De Laurentiis Dino (Agostino)

 Dino De Laurentiis bio

All'anagrafe Agostino De Laurentiis (Torre Annunziata, 8 agosto 1919 – Beverly Hills, 10 novembre 2010), è stato un produttore cinematografico italiano, fratello di Luigi De Laurentiis e zio di Aurelio De Laurentiis.

Biografia

Il giovane Dino, come era soprannominato sin da piccolo, crebbe per le strade di Torre Annunziata vendendo gli spaghetti prodotti dal piccolo pastificio del padre.

Il suo ingresso nel mondo del cinema avviene, insieme con la decisione di intraprendere la carriera di attore, quando si reca a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia, appena inaugurato, nel biennio 1937-1938. Fra i suoi esordi come attore vi è quello nel film Troppo tardi t'ho conosciuta del regista Emanuele Caracciolo. Basta poco però, al giovane Dino, per trovare la sua vera strada: "dopo essersi guardato allo specchio" - secondo le sue parole[senza fonte] - decide di spostarsi dietro la macchina da presa, intraprendendo la fortunata carriera di produttore.

Inizia subito, dunque, a produrre film. Il primo risale al 1940, L'ultimo combattimento di Piero Ballerini, al quale seguiranno circa 150 film durante tutto il corso della sua lunga e prestigiosa carriera.[senza fonte]

Il primo vero successo arriva con L'amore canta del 1941, una commedia degli equivoci, remake di un film svedese. Successivamente, nel 1942, è produttore esecutivo sul "set" di Malombra, dove supera i dubbi del produttore Gualino dovuti alla sua ancor giovane età e si impone quale efficace professionista[1]

Dal 1946 (con il film Il bandito di Alberto Lattuada) Dino per quasi vent'anni, fino al proprio trasferimento negli Stati Uniti, è affiancato dal fratello maggiore Luigi De Laurentiis.

Lux Film

Entra alla Lux Film, diventando produttore esecutivo cinematografico, giocando un ruolo di prim'ordine per la rinascita del cinema italiano nel dopoguerra. Lo scrittore-giornalista, cineproduttore e studioso d'arte Valentino Brosio, che concorse, dalla seconda metà degli anni trenta alla fine degli anni cinquanta, all'affermazione della Lux Film con il trasferimento a Roma di questa società fondata a Torino da Riccardo Gualino, ricordò così l'esordio di De Laurentiis:

«I direttori di produzione che scritturai per i vari film furono Marcello Caccialupi, Fabio Franchini e altri, tra i quali un giovane che Gualino era in dubbio se accettare (lo aveva proposto Soldati) non sapendo quanta esperienza avesse, e lasciò a me il compito di indagare. Invitai l'interessato ad un colloquio, in seguito al quale dissi a Gualino: "Forse non sempre troverà la soluzione più economica ai problemi, ma è certo che è un ragazzo che non si fermerà mai!". Infatti, non si fermò mai. Era Dino De Laurentiis...[2]»

Tra i tanti film prodotti in questo periodo si possono ricordare Riso amaro (1948) di Giuseppe De Santis, Napoli milionaria (1950) di Eduardo De Filippo, Dov'è la libertà? (1954) di Roberto Rossellini, Miseria e nobiltà (1954) di Mario Mattoli e La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, con Alberto Sordi e Vittorio Gassman, Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia.

La Ponti-De Laurentiis

Nel 1948 si dedica alla ristrutturazione degli stabilimenti di produzione "Teatri della Farnesina", ex Safir, dando vita alla "Ponti-De Laurentiis" insieme all'amico Carlo Ponti, per la prima volta con studi propri a disposizione.


Non sarei così sicuro che la “Rosa Film” appartenesse al solo Ponti. Per me, c’era anche di mezzo Luigi De Laurentiis, fratello di Dino e padre di Aurelio. [...] Di Ponti, ricordo soprattutto l’ultimo incontro che ebbi con lui. Una lite selvaggia perché cercò di non pagarmi l’ultima rata, quella che di solito si paga alla consegna della copia campione. Anzi - ci ripenso e ne sono sicuro - non me la pagò affatto. Mi disse: “Io, in questo film (Totò e Carolina, n.d.r.), ci rimetto”. Ed io, allora gli diedi del ladro davanti a tutti.

Mario Monicelli


Uno dei primi successi prodotti dalla nuova etichetta è Guardie e ladri (1951), di Steno e Monicelli, poi Totò a colori (1952) (il primo film a colori mai realizzato in Italia) di Steno, al quale fanno seguito numerosi altri importanti opere, come Europa '51 (1952) di Roberto Rossellini, Anni facili (1953) di Luigi Zampa, fino alla consacrazione definitiva con La strada (1954) e Le notti di Cabiria (1957) di Federico Fellini, due film che vinceranno entrambi il premio Oscar per il miglior film straniero, dopo quelli vinti da Vittorio De Sica con Sciuscià (1947) e Ladri di biciclette (1949)

A proposito di questo periodo, lo stesso produttore ha dichiarato in un'intervista che "il neorealismo fu inventato dai giornali. Affermarono che alcuni registi e sceneggiatori vollero fare il neorealismo. Ma non è vero. L'industria italiana del cinema era così povera che non c'erano soldi per gli studios, per creare dei set, per andare dappertutto. Così si doveva girare tutto per strada." Gli studi "Ponti-De Laurentiis" sopra citati sono oggi sede dell'istituto professionale per la cinematografia e la televisione Roberto Rossellini di Roma.

Dinocittà

Costruisce dei nuovi teatri di posa, sempre nei dintorni di Roma, sulla via Pontina al km 23,270, chiamati "Dinocittà", dove sono stati anche girati numerosi film con star hollywoodiane, come Guerra e pace (1956) di King Vidor con Henry Fonda e Audrey Hepburn, Barabba (1961) di Richard Fleischer con Anthony Quinn, La Bibbia (1966) di John Huston con George C. Scott, Ava Gardner, John Huston stesso e Peter O'Toole, Lo sbarco di Anzio (1968) di Duilio Coletti con Robert Mitchum e Waterloo (1970) di Sergej Bondarcuk con Rod Steiger e Orson Welles.

1972: Legge Corona e trasferimento negli Stati Uniti

Nel 1972 la legge italiana sul cinema cambia: i sussidi vengono riservati solo ai film con il 100% di produzione italiana (fino ad allora bastava il 50%), e De Laurentiis decide di trasferirsi negli Stati Uniti, dove fonderà la De Laurentiis Entertainment Group.

In America continua a produrre grandi successi: Serpico (1973) di Sidney Lumet, I tre giorni del condor (Three Days of the Condor) (1975) di Sydney Pollack, Il giustiziere della notte (Death Wish) (1974) di Michael Winner, Conan il barbaro (Conan the Barbarian) (1982) di John Milius, L'anno del dragone (Year of the Dragon) (1985) di Michael Cimino, e anche alcuni remake come il King Kong (1976) di John Guillermin o Il Bounty (The Bounty) (1984) di Roger Donaldson con Mel Gibson, ma anche alcuni flop al botteghino, come Dune (1984) di David Lynch o Tai-Pan (1986) di Daryl Duke.

Ultimi anni

Nel 1990 realizza Ore disperate (Desperate Hours) (1992), ancora di Michael Cimino (un'operazione rischiosa, dato che il regista statunitense era considerato il responsabile del fallimento della United Artists, e conseguentemente bandito da Hollywood), e Body of Evidence - Il corpo del reato (1992) di Uli Edel, con Madonna, mentre, tra i titoli più recenti si ricordano il thriller Breakdown - La trappola (1997) e U-571 (2000) di Jonathan Mostow.

La filosofia che ha portato al successo De Laurentiis può essere ben compresa grazie alla sua dichiarazione alla Mostra del Cinema di Venezia 2003, dove ha ricevuto il Leone d'Oro alla carriera: "Il problema dei registi italiani è che vogliono fare i film con un occhio alla critica. Noi però siamo show-man e dobbiamo fare film solo per il pubblico. Ora voglio dimostrare al cinema italiano che ci sono grandi storie da raccontare. Ho voglia di tornare in Italia a lavorare per fare dei film che riescano ad uscire dall'Italia".

Nel corso della serata di premiazione degli Oscar del 2001 ha ricevuto l'Irving G. Thalberg Memorial Award. Infine è stato anche membro della giuria dell'Academy of Motion Picture Arts and Sciences per il Premio Oscar.

Nel 2008 partecipa al documentario Il falso bugiardo di Claudio Costa, dedicato allo sceneggiatore Luciano Vincenzoni, suo amico, che lavorò con lui, frequentandolo sia in Italia che a Hollywood per almeno 30 anni. Con Vincenzoni, anche se il rapporto ebbe momenti di stallo dovuti ad incomprensioni reciproche, De Laurentiis realizzò il capolavoro La grande guerra, e molti altri film tra cui I due nemici, Il gobbo, Roma bene, seguiti poi da L'orca assassina e Codice Magnum.

Lucio Trentini è stato il suo organizzatore per tutta la sua carriera professionale, con l'assistente Gianfranco De Rosa oggi Produttore Esecutivo.

Muore per cause naturali il 10 novembre 2010 a Beverly Hills[3].

