LA MALATTIA AGLI OCCHI
Io ho sempre reagito ai colpi bassi della vita con forza d'animo e molta filosofia, ma questa volta è stata una prova davvero dura.
I primi sintomi delle difficoltà visive, Antonio de Curtis iniziò ad averli appena quarantenne. Nell’estate del ’38 infatti, mentre si trovava in vacanza a Viareggio, accusò un abbassamento di vista a un occhio; successivamente i medici diagnosticarono un distacco di retina e decisero di operare. Ma la sua assurda gelosia coniugale gli giocò un brutto scherzo. Antonio, in clinica dopo l’operazione, entrambi gli occhi bendati, ha Diana sempre accanto al suo letto; a un certo punto la sente alzarsi, allontanarsi un momento, lui s’insospettisce, si allarma, vuol vedere dove sta andando, arriva a togliersi la benda... Annullati in un attimo i benefici dell’intervento, l’attore viene sottoposto a una seconda operazione che non servì a nulla: perse definitivamente la vista dall’occhio sinistro. Il dramma ebbe ovvie ripercussioni sull’attività teatrale del comico e sulla messa a punto del suo secondo film ma la cosa venne tenuta segreta. Un giornale dell’epoca accennò solo a una generica “lunga malattia” che avrebbe tenuto l’attore “lontano da ogni attività artistica”. Antonio non rivelò a nessuno la natura della sua infermità, temendo che un attore mezzo cieco non venisse considerato affidabile sulla scena, e perciò si comportò come se nulla fosse, facendo finta di avere due occhi perfettamente funzionanti, costringendo a recitare anche nella vita.
Settimanale «Tempo», 23 maggio 1957
Il teatro era la sua vita, il suo ambiente naturale, ci si muoveva a suo agio quanto un animale rimesso in libertà. E per il teatro nutriva un sacro rispetto tanto che, quando attraversava il palcoscenico per raggiungere il camerino all' ora o al termine dello spettacolo, immancabilmente, secondo un antico costume artistico, si toglieva il cappello "perché", diceva, "per l'attore il palcoscenico è un tempio e non si attraversa un tempio fregandosene da maleducati" .
Era istintivo. Non provava i suoi sketch che negli ultimi due giorni precedenti il debutto, lasciava che gli attori per allenarsi li ripetessero con la sua spalla, poi ogni sera li modificava un poco secondo l'inventiva del momento e lo stato d'animo del pubblico, tanto che spesso nascevano brevi e via via assumevano la corposità di un atto unico. Ai componenti la compagnia dedicava un interessamento quasi paterno, approfondiva i loro problemi umani, li trattava con grande rispetto e non ammetteva alzate di voce per redarguire qualche trasgressore. Spesso la sera, a sipario calato, li ospitava tutti a casa.
Nel febbraio di quell'anno, quando la rivista andava a gonfie vele al Nuovo di Milano, fu colpito da una broncopolmonite virale curata in fretta e furia con dosi massicce di antibiotici e una degenza di quattro giorni in un appartamento dell'Hotel Continental, mentre Remigio Paone, che era il suo impresario preferito di quella e di tante riviste celebri del passato, si aggirava nella hall come un corvo a stecchetto che deve rinunciare a un lauto pasto, supplicando i medici di accelerare i tempi. Il teatro era venduto al completo per un paio di settimane, fosse stato per lui lo avrebbe spedito in scena anche semicadavere. E poco ci mancò, perché il terzo giorno di degenza tanto fece e disse che egli si levò dal letto febbricitante e rintronato, raggiunse il Nuovo, si truccò grondando sudore freddo, e quando per i camerini riecheggiò il classico Cinque minuti, avviandosi in quinta ebbe un collasso e lo spettacolo venne sospeso.
I medici gli avevano prescritto un minimo di convalescenza di quindici giorni. Il virus broncopolmonare non era del tutto sgominato, a evitare ricadute e danni si rendeva necessaria questa ulteriore cautela. Per Antonio fu una tegola in testa. Ci rifletté fino all' alba, poi, sfinito e angosciato, tirò le sue conclusioni. Con quella ulteriore sospensione la tournée sarebbe zompata per aria. E come avrebbe sbarcato l'inverno la gente della compagnia, a stagione più che iniziata, senza lavoro o paga? Erano tutti individui che vivevano della loro fatica, no, non se la sentiva di infliggergli quel colpo a tradimento, era stato anche lui un pesce piccolo e i disagi del conto non pagato alla pensione o alla bettola gli si erano scolpiti nella memoria. Quindi, al diavolo le raccomandazioni, curarsi è un lusso che non debbono pagarti gli altri, sarebbe tornato al lavoro, era il capocomico, aveva la responsabilità di quelle persone che non campavano d'aria.
