Besozzi Nino (Giuseppe)

Nino Besozzi CC bio

Giuseppe Besozzi detto Nino (Milano, 6 febbraio 1901 – Milano, 2 febbraio 1971) è stato un attore caricaturista, disegnatore, pittore italiano.

Biografia

Debuttò nel 1919 a Siena con la Compagnia Calò, per poi far parte di varie compagnie accanto ad artisti come Irma Gramatica, Luigi Cimara, Andreina Pagnani, Ruggero Ruggeri, Vera Vergani, Virgilio Talli e Vittorio De Sica, rivelando doti particolari nel genere comico.

Dal 1931 al secondo dopoguerra alternò teatro e cinema, specializzandosi in parti di giovanotto disinvolto e brillante nell'ambito del repertorio comico-sentimentale dei "telefoni bianchi" e spesso in coppia con Elsa Merlini in pellicole come La segretaria privata di Goffredo Alessandrini (1931) e T'amerò sempre di Mario Camerini (1933); negli stessi anni si concedeva le prime fugaci apparizioni ai microfoni della radio, come in Le gelosie di Lindoro di Goldoni (1932), con Dina Galli.

Distintosi anche in ruoli drammatici, dal 1946 si impose a teatro soprattutto nel repertorio brillante, interpretando lavori come Siamo tutti milanesi di Arnaldo Fraccaroli ed I morti non pagano tasse di Nicola Manzari.

Dotato di una voce duttile, con la quale giocava anche attraverso effetti nasali, prese parte a varie trasmissioni alla radio, soprattutto negli anni cinquanta: da riviste come Zig zag (1950) e Fermo posta (1956) a commedie quali Viaggio di piacere di Gondinet (1956, regia di Convalli), Bettina di de Musset (1958, regia di Meloni) e Ricordati di Cesare di Davion (1959, regia di Brissoni), con Lina Volonghi ed Alfredo Bianchini.

Esordì in televisione nel 1956 partecipando al varietà Lui, lei e gli altri, una sorta di sitcom ante litteram. Impegnato in seguito nella prosa televisiva, ma anche in spettacoli di varietà come Un due tre e Con loro (1956), fu tra gli interpreti degli sceneggiati Mont Oriol (1958) ed Il Conte di Montecristo (1966).

Tra le sue ultime interpretazioni radiofoniche si ricordano Ipotesi strutturale di Plebe e Di Martino (1969, regia di Giuseppe Di Martino) ed Il vestito di pizzo di Bowen (1970, regia di Michele Bandini). Nino Besozzi fu anche un pregevole caricaturista, disegnatore e pittore. Riposa al Riparto XVIII del Cimitero Monumentale di Milano, nella tomba 408[1].


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1939 06 03 Film Nino Besozzi intro

Nei tempi ancor vicini in cui il cinematografo italiano tentava una sua nuova primavera, e una prima produzione in serie quanto più era possibile dignitosa, le interpretazioni di Nino Besozzi si distinsero dalle altre perchè più delle altre restarono appunto fedeli a quella costante (ligniti, senza alterazioni apprezzabili da un film all’altro, fornendo così anche grazie a questo la prova di una convinzione artistica matura, che non poteva riservare sorprese, se non in meglio, neanche in peggio. Erano, press’a poco, anche i tempi di De Sica; e i due attori formarono per qualche anno le sicure risorse dei nostri film- Erano, si può dire. delle ricette o formule che dir si voglia; più sfolgorante, più popolare, più cartellonistica, quella di De Sica: più modesta, più ritrosa, talvolta cosi naturale e spontanea da passare quasi inavvertita, quella del Besozzi. Ma proprio perchè ricette di effetto conosciuto, si deve ad esse se il cinematografo italiano passò alta benemeglio la stagione di crescenza; erano i tempi delle commediole sentimentali, punteggiate ogni tanto da qualche riuscita di maggior pregio, ma insomma il cinematografo italiano si resse sulle prime, che ne divennero la caratteristica più riconoscibile.

