Checchi Andrea
(Firenze, 21 ottobre 1916 – Roma, 29 marzo 1974) è stato un attore italiano di cinema e televisione.
Biografia
Nato a Firenze, si trasferì giovanissimo a Roma per frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia. Esordì nel 1934, a diciotto anni, sotto la regia di Alessandro Blasetti con 1860. Meno di un anno più tardi interpretò un ruolo secondario in Vecchia guardia, sempre diretto da Blasetti.
Seguirono molti film con parti da comprimario fino ad imporsi all'attenzione di tutti con L'assedio dell'Alcazar (1940) e soprattutto con Ore 9: lezione di chimica di Mario Mattoli nel (1941), film in cui ebbe al suo fianco Alida Valli, Irasema Dilian e Bianca Della Corte. Seguì Avanti c'è posto... di Mario Bonnard e, almeno fino alla metà degli anni quaranta, fu fra i giovani attori italiani più ricercati, sia per ruoli drammatici che per quelli brillanti.
Considerato attore moderno e antidivo, incarnò per anni la figura del perdente, del rassegnato ed insicuro (per esempio lo scrittore Corrado Silla in Malombra, 1942, di Mario Soldati), facendo da contraltare agli spumeggianti ruoli ricoperti da Rossano Brazzi, Roberto Villa, Massimo Serato e Leonardo Cortese, o del divo in assoluto di quell'epoca, Amedeo Nazzari. I suoi personaggi abbigliati con vestiti spesso stropicciati e con la cravatta sistematicamente sghemba, gli consentirono di contendere a Massimo Girotti, pur apparendo meno aitante dell'attore marchigiano, il ruolo del protagonista tormentato e fragile. Erede naturale perciò di Fosco Giachetti fu, a differenza del divo toscano, più duttile, sprigionando minor durezza ed inflessibilità e caricando i personaggi interpretati di quella vulnerabilità a cui il cinema degli anni trenta non era abituato.
Fu proprio servendosi di attori dalle caratteristiche di Checchi, Girotti, la Magnani e per certi versi di Cervi e Lupi, che il cinema italiano seppe progressivamente approdare al neorealismo. Dotato di una voce roca ma sensuale che contribuì notevolmente a rafforzare la sua immagine di uomo dalla personalità a tratti debole ma animato da buoni sentimenti, può sicuramente essere considerato un divo del cinema degli anni quaranta tanto da venir immortalato, al pari dei grandi divi dell'epoca, dai famosi fotografi Luxardo - dell'omonima galleria di via del Tritone a Roma - in una posa molto originale: con la sigaretta fra le labbra ed il volto in parte coperto dal fumo della stessa.
Ma già dal primo dopoguerra le cose cambiarono. Pur vincendo il primo Nastro d'Argento al migliore attore protagonista della storia per il film Due lettere anonime nel 1946, le occasioni di avere ruoli da protagonista si diradarono velocemente e il suo volto, molto segnato già in giovane età, si prestò soprattutto a raffigurare perdenti, sconfitti, ai quali però non veniva mai meno la dignità.
La sua recitazione sobria e misurata venne sempre più indirizzata a parti da comprimario che impreziosirono grandi film come Caccia tragica (1947) di De Santis, Achtung! Banditi! (1950) di Lizzani, La signora senza camelie (1953) di Antonioni (con cui vinse la Grolla d'oro quale miglior attore) e L'assassino (1961) di Elio Petri. In questa nuova veste artistica bissò il successo del 1946 vincendo, nel 1958, il Nastro d'Argento al migliore attore non protagonista per il film Parola di ladro.
Tantissimi in questa seconda parte di carriera cinematografica i film interpretati, in ruoli talvolta di "secondo piano" che gli hanno comunque permesso di lavorare con i più grandi registi italiani dell'epoca e di ritagliarsi un suo spazio, seppur minore che in passato, nella grande stagione che il cinema italiano visse col neorealismo. Nella sua carriera va sottolineata anche la particolarità di aver interpretato svariati personaggi di militari ed aver ricoperto più volte la parte del fascista, anche in pieno regime, per poi, dopo la seconda guerra mondiale aver dato volto a personaggi di partigiani e antifascisti.
Dagli anni sessanta fu intensa anche l'attività televisiva, soprattutto sotto la direzione di Anton Giulio Majano.
Nel 1962 fu Padre McMillan nello sceneggiato Una tragedia americana, quindi fu il capitano Ivan Mironov ne La figlia del capitano (1965) e nello stesso anno interpretò Valkov in Resurrezione. Nel 1967 fu John Sedley ne La fiera della vanità. Infine impersonò Robert Fenwick in E le stelle stanno a guardare (da Cronin, 1971), il commissario Bonsanti nel fortunatissimo Il segno del comando, dove ritrovò il Girotti di Caccia tragica. L'anno successivo fu Betteredge ne La Pietra di Luna.
