov’è la Lalla? — chiedono gli amici fedeli.
— La signorina è al Ministero, — risponda Guido Riva, suo impeccabile amministratore.
— Dov'è la Lalla? — chiede il giornalista di passaggio.
— La signorina è in Federazione — risponde un altro dei suoi innumerevoli amici-segretari (in fondo, questo volontariato alla segreteria di Laura Adani ò un modo come un altro per rubarle con la forza tutti i cinque minuti di libertà che le rimangono tra un'udienza, un colloquio, un appuntamento e l'altro).
V'è forse una sola creatura al mondo che abbia ancora il bene di avvicinare la Lalla: Mio. Da Mio la Adani non vuol farsi vedere capocomico. A Mio abbiamo affidato la Lalla, quella tale Lalla dei tempi passati (che torneranno, perbacco, quando la compagnia si scioglierà per meritato riposo) che per tanti anni ci è stata amica e adesso non esiste più per noi. Mio ha l'incarico di tener vivi quegli istanti di spensieratezza che accendono gli occhi della sua padrona come due fuochi d'artificio. Mio ha avute, inoltre, da tutti noi l'ordine perentorio di sacrificarsi con qualche piccola «bua» (la puntura di una vespa, il codino stretto nell'uscio, il postumo di un'iniezione anticimurrica) perchè la padrona sia obbligata a trovare il tempo di sfogare un po’ di tenerezza. Mio (scusate, ci siamo dimenticati di dirvelo) sembra ancora una pecora, ma prima della riunione della compagnia sembrerà un leone perchè è un cane, un cane barbone al quale fra un mese e mezzo sarà tosato il manto di rlccetti neri e saranno pettinati due bellissimi baffi da commendatore.
Prima, quando la neo-capocomioa era ancora allo stadio «lettura di copioni». un po' di Lalla era rimasta per noi: magari solo al telefono, magari solo di sera sulla terrazza di qualche amico o a pranzo da «Nino». Del resto, era sempre possibile discorrere di una commedia nuova e trovare cosi la scusa per cui la sua coscienza sarebbe stata a posto. Adesso per scritturare la Galletti o la Pescatori, por passare la parte alla Verdirosi, per consegnare i copioni a Cortese o per discutere con Scelzo non serviamo a nulla. E allora? Allora si ricorro agli strattagemmi più strani: le si telefona alle due di notte per dirle di correre da noi al più presto possibile perchè abbiamo sottomano certi figurini sbalorditivi e se non viene subito... La si avverte che un traduttore dì nostra conoscenza avrebbe da sottoporle una commedia interessantissima, una commedia che, è strano a dirsi, non potrà leggere che lui, perchè lui solo può decifrare la propria calligrafia (la traduzione, naturalmente, è dattiloscritta...); e, poi, alla fine del primo atto, sul più bello della vicenda, la si prega di avere tanta pazienza, perchè gli altri due non sono ancora a posto e bisognerà che ripassi fra qualche giorno; intanto si può fare quattro chiacchiere... Naturalmente (io avete già capito) gli altri due atti le saranno somministrati uno per volta, cosi ci entra la chiacchieratina..., benché fossero tutti o tre pronti fino dalla prima sera. E la Adani ci cascherà, facendo finta di credere alle nostre fandonie, perchè c'è in lei la Lalla che ha tanto desiderio, se la Adani glielo consente, di trovato una scusa di lavoro per stare qualche ora con un gruppo di vecchi amici o di fare un po' di baldoria.
Ma, poi, quando le si è messo il sale sulla coda e ci si illude di poterla tirar fuori da questi benedetti discorsi di attori, di repertorio, di registi, di scenografi di poterle ricordare lo stello, la luna, il tramonto di Stresa e l'ascensore di Amalfi, ecco che, per una abilissima dissolvenza, gli scaruffati capelli della Lalla tornano ad essere i ravviatissimi boccoli della Adami e salta fuori la capocomica che toma a contarsi sulle dita le commedie del suo repertorio e il programma del suo lavoro nell'immediato presente, nell'immediato futuro, nel lontano avvenire. L'altra sera, siccome Mio era a dormire e non c'era proprio modo di «smontarla», l'abbiamo lasciata snocciolare la lunga lista del suo repertorio:
— Ne sono tanto orgogliosa — diceva —; perchè non volete sapere quante belle commedie sono riuscita a mettere insieme a forza di leggere e rileggere copioni di oggi, di ieri e dell'altro ieri?
— Certo che vogliamo saperlo tanto più che siccome fino a marzo noi romani non avremo nè la Adani, nè la Lalla, è meglio potercela almeno immaginare alla ribalta.
— Ho tre belle riprese italiane: «Frutto acerbo» di Bracco; «Il fiore sotto gli occhi» di Fausto Maria Martini; «Le vergini» di Praga; tra quelle estere, oltre, s'intende, la mia «Signora delle camelie» «Candida» di Show, «Casa di bambole» di Ibsen, «Un mese in campagna» di Turghenlev, «Anima allegra» di Quintero.
— E di moderno?
— Una commedia di Gherardi della quale ancora non conosco il titolo; «Piovuta dal cielo» di Folgore. «Edizione straordinaria» di Gaspar Boni; e, se i suoi indaffaratissimi autori (ma quanto lavoro hanno questi benedetti autori) me la finiranno in tempo, un'altra bella novità, ma è cosi importante e cosi eccezionale che non ne voglio rivelare, per ora, le generalità. Se saranno rose, fioriranno...
— E di estero?
— Una divertente commedia tedesca: «Le quattro associate». E una commedia americana alla quale tengo mollo e che mi diverte oltremodo di mettere in scena: «Una famiglia di Filadelfia» di Philip Barry.
Forse se non avessimo udito questa sfilza di titoli, non ci saremmo resi conto della sua fatica e solo adesso, crudeli che siamo!, abbiamo una grande comprensione per questo donnino. dal volto cosi infantile e dalla volontà così matura, che coraggiosamente si dibatte tra autori, attori, registi, scenografi e figurinisti. Ormai, fino all'estate ventura, la sua mente dovrà continuamente dividersi in due scompartimenti-stagno : quello dell’attrice e quello dell'industriale; arte da un lato e affari dall'altro.