Successivamente al suo funerale tenutosi a Beverly Hills, al quale hanno preso parte nomi noti dello star system hollywoodiano, le spoglie sono state tumulate nella tomba di famiglia presso il cimitero di Torre Annunziata, accanto a quelle del fratello Luigi. Ha avuto sei figli: Veronica, Raffaella, Federico e Francesca avuti da Silvana Mangano con la quale si era sposato nel 1949; Carolyna e Dina, avute dalla sua seconda moglie Martha Schumacher con la quale si era sposato nel 1990. Anche suo fratello Luigi è stato un produttore e il nipote Aurelio è un produttore cinematografico. Nel 2012 gli è stato attribuito il Premio America alla memoria della Fondazione Italia USA.[4]


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

1950 06 16 SIIllustrata Ponti De Laurentiis intro

Tutte le difficoltà in cui si dibatte la cinematografia italiana, tutti i problemi che ne derivano e tutti gli ostacoli che si oppongono alla loro soluzione, traggono origine da un vizio costituzionale: il suo mancato organizzarsi in industria, il suo vivere in una primitiva condizione artigianale.

Che l'organizzazione industriale del cinematografo sia la chiave di tutti i problemi, lo hanno finalmente capito i due più giovani, intraprendenti produttori italiani, Carlo Ponti e Dino De Laurentis, ai quali si devono molti dei maggiori successi artistici o finanziari di questi ultimi anni. «Che cosa possono fare, dicono, i produttori isolati senza il peso di una stabile struttura industriale che li sostenga e guardi loro le spalle? E' un po’ quanto avviene in politica: un uomo, per quanto abile e rappresentativo, non conta se non ha la "base” di un partito sulla quale appoggiarsi e far leva. Noi ci si batte inutilmente da anni per ottenere una limitazione ragionevole alle esuberanti importazioni di film stranieri (l’anno scorso se ne sono importati 508, un centinaio in più del totale fabbisogno annuale italiano); ma provate se siete capaci, a importare una sola automobile... L'industria automobilistica è riuscita con estrema facilità ad ottenere dieci, cento volte di più di quanto chiede un cinema senza industria. E altrettanto è stato ottenuto in altri settori produttivi i cui operai, se non i dirigenti alle cui fortune sono legati, pensano a difenderne i diritti».

1950 06 16 SIIllustrata Ponti De Laurentiis f1Dino De Laurentis, la moglie Silvana Mangano, e Carlo Ponti sul balcone della loro nuova casa cinematografica. Dino de Laurentis è napoletano, ha frequentato il centro sperimentale di cinematografia ed ha fatto anche l’attore. Carlo Ponti è un avvocato milanese il quale è entrato nel cinema circa dieci anni or sono.

Era l’uovo di Colombo; ma bisognava pensarci. Non appena se ne sono convinti i due produttori si sono messi all'opera e, scioltisi dalla Lux per la quale lavoravano, ninno fondato la società Ponti-De Laurentis. Che cosa ci vuole, si son chiesti, per fare un film? Teatri di posa, stabilimenti di sviluppo e stampa, imprese di arredamento, sartorie teatrali? Ebbene li avremo: faremo tutto da noi e risparmieremo.

Rilevato dall’Enal il deposito dei Carri di Tespi lirici e di prosa fuori Porta San Paolo, Ponti e De Laurentis vi hanno sistemato con opportuni adattamenti cinque grandi e modernissimi teatri con tutti gli indispensabili accessori: centrale elettrica, sale di montaggio, sale di registrazione sonora, sala di proiezione, camerini falegnameria, magazzini. In questi teatri, che saranno pronti a giugno, stanno trasportando le istallazioni tecniche (macchine da presa, trucks sonori, parchi lampade) dei vecchi stabilimenti della Farnesina dei quali era già proprietario De Laurentis e in questi ultimi hanno impiantato una sartoria per i costumi e un cantiere per l'arredamento delle scene. Si sono infine associati allo stabilimento di sviluppo e stampa Catalucci, adiacente ai teatri di San Paolo, completando così l’attrezzatura industriale della nuova società.

La produzione della Ponti-De Laurentis è cominciata con due film comici che sono già pronti per il lancio: «Napoli milionaria», che segna il debutto alia regia di Eduardo De Filippo, il quale, oltre ad aver ricavato il soggetto dalla sua notissima commedia, l’ha interpretato insieme a Totò, e «Vita da cani» con Gina Lollobrigida, Delia Scala, Tamara Lees e Fabrizi che, abbandonato l’istrionico gigionismo delle sue ultime interpretazioni, torna al felice e originario genere di macchiettista. Col prossimo giugno, messi a punto i teatri, inizieranno la nuova produzione secondo un piano che prevede una media di sei od otto film l'anno studiati e preparati con la metodica calma consentita dalla libera disponibilità degli impianti industriali e dei quadri artistici di cui si sono assicurati in tempo la collaborazione.

«Potremo finalmente lavorare in pace senza sudare sette camicie per far guadagnare gli altri. Perchè, sembra impossibile, non abbiamo mai dovuto faticare tanto quanto per convincere chi ci finanziava a lare i film che hanno reso di più: e ne abbiamo fatti da «Vivere in pace» a «Totò cerca casa», che in pochi mesi ha superato i 350 milioni di incassi battendo tutti i records precedenti! Naturalmente la nostra produzione sarà graduata nei generi e nell’importanza; ma pur dando necessariamente la prevalenza ai film commerciali (sono essi che fanno vivere l’industria), non trascureremo quelli di impegno artistico. Ne abbiamo uno in progetto che Giuseppe De Santis girerà nel prossimo inverno: un adattamento moderno dei «Promessi sposi» ambientato in Sicilia».

Gli altri film saranno «I fratelli nemici» ispirato dal romanzo di Stevenson «The master of Ballantrae» con Nazzari, Gassman e Girotti; «Musolino» che, riprendendo un progetto di De Sica, narrerà la storia del famoso brigante per l’interpretazione di Nazzari e la regia di Steno e Monicelli; un film comico interpretato dal nuovo comico Scotti (una specie di Gróucho Marx milanese) e Fabrizi e, infine, un grande film avventuroso che sarà anche il primo film a colori girato in Italia.

Ermanno Contini, «La Settimana Incom Illustrata», 18 marzo 1950


1951 12 22 Epoca Carlo Ponti intro

«Epoca», 22 dicembre 1951 - Carlo Ponti e Dino De Laurentiis


1953 06 01 Cinema Nuovo Ponti De Laurentiis

Il problema degli attori in Italia - Rispondono i produttori

«Cinema Nuovo», anno II, n.12, 1 giugno 1953


1961 06 11 Epoca Dino De Laurentiis intro

Il produttore ha concepito il più colossale progetto della storia del cinema: tradurre tutta la Bibbia in un film diretto dai dieci più quotati registi del mondo.

Roma, giugno.

Parlando con Dino de Laurentiis mi tornava in mente una vignetta apparsa su un giornale umoristico tanti anni fa. C’erano due casse, una delle quali assai più grande dell’altra. Sulla sommità e sulla base della più piccola era scritto il solito avvertimento per il trasporto : «alto» «basso» ; sull’altra si leggeva: «altissimo» «bassissimo». Tutto ciò che De Laurentiis fa è irresistibilmente «issimo», maggiore in tutte le dimensioni, larghezza, lunghezza, profondità, costo, impegno, clamore, di qualche altra cosa: o di film fatti da altri, o di suoi film precedenti, o anche di una sua stessa idea del giorno prima. Questo, in senso relativo. In senso assoluto, quel che mette in cantiere e cui tiene particolarmente è sempre grandioso, titanico. Prendiamo La Bibbia, il film che adesso sta preparando e per la cui realizzazione si ritirerà per tre anni da ogni altra produzione diretta: sarà il film più grosso, nel senso della dimensione e quantità, che mai sia stato fatto.

1961 06 11 Epoca Dino De Laurentiis f1

«Nell’ottobre scorso», mi raccontava De Laurentiis, «andai come tutti gli anni a fare una settimana di fanghi ad Ischia, e portai con me un volume della Bibbia. Stavamo sceneggiando il Barabba, io non ero d’accordo su certi punti e volevo leggere tutto quello che riguardava il personaggio. Risolto il problema di Barabba, mi venne voglia di leggere il resto. Mi accorsi che la Bibbia era già di per sé una sceneggiatura cinematografica. Si poteva prendere qualsiasi episodio e trasportarlo in film. Però mi venne subito l'idea di raccontare cinematograficamente tutta la Bibbia.»

Ecco il processo d’ingrandimento che caratterizza De Laurentiis. Gli succede come a uno che comincia a fantasticare di farsi una casetta in campagna, e dopo un poco pensa: «Già che ci sono, perché non immaginarla più grossa?», e cedendo sempre a questo invito irresistibile finisce con l’immaginare un castello con parco e tenuta. Solo che De Laurentiis non immagina soltanto, ma fa, e fa immediatamente.

«Mi resi subito conto della lunghezza di un film del genere: 10-12 ore di programmazione.»

«E non pensò di sintetizzarlo, di ridurlo?» «No. E perché?» Nella sua espressione piuttosto opaca, pochissimo variabile, c’era un barlume di meraviglia. La riduzione è per lui inconcepibile. De Laurentiis è come una macchina priva di marcia indietro. «Capivo bene che nessuno ce l’avrebbe fatta a star seduto dieci ore in un cinema. Allora decisi di tornare al film a puntate che si usava ai tempi del muto, e fare tre opere: dividendo il Vecchio Testamento in due film, e dedicando al Nuovo Testamento il terzo. Restava il problema della qualità. Non volevo fare un polpettone oleografico. Ed esiste un regista che abbia il fiato per dirigere un film la cui lavorazione durerà tre anni? Vidi che ogni episodio della Bibbia si prestava ad essere tradotto in cinema con uno stile diverso. Dopo averne discusso a lungo...»