Checchi era sposato con l'ungherese Erika Schwarze dalla quale ebbe un figlio - Enrico Roberto Checchi - scenografo televisivo. Morì a 57 anni affetto da una malattia autoimmune - la poliarterite nodosa - e dopo un ricovero in una clinica specializzata di Ginevra rientrò a Roma per spegnersi all'ospedale Salvator Mundi.
Galleria fotografica e rassegna stampa
Le profonde (si fa per dire) scuse di Andrea Checchi
Andrea Checchi, ennesimo "disc-jockey” della trasmissione radiofonica del mattino "Voi e io", non la finisce più di scusarsi. Da qualche giorno però non solo si scusa ma aggiunge frasi emblematiche del genere: «E allora, volevo dire... Ma che dico? Meno parlo meno faccio gaffe». «Avanti col disco, così mi sto zitto». Queste frasi potrebbero far supporre un giro di vite nei programmi radiofonici, che non si possa dire più niente. In realtà moltissimo o molto non si era potuto dire nemmeno prima, ma Checchi (foto) è un caso particolare: è fortemente indiziato di insubordinazione perchè ha parlato male dei boy-scouts. In realtà l'attore, che ha 55 anni e ben quarantanni di carriera alle spalle con t73 film girati, si è limitato a riferire una frase di Pitigrilli: «Chi sono i boy-scouts? Bambini vestiti da cretini, guidati da cretini vestiti da bambini...». Questa frase ha suscitato, appena pronunciata, una reazione compatta e violenta; l'Italia, si potrebbe dire, è scattata in piedi, ha telefonato, ha protestato e ha detto in parole povere: ma come, perchè prendersela con i boy-scouts?
C'è il sospetto che a telefonare siano stati principalmente "i cretini vestiti da bambini"; ma al cronista questo particolare non è confermato. Una cosa perciò è assodata: non si può parlar male dei boy-scouts. In altre occasioni si erano risentiti i ragionieri, i geometri e altre categorie associate quando qualcuno aveva avuto la brutta idea di dire due parole di benevola presa in giro. Le cose stanno perciò così: Checchi ha parlato male dei boy-scouts. il reprobo si è scusato e poi qualche giorno fa ha detto, sempre in trasmissione: «Il giornalista che mi scrive questi testi, che mi consiglia su quello che devo dire, mi ha appuntato su un foglio di carta: prima di parlare pensa, così se pensi non parli. Che abbia ragione lui?». C'è ancora un altro curioso episodio dietro le quinte: ogni mattina alle sei e quarantacinque, quando Checchi si reca allo "studio 5" di via Asiago per prepararsi alla trasmissione che poi andrà in onda alle nove, porta con sè qualche barzelletta appuntata e qualche poesia, di quelle divertenti, scanzonate e aggressive: Stecchetti o Ernesto Ragazzoni. Ai tecnici che sono lì, legge con calore queste poesie, poi racconta tra l'ilarità le barzellette. Quando tutti hanno riso e si sono divertiti, Checchi con il suo accento toscano che non nasconde mai, dice: «Bene, vi siete divertiti? E adesso andiamo a fare "Voi e io"...». C'è un altro particolare: l'attore un anno fa ha avuto a che fare con le tasse, deve pagare dei soldi arretrati e quindi l'ufficio tributi si rifà con i suoi guadagni a venire: per fare "Voi e io" perciò l'attore non percepisce niente, meglio: i suoi guadagni li prendono quelli delle tasse. Dunque è acquisito che non si può dir male, in questo Paese così risentibile, dei boy-scouts.
«Tempo», 1971
Il fisco mi scaccia da Roma ed io evado a Milano
Ospitiamo volentieri questo articolo di Andrea Checchi per due motivi: prima di tutto perchè l’autore è un attore molto popolare, che da quasi quarant'anni ci fa compagnia nei nostri momenti di svago o di impegno culturale, al cinema, al teatro e alla TV, con la sua carica di simpatia e di umanità: il secondo motivo è che il suo è un po’ il caso limite della lunga guerra tra singolo contribuente e il "mostro" delle tasse. Andrea Checchi dice di essere un uomo in fuga sotto l'incalzare del Fisco. Ebbene, gli concediamo di fare sosta qui, su queste colonne, perchè si sfoghi. Noi non possiamo fare nulla per lui, altro che lasciargli continuare la sua "fuga", dopo questa pausa: il problema del contribuente fiscale italiano ha molte sfaccettature, riserva sbocchi anche drammatici o semplicemente paradossali. Basti pensare ai lavoratori a reddito fisso, che non hanno alcun modo di fuggire o sfuggire ai rigori della legge, e a quelli che trovano il modo di garantirsi un rifugio dorato in Libano. Andrea Checchi sta forse interpretando il ruolo del perseguitato-tipo? Se è così, diventa inevitabile, però, fare a questo punto il solito confronto con quanto avviene nel resto del mondo: vertenze come quelle di Andrea Checchi si risolvono senza fughe nè scappatoie, ma con il carcere. Basti l’esempio degli Stati Uniti, dove attraverso gli accertamenti fiscali si arriva a dare una mano alla polizia per colpire i "boss" della malavita, del racket e del gangsterismo, e dove le prigioni ospitano spesso, e per lunghi periodi, industriali, professionisti e celebrità mondane. Così in Svizzera, in Inghilterra, in Scandinavia... Anche in Italia c’è il carcere per gli evasori fiscali, ma di evasori illustri dietro le sbarre ce ne sono pochi. Con questo non vogliamo suggerire la prigione per Andrea Checchi, anzi: vorremmo soltanto sognare un’Italia che lasci vivere serenamente gli Andrea Checchi, facendo loro pagare il giusto di tasse, non di più, e un'Italia che abbia le carceri vuote di evasori, perchè tutti pagano senza reticenze.