— Chi sta al di fuori di tutto, chi ci vede soltanto in palcoscenico, noi donne capocomiche, pare ci prenda in giro quando viene in camerino ad esclamare: «Che bella vita, questa! Tutta dedita all’arte, senza pensieri vostri, presa dal personaggio, dalla vostra interpretazione». Non si accorgono, questi spettatori entusiasti e affettuosi ma tanto incomprensivi, che noi capocomiche dobbiamo avere un po' lo spirito della madre di una grande famiglia: tanti figli da vestire, da nutrire, a difendere, da accontentare, senza mai potere, neppure per un istante, concederci il lusso di un «fate voi!».
Se non sapessimo con tanta certezza che le spalle di Laura Adani sono costruite su fili d’acciaio e che la sua forza è tale che neppure un'ora di chiacchiere può distoglierla un istante dal suo preciso dovere, ci dovremmo buttare al suoi piedi per implorare perdono, perdono per chi ha voluto, anche in un siffatto groviglio di preoccupazioni, di responsabilità, di progetti, di desideri, di attese e di speranze, chiedere alla cara Lalla, alla Lalla spensierata di una volta, di soffocare per un istante la indaffaratissima signorina Adani di oggi.
Paola Ojetti, «Film», 5 ottobre 1940
Laura Adani, ovvero saggio di critica ironica
I nomi citati in questa rubrica sono puramente fantastici. Qualsiasi riferimento a persone reali è occasionale.
Io sono un critico ironico. I critici ironici non garbano a Silvio d'Amico, ma Silvio d'Amico non garba a me e siamo pari. Silvio d'Amico ha scoperto nella «Tribuna» alcuni modi «abbominevoli» di far la critica. Vi è «il modo dei praticoni o faciloni che credono lecito, o semplicemente possibile, dar giudizi d'arte e cioè di stile non avendo, essi, uno stile; dei filosofanti e degli ermetici, i quali invece di aprire al lettore le vie dell'arte paiono industriarsi a richiudergliele, ad allontanarlo; e, categoria pessima fra tutte, degli ironici, quelli che piglian tutto sottogamba, o con l'aria di fare i disinvolti sono in realtà vigliacconi e peggio, in quanto ricorrendo al contegnoso o schifiltoso scherzo si salvano dai pericolo di dare un giudizio con la competenza, o col coraggio, che non hanno». Critico di teatro, Silvio d’Amico se la prende con i critici di teatro ; ma sarebbe disonesto da parte mia se non riconoscessi che, critico di cinema, io sono — ma si — ironico. Ironico, senza competenza e senza coraggio. Io, in altro parole, non stronco : io ricorro al contegnoso o schifiltoso scherzo, scrivo qualche lepidezza, e chi si è visto si è visto. Che volete farci ? Sono così.
Rivedo il giorno della mia nascita. Mi rivedo, biondo e felice, dentro la culla. E rifioriscono, intorno al mio stupefatto vagire, le speranze dei miei amati genitori, dei miei cari parenti. Voci varie:
— Ne faremo un critico facilone. E’ un bellissimo mestiere. Non è necessario avere uno stile Basta dare un giudizio d’arte, cioè di stile. Lo so che è un modo abbominovole di far la critica, ma preferisco a un critico filosofante un critico leggero, senza grammatica e pieno di pratica. Non avrà dolori. Se la caverà con quattro frasi fatte. Dirà bene di tutti. Chi ha pratica dice bene di tutti,
— Mi meraviglio. Le nuove tendente propongono una critica ermetica. Ne faremo un critico ermetico. Nessuno capirà niente, e sarà rispettato e temuto. Scrive difficile, diranno; dunque è bravo. La gente non legge gli scrittori difficili ma li onora. Il critico ermetico è al riparo di ogni guato. Può essere mediocre; ma chi la capisce la mediocrità di un critico ermetico ? Nessuno. Comodo, no ? Abominevole ma comodo.
— Io sono la nonna, e voglio in famiglia un critico non abbominovole ma provveduto di stilo, di competenza, di coraggio. To’, piccino. Questa è la «Storia del Teatro drammatico» di Silvio d Amico: impara. E ricordati; quando accuserai i critici tuoi colleghi di faciloneria, di ignoranza, di viltà eccetera, non fare nomi: mi raccomando: non fare nomi. Ti voglio coraggioso ma cauto. La prudenza non è mai troppa I critici non abbominevoli sono, soprattutto, prudenti.
Risposi dalla culla:
— No, mici adorati. Io sarò un critico ironico Prenderò sottogamba il teatro o il cinema. Ricorrerò al contegnoso o schifiltoso scherzo. Pessima fra tutte ò la categoria degli ironici, ma il mio destino è segnato: scherzare. Contegnosamente. O schifiltosamente. Scherzare; così mi salverò dal pericolo di dare un giudizio con la competenza, o con il coraggio, che non ho. E tanto per avviarmi sulla strada dell'ironia dirò, senza competenza e senza coraggio, che Silvio d’Amico è più bravo di Renato Simoni.
Voci varie, rotte dai singhiozzi:
— Sarai la nostra rovina.
Risposi dalla culla:
— E' inutile, ho deciso. Non sopporto i critici praticoni Non hanno stile, sono generici, confondono la poesia con la retorica, non si compromettono mai. Invece, bisogna compromottermi. La critica non è un placido esercizio ma un’aspra missione Silvio d'Amico, per esempio, ha scritto la «Storia del Teatro drammatico», e si è compromesso per sempre. E' un maestro. Nè sopporto i critici filosofanti o ermetici, Il teatro b il cinema sono fatti per la folla: e la folla, che è semplice, ha bisogno di informatori limpidi e appassionati. Silvio d'Amico, per esempio, dirige una «Rivista del Dramma» che è vano cercare dai librai. Non è in vendita. O abbonarsi o ignorare. E la folla si abbona.
Voce della nonna:
— Ma non capisci che i tuoi scherzi contegnosi o schifiltosi non sono nemmeno divertenti?
