Girard Amedeo

Amedeo Girard

(Napoli, 14 febbraio 1893 – Napoli, 12 febbraio 1972) è stato un attore italiano.

Biografia

Nato da Giacomo, anch'egli attore e da Ersilia Pappalardo, artista della compagnia Stella al San Ferdinando. Fin da piccolo dimostrò molta propensione per il teatro e prese parte a numerosi lavori, anche se con particine di secondo piano. Ma l'attore, quello vero, era in lui pronto ad uscir fuori solo che ne avesse avuto l'opportunità. La sua grande occasione l'ebbe quando fu chiamato al teatro San Ferdinando per sostituire Federico Stella e colmare quel vuoto che ai più sembrava incolmabile. C'era già stato in precedenza un tentativo di sostituire nel cuore dei napoletani il grande Federico, da parte di Salvatore Golia che aveva ingaggiato Achille Panzini. Ma questo tentativo per vari motivi non riuscì, nonostante la bravura e l'impegno di Panzini. Amedeo Girard si presentò puntuale all'appuntamento e l'attore che era in lui esplose in tutta la sua grandezza. Egli da quel giorno fu considerato il successore di Stella, l'unico che fosse degno di raccoglierne l'eredità. «Da quel giorno i napoletani appresero di aver in lui l'unico continuatore di Stella, non solo, ma l'artista capace di possedere per intero il senso di quel particolarissimo aspetto del teatro di posa tale da dominare lo spettacolo».

Esordì sulle tavole del San Ferdinando con il dramma di Federico Stella: La pettinatrice di San Giovanni a Carbonara facendo poi seguire a questo i lavori più belli di De Lise, di Minichini, Starace e Di Maio Ma la vita artistica di Amedeo Girard non si fermò con i drammi del repertorio Stella egli passò alla sceneggiata, dando vita a formazioni come la Girard Cafiero, la Girard Bruno e la Compagnia della canzone sceneggiata, con la quale, e sempre al San Ferdinando, mise in scena lavori di Chiurazzi, E.L. Murolo, Gaspare Di Maio e del grande poeta napoletano Salvatore Di Giacomo che nutriva per il Nostro grande stima sia come uomo che come attore. Del Di Giacomo Amedeo, mise in scena Mese Mariano, con l'ausilio di Fiorante, Irma De Simone e Gino Maringola.

Anche il grande Raffaele Viviani lo volle con sé in 'O bello guaglione e Napoli tascabile. Amedeo Girard era nato per il teatro, lo aveva nel sangue e quando recitava ostentava una padronanza scenica eccezionale, senza mai strafare, ma dosando ad uno ad uno ogni effetto, ogni movimento. Egli metteva gran cura nel caratterizzare qualsivoglia personaggio, ne studiava accuratamente il carattere e gli aspetti scenici ed i risultati che conseguiva ripagavano ampiamente ogni suo sforzo. Nell'arco della sua vita ha recitato al fianco di magnifici interpreti del teatro napoletano, a cominciare da Giuseppe Pironi, a Oscar Di Maio, a Beniamino Maggio, Pasquale Martino, Nino Veglia, Luisa Conte, Aldo Giuffré, Dolores Palumbo, Nino Taranto, Totò  ed infine l'insuperabile Eduardo De Filippo. Con quest'ultimo ha lavorato in tantissime commedie, da Palummella zompa e vola a Miseria e nobiltà, a La grande magia, Monsignor Perrelli, La casa n.7 e Mia famiglia. Amedeo Girard, oltre al teatro, ha preso parte a più di 50 films ed a diversi lavori televisivi, tra i quali  Morte di carnevale con Nino Taranto nel 1969, che rappresentò per Amedeo l'addio definitivo alle scene.