E così, vincendo gli intimi timori, le obiezioni cliniche e lo sforzo fisico, terminò la piazza di Milano e partì per una serie di debutti in provincia. Biella, Bergamo, San Remo. Fu qui ché avvertì le avvisaglie di quanto stava per accadergli. Festeggiavamo, dopo lo spettacolo, il matrimonio di due ballerini di "A prescindere", Sandro e Josey, a cui aveva donato una 500 perché "vi siete conosciuti, amati e uniti in mano a me e spero che scarrozzerete a due per il resto delle piazze e della vita".
Guardandosi attorno per il locale mi sussurrò: "Strano, vedo ballare le pareti e i tavoli, oscillano come se fossi sbronzo fradicio, eppure non ho bevuto niente". All'uscita, lo stesso fenomeno gli si ripeté con i palazzi. Il giorno dopo si recò da un oculista che attribuì la manifestazione agli antibiotici e alla debolezza, e prescrisse un ricostituente e delle vitamine.
Anziché diminuire, il fastidio si accentuò. A Firenze, dove il teatro crollava per la calca e ogni sera il pubblico ritrovava un Totò parossistico e disarticolato, diceva che quel disturbo gli dava un senso di maretta e mi pregava di leggergli i quotidiani poiché le righe gli si accavallavano.
Antonio divenne cieco in scena, sulle tavole del Politeama a Palermo, vestito da Napoleone, a tre passi da me che gli ero accanto nello sketch del cocktail party poiché, per uno di quei rari casi del destino che nella necessità ti fanno trovare fisicamente vicino a chi ti è caro anche quando proprio non dovresti esserci, da circa un mese avevo accantonato la mia veste borghese di compagna indossata circa tre anni prima per seguirlo, e sostituivo la soubrette Franca Mai infortunatasi nelle piroette di un ballo. Al nostro fianco, c'erano Franca Gandolfi, non ancora signora Domenico Modugno, Elvy Lissiak ed Enzo Turco.
Notai che batteva le palpebre come per togliersi un corpo estraneo dagli occhi e voltava per un attimo le spalle al pubblico guardandosi attorno con le pupille sbarrate. Poi, sottovoce, pacato, con quel tono impercettibile con cui in scena, tra una battuta e l'altra, ci si comunica a volte i fatti propri, mi disse: "Non ci vedo, è buio pesto". Nessuno se ne accorse in sala. Accelerando i tempi, tagliando battute, con una vitalità selvaggia scaricò se stesso in una mimica frenetica che fece delirare il pubblico e, tra le ovazioni di un teatro impazzito che gli urlava "Totò, si 'na muntagna ri zuccaru", si avviò ad intuito verso le quinte mentre il sipario si chiudeva lento, per ritornare più volte sul proscenio a ringraziare la platea, le file di palchi e il loggione neri di folla e illuminati a giorno che lui, però, non distingueva più. Da quel momento e per oltre un anno fu notte piena.
Tornammo a Roma tra la curiosità morbosa dei passeggeri sul traghetto che avevano appreso la notizia della sua disgrazia dai quotidiani, i lampi crudeli dei fotografi e il tatto di cacciatori di autografi che, allontanati a forza, gli sbottavano in faccia un "Ma allora è vero che è proprio cieco." Pianse al rientro a casa, quando non riuscì ad afferrare la mano tesa del personale e a vedere Gennaro che dal trespolo gli volava incontro. Poi non pianse più. Si rintanò nella sua stanza e lì rimase, tra letto e lettuccio, le serrande abbassate sul sole di primavera, per mesi e mesi di oscuro isolamento.
Franca Faldini
Tesi di laurea del Dott. Andrea Maria Costanzo - "La malattia oculare di Totò ed il rapporto con la sua arte"
La malattia agli occhi di Totò: cronologia di un dramma
febbraio 1957
Durante la tournèe della rivista teatrale "A prescindere", Totò venne colpito da una broncopolmonite virale, e nonostante i pareri dei medici che gli dissero di riposare, tornò sul palco dopo alcuni giorni, ciò gli causò uno svenimento appena prima di entrare in scena. I medici gli prescrissero almeno due settimane di assoluto riposo, ma Totò ritornò ugualmente a recitare esibendosi a Biella, Bergamo e Sanremo, dove cominciò ad avvertire i primi sintomi dell'imminente malattia alla vista.