Risposi:
— E' forse divertente la «Gerusalemme liberata»?
Voco del primo cugino.
— Maledetta ironia!
Dissi ancora:
— Vedete: se l’ironia non fosso la mia vera indole, direi che Laura Adani è un temperamento drammatico, direi che «Casa di bambola» e la «Signora dalle camelie», «Torna, caro ideal..» e «Orizzonte dipinto» sono le interpretazioni di Laura più significative. Invece, ironico e abbominovole, penso questo; Laura è fatta per la commedia non per il dramma; è un cielo d'aprile, sorridente o velato, non una tempesta, ha la grazia della malinconia, non la forza della passione. Può essere «Nora» al primo atto; ma non può essere «Margherita», esperia e avida. Vero che nell’amore Margherita si redime; ma è un amore guasto, sa di vizio, di vino, di putrida alcova, di adunche menzogne, di ritorni all'alba. E l'attrice è un'altra: chiara, fidente, innocente, casalinga una brava ragazza come Dorina di «Addio giovinezza!», e con un'ottima salute. Una salute che non tollera colpi di tosse quei colpi di tosse che hanno contrasto, in Laura, con la figura pienotta e serena Questo io penso. Ma Laura Adani dirà «sempre scherzi. Vale la pena di lavorare ?»
Voci varie:
— No, piccino. Non essere ironico. Va bene essere abbominevoli, ma pessima fra tutte è la categoria dei critici ironici. Fa il praticone, fa l’ermetico, la il filosofante; ma non fare l'ironico. Devi darci questa consolazione.
Purtroppo, niente da fare. Dopo tanti anni io scherzo ancora. Non critico: scherzo. Contegnoso o schifiltoso. Senza competenza e senza coraggio. Scherzo. E non faccio nomi Che carattere.
Tabarrino, «Film», 5 aprile 1941
Laura Adani, attrice, è nata a Modena. Ha cominciato a recitare giovanissima e debuttò nel 1931 in "Resurrezione” con la compagnia di Tatiana Pavlova. Nel 1934 ebbe la parte di prima attrice nella compagnia di Ricci per un lavoro di Mira beau. Nel 1947 Laura Adani ha sposato il duca Luigi Granano Visconti, senza per questo abbandonare il teatro.
Domanda. - Vuol dirmi, signora Adani, se esiste un personaggio che ha sempre desiderato e mai potuto interpretare?
Risposta. - Giovanna d’Arco, ma quella che fu realmente, non il personaggio che ci è stato descritto finora.
D. - Qual è professionalmente la cosa che la spaventa di più?
R. - La mancanza di un buon testo.
D. - E nella vita privata?
R. - Niente.
D. - L’incondizionata devozione di un suo simile quale reazione immediata suscita in lei?
R. - Il disprezzo.
D. - In quale occasione (nella vita naturalmente) sente di essere meno se stessa, ossia in obbligo di recitare una parte?
R. - Quando sono fra persone che non sarebbero mai in grado di sostenere una "parte” qualsiasi.
D. - C’è nella sua personalità qualcosa da cui, potendolo, si libererebbe volentieri?
R. - L’insofferenza.
D. - Che cosa vorrebbe che si dicesse di lei fra un secolo?
R. - Ma guarda come si sente la mancanza di Laura Adani!
D. - Nei giochi infantili quale parte le piaceva riservare per sè?
R. - La più importante.
D. - A che età ritiene di aver lasciato l’infanzia?
R. - Temo prestissimo, perchè non me la ricordo affatto.
D. - Qual è secondo lei il segreto del successo?
R. - La convinzione assoluta di essere sempre nel giusto e la capacità di conservarla anche quando si sbaglia e di procedere . conseguentemente con la stessa sicurezza di prima.
D. - Morendo quali beni rimpiangerebbe di più?
R. - La gioia di vedere il colore e la luce del cielo al tramonto, in campagna.
D. - Se le restasse mezza ora di vita, come la impiegherebbe?
R. - Restando sola con Dio e con i miei peccati.
D. - Sottoposta all’alternativa seguente: non poter più recitare contro l’acquisto di un non importa qual bene terreno, accetterebbe?
R. - Se tra i beni terreni ci fosse l’eterna giovinezza, accetterei.
D. - Se ciò le venisse concesso, ricomincerebbe la sua vita da capo?
R. - Subito, per riviverla tale e quale.
D. - Nel corso della sua carriera quale è stato per lei l'omaggio più gradito?
R. - Quello che, da tanti anni, tutte le sere si ripete: l’applauso convinto (quando Io è) del pubblico.
D. - Preferisce essere amata, ammirata oppure indifferente?
R. - Ammirata. Sono un’attrice, no?
D. - Preferisce i vinti o i vincitori nella vita?
R. - I vincitori.
D. - Quali colpe, errori o debolezze umane suscitano in lei maggiore indulgenza?
R. - La colpa per amore e l’errore per ignoranza.
D. - Per quale categoria di individui sente di essere maggiormente spietata?
R. - Gli ipocriti.
D. - Vuol darmi per favore una definizione dell’invidia?
R. - E’ l’unica risorsa dei falliti.
D. - E della virtù?
R. - E’ un dono di Dio.
D. - Esiste secondo lei una virtù che tale nell’uomo è invece un difetto nella donna?
R. - Nessuna. Se no che virtù sarebbe?
D. - Se fosse vissuta all’epoca della Rivoluzione Francese nella veste di quale personaggio avrebbe voluto parteciparvi?
R. - Carlotta Corday.
D. - Volendo mettere in imbarazzo un personaggio celebre con quale domanda cercherebbe di raggiungere lo scopo?
R. - Con nessuna, per non correre il pericolo che il personaggio metta in imbarazzo me.
D. - In una intervista qual'è la domanda che la infastidisce di più?
R. - Lei, signora Adani, quanti anni ha?
D. - Una sua amica ha appeso alla rovescia un quadro donatole da un pittore moderno. Alla presenza dell’autore del dipinto in che modo cercherebbe di salvare la situazione?