Roma, luglio
Mi dispiace di aver smesso di bere. Prima avevo più grinta, più smalto. Facevo quello che mi veniva in mente, così al volo, senza stare a pensarci su. Se bevessi ancora, adesso, sparerei. Sono in una situazione in cui sarei davvero capace di commettere qualsiasi pazzia, come sparare, mettere bombe, fare una strage! Perchè io ho un nemico crudele, che mi ha portato fino al cancello del manicomio: un nemico senza corpo, impalpabile, che mi prende alle spalle e riduce la mia vita a un incubo, da anni e anni, senza mai mostrare la sua vera faccia. Io lo odio, questo persecutore. Il suo nome è: Fisco.
I miei amici lo sanno. Per venire a trovarmi è necessario telefonarmi prima. E poi, per farsi aprire la porta, devono fare col campanello un segnale convenzionale, altrimenti non apro. Io stesso, quando esco se trovo la spia dell’ascensore accesa, torno indietro e aspetto, col fiato sospeso, chiuso nell’ingresso, terrorizzato dall’idea di incontrare un agente. Nascere in Italia è una disgrazia che può capitare a qualsiasi persona perbene. Per cavarsela non c’è che questo sistema: scappare. Me l’ha insegnato mio padre, che era scappato a Caporetto. Anche lui l’aveva imparato da suo padre, che era scappato alla Breccia di Porta Pia. Quanto a me, scappo davanti agli agenti delle tasse.
E’ sempre stato assurdo, il mio rapporto col Fisco. Tutta una fila di pignoramenti, accertamenti sballati, inquisizioni, processi. Col tempo, le cose sono peggiorate. Il tracollo è successo un anno fa, il 29 luglio del 71, il giorno che io, Andrea Checchi, sono stato ridotto sul lastrico. "Sequestro dei redditi alla fonte”, lo chiamano. Io lo chiamerei rapina. Infatti che cosa sarebbe, se non una rapina legalizzata, questo sistema per cui da un anno io lavoro e quello che guadagno se lo prendono loro? Tutto: dalla prima all’ultima lira... Ora, da almeno dieci anni io lavoro esclusivamente alla Televisione. Teatro niente, non ne faccio, perchè non è il mio mestiere. Cinema niente, perchè non sono più di moda. Ma la TV è di Stato, come il Fisco. E allora niente trattativa privata, ogni soldo della mia paga è dichiarato, tutto scritto nero su bianco, per loro. Dal 29 luglio dell’anno scorso sto lavorando gratis.
Dicono che questa è la legge. Ma per me questa non è legge, è istigazione a delinquere. Non scherzo. Per me è roba da denuncia penale. Non per niente una volta — tempo fa, quando ero meno esasperato, quando avevo più smalto, appunto — sono arrivato a denunciarlo, lo Stato: per istigazione al maltrattamento. Già, perchè sapete che cosa vuol dire il fatto che nella dichiarazione delle tasse, per il mantenimento della moglie, si possano detrarre appena cinquantamila lire in un anno? Vuol dire, che, alla moglie, uno dovrebbe passare sì e no un cappuccino e mezzo maritozzo al giorno, e niente di più!
Naturalmente la denuncia si è fermata lì. L'hanno archiviata con una motivazione che suonava pressappoco: «perchè fatta da persona incapace di intendere e di volere...». Ma dico, bisogna davvero essere pazzi per trovare inaccettabile questo sistema? Per esempio, adesso, io lavoro per nulla. Ma chi me lo fa fare di continuare? E se io smetto, se non ci vado più a lavorare, magari perchè non ho più le cinquanta lire per l’autobus? Se io smetto, il fisco come fa? Ecco, non è solo un sistema crudele, è anche stupido. Perchè se io devo avere dei soldi da qualcuno e vado da lui e gli do una martellata in testa e lo ammazzo, quei soldi posso stare sicuro che non li vedrò più. Senza contare che se io, privato cittadino, dovessi agire in questo modo, andrei pure in galera per trent’anni, per omicidio. Però, in quel caso, almeno, sarebbe lo Stato a mantenermi. Adesso, invece, che sono libero, mi deruba.