Nino Besozzi rappresentò anche in quei tempi il miglior acquisto del teatro, e insomma forni la misura di come il teatro poteva travasarsi nel cinema senza cretti e urti apparenti. Ci par giusto insistere su questo punto, e ripetere che l'attore Besozzi fu quello che meno d'ogni altro, comparendo sullo schermo, ricordò il teatro agli spettatori; la sua recitazione piena dì semplicità e di decoro, la sua totale assenza di retorica e, se si vuole, anche il suo aspetto e il suo atteggiarsi cosi lontani dall'idea preconcetta, ma quanto sovente giustificutu dai fatti, del primo attore, gli giovarono dove fonti un temperamento di maggior risalto avrebbe fallito. E’ vero, a questo proposito, che il Besozzi tenne, nei film, le stesse parti che teneva nel teatro, ed erano parti che escludevano ogni accento troppo squillante, e quindi consono alle sue risorse più autentiche; ma qualora si considerino le prove che fecero altri attori famosi venuti dal teatro, e in servizio dei quali furono talvolta addirittura trasportati sullo schermo drammi e commedie che costituivano sul palcoscenico i loro cavalli di battaglia, la lode dell’artista cinematografico Besozzi. sempre tenendo conto delle condizioni del cinematografo italiano di quei tempi in cui egli più lavorò per lo schermo, non può che ripetersi senza riserve.

Fosse sua fortuna, e cioè che le parti che di solito erano le sue, e che la sua interpretazione cosi riservata, meglio si adattavano al mezzo espressivo, a cui finalmente si dedicava; e fosse frutto della sua intelligenza ed istinto d’attore (noi siamo propensi a credere che queste qualità del Besozzi dovessero avere la parte preponderante), l’attore Besozzi riuscì quindi a creare sullo schermo un tipo, non meno personale del De Sica, pervenuto tanto di più in grazia del pubblico. Specialità del Besozzi furono egualmente le parti d'innamorato alquanto maturo e serio, non soltanto per età, ma per carattere, per posizione sociale, per disposizione dell'animo incline alla moderazione. e a tutti i più nobili sentimenti, e infine naturalmente perchè la trama del film quasi sempre lo indicava a questa parte. Egli impersonò, tanto per intenderei, un tipo di protagonista quale tante volte ha impersonato, sul cinema americano, William Powell. alle cui interpretazioni costami, e alla cui tecnica d'attore, quelle del Besozzi possono in qualche modo paragonarsi. Distinzione del Besozzi fu anche quella di presentarsi nei panni che un uomo qualunque del medio ceto porta di solito indosso; niente ne! suo vestito ricordò mai che si aveva a che fare col cinematografo, e perciò con un personaggio di finzione, e questo particolare che ha la sua importanza, felicemente si aggiunse agli altri, e rifinì meglio la sua personalità d'attore.

Già abbiamo accennato al genere di film a cui Besozzi si dedicò, e che furono, si potrebbe dire, la sua specialità. Un genere medio, atto a fornire una produzione numerosa, e prcss’a poco allo stesso livello di qualità. Fu evidentemente (ed è perchè dura tuttora, ma con resultati generalmente inferiori a quelli già offerti) un genere limitato, fatto, ripetiamo, a serie, e che cercò di ricoprire il fabbisogno di un mercato ricco di richieste; nel frattempo alcuni registi si dedicarono è vero, a opere più ambiziose, anche con buoni risultati, ma essi non fecero ricorso al Besozzi, non sappiamo perchè, e a noi manca ora per dare un giudizio di lui che sia un un po' più complesso di quello pieno di simpatia, ma fornito di limiti, che siamo costretti a dare, di averlo visto lavorare nelle mani di uno o l’altro di quei registi volenterosi e pieni d'impegno, e insomma affrontare difficoltà superiori a quelle che non abbia mai affrontate, magari in un qualche con fasto col suo più autentico, ma anche più comodo, temperamento. E' obbligo, però, riconoscere che alcuni film i quali, pur appartenendo a quella produzione media (e s'intende, non solo di resultali, ma anche e dichiaratamente d'intenti) ebbero sugli altri un meritato risalto, rimasero più a lungo nella memoria del pubblico, e furono persino presi a modello, sono debitori per buona parte al Besozzi della loro fortuna, che accentrando su di sè, sulla sua misurata recitazione e in fondo sulla propria esperienza che serviva da equilibratore, il peso della trama più o meno esile, più o meno d’intreccio, offriva la sicurezza di un esito almeno soddisfacente.

Quale fosse poi la sostanza di questi film, il loro significato umano, ciascuno lo ricorderà. Un equivoco senza gravi conseguenze, anzi tutt’altro, se conduceva difilato al matrimonio due che parevano fatti l’uno per l’altro ; un intervento prezioso per quanto riservato, che al momento giusto salvava la protagonista dal commettere una pazzia e la conduceva anche essa, tanto per cambiare, al matrimonio che più era indicato per lei, un amore timido, senza speranza, che vegetava nell’ombra e improvvisamente scopriva che le sue probabilità d'essere accolto erano grandi, e che soltanto la timidezza spingeva a travedere; ecco i soggetti dei più rosei tra quei parti cinematografici. Erano venute di moda anche le canzoni ; ogni film doveva avere la sua, che accompagnasse lo scorrere della pellicola con le più ingegnose variazioni del motivo dominante, che poi nei momenti più acconci veniva addirittura ripetuto nel metro originale, come un ritornello. Aleggiava allora sulla trama già dì per se zuccherina questo supplemento di miele musicale, come un’ultima spolveratura, come il velo che si mette sulla torta finita di cuocere; anche Besozzi, benché mai si abbandonasse al canto come solista, come fece il suo rivale in arte e in amori, De Sica, si lasciò tentare più d’ima volt» dal coro, magari anche soltanto da un coro u due.

Piuttosto fragile era dunque la capacità di esprimere sentimenti umani che questi film possedevano ; ma piuttosto che sentimenti, sentimentalismi, vezzi del cuore, un bagaglio di moti dell'animo interamente prevedibile, e, come dire, alquanta vieto, ma con molta grazia. Molte lacrime, molti sospiri, molti sorrisi, ma nessuna tragedia, nessun dramma, persino nessuna gioia che potesse raggiungere vibrazioni drammatiche. Di questi ingredienti, dopo i registi, Nino Besozzi fu il manipolatore, o meglio l'esibitore, più abile e insieme discreto, e che oggi abbia diradate o addirittura interrotte, le sue comparse sullo schermo, potrebbe voler dire che in cinematografia italiana ha ormai altri indirizzi, vuole rispondere ad altri impegni più sostanziosi, come difatti risponde. Ma nessuno ci farà mai credere che Besozzi sopporti oggi le conseguenze della sua scrupolosa fedeltà a un genere che dovrebbe aver ormai fatto il suo corso. Forse la sua assenza dagli schermi è soltanto un ritorno al teatro. Che, alla propria volta, potrà venire nuovamente tradito.

Alessandro Bonsanti, «Film», 3 giugno 1939


1965 12 16 La Gazzetta di Mantova Nino Besozzi intro

— Si, provo un po’ di malinconia stasera a Mantova.

— Perché commendatore, forse perchè il pubblico è scarso? Alla fine mi sono stufato di porre questa domanda; possibile che i Mantovani continuino a dimostrare cosi scarso interesse per il teatro e per i suoi interpreti?

Ma Besozzi scuote il capo, la sua malinconia affonda le radici in qualcosa di più profondo, di più personale, nel pensiero costante che l'accompagna: quello della moglie sofferente. Deve essere molto triste e doloroso per un attore recitare un lavoro brillante, cercare di far scaturire l'ilarità negli spettatori, quando tutto nel suo essere si ribella all’allegria. Ma la finzione del palcoscenico che condiziona i suoi eroi alla spersonalizzazione assoluta, pretende anche che essi facciano tacere il proprio dolore.

Si, il teatro sa anche essere molto crudele. Una nuova ondata di ammirazione si alza in me, ammirazione per quest’uomo che per lunghi anni ha fatto della propria arte l’epicentro dell’esistenza e che prodigandosi appassionatamente per essa, ha saputo apportare al Teatro il dono prezioso di un talento che attraverso il suo amore generoso si è impreziosito nitidissamente.

Un pulsare vivo di successi che ancora si rinnovano puntuali, oltre la inevitabile stanchezza del tempo che nulla ha potuto sul suo spirito e che lo ha lasciato intatto e miracolosamente giovane; una sottile malinconia che a dispetto di quei successi si insinua nell'animo di Besozzi.

Sai — mi dice con quella spontaneità che gli fa abbandonare il « lei » formale e con la quale intende avvicinarsi a tutti i suoi interlocutori — qualche volta tornando in u-na città mi vien fatto di pensare che può essere l’ultima. E questo mi rattrista sempre. Alla mia età si pensa alla morte.

L’immagine della morte ci porta a ricordare l’ultima grande scomparsa del nostro teatro: Emma Gramatica.

« Che grande amore per il teatro era mai il suo, che forza nella sua fragile persona. Ne ho visti di ammalati di teatro nella mia vita, ma come lei non ne ho conosciuti altri. Viveva per il teatro nel senso più assoluto e sognava di morire in palcoscenico, invece è morta pratica-mente in televisione, poco dopo aver finito di registrare "Cala il sipario”. Che atroce simbolismo in questa coincidenza! ».

— Come mai commendatore ha lasciato il TDN col quale collaborava da tanto tempo?

— Attendevo una risposta dalla direzione del Sant'Erasmo, la risposta è giunta tardi: io avevo già accettato l’offerta dello Stabile di Trento e Bolzano perché mi era sembrata interessante e sono contento di averlo fatto; è una ottima Compagnia e lavorando con essa ho conosciuto delle belle soddisfazioni, la critica ha molto elogiato i nostri spettacoli. Sia in «Mercadet » che nel « Ventaglio » abbiamo riportato dei notevoli successi, adesso stiamo allestendo «Le case del vedovo ». Mi spiace solo che nel nostro «giro» non sia prevista una tappa a Milano.

—Ha già dei programmi per i prossimi mesi?

— Sono impegnato con questo organico fino a marzo, poi non so cosa succederà! La nostra vita è un po’ legata alle telefonate; ti dicono: c’è da fare questo e quest’al-tro. Va bene, dove e quando?... e cosi si parte per una nuova avventura.

— Che ne pensa dei Teatri Stabili?

— Vanno bene, in fondo adesso girano anche loro, quindi in pratica fanno quello che han sempre fatto le cosiddette « compagnie di giro ». Girano da una città all’altra.

— Questa attività tanto compulsa e dispersiva, non la stanca qualche volta?

— Qualche volta? Sempre mi sento stanco ma non in conseguenza alla mia attività artistica, non solo per quella almeno, è la vita con le continue sorprese spesso sgradevoli, che ci riserba, con gli imprevisti, con le pressioni, che mi logora i nervi, negandomi quella tranquillità che sarebbe tanto necessaria per recitare. Oggi purtroppo siamo tutti pazzi, la nostra è un'epoca strana e nel suo affanno e nel suo orgasmo siamo sovente costretti a dimenticare noi stessi.

— Cosa consiglierebbe ad un giovane che si presentasse a lei chiedendole dei lumi per intraprendere la carriera di attore?

— Gli consiglierei di dedi carsi a qualsiasi attività lontana dal teatro. Tutti i mestieri, tutte le carriere, me no che quella dell'attore.

Quando aveva dieci anni mio figlio mi disse che volo va fare l’attore da grande. Io gli risposi che lo avrei strozzato piuttosto di lasciar glielo fare. Adesso fa il cantautore! Ed io non ne sono per niente contento; per seguire la sua passione trascura gli studi, ha perso un anno ed ora dovrà recuperarlo facendone due in uno. Certo è stato anche colpa del terribile momento che abbiamo passato, noi due soli a casa con mia moglie all'ospedale.

— Non c’è stato proprio nulla di buono in questo periodo nero?

— Sì, ho ottenuto una soddisfazione notevole come autore! già, ho scritto un libro autobiografico intitolato «Cosa farai quando sarai grande?» che è stato accolto con molto interesse dai critici i quali si sono espressi in termini assai lusinghieri nel miei confronti. Capita sempre cosi quando ci si accinge ad un’impresa quasi per scherzo, mentre se si fa sul serio si rischiano delle terribili fregature! Il libro inizia in una mattina di neve, io mi sveglio, guardo fuori dalla finestra e comincio a sognare della mia vita passata. Poi mi riaffaccio alla realtà presente e tronco il filo dei ricordi, per la precisione li abbandono verso il ’46 perchè per le cose antiche la memoria si rivela ferrea ma quelle moderne non si rammentano più! Nel mio flash back, ritorno alla mia vita di studente e ricordo tre dei miei compagni che oggi sono diventati personaggi celebri, Zacco, Tremelloni, Merzagora. Sapevi che Merzagora scrive commedie? Della sua prima commedia io fui il primo interprete, s’intitolava «L’amore e l’ideale»; ne ha scritte altre oltre a quella, ma ora deve tenerle nel cassetto.

— Cos’è che la infastidisce maggiormente nell’uomo moderno, commendatore? Uomo più o meno di teatro.

— Sia nell'uomo di teatro che in quello della strada oggi mi infastidisce l’enorme dilatarsi dell’ egocentrismo, Tutti si danno grandi arie, tutti dicono ’io’ con la I maiuscola, mi fanno ridere le arie, mi fanno compassione certe maiuscole!

A me hanno sempre rimproverato di essere umile, semplice, alla mano, certi dicono che non è bello che un attore scenda dal suo piedistallo per conversare con i comuni mortali. Come se fossimo diversi gli uni dagli altri! Io sono sempre stato un uomo cosi, alla mano, e non voglio cambiare. So non sono d’accordo con me. che mi lascino perdere. Do del tu a tutti, parlo con tutti perchè mi piace, perchè amo sentirmi vivere in mezzo al miei simili. Credo nell’uguaglianza degli uomini, nel 'comunismo' della fine: prima o poi saremo tutti in pasto al vermi. Che senso avrà avuto allora il darsi dello arie?

«Gazzetta di Mantova», 16 dicembre 1965


Filmografia

La segretaria privata, regia di Goffredo Alessandrini (1931)
Paradiso, regia di Guido Brignone (1932)
Cercasi modella, regia di Emmerich Wojtek Emo (1932)
Una notte con te, regia di Emmerich Wojtek Emo e Ferruccio Biancini (1932)
T'amerò sempre, regia di Mario Camerini (1933)
Non sono gelosa, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1933)
Non c'è bisogno di denaro, regia di Amleto Palermi (1933)
Il presidente della Ba. Ce. Cre. Mi., regia di Gennaro Righelli (1933)
Frutto acerbo, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1934)
Come le foglie, regia di Mario Camerini (1934)
Kiki, regia di Raffaello Matarazzo (1934)
Il serpente a sonagli, regia di Raffaello Materazzo (1935)
30 secondi d'amore, regia di Mario Bonnard (1936)
Vivere!, regia di Guido Brignone (1937)
Ho perduto mio marito, regia di Enrico Guazzoni (1937)
Nina, non far la stupida, regia di Nunzio Malasomma (1937)
I due misantropi, regia di Amleto Palermi (1937)
Eravamo 7 sorelle, regia di Nunzio Malasomma (1937)
Duetto vagabondo, regia di Guglielmo Giannini (1938)
Amicizia, regia di Oreste Biancoli (1938)
La dama bianca, regia di Mario Mattoli (1938)
Mille chilometri al minuto!, regia di Mario Mattoli (1939)
La danza dei milioni, regia di Camillo Mastrocinque (1940)
Barbablù, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1941)
Non mi sposo più, regia di Erich Engel (1941)
Rossini, regia di Mario Bonnard (1942)
La signorina, regia di Ladislao Kish (1942)
La maestrina, regia di Giorgio Bianchi (1942)
La maschera e il volto, regia di Camillo Mastrocinque (1942)
Tre ragazze cercano marito, regia di Duilio Coletti (1943)
La resa di Titì, regia di Giorgio Bianchi (1945)
Abbasso la miseria!, regia di Gennaro Righelli (1945)
Lo sciopero dei milioni, regia di Raffaello Matarazzo (1947)
Arrivederci, papà!, regia di Camillo Mastrocinque (1948)
L'ultimo amante, regia di Mario Mattoli (1955)
Accadde al penitenziario, regia di Giorgio Bianchi (1955)
Porta un bacione a Firenze, regia di Camillo Mastrocinque (1955)
Destinazione Piovarolo, regia di Domenico Paolella (1955)
La fortuna di essere donna, regia di Alessandro Blasetti (1956)
Classe di ferro, regia di Turi Vasile (1957)
Vacanze a Ischia, regia di Mario Camerini (1957)
La legge è legge, regia di Christian Jaque (1958)
Costa Azzurra, regia di Vittorio Sala (1959)
Walter e i suoi cugini, regia di Marino Girolami (1961)
Whisky a mezzogiorno, regia di Oscar De Fina (1962)
Scusi, lei è favorevole o contrario?, regia di Alberto Sordi (1966)
Il terribile ispettore, regia di Mario Amendola (1969)
Arrivederci all'inferno, amici!, regia di Juraj Jacubisko (1970)

Prosa televisiva

RAI

Il ladro sono io, commedia di Giovanni Cenzato, con Flora Lillo, Nino Besozzi, Gino Pernice, Armando Bandini, Milla Vannucci, Elisa Pozzi, Leonardo Cortese, Isa Pola, regia di Giancarlo Galassi Beria, trasmessa l'8 novembre 1957.
I racconti del maresciallo, serie televisiva tratta dall'omonimo libro di Mario Soldati, con Turi Ferro, regia di Mario Landi, 1968.