R. - Mi rivolgerei all’amica dicendo: ”Avevi proprio ragione! Sei riuscita a dimostrare che il quadro ha un suo significato anche alla rovescia”.
D. - Vuol dirmi una frase che trovi tutti gli uomini d’accordo?
R. - Però, in fondo l’uomo è superiore alla donna.
D. - Esiste un peccato che secondo lei Dante ha dimenticato di includere nel suo inferno? Se sì a quale pena condannerebbe i colpevoli?
R. - Quello di coloro che hanno la mania delle parole straniere. A parlare continua-mente il dialetto del loro paese natio in presenza di persone cosiddette eleganti.
D. - Costretta a intervenire a un ballo mascherato quale travestimento sceglierebbe?
R. - Il più anonimo.
D. - Qual è in società la situazione che la imbarazza di più?
R. - Non poter dire il mio parere in una discussione fatta in lingua cinese.
D. - Se le venisse concesso un atto di potenza assoluta come lo esplicherebbe?
R. - Abolirei le frontiere.
D. - Qual è in Italia il pubblico che sente più vicino a sè?
R. - Quello che mi sente più vicino a sè.
D. - Quali sono secondo lei i tre requisiti che assicurano il successo di una commedia?
R. - Questi, purtroppo: un testo passabile, una ”diva” cinematografica nella compagnia e un orario che esclude ogni coincidenza con ”Lascia o raddoppia?».
D. - Se gli uomini di teatro di tutto il mondo venissero invitati a scegliere fra le seguenti due possibilità: un teatro completamente libero, ma privo di qualsiasi sovvenzione, e un teatro generosamente sovvenzionato dallo Stato ma sottoposto a una severa censura politica e di costume, quale delle due tendenze prevarrebbe, secondo lei?
R. - Prima di rispondere dovrei sapere se il voto sarà segreto o palese.
D. - Dovendo raccontare una favola a un bambino quale sceglierebbe?
R. - Una favola per la quale il bambino sia portato ad amare sempre più gli animali e a convincersi pian piano che spesso essi sono molto più generosi degli uomini "grandi”.
D. - Esiste nella sua vita una piccola azione che le abbia lasciato un grande rimorso?
R. - L’essere mancata a un appuntamento dato una volta a una collega che non era riuscita a far carriera.
D. - Quale reazione suscita in lei rincontro con un compagno d’arte cui la fortuna non ha arriso?
R. - Il desiderio di evitare le piccole azioni che lasciano grandi rimorsi.
D. - Qual è secondo lei il colmo dell’infelicità umana?
R. - Essere incompresi.
D. - Vuol dirmi qual è secondo lei la differenza fra superbia e orgoglio?
R. - La prima è il ”rovescio della medaglia” del secondo.
D. - In che modo potrebbe distinguere a prima vista un gentleman da chi non lo è?
R. - Aspettando una decina d’anni.
D. - Qual è la più grande perdita subita dalla umanità dopo la fine della guerra?
R. - La fede nell’avvenire.
D. - Secondo la leggenda l’Imperatore Augusto disse in punto di morte: «Signori, he recitato bene la mia commedia? Bene, allora applauditemi!». Che cosa direbbe lei in analoghe circostanze?
R. - Questa commedia è finita. Ora comincia la vita.
I commenti a queste domande mi hanno spesso portato alla ricerca delle eventuali contraddizioni o di quelle risposte singole che, da sole, possono apparire come rivelatrici.
Per ciò che riguarda le risposte di Laura Adani mi permetterò di fare una variante e di incominciare con un piccolo rimprovero. Mi riferisce alla domanda relativa al perso naggio della Rivoluzione Francese "che avrebbe desiderate essere”. La signora Adani risponde: «Carlotta Corday» Questa risposta mi ha colpite non tanto come contraddizione quanto come una stonature con tutto il resto. Nulla di pii cruento, di meno elegante, di più "squilibrato” del personaggio di Carlotta Corday Ora, almeno per ciò che appare da queste risposte, Laure Adani è al polo opposto. L’insieme delle sue risposte oltre agli attributi che ho menzionato (eleganza, equilibrio, serietà) danno al lettore anche un’impressione di armonia. Re sta il problema della sincerità Trattandosi di una attrice, di una grande attrice, il problema non può che dare soluzioni ambigue. Direi che ur giudizio categorico non si può dare: di volta in volta Laure Adani è sincera e non lo è, di volta in volta è donna e atj trice.
Il pregio più elevato di queste risposte sta nella capacità dell’Adani di trovare il il momento giusto per essere sincera o per non esserlo completamente.
Enrico Roda, «Tempo», 1956
I due grandi amori della mia vita felice
Una delle nostre più acclamate attrici narra, in questa autobiografia, le sue vicende di attrice e di donna che ha trovato nel teatro e nella vita affettiva tutto quel che poteva desiderare
Sono nata a Modena, in una casa al numero 2 di via Nazario Sauro. Tengo a specificarlo perchè adoro la mia città con una forma eccezionale di campanilismo. Mio padre possedeva una piccola industria di concerie, era un uomo semplice, estremamente legato alle tradizioni. Io ero la più piccola: prima di me v’era Lena, maggiore di quindici anni, poi mia sorella Efre che mi superava di dieci e infine mio fratello Giorgio. Il mio carattere era molto simile a quello di mio padre; ambedue eravamo volitivi e testardi e da quando avevo cinque anni, cominciò tra noi una specie di lotta tra le nostre due volontà. L’episodio che determinò questo fatto fu in se stesso abbastanza banale.