La storia comincia subito dopo la guerra. Lavoravo già da molto tempo, da quando avevo 16 anni — i miei primi contributi sono del ’32 — e avevo fatto già almeno 100 film. Ma con la guerra, di lavorare non se ne è più parlato, per due o tre anni. Invece nel ’46 mi arriva l’ingiunzione: un avviso cervellotico, su basi assurde, in un momento in cui non avevo una lira. Così è il principio della sarabanda. Il Fisco sequestra, io pago, dissequestra, io scappo. E’ tutto un susseguirsi di altri avvisi, rate, niente soldi per le rate, pagamenti, cambiali, Monte di Pietà, fame, fughe, sotterfugi, imbrogli, inseguimenti. E ogni volta bisogna pagare tutto doppio, per via degli interessi di mora, le multe: sempre cifre dell’ordine di milioni, mentre io vado avanti a diecimila lire per volta. E via così, con una vita che non era neanche vita, fino al ’62. Quell’anno ero in Unione Sovietica. Non ho fatto la denuncia Vanoni. Il Fisco mi ha denunciato: reato penale.
Il processo va avanti per cinque o sei anni, e sarà archiviato per scadenza dei termini. Archiviata la penale, non il debito, che sto pagando col sistema che ho detto. Proprio in questo periodo succede l’episodio che mi toglie definitivamente ogni voglia di lottare. Dunque, mi avevano accusato di truffa perchè non avevo dichiarato i redditi di un certo film. Ma quel film non l’avevo fatto. Vado per dirglielo. Gli uffici, allora, erano in piazza Mignanelli. Stanze sporche, corridoi. Lunga ricerca per individuare la persona che ha la mia pratica. Quando la trovo sono ormai travolto dall’ingranaggio, mi sento colpevole, sono nudo, sono un carcerato. «Guardi — dico tremando — quel film io non l’ho fatto». «Lo dice lei!», risponde. «Sì, lo dico io. E chi deve dirlo altrimenti?». «Lo dimostri!». «Lo dimostri lei, che l’ho fatto! Il film è lì, vada a vederlo: io non compaio, e siccome io faccio di mestiere l’attore, se non compaio è segno che non l’ho fatto!». Pausa. «Allora — mi fa con l’aria confidenziale — facciamo duecentomila!». Io scoppio: «Ma scherza? Perdio, facciamo niente, se non l’ho fatto!». Ecco, tutta la discussione con loro è su questo piano.
No, un momento signori, c’è una legge. Io voglio rispettarla, questa legge, almeno finché la legge rispetta me. Io la rispetto ogni volta che mi tolgono il 21 per cento delle retribuzioni alla fonte, per tasse e contributi. Io voglio pagare! Ma non voglio morire. Non è possibile che la legge dica che io devo ridurmi alla fame! E nemmeno che io debba scendere a compromessi con i Borboni. «Qui lei ha scritto — dice quello di piazza Mignanelli — che si è fatto dieci vestiti. Vede questo che porto io? E’ vecchio di quattro anni, e non ho che questo!». Vagli a spiegare che un attore non è un impiegato delle tasse, che per lui i vestiti sono un ferro del mestiere, che se va in giro stracciato nessuno più lo prende sul serio e lo fa lavorare... Come la storia del dentista: se io spendo due milioni per rifarmi i denti loro dicono: «è segno che di milioni ne guadagni almeno cento». Ma cosa dovrei fare: l’attore senza denti? «Ma non c’è la mutua?», ribattono.
«Niente casa niente domestica niente auto»
Sì, c’è la mutua, che dopo essersi presa milioni e milioni, i denti me li paga tremila lire l’uno. E qual è il dentista che ti fa un dente decente per tremila lire? Come faccio a sorridere, dopo, davanti alla macchina da presa? E se non sorrido — almeno di tanto in tanto — davanti alla macchina da presa, chi lo paga il Fisco?
Io non sono Sofia Loren. Cioè non sono di quegli attori che hanno fatto i miliardi. Sono un artigiano, piuttosto, uno che lavorando ha messo insieme qualcosa come 170 film, senza contare la TV, e i miei cachet non hanno mai superato una cifra ragionevole. Dunque non ho casa di proprietà, niente macchina, niente domestica, niente vita notturna. Però sono noto, mi conoscono tutti. Ed ecco che la macchina infernale non se la prende con l’industriale, col commerciante sconosciuto che fa le crociere sullo yacht: tanto, quello, nessuno lo sa chi è. Se la prende invece con me. Ma che bella figura! Il Fisco sì che è una cosa seria. Il Fisco non lascia correre con i grossi nomi! Andrea Checchi, l’attore! Ma vuoi mettere che piacere sadico, venire a mettere sotto torchio il divo, vendicarsi di uno che tante volte ha dovuto ammirare al cinema! Prima lassù, irraggiungibile sullo schermo, e adesso qui, a strisciare.