«Con chi?» De Laurentiis sorvolò la domanda con frédda incomprensione. Era chiaro: ne aveva discusso con se stesso. O al massimo qualche; suo collaboratore gli era servito da cassa armonica per rendere più risonanti e convincenti le sue idee. «Decisi», seguitò, «di affidare gli episodi a dieci registi diversi. I dieci registi più quotati di tutto il mondo.»

Lo interruppe una telefonata. Un vecchissimo film con Alberto Sordi era stato riprogrammato come nuovo e importante: una vera truffa ai danni del pubblico e dello stesso protagonista. Occorreva l’intervento immediato del produttore e nascevano complicazioni legali. De Laurentiis diede qualche suggerimento; ma, non appena colse dall’altra parte interrogativi e perplessità, tagliò corto: «Ci penso io». In quel momento si affacciò alla porta un signore angosciato, sempre per la faccenda del film di Sordi : «Non vi preoccupate», gli disse De Laurentiis, «tutto risolto.» La grana, insomma, era già risolta prima che lui avesse avuto il tempo di pensarci, per il semplice fatto che lui ci avrebbe pensato.

1961 06 11 Epoca Dino De Laurentiis f2

«Poi, si presentò il problema religioso, forse il più grave. La mia Bibbia deve andare in tutto il mondo, e non è possibile raccontarla soltanto secondo l’interpretazione cattolica. Bisogna trovare per ogni episodio un’interpretazione dove concordino tutti. Per fortuna, il Vaticano ha accettato di far collaborare i suoi esperti di studi biblici con gli specialisti appartenenti ad altre religioni. Così, sto costituendo un gruppo di studiosi cattolici, protestanti, ortodossi, israeliti e musulmani che risiederanno a Gerusalemme e cureranno la consulenza storica e teologica del film. Non faccio passi falsi, io. Per esempio, Caino ammazzò Abele, poi ebbe una lunga discendenza. Con chi? Io vi ho fatto già vedere la creazione del mondo, il paradiso terrestre: tutto fila, tutti d’accordo. Ma qui cominciano i guai, perché di altre donne non ce ne sono, c’è soltanto Eva. Dunque: finché i miei studiosi, tutti d’accordo, nessuno escluso, non mi dicono: “Sta’ tranquillo, Dino, Caino procreò

Altra chiamata telefonica. «-Sì, comincio a girare oggi», disse al microfono De Laurentiis : «Ho preso Kennedy.» Bene, vi giuro che se in quel momento mi avesse detto che il Kennedy scritturato era proprio quello che per primo viene in mente, non avrei trasalito di meraviglia. Fu De Laurentiis a precisarmi, tanto perché non mi facessi un’idea esagerata del suo potere: «È il Kennedy attore di Broadway».

«Molto grave», riprese, «sarà il problema messianico. Per noi il Messia c’è, per gli ebrei deve ancora arrivare, per i musulmani non ricordo bene come sta la faccenda. Però non è il caso di mettersi fin da ora le mani nei capelli. Nei primi due film, che riguardano il Vecchio Testamento, al Messia si accenna appena. Il problema diventerà grosso nel terzo film, ma lo risolverò.» Lo disse con l’identico tono che aveva usato nel dichiarare risolto l’incidente del film di Sordi. Ma non si pensi che quest’uomo sia incapace di vagliare, di stabilire gerarchie di valori, e ponga sullo stesso piano il problema messianico e il piccolo imbroglio dà programmazione cinematografica estiva. Tutt’altro. Semplicemente, la sua forza è uniforme, non varia a seconda dell’importanza degli ostacoli, è forza di realizzazione in sé e per sé, indipendentemente dalle cose contro le quali urta. Fa pensare a un bulldozer che usando la stessa spinta schiaccia una caramella come spiana una casa.

«Quanto al finanziamento, nessuna difficoltà. La Bibbia verrà a costare da 35 a 40 milioni di dollari: da venti a trenta miliardi di lire. Finora ho detto a tutti di meno, ed è la prima volta nella storia del cinema che si annuncia per un film una spesa inferiore a quella reale prevista. L’ho fatto perché la cifra era tanto grossa che molti non ci avrebbero creduto. Ma le grandi case americane di produzione lottano a coltello per entrare nel finanziamento, e i banchieri svizzeri mi spalancano le casseforti. So già quanto questo film incasserà al primo round, cioè nei primi dieci anni: 100 miliardi. Perché questo è un film che durerà per generazioni e generazioni. Tutti impareranno la Bibbia vedendolo. Io faccio questo semplice ragionamento: se i testi della
Bibbia resistono da 3000 anni, questo film resisterà almeno per un secolo. E lo sa quale sarà la sua forza? Il rispetto. Il rispetto assoluto dei testi.»

Questo imperativo del rispetto dell’opera da tradurre cinematograficamente è un vecchio punto fermo nella mente di De Laurentiis. Quando stava preparando Guerra e Pace, lo incontrai di sfuggita a Ciampino e gli chiesi se non temeva già allora le possibili reazioni della critica. «Il mio film»; rispose granitico,

«rispetterà talmente il romanzo, che voglio proprio vedere se i critici avranno il coraggio di bocciare Tolstoi.»

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A parte il fatto che il Guerra e Pace di De Laurentiis non fu per nulla fedele a quello di Tolstoi, e forse nemmeno la sua Bibbia lo sarà ai testi, questa fiducia nell’ossequio all’opera originale quale garanzia di successo può sembrare ingenua, e in parte lo è. Ma, come sempre accade per le ingenuità dei grossi realizzatori, diviene anch’essa un elemento che contribuisce per vie traverse ai suoi successi. De Laurentiis è estraneo alla cultura e all’arte, ma ne ha un rispetto sincero e non timoroso. L’arte, non sa che cosa sia né fa | molti sforzi per far credere che lo sappia. | Ma sa che esiste, che deve esistere, che un I suo film dov’essa è presente ha qualcosa in più che lui non saprebbe spiegare, ma che lo rende felice; perciò fa di tutto per indurre i suoi collaboratori a mettercela. Non fa - o

tra film commerciali o film d’arte. Non pensa : “Questo lo produco solo per far quattrini, e quest’altro, a costo di rimetterci, solo per dare al pubblico una cosa bella”. Anche i film a impostazione apparentemente solo commerciale, cerca - chiamando qualche sceneggiatore o regista «poeta» o presunto tale - di nobilitarli.

«Il produttore», mi disse a questo proposito allargando le braccia con aria che in un’altra persona si sarebbe detta di rassegnazione, «quando ha scelto gli elementi migliori per fare un film che abbia valore d’arte, non è responsabile se poi il film riesce brutto. Però», e qui la sua voce forte e roca prese un tono severo, «è responsabile dell'insuccesso del film come prodotto industriale.» Segui un ragionamento dove, a far bene attenzione, si può intravedere la natura del suo autentico talento di grande industriale. «Tutti i prodotti industriali possono avere successo o insuccesso, vendersi o meno una volta gettati sul mercato, ovvero si possono azzeccare o sbagliare. Per quanto siano studiati a perfezione in base ai calcoli e alle esperienze, por-
tano sempre una forte percentuale d’imprevisto. Il film, invece, proprio il film, che è considerato il prodotto più d'azzardo, si può, volendo, azzeccare con assoluta certezza. Perché prende forma via via, lo si può collaudare a mano a mano, e cambiare fino all’ultimo istante.»

Qui occorre un cenno ai metodi di De Laurentiis. Anzitutto, il produttore pone estrema cura alla divisione dei «giornalieri». Ogni troupe, dovunque sia dislocata, manda ogni giorno allo stabilimento romano di Via della Vasca Navale tutte le scene girate il giorno avanti, che De Laurentiis controlla minuziosamente in sala di proiezione. Queste visioni si chiamano «giornalieri». Ora, per esempio, i giornalieri arrivano da Roma, da Napoli e da Israele. L’operatore, da dietro i vetri della cabina, comprende subito se un brano è da considerarsi sbagliato e sarà rifatto; lo comprende quando il piede di De Laurentiis, poggiato su un tavolino di fronte alla poltrona, comincia a ballare.

Allorché il film è completo, poi, il produttore ne fa il montaggio da sé, alla «moviola». Però egli non si fida soltanto del proprio intuito. Finito il film, ne prende una copia, sale in macchina e corre in qualche paese vicino a Roma. Va in un cinema poco prima che inizi lo spettacolo, fa togliere la pellicola in programmazione e inserisce la sua. Il pubblico, che arriva per vedere un dato film e ne trova un altro, s’irrita immediatamente, anche se il film annunziato era vecchio e questo è nuovo. E proprio questo stato d’animo negativo è ciò che occorre al produttore per collaudare la sua pellicola. Durante la visione registra in una colonna sonora le reazioni del pubblico, vede se il film «prende» o no, in quali punti cade, se per caso fa ridere dove era previsto il pianto o viceversa. De Laurentiis afferma che le reazioni emotive del pubblico sono eguali sempre e dovunque, mentre variano quelle estetiche, cioè i giudizi sul valore artistico del film ; ma soltanto le prime incidono sul successo commerciale. Quindi, tale prova dà un’indicazione precisa. Tutte le parti che il pubblico non accetta, egli le butta via e rifà spietatamente. «È stupido», dice, «perdere trecento milioni con un insuccesso per non spenderne altri trenta per rifare ad esempio un finale che il pubblico rifiuta.»