Ero, come dicevo, una mocciosetta di cinque anni che doveva coricarsi subito dopo cena senza poter partecipare ai discorsi dei grandi. Una sera, come di consueto, sebbene ci fosse in visita una cugina di mia madre, fui messa a letto; ma l’emozione che mi causava il sapere tra noi quella signora elegante, giovane sposa e che aveva tante cose da raccontare, mi eccitava talmente che stentavo a prendere sonno. La pelliccia, il cappellino con la veletta, i lunghi guanti e la borsa della cugina posati sul divano della camera di mamma che io vedevo attraverso la porta aperta, furono una tentazione, cosi che adagio adagio, facendo l’impossibile per non essere udita, mi alzai e mi vestii di tutto punto, completando l’abbigliamento con un paio di scarpette della mamma. Poi, dinanzi alla grande specchiera, presi a recitare a bassa voce. A un certo punto, quelle scarpette instabili per l’alto tacco e il peso della pelliccia mi fecero cadere, con un gran tonfo. Naturalmente tutta la famiglia accorse, si rise vedendomi conciata in quel modo e mi si chiese che cosa stessi facendo. Quando risposi con tono compunto che recitavo, vi fu un vero e proprio scoppio d’ilarità; solo mio padre non rise e, anche se può apparire strano, proprio da allora iniziò la nostra battaglia tra il mio forte desiderio di divenire attrice e la sua determinazione di impedirmelo.
Appartenevo a quella categoria di ’’bambini noiosi” che sin da quando sono alti un soldo di cacio cominciano ad assillare tutti spiegando quello che vorranno fare da grandi. Anch’io presi a dichiarare a tutti la mia grande passione per il teatro, ma mio padre diceva tutte le cose che dicono i genitori in queste occasioni: «E’ una pazzia, preferirei vederti morta piuttosto che sulle scene», «il teatro è un luogo di perdizione», e altre cose del genere.
La mia passione era considerata con un sorriso dalle suore Orsoline, tanto che per lungo tempo mi fu concesso di recitare nel teatrino del collegio. Il giorno che le suore si resero conto che prendevo veramente sul serio la nuova attività, mi proibirono di esibirmi oltre. Nel frattempo mia sorella Lena si era sposata con Ernesto Sabbatini. Nonostante la professione di mio cognato, mia sorella non manifestò velleità artistiche e fu sempre per lui solo una brava moglie. Io invece tenevo in molta considerazione l’attività del mio parente acquisito; e in una delle visite di mia sorella e suo marito a Modena (venivano spesso a trovarci) gli confidai la mia grande passione. «Quando avrai tredici anni ti farò un piccolo esame e vedremo se sarà il caso di parlarne a papà», mi disse Ernesto.
Mantenne la parola; e mentre le mie due sorelle fuori dalla porta ridevano e mi motteggiavano, con le lacrime agli ' occhi recitavo la bellissima scena di Nennele dall’ultimo atto di "Come le foglie” di Giacosa: il dialogo che ella ha con il padre. Ebbi il mio primo applauso. Mio cognata trovò che avevo temperamento artistico e ne parlò, con molto calore, a papà.
Passarono due anni. Nonostante che le mie aspirazioni andassero apparentemente a detrimento degli studi, avevo conseguito con facilità la licenza ginnasiale; e quando durante l'estate mio cognato venne di nuovo a Modena, potè parlare con il babbo in un modo molto serio: «Caro Alberto, questa ragazza ha deciso che sarà attrice e appena compirà i ventun anni, qualsiasi cosa tu dica o faccia, essa lo diverrà. Non farle perdere del tempo, affidala alla mia tutela e vediamo come se la caverà».
Fece un’ottima opera di persuasione e mio padre alla fine acconsentì. Unica condizione era che io mi iscrivessi al liceo. Infatti, frequentai un biennio per dimostrare che volendo avrei potuto anche studiare e poi in ottobre, dopo essermi rifiutata di iscrivermi al terzo anno, partii per sei mesi di prova concessimi e senza una lira. Era deciso che avrei dovuto vivere del mio guadagno.
Eravamo nel 1931 quando, assistita con grande tenerezza da mio cognato, debuttai con la Compagnia di Tatiana Pavlova in "Resurrezione”, nella parte di una vecchietta. Ricordo la enorme emozione di allora, la gioia di trovarmi finalmente su un vero palcoscenico e l’entusiasmo non incrinato da alcun panico e dovuto completamente alla mia incoscienza giovanile. Il vero panico, allora non lo provai; esso viene col passare degli anni e con quella maturità che dà un senso di responsabilità. L’ho ancora oggi, quando attendo impaziente e trepida l’esito di una "prima”. Ma allora, a sedici anni, ero troppo felice per provare alcun timore.
Quel debutto fu veramente fortunato. In breve tempo mi feci notare: non erano trascorsi tre mesi che già mi venivano fatte proposte per passare dalle parti di generica a quelle di attrice giovane. Ernesto Sabbatini era direttore della Compagnia della Pavlova e io ero sotto la sua tutela, così che mio padre non mi avrebbe mai permesso di abbandonare quella Compagnia anche se l’offerta fosse stata vantaggiosissima per la mia carriera, tanto più che il babbo non aveva per niente mutato opinione in proposito. Mia sorella Efre era rimasta vedova, e decise di venirmi in aiuto e di prendermi sotto la sua protezione. Mio padre. testardo e deciso a stroncare questa mia passione per il teatro, accettò a una condizione: «Se è vero che desideri tanto fare l'attrice, non ti sarà difficile sacrificarti e mantenere con i tuoi guadagni anche tua sorella».
Fu questo un periodo molto duro per me. Come attrice giovane mi occorreva un guardaroba fornito e della paga rimaneva ben poco per poter vivere in due. Per un anno e mezzo, Tanno degli spettacoli gialli con Calò, potrei dire che feci la fame nel senso vero della parola. Mia sorella e io stavamo insieme in una stanzetta in pensione preparandoci noi stesse colazione e pranzo su un fornellino a gas, cercando di non farci sorprendere dalla padrona di casa che proibiva di cucinare nelle camere.
Nel 1934 la Compagnia di Ricci, con Ada Monteregi come prima donna, mise in scena "La sorellina di lusso” di Mirabeau, in cui la prima donna deve essere giovanissima. Per questo si pensò a me per interpretare la parte principale. Feci una tournée con un successo enorme, tanto che Tanno successivo la Suvini Zerboni mi "lanciò" con il nome in ditta: Cimara-Adani-Melnati. Stavo bruciando le tappe della mia carriera.