Ma io non striscio, nossignori. Per adesso continuo a lavorare, anche gratis, come ho fatto quest’inverno con ”Voi e io”: alzarsi ogni mattina alle sei e stare due ore davanti ai microfoni della radio e sembrare intelligenti e di buon umore mentre in realtà mi mangiavo il fegato... Perchè lavoro? Ma perchè lavorare, purtroppo, mi piace ancora. Così però non può continuare. Non solo perchè non ha senso vedersi soffiare via tutti i soldi dalla busta, ma anche perchè a un certo punto mi diranno ”basta e ti saluto”. Già, ai produttori non fa mica piacere sapere che i loro soldi l’attore non li vedrà mai. Preferiscono prendere un altro, uno che possa metterseli in tasca veramente. Senza contare le grane, gli ispettori, i registri da mostrare, far firmare... Anche alla Rai, me lo aspetto da un momento all’altro, il momento che mi diranno «Senti Andrea carissimo, sei talmente pieno di guai che veramente, insomma, tu ci capisci...».
Sarà una buona scusa per smetterla davvero, e dedicarmi tutto alla pittura. I quadri non possono togliermeli. Anzi, se non avessi avuto i quadri, a quest’ora sarei già per la strada, a recitare Alfieri e poi fare il giro col piattino dell’elemosina. Credo che me le darebbero facilmente, le cento lire, con la lacrimetta: «Povero Checchi — direbbero — guarda come si è ridotto!». Sì i quadri mi hanno salvato. E non parlo del morale. Parlo del fatto che da tempo il padrone di casa (sia chiaro però che la casa non è mia, è di mio figlio: io sono ospite, qui dentro) lo pago in quadri. In quadri pago anche gli amici che mi prestano i soldi per mangiare e pagare la luce. Ma il pizzicagnolo, dove prendo la pastasciutta, dei quadri non ne vuole sapere. Mica per cattiveria, ma non gli piacciono. Li prenderebbe soltanto se sapesse di poterli vendere: averli in cambio di 100 mila lire di roba e rivenderli per 400mila... Invece non hanno molto mercato i miei quadri, perchè io, come lavoro, sono attore. Anzi, mi sono preoccupato di evitare che si parlasse troppo del solito guitto che dipinge magari per hobby... Ma allora come faccio, col pizzicarolo? Coi buffi, faccio. Buffi dappertutto, coi fornitori, coi parenti, cogli amici, quei pochi che non mi hanno piantato adesso che la nave affonda. Finché dura...
Quelli del Fisco vogliono ancora 10 milioni, più o meno. Per guadagnarli, se tutto va bene, ci metterò anni. E nel frattempo? Io non lo so, signori. La verità è che Andrea Checchi, l’attore, ormai è un braccato, un uomo vinto dalla paura. Scappa. E’ il bandito Giuliano accerchiato dai carabinieri...
Andrea Checchi, «Tempo», anno XXXIV, n.28, 16 luglio 1972 (Foto di Francesco Perego)
È morto Andrea Checchi
L’attore stroncato da un virus, a 57 anni. Lanciato come attore drammatico negli Anni 30, era stato recuperato dallo schermo anche dopo l’avvento del neorealismo - Una nuova popolarità alla televisione
(Nostro servizio particolare) Roma, 29 marzo.
Andrea Checchi, uno dei più popolari personaggi del cinema italiano è morto a Roma, nella clinica dove era ricoverato da alcuni giorni. Aveva 57 anni. Era stato colpito due mesi fa da una rara malattia virale, la periartrite nodosa, e i familiari lo avevano portato a Ginevra, in una clinica specializzata per questa cura. Ma le attenzioni dei medici non erano riuscite a debellare il male. Sabato scorso le condizioni dell'attore si erano aggravate ed era stato riportato a Roma.
Checchi era nato a Firenze, e aveva rivelato subito disposizioni artistiche. Amante della pittura, e della recitazione, fu allievo dell'Accademia di belle arti fiorentina prima che del Centro sperimentale di cinematografia a Roma, e mantenne fede per tutta la vita alla propria duplice vocazione. Ma attraverso lo schermo si rivolse a tutto il pubblico; i quadri, volle sempre tenerli per sé. Al cinema, arrivò giovanissimo. Lo aveva notato al Centro sperimentale, il direttore del corso, Alessandro Blasetti, e gli diede una parte, quando aveva solo 16 anni, nel film «1860», destinato a rievocare l'impresa garibaldina. Checchi si piazzò così in prima fila nel periodo in cui il cinema italiano rinasceva, dopo la grande crisi degli Anni Venti. Rinasceva, naturalmente, secondo le direttive politiche di allora: e anche Andrea Checchi si trovò coinvolto nelle pellicole di glorificazione littoria, come «Vecchia guardia», «Luciano Serra pilota», «L'assedio dell'Aicazar».