Un collaudo simile fu fatto, in un cinema di Bracciano, con il film Crimen, che tutti i collaboratori di De Laurentiis avevano giudicato un fallimento. Agli indispettiti braccia-nesi, che si aspettavano un western e trovarono nel piatto una pietanza sconosciuta, il film piacque, e il produttore lo gettò sul mercato, matematicamente sicuro del successo. Ma come spiegava De Laurentiis la sua tendenza al colossale, al «più», all’«issimo», il suo gusto delle immense costruzioni, delle folle di attori delle troupes in viaggio per il mondo intero delle vertiginose concentrazioni di miliardi?

«Perché un film più grosso è più è difficile sbagliarlo. La lunga durata della realizzazione permette di rifarlo in tutti i suoi punti deboli finché, come prodotto industriale, non è perfetto.»

La spiegazione non era convincente. Il suo argomento massiccio aveva, a questo punto, qualcosa di tentennante. E nella sua faccia quadra, molle eppure forte, con il grosso labbro superiore un po’ rovesciato simile a quello di certe maschere di fontana, passava un’ombra di diffidenza. Pareva che insistendo sul perché del suo impulso al grandioso lo invitassi ad illuminare una sua zona più intima. E quando si alzò per avvicinarsi al plastico dei suoi stabilimenti e sfiorò con lo sguardo in un lieve indugio la fotografia della moglie, ebbi l’impressione che quel perché sotterraneo fosse soltanto uno; l’amore. De Laurentiis è innamorato, a un livello di calma e continua incandescenza, della moglie Silvana Mangano, dal primo istante in cui la vide, ragazzetta sconosciuta scritturata per Riso amaro. E da quel momento il suo istinto gli dettò di crearle intorno una cornice da regina, uno scenario da Mille-e-una-notte. Non solo. Le realizzazioni gigantesche sono per alcuni uomini espressioni inconsapevole di virilità, una sorta di omaggio primordiale alla donna che amano. Prepotente ma equilibrato, privo di umorismo, pesante e imperturbabile come fosse fatto di cemento, quest’uomo sta combinando il film e l’affare cinematografico più grosso che mai sia stato immaginato, e crede che la sua torre di Babele nasca solo da una certa concezione dell’industria cinematografica. Ma nessuna concezione ha tanta forza. È assai più probabile che sia un atto d'amore.

Brunello Vandano, «Epoca», 11 giugno 1961


1965 05 05 Tempo Dino De Laurentiis intro

Egregio signor De Laurentiis,

la ricordo in un'intervista televisiva di molto tempo fa, quando, sottoposto a una specie di tiro incrociato da parte di vari giornalisti, lei diede ampia e tranquilla dimostrazione delle sue qualità di "boss”. Documentato, logico, non privo di una certa fantasia nelle risposte, forte di un piano generale ben costruito e al quale si deve tener fede, lei apparve un tipo di impresario, manager, produttore cui non eravamo abituati.

Nel nostro disordine — talora giustificato, talora persino necessario agli effetti del campare, del sopravvivere — siamo sempre stati in molti a considerare il cinema, e ambienti annessi, come una forma avventuriera e caotica. La donna nel cinema è indizio di peccato, agli occhi di tutte le sane zie di famiglie, il denaro nel cinema è un’entità diabolica, farraginosa, cambialesca, che vale sempre un quarto di più o un quarto di meno rispetto al resto del denaro corrente. Invece lei, dai teleschermi, spiegava, ribatteva, parlava, precisava, come il più serio amministratore delegato di un complesso industriale efficiente, posto al servizio del pubblico e del capitale versato, pronto a intraprendere azioni così come a contrarle e spegnerle. Per oltre mezz’ora, lei ebbe tutte le simpatie che l’uomo comune vota d’istinto a un personaggio che sa tenere le carte in mano e ne mostra il valore.

Riuscimmo ad accettare tutto, perchè tutto ci venne spiegato senza ambagi e ubbidendo alle strette regole del commercio e dell’arte applicata: così le demmo ragione per i suoi Ulisse, i suoi colossi, le sue Bibbie, i suoi tentativi di creare non una "Hollywood sul Tevere” in cartapesta e cenci colorati, ma un’industria bene in regola con la carta da bollo, con gli assegni coperti, con gli impianti moderni, con le attrezzature necessarie, con il prestigio tecnico che rende sempre più piccolo il rischio artigianale nostrano.

E' dunque a lei che si deve rivolgere lo spettatore cinematografico in dubbio. Lei non usa frasi retoriche, non indulge a falsi ammiccamenti verso l'arte-per-l’arte, non si spreca in dichiarazioni patriottarde, ma ci tiene a qualificarsi un industriale che porge all’anonimo cliente prodotti finiti, funzionali, resistenti, che uno può usare sia a Torino come a Hong Kong, sia nella veste originale sia nell’eventuale versione straniera. E' dunque a lei che dobbiamo dire: siamo stanchi, il film italiano forse rende ancora (lo dimostrano alcun film comici, altri prodotti come i western fatti in casa, eccetera) ma è giunto in fondo a un pozzo di noia. Ci si siede in una sala cinematografica, e dopo dieci minuti ecco il primo sospiro, dopo altri cinque uno sbadiglio, dopo altri tre l’irresistibile impulso di uscire. L’invenzione cinematografica nostrana è diventata solo più un prodotto esotico, che va bene per chi non vive tra noi e sogna l’Italia come un Paese da raggiungere in estate e percorrere velocissimamente durante una vacanza.

Persino l’ultimo e più regredito degli spettatori abituali sa indovinare prima i risvolti di una storia che si svolge su uno schermo, sa anticipare la battuta di un protagonista, sa quando gli è concesso di distrarsi e quando può addirittura permettersi di dormire o di uscire senza rimorsi, se non per il denaro buttato. Non parlo di Franchi e Ingrassia o dei film sexy, ma proprio dei cosiddetti filmoni impegnati, o spettacolari, o comunque di grossa spinta commerciale, divistica. Magari rendono ancora miliardi, ci credo, ma ci ritroviamo a rimasticare in bocca, noi spettatori, una vecchia minestra, forse anche buona, ben conosciuta al palato, ma vecchia, senza sorprese, e alla lunga infallibilmente noiosa, infallibilmente stanca, infallibilmente "nata viva e morta prima della denuncia”, tale che ci toglie persino la forza di una protesta violenta: tutto il fiato necessario a una protesta l’abbiamo consumato in sbadigli più o meno educati.

Un lungo digiuno

E’ straordinario che un cinema come quello italiano, che si pretende vivo. magari povero di denari ma vivo, non sia riuscito a darci negli ultimi anni prodotti finiti, efficienti, funzionali, prodotti industriali dunque. come Io sono un campione, o Sette giorni a maggio, o II servo, o Harakiri. Cito dei titoli a caso, di film usciti nell’ultimo anno, non capolavori, non gioielli rari in un deserto, ma frutti di un lavoro accurato, di un’opera oculata e intelligente.

Da noi, tutto diverso. Come se si dicesse a uno spettatore: o ti pigli il Vangelo di Pasolini o ti ricrei con qualche spogliarello al neon. Il che equivale: o leggi il supplemento letterario del Time o ti butti sui fumetti per adulti di Diabolik. Le pare giusto, signor De Laurentiis? E allora dove vanno a finire i propositi di una produzione cinematografica impegnata a soddisfare il cliente non con un cincillà ogni tanto ma con buoni onesti panni almeno tre sere per settimana?

Ci dobbiamo rassegnare al pasto di film natalizi e pasquali e poi rompere il digiuno, ogni tanto durante l’anno, vedendo vecchie pellicole alla televisione o nei cinéma d’essai? O vogliamo arrivare a dire che il cinema ha paura, troppa paura di agire, di inventare, di uscire dagli schemi? Dove sono i produttori cinematografici nostrani capaci di commissionare un film sull'affare Giuffré, sulla commissione antimafla. su vita e morte di Enrico Mattei, su Fenaroli e Ghiani, su...? Si sono inventate tutte le formule, dal cinema-verità al cinema-inchiesta: su quali materie vengono applicate?

Se il cinema vuole avere la sua "parte di storia”, bisogna che si faccia avanti con un piglio diverso, non solo ancheggiando. O bisognerà aspettare che tutti abbiano a disposizione una macchina da presa e che ciascuno si giri da solo la verità che intravede?

Signor De Laurentiis, lo so anch’io che questi sono discorsi generici, e che ogni film è un’impresa grossa, costa qui e costa là, ci sono le banche, la politica, la commissione di censura. e così via... Ma a furia di non fare discorsi generici — o che partono generici ma possono poi tradursi in parole anche più incisive e amare —, a furia di stringersi nelle spalle e vedere i pericoli prima che le possibilità, il film italiano è diventato il prodotto che lei così ben conosce: una cosa che in novantacinque casi su cento è per uso esterno, è un bicchier d’acqua, è un caffè senza caffeina. Lascia il tempo che trova, e noi spettatori confondiamo un film con l’altro, non ce ne importa niente appena siamo usciti dal cinema, assimiliamo ed espelliamo episodi, battute, facce, invenzioni infantili, senza ritenerli, senza partecipazione alcuna.