Successivamente con Rieri formai la Compagnia Ricci-Adani; peritammo in un’infinità di commedie, fra cui "Ho sognato il paradiso”, "La signora delle Camelie” (credo di essere stata la più giovane delle "Margherite”), ”La Piccola Fonte”, ’’Cuore", "Speranza”, "Il Corsaro”. Stavamo appunto interpretando quest’ultima commedia a Livorno, quando accadde un buffo episodio. Io ho un vero e proprio terrore dei topi; dì fronte a uno di questi animaletti perdo compieta-mente il controllo, dimentico il teatro, dove sono e quello che sto facendo. Fu proprio durante l’esecuzione della commedia che vidi un sorcio attraversare la scena; lanciai un urlo terribile e scappai via. Il pubblico pensò che si trattasse di un fatto che doveva avvenire nella commedia, ma Ricci, sapendo che non sarei più tornata in scena se non mi avessero assicurato che il topo era stato preso, si affacciò alla ribalta e disse: «Chiedo scusa, finché il topo non sarà catturato la signorina Adani non tornerà in scena».
Fu una trovata. La frase di Ricci suscitò in me un senso di vergogna, e decisi di riprendere la rappresentazione, n mio rientro in scena fu accolto da uno scroscio di applausi, ma non escluderei che tra il pubblico ci sia stato qualcuno pronto a ridere di me. In quel periodo lavorai intensamente. Partecipai anche alle stagioni estive; fui Nerissa nel ’’Mercante di Venezia” accanto a Marta Abba, Andreina Pagnani, Riai, Falconi e Ninchi. Recitai nel "Ventaglio” e nel "Campiello" con la regia di Simoni, nei "Masnadieri” di Schiller e nella "Figlia di Jorio” di D’Annunzio. Nel 1940, con la regia di Simoni interpretai il personaggio di Ermengarda nell’ "Adelchi”, al Maggio Fiorentino. Di questi stessi anni sono i films: "Torna caro ideal", ”Il treno delle 21.15”, ’’Aria di paese”, "Orizzonte dipinto” e altri.
Nel 1940, mentre con Ricci interpretavo "La signora delle Camelie”, mi giunse la notizia che mio padre stava molto male. Mi fu concesso di partire, ma giunsi che egli era già morto. Fu questo un terribile dolore per me perchè adoravo mio padre. Nonostante avesse così contrastata la mia passione sapevo che in fondo mi era stato vicino e che forse i miei successi lo avevano inorgoglito più di quanto non desse a vedere. Ma l’indomani dei funerali tornai a teatro. Sapevo che la Compagnia non avrebbe potuto continuare le recite se io non fossi tomata. I miei compagni furono veramente tanto cari e comprensivi. Ricordo che proprio quella sera c’era in platea Edoardo De Filippo il quale ancora oggi mi confessa l’emozione che gli procurò vedermi recitare, mentre sapeva in quali condizioni di spirito io mi trovassi.
Terminata la tournée con Ricci divenni io stessa capocomico. Dopo aver recitato molto in provincia con la prima compagnia di Filippo Scelzo e Leonardo Cortese, sotto la direzione di Sabbatini, cominciò la serie delle mie Compagnie. Nel 1941-42 feci anche un interessante esperimento prendendo come interpreti attori diplomati all’Accademia (era direttore, allora, Corrado Pavolini).
L’anno seguente formai la Compagnia Adani-Calindri-Carraro-Gassman, nella ditta rimasero sempre i nomi Adani e Calindri, e via via si aggiunsero quelli di Massimo Girotti, di Franco Volpi, di Mario Pisu.
Gassman che è oggi per me l’attore numero uno del teatro italiano tra i giovani, fu un simpaticissimo compagno e non ho dimenticato i lieti momenti che abbiamo passato insieme. Ricordo che un giorno, mentre recitavano in ”Tre rosso dispari”, ci urtammo violentemente. La nostra reazione fu strana: scoppiammo a rìdere, senza assolutamente riuscire a smettere. Il pubblico, che non poteva partecipare a questo nostro scoppio d’ilarità che in fondo aveva una causa abbastanza banale, dapprima rimase perplesso; poi qualcuno cominciò a fischiare e alla fine il sipario dovette essere calato. Anche mentre recitavamo ”La signora delle Camelie” accadde un fatto del genere. Quando nell’ultimo atto corsi incontro a Gassman per abbracciarlo, lo feci con un tale slancio che andai a finire con il naso in un occhio di lui; e tutto il pianto di Armando e Margherita si concluse in un riso frenetico che fortunatamente riuscimmo a camuffare d’emozione violenta. Il pubblico non mi avrebbe mai perdonato di morire con sì poca serietà. -
Nel 1940 ebbi la fortuna di recitare con Ruggero Ruggeri, il più grande attore, quello che ho maggiormente ammirato. Debuttammo con "Pick-up-girl” la commedia americana che ebbe molto successo. Nel 1947-48 feci compagnia con Cimare e Tofano. Ma a questo punto è bene che parli dell’episodio più importante della mia vita di donna. L’episodio che in un certo senso ha reso completa la mia felicità: il 15 novembre del 1947 mi sposai. Nel 1941, con il caro amico Luchino Visconti, mi recai alle corse a San Siro. Luchino mi disse che suo fratello correva anche quel giorno. Io non lo conoscevo nemmeno di vista.
Andammo al "peso”, e venni presentato a Luigi. Vederlo a cavallo, con la sua figura elegante nella giubba colorata da fantino, con quell’atteggiamento fiero di antico cavaliere, mi turbò molto e ne subii un fascino diretto, immediato. Ma egli non mi diede alcuna importanza, o per meglio dire non lo diede a vedere, troppo drasticamente abituato a tenere segreti i propri sentimenti. Infatti, quando ormai eravamo divenuti marito e moglie, confessò di avere avuto anch’egli quella sensazione strana che hanno due persone che s’incontrano per la prima volta e sono destinate ad amarsi.