Si spense nella sua casa il 12 febbraio del 1972, tra il dolore di Napoli tutta, di quella Napoli che lui aveva amato e dalla quale fu dolcemente riamato. Girard fu definito La bandiera del teatro vernacolo e da tutti era considerato come: Commediante di scuola e di razza, aristocratico e popolare; tradizionale e moderno, pacato e impetuoso; é artista di eccezionale comunicativa. Saporoso,divertente, spontaneo nelle parti comiche e brillanti, é, nello stesso tempo misurato,sobrio, efficace, convincente in in quelle umane e sofferte. Amato dal ceto popolare, stimato da quello aristocratico, egli possiede per dono di natura una specie di comun denominatore, che rende attraente e piacevoli tutte le sue trasfigurazioni sceniche, in ogni ambiente e su qualunque palcoscenico. E' un raro esempio di attore completo.


A partire dal 1933, dal debutto cinematografico di Fred Astaire, cominciai ad appassionarmi di lui e del tip-tap, io che allora avevo appena dodici anni: assistevo due, tre volte allo stesso film nel medesimo giorno, e poi la sera, a casa, davanti allo specchio rubavo i passi e ripetevo lo “step”. Ma solo nel 1939 debuttai al teatro Apollo in spettacoli di varietà: eseguivo il primo numero. Lo spettacolo giornaliero era molto composito: s’iniziava con una farsa (data da una compagnia apposita composta da un massimo di quattro persone, il cui capocomico era comune alle altre compagnie impegnate nel teatro), si proseguiva con una sceneggiata (erano gli anni di maggiore successo della famosissima Cafiero-Fumo, che lavorava appunto in quel teatro, tra gli altri), si chiudeva infine appunto con lo spettacolo di varietà. A quest’ultimo prendevano parte attori della prima e seconda formazione, con numeri propri, a parte qualche specialista scritturato apposta. Era il mio caso. L’anno successivo entrai a far parte di una compagnia di giro (Napoli e provincia).

Il numero del fantasista consisteva proprio in una indefinibile specializzazione, nel suo rapidissimo trascorrere dal parlato al canto, dal serio al faceto, dalla parodia al comico, dal sentimentale e patetico al volgare e grossolano, dal “non-sense” al doppio senso, dal dialogo col pubblico all’esibizione di passi di danza e figurazioni, della “canzone di giacca” alla macchietta più o meno stilizzata. Soprattutto, il fantasista doveva seguire l’umore del pubblico: se ci stava davo dentro, se non ci stava rallentavo o acceleravo e andavo subito al finale con il pezzo più opportuno, a seconda dei casi. In ultimo il ballo eseguito da me sempre da solo, con il siparietto chiuso o un fondalino.

Talvolta andavo sulla passerella, ma giù in mezzo al pubblico: per fare ciò ci voleva molto coraggio e sicurezza. In genere si cominciava sulla passerella e si finiva il numero a siparietto. Il pubblico era diviso in varie categorie e si differenziava a seconda delle giornate e imponeva non solo al fantasista ma a tutto lo spettacolo di adattarsi alle diverse circostanze. Il lunedi c’era la provincia, che scendeva a Napoli per farvi le compere e poi se ne veniva in teatro: era un pubblico molto particolare, che si portava da mangiare e trascorreva un pomeriggio intero in teatro, con vecchi, bambini, donne e persino donne incinte. Il martedì, invece, era un po’ fiacco: solo qualche sfaccendato in sala. Il mercoledì si risaliva ed il pieno si realizzava soprattutto il giovedì, con tutte le famiglie del quartiere e della Ferrovia, di piccola e media borghesia. Noi cosi sapevamo cosa fare di diverso rispetto alle altre serate: il repertorio si adattava al momento. Cosi venerdì e sabato. La domenica invece c’era una bolgia infernale, il pubblico era quanto di più sfrenato potesse vedersi. E noi senza controllarlo, giù ad accontentarlo a seconda di ciò che mostrava di preferire.

Ero l’unico fantasista napoletano che poteva lavorare all’Augusteo, perché vi si dava uno spettacolo di varietà con tutti numeri internazionali. Facevo il gioco del mio nome francese e passavo anch’io per artista internazionale. Allora, prima della guerra, portavo in scena un numero tutto (o quasi!) in francese: facevo, in frac, Monsieur Fumoir. Dicevo d’aver vinto varie gare di fumo, e uscito in scena fingevo di presentare un grande numero che consisteva nel fumare contemporaneamente quattro sigari avana con trentasei inspirazioni senza mai espirare; e poi quattro pacchetti di sigarette americane, Camel, Lucky Strike, Chesterfield, uno di seguito all’altro, scusandomi col pubblico italiano — eravamo nel 1937, si badi — se non fumavo sigarette italiane “perché non ero assicurato”. Ma mentre m’accingevo, dopo questo buffissimo dialogare, elegante ed esotico col frac e con l’accento francesizzato, a dare inizio alla mia esibizione, veniva fuori un “compare”, da me pagato, che si precipitava sul palcoscenico e mi vietava di fumarvi per la sicurezza del teatro e del pubblico. Cosi mettevo fine al numero salutando gli spettatori, tra indispettito (era la parte che lo richiedeva, ma a volte l’uscita in ritardo del mio socio faceva perdere valore ai tempi che dovevano essere studiati alla perfezione) e sollevato, se l’applauso ci accompagnava dietro il sipario.

A quell’epoca il repertorio più comune dei fantasisti era costituito dalle canzoni di Armando Gill, ma io ero uno dei pochi che, con la simpatia del Maestro che m’aveva tenuto a battesimo, ne sapesse rendere la finezza. Armando Gill m’ammirava ed io ammirando lui ne ammiravo le canzoni, che eseguivo da “fine dicitore”.

Amedeo Girard

"Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

Foto: Archivi di Teatro Napoli

Filmografia

Legge di sangue, regia di Luigi Capuano, 1947
Monaca santa, regia di Guido Brignone, 1948
Gorghi nel fiume - La strada finisce nel fiume, regia di Luigi Capuano, 1950
Le due sorelle, regia di Mario Volpe, 1950
Un ladro in paradiso, regia di Domenico Paolella, 1951
Totò a colori, regia di Steno 1952
Totò e i re di Roma, regia di Steno e Mario Monicelli, 1952
Ergastolo, regia di Luigi Capuano, 1952
Un turco napoletano, regia di Mario Mattoli, 1953
Tarantella napoletana, regia di Camillo Mastrocinque, 1953
La domenica della buona gente, regia di Anton Giulio Majano, 1954
Napoli è sempre Napoli, regia di Armando Fizzarotti, 1954
Il medico dei pazzi, regia di Mario Mattoli, 1954
Il paese dei campanelli, regia di Jean Boyer, 1954
Due notti con Cleopatra, regia di Mario Mattoli, 1954
Milanesi a Napoli, regia di Enzo Di Gianni, 1954
Ballata tragica, regia di Luigi Capuano, 1955
Totò all'inferno, regia di Camillo Mastrocinque, 1955
Lo svitato, regia di Carlo Lizzani, 1956
I giorni più belli, regia di Mario Mattoli, 1956
Guaglione, regia di Giorgio Simonelli, 1956
Kean: genio e sregolatezza, regia di Vittorio Gassman, 1956
Totò lascia o raddoppia?, regia di Camillo Mastrocinque, 1956
Le notti di Cabiria, regia di Federico Fellini, 1957
Cerasella, regia di Raffaello Matarazzo, 1960
L'ultimo scugnizzo, regia di Vittorio Viviani, 1960
Viva l'Italia!, regia di Roberto Rossellini, 1961
Totòtruffa 62, regia di Camillo Mastrocinque, 1961
I briganti italiani, regia di Mario Camerini, 1961
Boccaccio '70, regia di Federico Fellini, Luchino Visconti, Mario Monicelli, Vittorio De Sica, 1962
L'idea fissa, regia di Gianni Puccini, 1964
Il segno del comando di Daniele D'Anza (sceneggiato tv) 1971

Prosa televisiva Rai

'O Presidente, regia di Nino Taranto, trasmessa il 20 aprile 1956.
Caviale e lenticchie, regia di Nino Taranto, trasmessa l'11 marzo 1960.
Morte di carnevale, regia di Vittorio Viviani, trasmessa il 24 aprile 1960.
I papà nascono negli armadi, regia di Eros Macchi, trasmessa il 7 ottobre 1965.

Bibliografia

Le teche Rai, la prosa televisiva dal 1954 al 2008.