Adesso lei si sta muovendo in mezzo a mandrie di belve, a centinaia di contratti, a chissà quali scadenze finanziarie. Qui fa costruire l’arca, là fa crescere la torre di Babele. Adesso lei è tutto per la sua Bibbia, che dovrebbe resistere ai secoli e impressionare sia i cristiani come i bonzi, sia gli abitanti di Monza come quelli di Kartum. Adesso lei sta elevando una Bibbia-Barnum che deve potersi trasformare in banca, in assicurazione generale sulla vita industriale, in mille e mille e mille miliardi di denaro buono, raccolto presso tutte le casse dei cinema del mondo. E va bene. Le auguro che questi miliardi siano straordinariamente numerosi, le possano coprire le spalle per cento anni di attività industriale. Ma poi? Dopo la Bibbia in technicolor cosa avremo? La Divina Commedia? Il secolo di Luigi XIV? Le guerre del Peloponneso?

I mastini della critica

Noi tocchiamo ferro, speriamo proprio di no. Ci basterebbe vedere, ogni tre mesi, un film come Sapore di miele, un film come Ombre, un film come Salvatore Giuliano. Non le chiediamo Ivan il terribile e neppure Ordet e neppure uno 007, per carità, le nostre pretese sono modeste: le chiediamo di mettere in cantiere e poi sulla linea di montaggio e poi sul mercato dei prodotti industriali decenti, della merce che non si logora appena toccata, del materiale di buona marca. Come vede, questo discorso va dallo spettatore all’industriale, dal cliente al fornitore, non dal critico altezzoso all'uomo d’arte, non dallo pseudo-gourmet cinematografico all’uomo di genio che intende sfornare un capolavoro all'anno.

Fa ridere? Non fa dormire? Non è uguale a tutti gli altri? Ha qualcosa di diverso? Ha qualche stimolo? Ti fa scoprire una novità? Ecco cosa si domanda la gente prima di entrare in un cinema. Poi, rassegnata, timorosa di perdere l’ultimo spettacolo, si infila dentro lo stesso. Ma quegli eterni interrogativi rimangono. A forza di restare senza risposte, finiscono per convogliare il pubblico verso i western, verso lo spionaggio fantascientifico, verso i Frankenstein o vampiri che siano, insomma verso una qualunque forma di distrazione legittima e non pomposa. non vuota, non irritante.

A questo punto, i critici cinematografici protestano, indicono sondaggi, tavole rotonde, parlano dello "specifico filmico", insorgono contro lo spettatore. Nella loro incancrenita musoneria, i critici cinematografici italiani (che solo rarissimamente riescono a sunteggiare in dieci righe un film, e mal. mai sanno chiaramente, umilmente, rispettosamente consigliare lo spettatore, mai lo invitano a "non” spendere quelle mille lire per quel determinato film, talmente si sono votati al rispetto dei registi amici, dei produttori potenti...) vorrebbero che si entrasse in un cinema, alla sera, con la devozione e il tremore che colgono lo uomo di fede all’inizio di una preghiera.

Spero che lei, signor De Laurentiis, non abbia rispetto alcuno per questa schiera di maniaci, che addirittura si offendono se un "non addetto ai lavori" mostra di giudicare il cinema non solo come un’arte, ma si, senz’altro, chi lo mette in dubbio!..., ma anche come una fabbrica di prodotti non necessariamente di serie e tuttavia qualificati. di pronto consumo, di buon servizio.

Ecco, adesso apro la pagina degli spettacoli e scorro la lista dei film in programma stasera a Milano. I cinema sono centoventotto, più o meno, i film "possibili" sono uno o due in prima visione, sei o sette in seconda e terza visione.

Se entro in una drogheria, in un negozio di stoffe, da un libraio, le mie possibilità di scelta sono infinitamente maggiori. Persino in una farmacia le varianti di un identico medicinale sono più numerose. Persino in certe tetre serate televisive d viene offerto un "attimo diverso" in più.

Che dire, allora? Bisogna ancora tirare in ballo le leggi, la censura, la politica? E perchè no l’aridità cerebrale degli "addetti ai lavori", la miopia della produzione, l’avidità di tutti coloro che dal cinema vogliono una ricompensa immediata, totale, villa sull’Appia e piscina anche per il cane, e non sanno comportarsi con la misura di chiunque lavora?

Non ce l’abbia con noi spettatori, signor De Laurentiis, se tante volte abbiamo preferito western vecchi e nuovi, "gialli" più o meno assurdi, a film italiani ritmati sulla solita gran-cassa, conditi con lo stesso olio non genuino, serviti in tavola su piatti freddi. Non ce l’abbia con noi se sbadigliamo. se non rispondiamo positiva-mente a suggestioni filmiche che il meglio di sè lo esprimono nei manifesti pubblicitari. Non ce l’abbia con noi che l’aspettiamo non tanto all’appuntamento con la Bibbia-Barnum, quanto dopo. La buona disposizione non ci manca: perdoneremmo persino a Soraya, se grazie agli incassi favoriti da Soraya venissero presto in circolo buoni, onesti film.

Accolga il saluto di

Giovanni Arpino, «Tempo», 5 maggio 1965


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È morto a 91 anni il grande produttore a cui dobbiamo titoli come «Riso amaro» e «La strada», ma anche blockbuster americani come «Guerra e pace» e «King Kong» Una figura di dimensioni mitiche sempre alla ricerca di nuove sfide

Lui pensava in grande. Lui sognava di essere un «tycoon», un mega-produttore in stile hollywoodiano, come lrving Thalberg - e quando nel 2001 Hollywood gli diede davvero il premio Thalberg alla carriera, solo allora, dev'essersi sentito davvero arrivato. Lui non voleva lavorare in studi altrui, magari statali, come Cinecittà. Lui voleva i suoi studios e se li costruì: con un pizzico di sana megalomania li battezzò Dinocittà, c ancora oggi campeggiano appena fuori Roma, sulla Pontina, accanto al centro commerciale di Castel Romano - anche se dalla loro costruzione sono passati molte volte di mano. Dopo aver fatto grande il cinema italiano negli anni ‘50 in coppia con il socio Carlo Ponti, decise che avrebbe sfidato gli americani con le loro armi, producendo in Italia kolossal come Guerra e pace, La Bibbia, Barabba. Poi, non contento, andò in America, piantò il proprio accampamento sul territorio del nemico. E azzeccò alcuni titoli che, a ripensarci, hanno del clamoroso.

Se i kolossal girati in Italia a suon di miliardi erano bruttini, un paio di film americani «indipendenti» sono autentici gioielli: Serpico, I tre giorni dei Condor, la scommessa di Canari il barbaro. Poi volle sfidare il ciclo, arrampicarsi sulle Twin Towers, afferrare gli acmi nemici ciarli a pezzi: alleandosi con il produttore di mostri Carlo Rambaldi realizzò il King Kong anni 70, quello con lo scimmione extra-large e Jessica Lange. Film orrendo, ma sfida commerciale da far tremare i polsi, sostanzialmente vinta. Lì, probabilmente, il piccoletto napoletano (1,63) si sentì Napoleone, e capì di avercela fatta.

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«De Laurentiis non era solo il più grande produttore italiano, ma il più grande produttore internazionale. A dirlo è il suo collega Fulvio Lucisano, che racconta come solo ieri l'altro «avevo sentito Dino e stava benissimo. Cera un progetto da fare insieme». Lucisano ha poi detto di avere «in mente insieme all'Anica. grandi progetti per ricordare la figura di Dino».

Dino De Laurentiis e morto a 91 anni: era nato nel 1919, figlio di un produttore di pasta di Torre Annunziata. Sviscerare la sterminata dinastia dei De Laurentiis occuperebbe varie pagine di questo giornale, per cui ci limiteremo a due precisazioni. La prima: Dino era un nome d’arte, all'anagrafe si chiamava Agostino. La seconda: Aurelio De Laurentiis, produttore dei vari Natali sparsi qua e là nel mondo (il prossimo in Sudafrica, con Belen: mah!) e presidente del Napoli calcio, non e suo figlio ma suo nipote. Il padre Luigi era il fratello maggiore di Agosti-no/Dino. Esiste, nella famiglia, un’epoca pro/Dino e una post/Dino. Il padre, come detto, produceva pasta ma prima ancora era stato finanziere a Torre Annunziata (pare che il suo motto, rivolto ai pescatori di frodo, fosse: «Fate quello die vi pare e mandatemi il pesce a casa»), due zii erano preti e il nonno era avvocato- Dopo i primi successi di Dino, tutta la famiglia e entrata nel cinema.

Grander - Lui volle i propri studios e se li costruì: li chiamò «Dinocittà»...