Luigi era allora soltanto separato dalla moglie, non avendo ancora ottenuto il divorzio e non poteva legare a sè un’altra donna. Io, sentendomi ignorata, per difesa decisi di dimenticare e di non dare alcun peso alla sensazione che avevo provato. Passò qualche mese; ogni tanto, a intervalli più o meno brevi, ci incontravamo. Come suo fratello anch’egli era amico di molti attori e frequentava il mio stesso ambiente. Ogniqualvolta questi incontri avvenivano, il nostro atteggiamento era difensivo, come sentissimo l’importanza di un sentimento che stava per nascere, o che forse era già nato.
Fu durante la guerra, nel 1944, che Luigi cominciò a corteggiarmi in modo palese, e decise che sarebbe divenuto mio capocomico. Recitavamo allora nei pressi di Milano in cittadine come Varese, Como, Bergamo; e oltre agli attori scritturati della Compagnia avevamo attori a cachet che ci raggiungevano sul luogo dello spettacolo in tempo per la recita. Rappresentavamo "Mme Sans Gêne” a Varese e aspettavamo i generici (precisamente cinque attori che non arrivarono perchè il treno fu mitragliato). Il proprietario del teatro non accettò che sospendessimo per questa ragione la recita, e ipso facto fu necessario trovare qualcuno che sostituisse gli attori. Tra gli amici che erano venuti a trovarci e che si prestarono a sostituire i cinque assenti, c’era Luigi; e al suo fianco fu il suo maggiordomo, Giovannino. Giovannino, che è al servizio del duca da ventisette anni, oggi ancora con noi ricorda quanto fosse buffo con quella lunga sciabola napoleonica che non sapeva assolutamente come maneggiare, sproporzionata come era alla sua statura. Direi, a favore di Giovannino, che neppure gli altri si sentivano molto a loro agio nei costumi troppo larghi o troppo stretti tanto che l’invettiva di M.me Sans Gène di fronte a questa strana assemblea di attori improvvisati assunse un tono eroico.
Ma nel periodo della guerra non c’era da stupirsi di nulla. Ricordo che una volta arrestarono per errore un’attrice della mia Compagnia poche ore prima di andare in scena, e che dovetti telefonare e affannarmi perchè la rilasciassero in tempo per lo spettacolo.
Il duca Luigi e io stavamo ormai sempre insieme e ci eravamo confessati di amarci. Appena ebbe ottenuto il divorzio, ci sposammo. Noi non amiamo la pubblicità e per questo tentammo di tenere del tutto nascosto il nostro matrimonio. Il rito fu celebrato a Milano di mattina presto, ma i giornali del pomeriggio, non so proprio come, già ne portavano le fotografie e l’annuncio. Col proposito di celare la nostra unione, avevamo deciso che io avrei recitato ugualmente. Si rappresentava ’’L’ufficiale della guardia” al teatro Odeon. Io già avevo trovato il camerino colmo di fiori, che amici e compagni di lavoro mi avevano mandato. Quando entrai in scena fu un tale subisso di applausi, che non potei più parlare. Anche gli attori che erano sul palcoscenico accanto a me, mi applaudivano e mi sembrava che quella sera per la commozione non sarei riuscita a recitare. Poi, tra le quinte, vidi Luigi che mi strizzò l’occhio. Saperlo accanto a me mi diede un tale senso di sicurezza e di gioia che potei facilmente riprendermi. Avevo la parte di un’attrice sposata a un attore e corteggiata da un ufficiale della guardia. Ogni sera da molto tempo avevo ripetuto una frase del mio personaggio quasi meccanicamente e così feci quella sera; solo dopo averla pronunciata mi accorsi di quello che avevo detto, anche per l’immediata reazione che le parole provocarono nel pubblico. Erano queste: «Ma lasciatemi al mio lavoro, alla mia vita, io non voglio diventare una delle vostre contesse o duchesse».
Finita la tournée decisi che per un po' di tempo mi sarei dedicata esclusivamente al compito di moglie. Fin dall’età di sedici anni avevo recitato ininterrottamente sia nelle stagioni estive che durante quelle invernali e anche dietro consiglio del medico avevo deciso che un po’ di riposo mi avrebbe giovato; ma soprattutto desideravo stare vicino a mio marito, prendere possesso della mia casa e dedicarmi esclusivamente al mio compito di moglie.
Nella mia vita ho sempre potuto essere all’altezza delle situazioni per la mia capacità di saper vedere, di saper osservare ogni cosa minutamente e di apprendere da tutto e da tutti qualcosa. Quando mi trovai in un ambiente nuovo, diverso dal mio, in una società che non avevo frequentato, usai appunto questa tattica, che valse in breve a dissipare ogni mia preoccupazione. Entrai così a far parte del mondo elegante dell'alta società, dove ho trovato molti amici.
Mio marito è stato un uomo così intelligente da comprendere però che non potevo dare un addio definitivo a una passione che aveva fino allora polarizzato tutta la mia vita: così, dopo una tregua con il teatro di due anni e mezzo, ripresi la mia vecchia attività. Nel 1952 tomai al lavoro, sotto la direzione di Strehler, al "Piccolo Teatro” nella "Vedova scaltra”, commedia che è stata portata anche al Festival di Venezia; poi ho fatto parte della Compagnia stabile al Teatro Manzoni nella stagione 1953-54 e infine ho formato la Compagnia di quest’anno con Adani-Cimara-Volpi-Volonghi.
Posso dire di vivere ima doppia vita, anche se io e mio marito siamo sempre così vicini da essere oggetto di ammirazione e forse d’invidia benevola da parte di amici Egli mi segue nel mio lavoro e tutto il tempo che ha libero lo passa accanto a me, nel mio camerino, o in teatro come il più fanatico dei miei ammiratori. Qualche volta mi capita di andare sola ai concerti perchè Luigi fa una cernita più severa dei programmi, mentre io, pur adorando Bach, Beethoven, Chopin e Verdi, non perdo una sola esecuzione.