Milano 12 marzo 1957
Palermo, dal 3 al 6 maggio 1957
Nella tappa che toccò la città di Palermo, la situazione precipitò. Per non deludere il pubblico ritornò sul palcoscenico - con un paio di spessi occhiali da sole - la sera del 4 maggio e, in due spettacoli, del 5. Mentre recitava al Teatro Politeama Garibaldi nella serata di domenica 5 maggio, verso il termine dello spettacolo si avvicinò alla Faldini (che aveva sostituito l'attrice Franca May e recitava sul palco insieme a lui) sussurrandole che non vedeva più; contando perciò solo sulle sue abilità e sull'appoggio degli altri attori, fece in modo di accelerare la conclusione dello spettacolo. L'interruzione della rivista fu comunque inevitabile e il giorno 6 maggio fu interrotta definitivamente la tournéee della rivista. Inizialmente i medici ritenevano che fosse un problema derivato dai denti, gli venne però diagnosticata una corioretinite emorragica all’occhio destro. L'aggravamento della malattia patita a febbraio, fu facilitato dall'aver trascurato i necessari tempi di recupero e dalle condizioni persistenti di deperimento generale ancora in essere. Totò perse infatti completamente la vista nella parte centrale della pupilla dell'occhio destro (vedeva soltanto sui lati degli occhi, come un vetro appannato). Inoltre, circa venti anni prima aveva già perso l'altro occhio per un distacco di retina operato male: Totò si ritrovò di fatto quasi cieco.
Palermo, 6 maggio, ore 20,15, teatro Politeama. Circa duemila persone attendono di assistere all'ultima rappresentazione di Totò a Palermo. Arriva invece un certificato medico redatto dal professore Cascio dopo la visita del pomeriggio. La folla davanti al teatro apprende che la recita non ci sarà. Ci vogliono cinquanta agenti della Celere capitanati dal tenente Bresci e dal commissario di pubblica sicurezza Nirabile per tenere a bada gli spettatori. Un cartello viene posto sulla cancellata centrale del Politeama: 'lo spettacolo è sospeso per grave infermità di Totò. I biglietti verranno rimborsati a partire da domani.
Giuseppe Bagnati
Antonio divenne cieco in scena, sulle tavole del Politeama a Palermo, vestito da Napoleone, a tre passi da me [...] Notai che batteva le palpebre come per togliersi un corpo estraneo dagli occhi e voltava per un attimo le spalle al pubblico guardandosi attorno con le pupille sbarrate.
Franca Faldini - Goffredo Fofi
Gli viene diagnosticata una "coroidite essaudivante in atto con pregressa corioretinite disseminata, visus spento".
Liliana de Curtis parla della malattia agli occhi del papà
Totò, Franca Faldini e Liliana partono da Palermo e sbarcano a Napoli, quindi di corsa verso la casa di Roma dove inizierà un lungo e travagliato periodo di convalescenza. I medici impongono un periodo al buio più completo e circa sessanta giorni di riposo assoluto. Totò, da questo momento in poi, sarà costretto ad indossare sempre un pesante paio di occhiali scuri, che toglierà solo per le riprese dei film.
Fu il Professor Giambattista Bietti ad emettere la diagnosi giusta. Si trattava, disse, di una corioretinite emorragica essaudivante di carattere virale, probabilmente conseguenza della broncopolmonite virale trascurata. Il danno già subito era irreversibile, per evitare di aggravarlo ulteriormente ed arginarlo, oltre al buio e all'immmobilità, erano indispensabili antibiotici, antiemorragici, colliri e controlli
Franca Faldini
Pianse al rientro a casa, quando non riuscì ad afferrare la mano tesa del personale e a vedere Gennaro che dal trespolo gli volava contro. Poi non pianse più, si rintanò nella sua stanza e lì rimase tra letto e lettuccio, le serrande abbassate sul sole di primavera, per mesi e mesi di oscuro isolamento.
Franca Faldini
Edoardo (Clemente), con una genialità tutta napoletana, aveva costruito in casa, per dargli la possibilità di controllarlo più spesso, un rudimentale apparecchio per il campo visivo. E così su questo seguivamo, dietro il puntino luminoso manovrato dall'oculista e i suoi 'vedo, vedo, no, adesso no, non vedo, no, no, no, adesso si, ora vedo di nuovo e anche ora', i suoi impercettibili progressi.
Franca Faldini
Sono state fatte molte esagerazioni. Non andrò in nessuna clinica e non sto per diventare cieco. Mi curerò in casa e ho fiducia che presto riprenderò il mio lavoro. Appena la notizia della mia infermità è stata diffusa dai giornali mi sono giunti a Palermo fasci di telegrammi da ogni città d'Italia, e specialmente da Napoli, da Roma e da Milano. Tutti gli artisti italiani hanno voluto manifestarmi la loro affettuosa solidarietà. Tino Scotti, mio collega e amico, mi ha annunciato di essere pronto a offrirmi un occhio, perché mi sia risparmiata la cecità; ma io ritengo che non ve ne sia bisogno. Sono convinto che si tratti di una quisquilia.
Antonio de Curtis, 10 maggio 1957