SILVANA LA MAGNIFICA

Il primo titolo fondamentale nell’enorme filmografia di De Laurentiis e Riso amaro. Non solo perché e un capolavoro del neorealismo, firmato dal grande Giuseppe De Santis, e non solo perche e un successo mondiale, che con il titolo di Bitter Rice sfonda anche in America - e forse il sogno «imperialista» alla rovescia di Dino comincia proprio da lì. Ma anche e soprattutto perchè su quel set conosce la magnifica Silvana Mangano, e se ne innamora. La sposa con rito civile il 17 luglio del ’49 e compie con lei un viaggio di nozze molto «all’americana», girando l’Europa a bordo di una Buick. Nonostante le visioni rosa dei rotocalchi, non sarà mai un matrimonio felice, perchè la diva ha un carattere schivo e ombroso molto lontano dai sogni di grandeur del marito. In più arriverà, nel 1981, la tragica scomparsa del figlio Federico  -l’unico maschio - in un incidente aereo.

Forse per compensare gli ahi e bassi della vita privata. De Laurentiis punta sempre più in alto nella professione. Nel 1950, forte del successo di Riso amaro, apre i suoi primi studi romani alla Vasca Navale (verso San Paolo, dove poi costruirono il cinodromo) e stringe un patto di ferro con l’altro Maschio Alfa della produzione italiana, il milanese Carlo Ponti futuro marito della Loren. Fra i due. Ponti e l’uomo mosso da un’idea (e un ex partigiano, fra i suoi sogni non realizzati cera un film sull'anarchico Pinelli) mentre De Laurentiis e l'imprenditore d’assalto con Hollywood nel mirino, ma insieme i due sono una macchina da guerra. Gli anni '50 sono il decennio d'oro del nostro cinema e Ponti/De Laurentiis li marchiano a fuoco. Qualche titolo: Guardie e ladri, Totò a colori, l'Ulisse con Kirk Douglas in cui la Mangano interpreta sia Circe che Penelope (chissà se fu un'idea del marito, uno psicoanalista avrebbe qualcosa da dire... ), La strada, L’oro di Napoli, Le notti di Cabiria, La grande guerra. In mezzo a tutto ciò, l’avventura di Guerra e pace con la superdiva Audrcy Hepburn nel ruolo di Natasha e il famoso contratto in esclusiva con Sordi (tre film all'anno, 100 milioni a film) sottoscritto poche ore dopo che i giornali scandalistici avevano speso fiumi di parole su un presunto flirt tra l’attore e la Mangano (erano entrambi a Cannes per promuovere La grande guerra e annunciare Crimen, ma c’era anche Dino...). A onor del vero, anche una grande delusione: la rinuncia alla Dolce vita, die Fellini realizza con Amato e Rizzoli, dopo che lui e Dino avevano vinto 2 Oscar con La strada e Cabiria.

Barabba - Quella volta che attese l’eclissi (vera) per girare la crocifissione

LA SCALATA

Il sodalizio con Ponti finisce nel ’59 e Dino comincia la scalata a Hollywood. Il suo unico limite sembra essere il ciclo, e a volte nemmeno quello: il 15 febbraio del 1961 lui e il regista Richard Fleischer usano l’annunciata eclissi di sole per girare una sensazionale crocifissione per il film Barabba. Tra i film inclusi nel suddetto contratto con Sordi d sono Mafioso di Lattuada e Il boom di De Sica, due gioielli. Poi arriveranno La Bibbia, Barbarella, ma anche film italiani importanti come Banditi a Milano e Lo scopone scientifico.

Fino alla fine, la camera di De Laurentiis sarà un discontinuo andirivieni tra filmoni internazionali e titoli d’autore. La sua ultima ossessione è stata Thomas Harris: lo ha perseguitato per 8 armi affinché scrivesse un nuovo romanzo sul serial-killer Hannibal Lecter, e il risultato è stato l’Hannabal di Ridley Scott, uno dei film più brutti di sempre. Quando Dino glielo propose, Scott stava girando Gladiator e rispose: «Per carità, un altro film sull'antica Roma, per di più con gli elefanti nella neve...». Quando poi capì che l'Hannibal dd titolo non era il condottiero cartaginese, accettò. Forse un kolossal sulle guerra puniche sarebbe venuto meglio.

Alberto Crespi


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Il nostro primo incontro alla candidatura all'Oscar per «Il ladro di bambini» Radiografia di un uomo che produceva sìa opere d’arte che macchine per soldi Ma sempre con la stessa cura e la stessa generosità Una figura di altri tempi

Quando uno va a Los Angeles dilania De Laurentiis... La prima volta che ho conosciuto De Laurentiis è stato quando ho ricevuto la candidatura all'Oscar per Il ladro di bambini e lui mi ha invitato a casa sua e mi ha detto che aveva visto il film. Mi disse: «Al cinema secondo me bisogna far ridere o far piangere. Tu mi hai fatto piangere, quindi hai fatto un grande film». Era uno che esprimeva una sentenza, enunciava un principio. Era così il suo carattere, diceva in modo molto scientifico: il cinema va fatto cosi. Mi ha invitato, poi, altre volte a casa sua e abbiamo parlato di cinema. Lì ho visto un uomo che era un tycoon, un grosso industriale, ma d teneva talmente tanto al suo lavoro da seguire anche il dettaglio minimo, da preoccuparsi di tutte le esigenze del film a 360°. Una razza in estinzione, un tipo di produttore che non c’è più. Nel bene e nel male, se n'è andato l’ultimo dei tycoons.

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Ammetteva i propri errori. Ha ammesso di aver sbagliato con La dolce vita, ponendo a Fellini delle condizioni industriali sbagliate per lui. Però aggiungeva: «Di Fellini ce n'è uno solo, l'errore che ho fatto lo riconosco, però mi insegna anche che non devo allontanarmi dai miei principi quando lavoro con registi che Fellini non sono».

Monicelli mi ha spesso raccontato che quando faceva La grande guerra De Laurentiis andava spesso sul set. E gli dava più di quello che lui e i suoi collaboratori avevano chiesto. Per esempio, avevano segnato sull'ordine del giorno 300 comparse e lui diceva che 300 non erano sufficienti, oc ne volevano minimo il doppio. Moni-celli mi diceva: lavoravo con un produttore che tutti i giorni mi metteva in mezzi in mano. Se io ti do di più ottengo di più, era la sua legge.

De Laurcntiis e stato, se si vuole, anche l'iniziatore dei guai del cinema italiano. È stato quando ha aperto a Hollywood: il primo a girare un film italiano in lingua inglese, Ulisse. Un film girato da attori, anche italiani, che dovevano parlare in quella lingua.

«Protagonista di un secolo di cinema in Italia e negli Usa». Cosi il presidente del consiglio Slvio Berlusconi definisce Dino Laurentiis in un telegramma inviato alla famiglia del produttore scomparso ieri «Partecipo commosso al lutto», scrive i premier esprimendo ala famiglia «sentimenti di vicinanza» in questo «triste momento»

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UN UOMO ORCHESTRA

Il fiore all'occhiello della sua carriera e stato Guerra e Pace. Per molti quel film ha costituito una specie di spartiacque - negativo - tra un cinema italiano che, fin li, aveva una sua personalità e una sua cultura e quello dopo. Un film come Guerra e pace, aprendo al mercato intemazionale, ti toglie identità. Sì, Guerra e pace sembra un film apolide. Ma ('identità gliela dava lui, quando si batteva perché il film non restasse nell'ambito nazionale ma fosse interpretato da divi di primissimo piano, con un regista come King Vidor. De Laurcntiis ha fatto un passo che gli altri non hanno mai fatto. Ponti, ad esempio, ha seguito la scia di Sofia Lorcn. De Laurentiis invece e andato da solo a scalare lo montagne.

L'ho incontrato quattro volte e ogni volta ho incontrato una persona appassionata, non un uomo dalla struttura mentale semplicemente mercantile. Anche quando produceva film die erano macchine da soldi, ci metteva una passione rara. Pure con King Kong ha seguito fino in fondo il racconto, curandoli minimo dettaglio. È stato il produttore che per un film come Barabba ha chiamato da Hollywood un regista come Richard Fleischer. Fleischer, all'epoca, non era un regista di nome, ma aveva fatto I Vichinghi e De Laurentiis, che l'aveva prodotto, aveva capito il talento speciale di Flcischcr per i film in costume. E un aneddoto che la dice lunga su un'altra epoca, un altro mondo.

Al Torino Film Festival, nella retrospettiva John Huston, abbiamo programmato La Bibbia. Non è un film davvero bello, perche persuada aveva cambiato faccia, doveva essere girato addirittura da Bresson, da Bergman, da Fellini... Un film che nasceva da un glande impegno artistico e un forte affiato spirituale. Alla fine era rimasto Huston che aveva fatto un prodotto di cui non era contento neanche lui stesso, e neanche De Laurcntiis. La Bibbia è stata in sostanza un insuccesso. Voleva realizzare tutta la Bibbia e ne ha fatto un pezzetto.

Trionfi ed errori - Lo sbaglio con Fellini: rinunciò a produrre «La dolce vita»

De Laurentiis, ricordiamocelo, e entrato nel cinema facendo l'attore. Si era diplomato al Centro Sperimentale e nei suoi primi film da produttore lo si vede in qualche piccola parte. Se non mi sbaglio, in Fuga in Francia. Poi c’è stata tutta l’avventura di DinoCittà, questa idea di essere uomo orchestra e controllare tutta la filiera.... Con Dino De Laurentiis scompare un uomo di cinema come non ce ne sono, e non ce ne saranno, più.