Ma ai personaggi che gli affidavano, l'attore sapeva prestare il suo volto duro e ossuto, una coscienza di attore sicura; e usciva con onore professionale anche dalla prova più pericolosa. Lo avrebbe confermato, anche nelle occasioni più diverse, che sarebbero venute poi. Checchi non fu soltanto uno degli interpreti più famosi in quegl'anni. Fu anche fra i pochissimi che avrebbero saputo resistere all'avvento dei nuovi tempi. Il neorealismo, che cercava gli attori «dalla strada», lo dimenticò per un breve periodo. Ma già nel 1948 De Sanctis si sarebbe ricordato di lui per farne uno dei protagonisti di «Caccia tragica» e Lizzani, poco dopo, per «Achtung, banditi!» Checchi non era più il giovane prim'attore dell'anteguerra; ora veniva chiamato più spesso in parti di comprimario; ma proprio in questi ruoli avrebbe dimostrato la nuova maturità raggiunta. La sua maschera si era fatta più incisiva, la sua recitazione più scarna, solo in qualche caso incrinata da una certa retorica, dalla rudezza. Fu, con Antonioni, in «La signora senza camelie», con Vancini in «La lunga notte del '43» e ancora con Lizzani, nel «Processo di Verona».
Ma fu anche attore brillante, come nell'episodio di «Altri tempi» che gli volle affidare il suo antico maestro Blasetti: e lo interpretò così bene da meritarsi la Grolla d'oro di Saint-Vincent (1953). Ma la sua grande popolarità, negli ultimi anni, gli venne dalla televisione. Il suo volto, particolarmente adatto per il video, lo portò a essere interprete e spesso protagonista, di commedie, romanzi sceneggiati gialli. L'ultima sua interpretazione deve ancora apparire alla tv: «La lunga notte di Medea» di Alvaro, per la quale aveva impersonato Creonte, accanto a Irene Papas. Il pubblico potrà vederla come estremo ricordo della sua probità di attore.
r. s., «La Stampa», 30 marzo 1974
L'attività pittorica
Figlio del pittore fiorentino Amedeo Checchi, fu pittore a sua volta, esponendo le sue opere in diverse mostre personali.
Filmografia
1860, regia di Alessandro Blasetti (1934)
Vecchia guardia, regia di Alessandro Blasetti (1934)
L'ultimo dei Bergerac, regia di Gennaro Righelli (1934)
Stadio, regia di Carlo Campogalliani (1934)
La signora di tutti, regia di Max Ophüls (1934)
Amore, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1935)
Arma bianca, regia di Ferdinando Maria Poggioli (1936)
L'ultima carta, regia di Archie Mayo (1938)
Sotto la croce del sud, regia di Guido Brignone (1938)
Luciano Serra pilota, regia di Goffredo Alessandrini (1938)
Ettore Fieramosca, regia di Alessandro Blasetti (1938)
La conquista dell'aria, regia di Romolo Marcellini (1939)
La grande luce, regia di Carlo Campogalliani (1939)
I grandi magazzini, regia di Mario Camerini (1939)
Piccolo hotel, regia di Piero Ballerini (1939)
La notte delle beffe, regia di Carlo Campogalliani (1939)
I pirati del golfo, regia di Romolo Marcellini (1940)
Manon Lescaut, regia di Carmine Gallone (1940)
È sbarcato un marinaio, regia di Piero Ballerini (1940)
Giù il sipario, regia di Raffaello Matarazzo (1940)
La conquista dell'aria (Conquest of the Air), registi vari (1940)
Incanto di mezzanotte, regia di Mario Baffico (1940)
L'assedio dell'Alcazar, regia di Augusto Genina (1940)
Amiamoci così, regia di Giorgio Simonelli (1940)
Leggenda azzurra, regia Giuseppe Guarino (1940)
Senza cielo, regia di Alfredo Guarini (1940)
Il re d'Inghilterra non paga, regia di Giovacchino Forzano (1941)
Ragazza che dorme, regia di Andrea Forzano (1941)
Ore 9: lezione di chimica, regia di Mario Mattoli (1941)
Brivido, regia di Giacomo Gentilomo (1941)
Solitudine, regia di Livio Pavanelli (1941)
Tragica notte, regia di Mario Soldati (1942)
Catene invisibili, regia di Mario Mattoli (1942)
Avanti c'è posto..., regia di Mario Bonnard (1942)
Via delle Cinque Lune, regia di Luigi Chiarini (1942)
M.A.S., regia di Romolo Marcellini (1942)
La contessa Castiglione, regia di Flavio Calzavara (1942)
Labbra serrate, regia di Mario Mattoli (1942)
Malombra, regia di Mario Soldati (1942)
Giacomo l'idealista, regia di Alberto Lattuada (1943)
Tempesta sul golfo, regia di Gennaro Righelli (1943)
La valle del diavolo, regia di Mario Mattoli (1943)
Tristi amori, regia di Carmine Gallone (1943)
Tutta la vita in ventiquattro ore, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1943)
Lacrime di sangue, regia di Guido Brignone (1944)
Vivere ancora, regia di Nino Giannini (1945)
I dieci comandamenti, regia di Giorgio Walter Chili (1945)
Lettere al sottotenente, regia di Goffredo Alessandrini (1945)
Due lettere anonime, regia di Mario Camerini (1945)
Le vie del peccato, regia di Giorgio Pàstina (1946)
Biraghin, regia di Carmine Gallone (1946)
La primula bianca, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1946)
Albergo Luna, camera 34, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1946)
Un americano in vacanza, regia di Luigi Zampa (1946)
Roma città libera, regia di Marcello Pagliero (1946)
Eleonora Duse, regia di Filippo Walter Ratti (1947)
I fratelli Karamazoff, regia di Giacomo Gentilomo (1947)
Cronaca nera, regia di Giorgio Bianchi (1947)
Ultimo amore, regia di Luigi Chiarini (1947)
Caccia tragica, regia di Giuseppe De Santis (1947)
La città dolente, regia di Mario Bonnard (1948)
Gli uomini sono nemici, regia di Ettore Giannini (1948)
Il cielo è rosso, regia di Claudio Gora (1949)
Il grido della terra, regia di Duilio Coletti (1949)
Le mura di Malapaga, regia di René Clément (1949)
La strada finisce sul fiume, regia di Luigi Capuano (1950)
Paolo e Francesca, regia di Raffaello Matarazzo (1950)
Il sentiero dell'odio, regia di Sergio Grieco (1950)
Il capitano nero, regia di Alberto Pozzetti (1950)
Atto di accusa, regia di Giacomo Gentilomo (1950)
Camorra (Schatten über Neapel), regia di Hans Wolff (1951)
Achtung! Banditi!, regia di Carlo Lizzani (1951)
Stormbound, regia di Luigi Capuano (1951)
Il sentiero dell'odio, regia di Sergio Grieco (1951)
Il capitano di Venezia, regia di Gianni Puccini (1951)
L'eroe sono io, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1951)
Amore e sangue, regia di Hans Wolff e Marino Girolami (1951)
Don Lorenzo, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1952)
Meno di un giorno, episodio di Altri tempi, regia di Alessandro Blasetti (1952)
Il pensionato, episodio di Se vincessi cento milioni, regia di Carlo Campogalliani e Carlo Moscovini (1953)
Pietà per chi cade, regia di Mario Costa (1953)
La signora senza camelie, regia di Michelangelo Antonioni (1953)
La campana di San Giusto, regia di Mario Amendola e Ruggero Maccari (1954)
Tripoli, bel suol d'amore, regia di Ferruccio Cerio (1954)
Le due orfanelle, regia di Giacomo Gentilomo (1954)
Appassionatamente, regia di Giacomo Gentilomo (1954)
Operazione notte, regia di Giuseppe Bennati (1954)
Girandola 1910, episodio di Amori di mezzo secolo, regia Antonio Pietrangeli (1954)
Tempi nostri, regia di Alessandro Blasetti (1954)
Casa Ricordi di Carmine Gallone (1954)
Siluri umani, regia di Antonio Leonviola (1954)
Processo all'amore, regia di Enzo Liberti (1955)
Rosso e nero, regia di Domenico Paolella (1955)
Disperato addio, regia di Lionello De Felice (1955)
Addio Napoli!, regia di Roberto Bianchi Montero (1955)
Buonanotte... avvocato!, regia di Giorgio Bianchi (1955)
Il tesoro di Rommel, regia di Romolo Marcellini (1955)
I quattro del getto tonante, regia di Fernando Cerchio (1955)
Suprema confessione, regia di Sergio Corbucci (1956)
I giorni più belli, regia di Mario Mattoli (1956)
Terrore sulla città, regia di Anton Giulio Majano (1956)
L'intrusa, regia di Raffaello Matarazzo (1956)
Mattino di primavera, regia di Giacinto Solito (1957)
Parola di ladro, regia di Gianni Puccini e Nanni Loy (1957)
Il mondo dei miracoli, regia di Luigi Capuano (1959)
Le cameriere, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1959)
Il nemico di mia moglie, regia di Gianni Puccini (1959)
Le notti dei teddy boys, regia di Leopoldo Savona (1959)
Il terrore dei barbari, regia di Carlo Campogalliani (1959)
I piaceri dello scapolo, regia di Giulio Petroni (1960)
La lunga notte del '43, regia di Florestano Vancini (1960)
Il sicario, regia di Damiano Damiani (1960)
L'impiegato, regia di Gianni Puccini (1960)
La maschera del demonio, regia di Mario Bava (1960)
Il diabolico dottor Mabuse (Die 1000 Augen des Dr. Mabuse), regia di Fritz Lang (1960)
La ciociara, regia di Vittorio De Sica (1960)
Akiko, regia di Luigi Filippo D'Amico (1961)
L'ultimo dei Vikinghi, regia di Giacomo Gentilomo (1961)
L'assassino, regia di Elio Petri (1961)
Don Camillo monsignore... ma non troppo, regia di Carmine Gallone (1961)
L'oro di Roma, regia di Carlo Lizzani (1961)
Gli invasori, regia di Mario Bava (1961)
Caccia all'uomo, regia di Riccardo Freda (1961)
Il mio amico Benito, regia di Giorgio Bianchi (1962)
Il sangue e la sfida, regia di Nick Nostro (1962)
Lo smemorato di Collegno, regia di Sergio Corbucci (1962)
Cronache del '22, registi vari (1962)
Dieci italiani per un tedesco (Via Rasella), regia di Filippo Walter Ratti (1962)
Ultimatum alla vita, regia di Renato Polselli (1962)
Colpo gobbo all'italiana, regia di Lucio Fulci (1962)
Venere imperiale, regia di Jean Delannoy (1963)
Il criminale, regia di Marcello Baldi (1963)
Il processo di Verona, regia di Carlo Lizzani (1963)
Finché dura la tempesta, regia di Charles Frend e Bruno Vailati (1963)
Super rapina a Milano, regia di Adriano Celentano (1964)
La vendetta dei gladiatori, regia di Luigi Capuano (1964)
La costanza della ragione, regia di Pasquale Festa Campanile (1964)
Roma contro Roma, regia di Giuseppe Vari (1964)
Giochi acerbi, episodio di Io uccido, tu uccidi, regia di Gianni Puccini (1965)
I soldi, regia di Gianni Puccini (1965)
Italiani brava gente, regia di Giuseppe De Santis (1965)
Il gladiatore che sfidò l'impero, regia di Domenico Paolella (1965)
La famiglia, episodio di Made in Italy, regia di Nanni Loy (1965)
Il nero, regia di Giovanni Vento (1966)
Io, io, io... e gli altri, regia di Alessandro Blasetti (1966)
Quién sabe? (El Chuncho, quién sabe?), regia di Damiano Damiani (1966)
I sette fratelli Cervi, regia di Gianni Puccini (1967)
El "Che" Guevara, regia di Paolo Heusch (1968)
Cerca di capirmi, regia di Mariano Laurenti (1970)
Waterloo, regia di Sergej Fëdorovič Bondarčuk (1970)
Un apprezzato professionista di sicuro avvenire, regia di Giuseppe De Santis (1971)
Baciamo le mani, regia di Vittorio Schiraldi (1973)
Una donna per sette bastardi, regia di Roberto Bianchi Montero (1974)
Televisione
I racconti del faro (1967, Rai) episodio Il Naufrago in 2 parti
Una tragedia americana (1962)
Vita di Michelangelo (1964)
La donna di fiori regia di Anton Giulio Majano (1965)
La figlia del capitano (1965)
Resurrezione (1965)
Vita di Dante (1965)
Al calar del sipario (1965), con Emma Gramatica, Elsa Merlini, Cesarina Gheraldi, Paola Barbara, Laura Carli, Tina Lattanzi, Paola Borboni, Andrea Checchi, Lia Angeleri, Mario Siletti, Wanda Capodaglio, Pina Cei, Franca Maresa, Lydia Alfonsi, Leonardo Severini, Evelina Gori
Quinta colonna (1966)
La fiera della vanità (1967)
Le inchieste del commissario Maigret (2 episodi, 1965-1968)
Cristóbal Colón (1968)
Giocando a golf una mattina (1969)
Il segno del comando (1971)
...e le stelle stanno a guardare (1971)
All'ultimo minuto (1971) - episodio "Il borsaiolo"
Processo ad un atto di valore (1972)
La Pietra di Luna (1972)
Vino e pane (1973)
Note
^ La scomparsa di Andrea Checchi, il volto di un'Italia antiretorica, l'Unità, pagina 11, 30 marzo 1974
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «Tempo», 1971
- Andrea Checchi, «Tempo», anno XXXIV, n.28, 16 luglio 1972
- r. s., «La Stampa», 30 marzo 1974