La mia vita si divide in due parti di sei mesi che dedico completamente al teatro, con le serate passate studiando nel silenzio notturno, lontana da tutti i rumori che odio, perchè mi disturbano e distraggono, quasi quanto le sfilate di moda sebbene io adori i begli abiti, e i sei mesi di vita che potrei definire mondana. La cerchia dei nostri amici è vastissima, nella nostra casa si avvicendano le persone che ci hanno ospitato. Siamo molto intimi dei Caetani, Brandolini, di Rudy e Consuelo Crespi, dei Ruspoli, dei Pallavicini, dei Massimo, dei Dentice di Frasso, dei Piaggio di cui durante l’estate siamo spesso ospiti a Portofino, assieme ai principi di Metternich. Frequentiamo molto donna Fosca Crespi e il marito senatore Mario. I loro cognati Giuseppina e Aldo diedero di recente, l’ultimo giorno di Camerale, un meraviglioso ballo a Milano: un ballo (en tête: rosa e oro) al quale gentilmente ci invitarono.
Lo scorso anno sono stata ospite della signora Anna Bonomi nel meraviglioso castello di Paraggi; verso settembre tutti gli anni ci rechiamo alla season di Venezia, dove partecipiamo ai magnifici balli di casa VolpL Due anni fa, appunto a Venezia, conobbi la giornalista americana Elsa Maxwell a un pranzo cui fummo invitati: è una donna che ammiro moltissimo per il suo brio, la sua vitalità. Fu in questo periodo che trascorsi quattro meravigliosi giorni a bordo della "barca” dei Piaggio, con Rex Harrison, Lilli Palmer, Jean-Pierre Aumont, Sir Laurence Olivier e Vivien Leigh. Questi ultimi tre ci hanno promesso di venirci a trovare nella nostra casa di Grazzano Visconti. Furono dei giorni veramente stupendi perchè li passammo costeggiando la Riviera, senza preoccupazioni di ’’maquillages”, col solo scopo di riposare e di essere in ottima compagnia.
Il resto delle vacanze le passo a Grazzano. Mio marito e io amiamo avere ospiti e nella nostra casa ricambiamo l’ospitalità ricevuta. In questa casa sono veramente felice, io che amo la campagna. Io che non so giocare a bridge, pur amando tutti i giochi, mi trovo spesso la domenica con gli operai e gli artigiani di Grazzano impegnata nello scopone scientifico, che essi giocano con abilità straordinaria. Vengono a casa mia o andiamo all’osteria insieme, questo soprattutto dopo la Messa della domenica, dalle undici alle dodici e mezzo, prima dell’aperitivo (e a volte ce lo giochiamo). Mi sono tutti molto cari e debbo dire che anche loro mi dimostrano un gran bene.
Gran parte del mio tempo lo occupo in qualità di giardiniera. Non è che io mi infili una tuta e giochi a esserlo; ho cercato veramente di imparare, e Gildo, il nostro giardiniere, è stato il mio maestro. Lavoro per delle ore sotto il sole per curare il mio giardino tutto pieno di rose e ricordo che una volta io e Gildo piangemmo insieme per la grandine che ce le aveva rovinate. Un’altra mia passione sono le bestie. Ormai sono diventati celebri i miei due bassotti cui ho dato persino un cognome: i coniugi Fiore (Camillo e Teodora); anche se adesso ho imparato a diminuire un poco i loro anni perchè stanno invecchiando, dirò la verità: lui ha dieci anni e lei nove. Sono sempre con me e spesso trascorro piacevoli serate con i miei due fedeli amici accucciati ai piedi guardando la televisione.
In questa casa di campagna, che possiede un’austerità silenziosa anche se ci sono sempre ospiti e se non si è mai in completa solitudine, io riesco a pensare molto. Forse non lo faccio in un modo costruttivo, ma trovo quella pace che nella vita di tutti i giorni, attiva e pressante, non si riesce a trovare. Quando ero piccina e avevo deciso che un giorno sarei divenuta una attrice, e preparavo dentro di me la realizzazione di questo desiderio che non ho mai potuto chiamare sogno tanto è stato sempre una realtà, non potevo immaginare che sarei arrivata così velocemente, bruciando le tappe che sono una prassi fondamentale nella carriera di un’attrice, ma ancora meno potevo pensare che sarei stata così felice come donna. Nell’ottobre di quest’anno celebrerò le mie nozze d'argento con il teatro. Darò una grande festa perchè questo è un fatto per me molto importante, anche se non abbandonerò mai il teatro e se esso potrà chiedermi sempre qualcosa di più, perchè un’attrice non smetterà mai di cercare di migliorarsi e di imparare. Mi auguro solo tra qualche anno di poter celebrare le stesse nozze d’argento con mio marito, perchè questo amore che mi unisce a lui non è certo inferiore a quello che mi ha legato al palcoscenico, anzi.
Laura Adani, «Tempo», anno XVIII, n.14, 5 aprile 1956
Prosa teatrale
La macchina da scrivere di Jean Cocteau, regia di Luchino Visconti, prima al Teatro Eliseo di Roma il 2 ottobre 1945.
Croque-monsieur di Marcel Mithois, regia di Daniele D'Anza, stagione teatrale 1964/1965.
Prosa radiofonica EIAR
Il testimone silenzioso di Jacques De Leon e Jacques Celestin, trasmessa il 26 febbraio 1933.
Filmografia
Attrice cinematografica
Aria di paese, regia di Eugenio De Liguoro (1933)
Il treno delle 21,15, regia di Amleto Palermi (1933)
Torna caro ideal!, regia di Guido Brignone (1939)
L'orizzonte dipinto, regia di Guido Salvini (1941)
L'amico delle donne, regia di Ferdinando Maria Poggioli (1943)
Arrangiatevi!, regia di Mauro Bolognini (1959)
Vento del Sud, regia di Enzo Provenzale (1959)
Le massaggiatrici, regia di Lucio Fulci (1962)
Amore mio aiutami, regia di Alberto Sordi (1969)
Borsalino, regia di Jacques Deray (1970)
Il lupo e l'agnello, regia di Francesco Massaro (1979)
Riferimenti e bibliografie:
- "Totò, femmene e malafemmene", Liliana de Curtis e Matilde Amorosi, RCS Libri, Milano, 2003
- Laura Adani, «Tempo», anno XVIII, n.14, 5 aprile 1956