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Gianni Amelio


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De Laurentiis e stato un grande italiano. Non si può «stringerlo» nella categoria di uomo di cinema. Sarebbe riduttivo. È stato un grande imprenditore dell’Italia del dopoguerra, uno di quelli che ha svecchiato questo paese, che ha reso la creatività e l'innovazione italiane famose nel mondo. Sta in un pantheon dove ci sono Olivetti e Fermi, gli uomini che hanno dato all’Italia la Lambretta e il nucleare, che hanno fatto della nostra rete autostradale una delle più moderne del mondo... un pantheon di imprenditori geniali e coraggiosi il cui stampo si e perduto da almeno tre, e sottolineo tre, generazioni. E lo vediamo quotidianamente oggi che l'Italia e governata da un imprenditore completamente diverso da quelli che ho appena citato. Se poi si vuole proprio parlare di cinema - ma non siete stufi? - De Laurentiis e uno dei produttori-cineasti che nel dopoguerra hanno ricostruito il cinema in Italia assieme a Ponti, Lombardo e Cristaldi. Loro hanno creato lo star-system, si sono inventati le grandi dive, hanno fatto del cinema un'industria, lo e Steno lo conoscevamo dai tempi di Guardie e ladri e posso dire che era un uomo duro, facile e difficile al tempo stesso. Difficile perchè aveva le sue idee, facile perche se lo convincevi era con te fino alla fine, ti sosteneva in tutti i modi. Grazie a lui s poteva andare nel mondo orgogliosi di essere italiani, cosa che oggi e sempre più problematica.

Mario Monicelli

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«L'Unità», 21 novembre 2010


Filmografia

Produzioni cinematografiche

I grandi magazzini, regia di Mario Camerini (1939)
L'amore canta, regia di Ferdinando Maria Poggioli (1941)
Aquila nera, regia di Riccardo Freda (1946)
Il bandito, regia di Alberto Lattuada (1946)
La figlia del capitano, regia di Mario Camerini (1947)
Molti sogni per le strade, regia di Mario Camerini (1948)
Il cavaliere misterioso, regia di Riccardo Freda (1948)
I pompieri di Viggiù, regia di Mario Mattoli (1949)
Adamo ed Eva, regia di Mario Mattoli (1949)
Riso amaro, regia di Giuseppe De Santis (1949)
Il lupo della Sila, regia di Duilio Coletti (1949)
Romanticismo, regia di Clemente Fracassi (1950)
Napoli milionaria, regia di Eduardo De Filippo (1950)
Il brigante Musolino, regia di Mario Camerini (1950)
Il padrone del vapore, regia di Mario Mattoli (1951)
Accidenti alle tasse!!, regia di Mario Mattoli (1951)
Totò terzo uomo, regia di Mario Mattoli (1951)
Ultimo incontro, regia di Gianni Franciolini (1951)
Guardie e ladri, regia di Steno e Mario Monicelli (1951)
Anna, regia di Alberto Lattuada (1951)
Totò a colori, regia di Steno (1952)
Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, regia di Mario Soldati (1952)
Gli 11 moschettieri, regia di Ennio De Concini e Fausto Saraceni (1952)
Europa '51, regia di Roberto Rossellini (1952)
La tratta delle bianche, regia di Luigi Comencini (1952)
I tre corsari, regia di Mario Soldati (1952)
Fratelli d'Italia, regia di Fausto Saraceni (1952)
I sette dell'Orsa maggiore, regia di Duilio Coletti (1953)
Le infedeli, regia di Mario Monicelli e Steno (1953)
La lupa, regia di Alberto Lattuada (1953)
Anni facili, regia di Luigi Zampa (1953)
Un giorno in pretura, regia di Steno (1953) non accreditato
Dov'è la libertà?, regia di Roberto Rossellini (1954)
Miseria e nobiltà, regia di Mario Mattoli (1954)
La strada, regia di Federico Fellini (1954)
Mambo, regia di Robert Rossen (1954)
Ulisse, regia di Mario Camerini (1954)
Un americano a Roma, regia di Steno (1954)
La romana, regia di Luigi Zampa (1954)
L'oro di Napoli, regia di Vittorio De Sica (1954)
Attila, regia di Pietro Francisci (1954)
Siluri umani, regia di Antonio Leonviola e Marcantonio Bragadin (1954)
La donna del fiume, regia di Mario Soldati (1954)
Ragazze d'oggi, regia di Luigi Zampa (1955)
Le diciottenni, regia di Mario Mattoli (1955)
La bella mugnaia, regia di Mario Camerini (1955)
Guerra e Pace, regia di King Vidor (1956)
Malafemmena, regia di Armando Fizzarotti (1957)
Guendalina, regia di Alberto Lattuada (1957) Produttore esecutivo
Le notti di Cabiria, regia di Federico Fellini (1957)
Guardia, ladro e cameriera, regia di Steno (1958)
La diga sul pacifico, regia di René Clément (1958)
Fortunella, regia di Eduardo De Filippo (1958)
La tempesta, regia di Alberto Lattuada (1958)
La grande guerra, regia di Mario Monicelli (1959)
Io amo, tu ami, regia di Alessandro Blasetti (1960) Produttore esecutivo
Il gobbo, regia di Carlo Lizzani (1960)
Jovanka e le altre, regia di Martin Ritt (1960)
Sotto dieci bandiere, regia di Duilio Coletti (1960)
Tutti a casa, regia di Luigi Comencini (1960)
Crimen, regia di Mario Camerini (1961)
Il federale, regia di Luciano Salce (1961) Produttore esecutivo
Maciste contro il vampiro, regia di Giacomo Gentilomo e Sergio Corbucci (1961) Produttore esecutivo
Il re di Poggioreale, regia di Duilio Coletti (1961)
I due nemici, regia di Guy Hamilton (1961)
Il giudizio universale, regia di Vittorio De Sica (1961)
Una vita difficile, regia di Dino Risi (1961)
Barabba, regia di Richard Fleischer (1961)
Le pillole di Ercole, regia di Luciano Salce (1962)
Il commissario, regia di Luigi Comencini (1962)
Mafioso, regia di Alberto Lattuada (1962) Produttore esecutivo
Il maestro di Vigevano, regia di Elio Petri (1963)
Il giovedì, regia di Dino Risi (1963)
Il processo di Verona, regia di Carlo Lizzani (1963)
Le ore dell'amore, regia di Luciano Salce (1963)
Il diavolo, regia di Gian Luigi Polidoro (1963)
Il boom, regia di Vittorio De Sica (1963)
Cadavere per signora, regia di Mario Mattoli (1964)
La mia signora, regia di Mauro Bolognini, Tinto Brass e Luigi Comencini (1964)
Il disco volante, regia di Tinto Brass (1964)
Thrilling, regia di Carlo Lizzani, Ettore Scola e Gian Luigi Polidoro (1965)
Menage all'italiana, regia di Franco Indovina (1965)
I tre volti, regia di Michelangelo Antonioni, Mauro Bolognini e Franco Indovina (1965)
La tigre profumata alla dinamite (Le Tigre se parfume à la dynamite), regia di Claude Chabrol (1965)
La battaglia dei giganti (Battle of the Bulge), regia di Ken Annakin (1965) Produttore esecutivo, non accreditato
La Bibbia, regia di John Huston (1966)
Se tutte le donne del mondo, regia di Henry Levin e Arduino Maiuri (1966) Produttore esecutivo
Le streghe, regia di Luchino Visconti, Mauro Bolognini, Pier Paolo Pasolini, Franco Rossi e Vittorio De Sica (1967)
Matchless, regia di Alberto Lattuada (1967)
Lo straniero, regia di Luchino Visconti (1967)
Vietnam, guerra e pace, regia di Lamberto Antonelli (1968)
Diabolik, regia di Mario Bava (1968)
L'Odissea (sceneggiato televisivo), regia di Franco Rossi, Piero Schivazappa e Mario Bava (1968)
Banditi a Milano, regia di Carlo Lizzani (1968)
Capriccio all'italiana, regia di Mauro Bolognini, Mario Monicelli, Pier Paolo Pasolini, Steno, Pino Zac e Franco Rossi (1968)
Lo sbarco di Anzio, regia di Duilio Coletti e Edward Dmytryk (1968)
Barbarella, regia di Roger Vadim (1968)
Roma come Chicago, regia di Alberto De Martino (1968)
Fraulein Doktor, regia di Alberto Lattuada (1969)
L'amante di Gramigna, regia di Carlo Lizzani (1969)
Nerosubianco, regia di Tinto Brass (1969)
Barbagia (La società del malessere), regia di Carlo Lizzani (1969)
Il primo premio si chiama Irene, regia di Renzo Ragazzi (1969)
Una breve stagione, regia di Renato Castellani (1969)
Io non scappo... fuggo, regia di Franco Prosperi (1970)
Waterloo, regia di Sergej Bondarchuk (1970)
Sledge (A Man Called Sledge), regia di Vic Morrow (1970)
Io non vedo, tu non parli, lui non sente, regia di Mario Camerini (1971)
Io non spezzo... rompo, regia di Bruno Corbucci (1971)
La spina dorsale del diavolo, regia di Burt Kennedy (1971)
Osvobozhdenie: Napravleniye glavnogo udara, regia di Yuri Ozerov (1971)
Joe Valachi, i segreti di cosa nostra, regia di Terence Young (1972)
Causa di divorzio, regia di Marcello Fondato (1972)
Boccaccio, regia di Bruno Corbucci (1972)
Lo scopone scientifico, regia di Luigi Comencini (1972)
La più bella serata della mia vita, regia di Ettore Scola (1972)
Valdez, il mezzosangue, regia di Duilio Coletti e John Sturges (1973) non accreditato
Serpico, regia di Sidney Lumet (1973) Produttore esecutivo
Una matta, matta, matta corsa in Russia, regia di Franco Prosperi e Eldar Ryazanov (1974)
Crazy Joe, regia di Carlo Lizzani (1974)
Il giustiziere della notte (Death Wish), regia di Michael Winner (1974) non accreditato
Uomini duri, regia di Duccio Tessari (1974)
Porgi l'altra guancia, regia di Franco Rossi (1974)
Mandingo, regia di Richard Fleischer (1975)
I tre giorni del Condor (Three Days of the Condor), regia di Sydney Pollack (1975) Produttore esecutivo, non accreditato
Stupro (Lipstick), regia di Lamont Johnson (1976) Produttore esecutivo
Buffalo Bill e gli indiani (Buffalo Bill and the Indians, or Sitting Bull's History Lesson), regia di Robert Altman (1976) Produttore esecutivo
Drum, l'ultimo mandingo (Drum), regia di Steve Carver (1976)
King Kong, regia di John Guillermin (1976)
Sfida a White Buffalo (The White Buffalo), regia di Jack Lee Thompson (1977) Produttore esecutivo
L'orca assassina (Orca), regia di Michael Anderson (1977) Produttore esecutivo
L'uovo del serpente (The Serpent's Egg), regia di Ingmar Bergman (1977)
Pollice da scasso (The Brink's Job), regia di William Friedkin (1978) Produttore esecutivo
Il re degli zingari (King of the Gypsies), regia di Frank Pierson (1978) Produttore esecutivo
Uragano (Hurricane), regia di Jan Troell (1979)
Flash Gordon, regia di Mike Hodges (1980)
Ragtime, regia di Miloš Forman (1981)
Il signore della morte (Halloween II), regia di Rick Rosenthal (1981)
Conan il barbaro, regia di John Milius (1982)
Amityville Possession (Amityville II: The Possession), regia di Damiano Damiani (1982)
Halloween III - Il signore della notte (Halloween III: Season of the Witch), regia di Tommy Lee Wallace (1982)
La zona morta (The Dead Zone), regia di David Cronenberg (1983) Produttore esecutivo, non accreditato
Il Bounty (The Bounty), regia di Roger Donaldson (1984) Produttore esecutivo
Conan il distruttore (Conan the Destroyer), regia di Richard Fleischer (1984) Produttore esecutivo
Dune, regia di David Lynch (1984) Produttore esecutivo
L'occhio del gatto (Cat's Eye), regia di Lewis Teague (1985)
L'anno del dragone (Year of the Dragon), regia di Michael Cimino (1985)
Unico indizio la luna piena (Silver Bullet), regia di Daniel Attias (1985)
Yado (Red Sonja), regia di Richard Fleischer (1985)
Codice Magnum (Raw Deal), regia di John Irvin (1986)
Brivido (Maximum Overdrive), regia di Stephen King (1986) Produttore esecutivo
Manhunter - Frammenti di un omicidio (Manhunter), regia di Michael Mann (1986)
Velluto blu (Blue Velvet), regia di David Lynch (1986)
Radioactive Dreams, regia di Albert Pyun (1986)
Tai-Pan, regia di Daryl Duke (1986) Produttore esecutivo
Crimini del cuore (Crimes of the Heart), regia di Bruce Beresford (1986)
King Kong 2 (King Kong Lives), regia di John Guillermin (1986) Produttore esecutivo
Morte a 33 giri (Trick or Treat), regia di Charles Martin Smith (1986)
La finestra della camera da letto (The Bedroom Window), regia di Curtis Hanson (1987)
Colpo di scena (From the Hip), regia di Bob Clark (1987)
La casa 2 (Evil Dead II: Dead by Dawn), regia di Sam Raimi (1987)
Il mistero da 4 milioni di dollari (Million Dollar Mystery), regia di Richard Fleischer (1987)
Il seme della gramigna (Weeds), regia di John Hancock (1987)
Hiding Out, regia di Bob Giraldi (1987)
Appuntamento con un angelo (Date with an Angel), regia di Tom McLoughlin (1987)
Assassino senza colpa? (Rampage), regia di William Friedkin (1987)
Traxx, regia di Jerome Gary (1988)
Pumpkinhead, regia di Stan Winston (1988)
Illegalmente tuo (Illegally Yours), regia di Peter Bogdanovich (1988)
Dracula's Widow, regia di Christopher Coppola (1988)
Tapeheads, regia di Bill Fishman (1988)
Bill & Ted's Excellent Adventure, regia di Stephen Herek (1989)
Le ragazze della Terra sono facili (Earth Girls Are Easy), regia di Julien Temple (1989)
Collision Course, regia di Lewis Teague (1989)
Ore disperate (Desperate Hours), regia di Michael Cimino (1990)
Body of Evidence - Il corpo del reato, regia di Uli Edel (1993)
L'armata delle tenebre, regia di Sam Raimi (1993)
U-571, regia di Jonathan Mostow (2000)
Hannibal, regia di Ridley Scott (2001)
Kung Pow (Kung Pow: Enter the Fist) (2002)
Red Dragon, regia di Brett Ratner (2002)
Hannibal Lecter - Le origini del male di Peter Webber (2007)
L'ultima legione, regia di Doug Lefler (2007)

Premi e onorificenze

Premi cinematografici

David di Donatello

1957: miglior produttore (Le notti di Cabiria)
1960: miglior produttore (La grande guerra)
1961: miglior produttore (Tutti a casa)
1966: miglior produttore (La Bibbia)
1968: miglior produttore (Banditi a Milano)
2006: David del Cinquantenario

Premio Oscar

1957: Miglior film straniero (La strada)
2001: Premio alla memoria Irving G. Thalberg

Onorificenze

Cavaliere del lavoro - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere del lavoro
«Con un esordio a 20 anni di età, inizia la titanica carriera nella quale il produttore scriverà mezzo secolo di storia del cinema mondiale. Si pone all'avanguardia della rinascita culturale post-bellica come una delle forze trainanti del Neo-Realismo. Gli anni Cinquanta lo vedono in collaborazione con Ponti e Fellini, e per due anni consecutivi, 1956 e 1957, questa collaborazione sfocerà nell'assegnazione di due premi Oscar. Lungimirante sostenitore della internazionalità del cinema, allarga la sua sfera operativa al più agguerrito mercato cinematografico mondiale, quello americano, dove trionfa con un alternarsi di successi critici e commerciali. L'acume imprenditoriale che ne ha caratterizzato il lavoro fin dall'esordio, lo porta in prima linea dell'aspetto economico della produzione di un film: è De Laurentiis a introdurre il concetto di "prevendita" di un film - che garantisce una massimizzazione degli introiti e maggior controllo creativo da parte del produttore adottata in seguito come comune pratica di mercato da tutti»
— 1966[5]

Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana
«Su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri»
— Roma, 2 giugno 1967[6]
Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana
— Roma, 26 giugno 1996[7]


Martire o martinitt

Tatti Sanguinetti

C’è una teoria di Marx secondo cui sotto ad ogni accumulazione primitiva di capitale, ad ogni peculio, si nasconde un delitto.

Il crimine all’origine della fortuna di Ponti prima, di De Laurentiis subito dopo, di Ponti e De Laurentiis insieme e di ciascuno dei due in combutta o magari all’insaputa l’uno dell’altro, fu la spremitura a limone di Totò.

Tutto iniziò con L’imperatore di Capri. Il regista Luigi Comencini con uno di quegli eufemismi che rappresentano il clou comico-verbale anche e ancora e nonostante di un film come Totò e Carolina (la vecchia - di cui Caccavallo occupa il letto - morta al Santo Spirito di una “inedia”, che sono “stenti”, vulgo “fame”) la chiamò “la politica della lesina”, attuata su un preventivo a “prezzo bloccato” che la Lux di Riccardo Guaiino pagava alla consegna del film.

Lesina oggi, lesina domani, lesina un altro giorno, si lesinarono le famose tre settimane di riprese che sono all’origine di quel geniale instant-movie che fu Totò cerca casa. Così lesinato, così istantaneo , così rapinoso che solo due esordienti incoscienti potettero accettare di girare. Dieci milioni a Totò per due film, centocinquanta netti di guadagno per Ponti.

E via così... La storia la conosciamo.
“Senza Totò saremmo invecchiati alla Lux...”.

E invece il milanese e il campano scalpitanti scappano a tutto gas con il malloppo, sulla macchina scoperta dove troveranno posto anche le fidanzate prima e mogli poi.
Antonio De Curtis è chiuso nel portabagagli. Cafiero, l’autista, andrà a recuperare il Principe.


Note

  1. ^ Le circostanze relative al ruolo di De Laurentiis sul set di Malombra sono narrate da Nino Crisman, uno degli attori di quella pellicola, nel volume L'avventurosa storia del cinema italiano
  2. ^ dalla rivista "il Cappio", diretta da Francesco D. Caridi, n. 2 del 2000.
  3. ^ Dino De Laurentiis dies at age 91
  4. ^ www.italiausa.org
  5. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
  6. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
  7. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.

Riferimenti e bibliografie: