Monicelli Mario

Mario_Monicelli1

Le origini

(Roma, 16 maggio 1915 – Roma, 29 novembre 2010) è stato un regista, sceneggiatore e scrittore italiano.


Negli anni Cinquanta abbiamo sbagliato tutto nei confronti di Totò. Abbiamo sbagliato a renderlo più umano, castrandogli la fantasia e portandolo dalle parti di Eduardo De Filippo. Eduardo è un grandissimo attore, Totò è un genio


Quando facevamo "Guardie e ladri" giravamo verso l'Acqua Acetosa alla periferia di Roma, c'era Totò che scappava inseguito da Fabrizi che era la guardia, a un certo momento arrivò una vettura della polizia e si intromise, due poliziotti saltarono giù con la rivoltella perché credevano che fosse vero, si misero a inseguire Totò che si spaventò e disse subito: "Fermi, fermi". Totò aveva una grande qualità, quella di avere due facce, una umana e una comica, ma addirittura surrealistica.
Totò era un attore straordinario, di grande sensibilità, di grande sapienza, di grande mestiere, inventava continuamente la parte, non che inventasse le battute, ma inventava continuamente il personaggio. Lo sforzo che è stato fattto intorno a Totò anche da me, più che altro da me, è stato quello di levargli questo suo marionettismo, cioè di cercare di umanizzarlo, di umanizzare queesta sua comicità un po' marionettistica, burattinesca. I primi tentativi furono fatti proprio con "Guardie e ladri". A mio avviso però questa non è stata nemmeno la strada giusta perché, quando si lavorava, Totò tendeva a costruire questa sua comicità tutta meccanica, surrealistica, e forse è stato un errore contrastarlo.
Il primo film che ho fatto con Totò è stato "Totò cerca casa" ed è nato per caso. Non è che io l'ho scelto o lui ha scelto me, è stata una cosa abbastanza avventurosa, è stato un film che è stato fatto perché c'era Totò libero per quattro settimane. Ponti aveva questo contratto con Totò e venne da me e da Steno e ci disse: "Tra quattro settimane devo cominciare, avete un'idea?". Rispondemmo che sì, un'idea ce l'avevamo. C'era la crisi degli alloggi, bastava metterci Totò che ha una famiglia, cerca una casa, tutto quello che può avvenire quando uno cerca casa, con i vari incontri. Scrivemmo questa sceneggiatura assieme ad Age, Scarpelli e altri amici ma, finita la sceneggiatura, non c'era il regista; allora Ponti disse: "Fatelo voi", la cosa è nata così, non è che ci fosse questa grande preparazione. Certo, lo conoscevamo già perché lo avevamo incontrato in occasione delle sceneggiature che avevamo scritto per lui.


La mia vita si è svolta in Versilia, in una Versilia che però non era quella di oggi, e nemmeno quella di venti anni fa, né quella di cinquanta anni fa; diciamo la verità, quella di prima della guerra. E subito dopo è sparito tutto. Quella Versilia li che io ricordo, nella quale sono nato, mi è rimasta dentro senza che io me ne sia accorto, era una Versilia diversa dove c'era soltanto Viareggio con un trammettino che partiva e a scapicollo, scavallando, traballando, arrivava fino a Forte dei Marmi. Proprio li, a Forte dei Marmi, non c'era nulla, c'era solo una meravigliosa, immensa spiaggia battuta dal vento, dal sole, dall'onde, a seconda delle stagioni, e zero, deserto, solo qualche capanna qua e là. Dopo la guerra è diventato Rimini, tutto occupato da stabili-menti, discoteche, alberghi ecc. E finito tutto. Ma questo anche per Viareggio, poi Viareggio ha subito tre trasformazioni benché nessuno ne parli. La Viareggio di prima prima, io me la ricordo vagamente, era tutta di legno, la passeggiata tutta di legno, liberty, colorata, come ora quando si va a Brighton e in quelle spiagge inglesi di cui si parla tanto. Viareggio era così. Quando diventò la prima e unica spiaggia di villeggiatura italiana con un turismo internazionale, venivano da fuori, dall'estero, anche degli stranieri, cosa che favorì molto i giovanottelli perché i turisti portavano dietro le baby sitter, che allora non si conoscevano in Italia. Allora diventò una spiaggia pseudo internazionale, con un tono internazionale. La vita cinematografica non c'era; c'era nel senso che ci piaceva molto il cinema, c'erano cinque cinematografi aperti tutto l'anno, che funzionavano sempre. lo mi sono "educato" lì. Poi c'erano i Forzano, la famiglia Forzano, il padre Giovacchino, Andrea e Giacomo; Andrea aveva un paio di anni più di me, ma insomma ci si frequentava e a Tirrenia c'era solo il cinema, io ero compagno di scuola di Giacomo, ero appassionato di cinema e lì ad un certo momento mi intrufolai, andai a finire a Tirrenia avanti e indietro un paio di volte. Poi c'erano gli Zacconi, i figlioli dello Zacconi che erano anche appassionati di cinema, Peppe Zacconi e Luciano che era un mio coetaneo, tutti ragazzi di diciassette-diciannove anni. E si girò un film e si chiamò Pioggia d'estate. Era tutto ambientato a Viareggio, una cosa così, tra il melanconico e il romantico, era un amore che era come una pioggia estiva, che dopo si asciuga e subito finisce tutto. C'era questo amico Pacini, al quale andava di fare un film come regista; lui girava molto a Firenze, faceva questi film in costume molto retorici. Però lui voleva fare un film in Toscana, un film moderno, anche pungente, divertente, ironico e non gli riusciva mai, allora ci mettemmo d'accordo noi cinque che eravamo molto amici suoi, Benvenuti, De Bernardi, Age, Scarpelli ed io per scrivergli un racconto per un film, che a mio avviso era una bischerata, poi qualcuno mi ha detto «guarda, l'ho rivisto, in fondo è meno bischero di quello che si pensa».


ll cinema non morirà mai, ormai è nato e non può morire: morirà la sala cinematografica, forse, ma di questo non mi frega niente.
(alla consegna del Leone d'Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1991)
Non avevo mai girato documentari e in un certo senso non ho girato nemmeno questo. C'erano con me un operatore, un fonico... e il vero autore dei documentari è sempre il montatore: in questo caso Valentina Romano.
(citato ne l'Unità, 31 agosto 2008)
Senza questi elementi, fame, morte, malattia e miseria noi non potremmo far ridere in Italia.
(dall'intervista ad Alberto Pallotta, in Alberto Pallotta, I Soliti Ignoti, Un mondo a parte, 2002)
Solo gli stronzi muoiono.
(nella trasmissione radio Viva Radio 2 del 4 dicembre 2006)
La speranza è una trappola infame inventata dai padroni.
(dall'intervista a Raiperunanotte, 25 marzo 2010)
Quello che in Italia non c'è mai stato, una bella botta, una bella rivoluzione, Rivoluzione che non c'è mai stata in Italia... c'è stata in Inghilterra, c'è stata in Francia, c'è stata in Russia, c'è stata in Germania, dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, 300 anni che è schiavo di tutti.
(a Raiperunanotte, 25 marzo 2010)
Voi, i giovani d'oggi, al contrario di noi, siete soli, disincantati, disinteressati a tutto. Sì, siete dei mammoni, proprio dei gran mammoni, se è questo che volete sapere.
(dal libro Gioventù sprecata)


Fondo Mario Canale - 2001 - Intervista a Mario Monicelli. Considerazioni generali sul cinema italiano in particolare sulla sua distribuzione all'esterno, sull'industria cinematografica americana, sulle generazione di registi e autori di cinema italiano; sulla sua flessibilità di generi; sul suo iniziale interessamento al cinema muto; sulla sua formazione con il regista Mario Camerini; primi successi con i film di Totò; sulla rivoluzione digitale nel cinema.

Mario Monicelli nasce il 16 maggio 1915 a Viareggio, anche se la sua famiglia è originaria di Ostiglia.[1] Il critico cinematografico Stefano Della Casa, nel suo volume dedicato al restauro di uno dei capolavori del regista toscano (L'armata Brancaleone - Quando la commedia riscrive la storia, edito da Lindau nel 2006), mette in dubbio le origini viareggine del regista, arrivando a sostenere che in realtà Mario Monicelli sia nato a Roma, nel quartiere Prati. Suo padre Tomaso era giornalista, e fu direttore del Resto del Carlino e dell'Avanti!; fu anche critico teatrale e drammaturgo.[2] Suo fratello Giorgio è stato traduttore e editore. Inoltre, Monicelli era imparentato con la famiglia Mondadori (la sorella del padre era moglie di Arnoldo Mondadori); Monicelli racconta che fu amico per molti anni di Alberto e Giorgio Mondadori.[2]

Monicelli passa parte della sua infanzia a Roma, dove frequenta le scuole elementari.[2] Torna a Viareggio dove frequenta le medie, il ginnasio e due anni di liceo; si trasferisce quindi a Milano dove finisce la terza liceo ed inizia gli studi universitari.[1] A Milano Monicelli frequenta Riccardo Freda, Remo Cantoni, Alberto Lattuada, Alberto Mondadori e Vittorio Sereni; insieme fondarono, con l'appoggio dell'editore Mondadori, il giornale "Camminare", in cui Monicelli si occupava di critica cinematografica.[3] Monicelli racconta che nelle sue critiche si accaniva molto sui film italiani, piuttosto che esaltare i film americani e francesi che amava molto; egli ha affermato che forse lo faceva per un velato antifascismo.[4] "Camminare" non durò molto poiché il ministero della Cultura Popolare lo soppresse perché considerato di sinistra.[5]
Frequenta la trattoria Fratelli Menghi punto d’incontro per pittori, poeti, ma soprattutto giovani registi e sceneggiatori come, Ugo Pirro, Franco Solinas e Giuseppe De Santis.
Da Milano ritorna a Viareggio e finisce gli studi universitari - nella facoltà di Lettere e filosofia - a Pisa.[1] Interessato al cinema, Monicelli rimandò continuamente il momento di laurearsi fino alla chiamata alle armi, appena dopo la quale fu laureato poiché come lo stesso Monicelli afferma "bastava presentarsi alla laurea vestiti da militari e non occorreva né tesi né altro [...] Così è stata la mia laurea, non so nemmeno se è valida".[3]
Nel 1934, Monicelli gira il suo "primo esperimento cinematografico", ovvero il cortometraggio Cuore rivelatore, ispirato all'omonima opera di Edgar Allan Poe.[1] Lo gira insieme ad Alberto Mondadori ed Alberto Lattuda, con quest'ultimo in ruolo di scenografo poiché allora studente di architettura.[5] I tre lo inviarono ai Littoriali sperando invano che venisse poi proiettato nei Cineguf; il film venne bollato come esempio di "cinema paranoico". L'anno seguente Monicelli gira il suo primo lungometraggio, I ragazzi della via Paal.[1] Il film fu inviato a Venezia alla Mostra per i film a passo ridotto, parallela alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica; I ragazzi della via Paal fece guadagnare ai suoi realizzatori il primo premio e l'opportunità di lavorare nella produzione di un film professionale.[6] Monicelli quindi poté saltare le varie fasi di formazione professionale e fu inviato a lavorare come "ciacchista" nella produzione del film di Gustav Machatý "Ballerine", che si svolse a Tirrenia.
Si accosta al mondo del cinema grazie all'amicizia con Giacomo Forzano, figlio del commediografo Giovacchino Forzano, fondatore a Tirrenia di moderni studios cinematografici sotto il nome di Pisorno, curiosa fusione dei nomi delle due città, eterne rivali, Pisa e Livorno, che Mussolini progettava di compiere. In questi anni, in Monicelli si va delineando quel particolare spirito toscano che sarà determinante per la poetica cinematografica delle commedia del regista (molti scherzi della trilogia di Amici miei sono episodi che fanno realmente parte della sua giovinezza).
Subito dopo Ballerine, Monicelli trovò lavoro sempre come assistente nel film di Augusto Genina "Squadrone bianco".[7] In seguito svolgerà il medesimo ruolo di assistente in vari film, tra cui "I fratelli Castiglioni" di Corrado D'Errico; durante la produzione de I fratelli Castiglioni conosce Giacomo Gentilomo, con cui gira due film, "La granduchessa si diverte" e "Cortocircuito", nei quali svolge ufficialmente per la prima volta l'incarico di aiuto-regista ed anche di co-sceneggiatore.[8]
Sotto uno pseudonimo, Michele Badiek[9], dirige nel 1937 il film amatoriale Pioggia d'estate.[1] Monicelli ha il ruolo di regista, sceneggiatore e soggettista; il film vide la partecipazione di Ermete Zacconi e parte della sua famiglia, dell'apporto di molti amici e di molti concittadini.[10] Egli afferma che questa esperienza fu importante per la sua formazione poiché imparò a "scrivere per il cinema, a girare, a trattare con gli attori [...] E, soprattutto, a constatare, quando poi lo rivedevo in proiezione, che quello che mettevo in scena ogni giorno non corrispondeva se non in minimissima parte alle mie aspettative".[10]
Nel libro dedicato a Mario Monicelli dalla fondazione Pesaro Nuovo Cinema Onlus, si afferma nella biografia del regista che dopo la laurea conseguita a Pisa nel 1941, Monicelli viene inviato l'anno seguente a Napoli per essere imbarcato per l'Africa; Monicelli riesce però a rimandare l'imbarco finché l'8 settembre non getta l'uniforme e scappa a Roma, dove rimane nascosto.[11] Nell'opera semi-autobiografica "L'arte della commedia", Monicelli racconta che rimase nell'esercito arruolato nella cavalleria dal 1940 al 1943 cercando di evitare il trasferimento, temendo di essere inviato prima in Russia poi in Africa, finché l'esercito non si disfece; a quel punto scappò a Roma.[12] Rimane nascosto nella Capitale fino all'estate del 1944.[11]

L'esordio ufficiale: il lavoro in proprio e i successi

Nel 1945 Monicelli è aiuto-regista nel primo film di Pietro Germi.[13] In L'arte della commedia, Monicelli racconta che tra lui e Germi si instaurò un profondo legame; egli afferma: "Credo di essere stato uno dei pochissimi amici con cui aveva davvero confidenza".[14] Ad esempio di questo legame Monicelli racconta di due episodi. Quando Germi entrò in un periodo di crisi dopo la morte della moglie, egli chiamò Monicelli per dirigere il film che stava preparando (Signore & signori, del 1966) dicendogli che lui non poteva più dirigerlo; a Monicelli piacque molto il film, ma comunque si rifiutò e incoraggiò Germi a fare il suo film. L'altro esempio è quando Germi, impossibilitato a fare Amici miei per problemi di salute, chiamò Monicelli per dirigerlo.
Nel 1946 Monicelli fu scelto, insieme a Steno, da Riccardo Freda per realizzare la sceneggiatura di Aquila nera.[12] Il film ebbe molto successo e la coppia Monicelli-Steno fu chiamata per scrivere alcune gag e battute per il film "Come persi la guerra", di Carlo Borghesio; da quel film, Monicelli e Steno formarono una coppia di sceneggiatori.[15] La collaborazione con Steno, che durerà fino al periodo tra 1952 e 1953, produrrà alcune delle commedie più interessanti del dopoguerra; tra queste vi è Guardie e ladri, film del 1951 con Totò premiato al Festival di Cannes con il premio alla miglior sceneggiatura.[11] In L'arte della commedia, Monicelli afferma che il sodalizio tra i due si interruppe esattamente durante la realizzazione dei film Le infedeli e Totò e le donne.[16] Entrambi i film dovevano essere sceneggiati e girati a quattro mani da Steno e Monicelli, ma in realtà quest'ultimo si occupò solamente de Le infedeli poiché, come racconta, si era stancato di fare solo film comici; Steno si occupò invece di Totò e le donne. Tutto questo avvenne senza che i produttori lo venissero a sapere perché altrimenti, racconta Monicelli, non avrebbero dato fiducia alla coppia di registi.
Nel 1957 Monicelli vince il premio al miglior regista del Festival di Berlino con Padri e figli.[17]
Il film considerato lo "spartiacque" nella carriera di Monicelli è I soliti ignoti, del 1958, il quale segna l'avvio verso la cosiddetta "commedia all'italiana".[11] L'anno dopo è la volta di La grande guerra, che vince un Leone d'oro ad ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini ed ottiene una nomination all'Oscar al miglior film straniero.[11] Nel 1963 Monicelli è autore del film I compagni, il quale varrà la seconda nomination ad un premio Oscar, quello alla migliore sceneggiatura originale.[11] I soliti ignoti, La grande guerra ed I compagni sono tra i capolavori del regista viareggino.[11]


I soliti ignoti, del quale Monicelli è anche co-sceneggiatore (insieme ad altri tre straordinari sceneggiatori italiani dell'epoca: Age, Scarpelli e Suso Cecchi D'Amico), rovescia per la prima volta la dialettica di Guardie e ladri con la quale lo stesso Monicelli (insieme a Steno che lo affiancò alla regia) aveva impostato fin dal 1951 la rappresentazione del rapporto tra autorità e libertà, tra giustizia togata e semplice sopravvivenza delle classi più umili. Quattro anni dopo, Monicelli inverte i ruoli: in Totò e Carolina (1955) lo straordinario attore napoletano non è più un ladruncolo ma un carabiniere, e la censura dell'epoca non prende affatto bene l'ironia intorno alle forze dell'ordine: il film subisce pesanti e talvolta inspiegabili tagli, e benché in tempi recenti ne sia stata restaurata la copia originale, continua a essere trasmesso nella versione "epurata" e inquinata da un demenziale titolo di testa imposto dalla censura di allora, francamente insultante anche solo nei confronti del livello attoriale di Totò. Così con I soliti ignoti Monicelli abbandona la dialettica antagonista tra tutori e trasgressori della legge, rappresentando esclusivamente il lato mite, confusionario e frustrato di un manipolo di aspiranti ladri votati all'insuccesso. La grande guerra, lontano dagli stereotipi classici della commedia, svaria notevolmente da un estremo all'altro del registro tragicomico affrontando un argomento doloroso e complesso come la tragedia della Prima guerra mondiale, ed è impreziosito dalle memorabili interpretazioni di Alberto Sordi e Vittorio Gassman. I compagni, film sulla storia del sindacalismo e, ancor prima, sulla fratellanza tra operai delle fabbriche, è poco noto al grande pubblico ma molto apprezzato dalla critica (con Marcello Mastroianni, Renato Salvatori e Annie Girardot).
Negli anni sessanta Monicelli si dedica anche a film a episodi: Boccaccio '70 del 1962, Alta infedeltà del 1964 e Capriccio all'italiana del 1968 (anche se l'episodio da lui diretto in Boccaccio '70 fu tagliato dal produttore Carlo Ponti, scatenando la protesta dei registi italiani che decisero quasi tutti di boicottare il Festival di Cannes del 1962, che avrebbe dovuto essere inaugurato appunto da questo film).[18]
Ne L'armata Brancaleone (1966) e, con minor efficacia, nel seguito intitolato Brancaleone alle crociate (1969), Monicelli mette in scena un singolare Medioevo tragicomico, costellato dall'uso di un'inedita lingua maccheronica divenuta memorabile nel cinema italiano. Il film del 1966 viene anche selezionato per il festival di Cannes.[17]
Nel 1973 il film Vogliamo i colonnelli è selezionato per il festival di Cannes.[17]
Tra gli altri film di rilievo occorre ricordare La ragazza con la pistola, terza nomination all'Oscar (1968), Romanzo popolare (1974) e i primi due capitoli della trilogia di Amici miei (1975, 1982) - quello conclusivo (1985) verrà infatti diretto da Nanni Loy.
Caro Michele vale per Monicelli l'Orso d'argento al festival di Berlino nel 1976.[17]
Il film successivo, girato nel pieno degli anni di piombo, ne esprime il dramma ispirandosi a un'opera dello scrittore Vincenzo Cerami: Un borghese piccolo piccolo (1977) è un'opera interamente e profondamente drammatica, estranea alle suggestioni tragicomiche delle opere precedenti e successive (Il marchese del Grillo, 1981, che pure si avvale di un'ottima interpretazione dello stesso Sordi). Entrambi i film sono selezionate al concorso del Festival di Cannes e la sua regia nel Il marchese del Grillo gli fa vincere l'Orso d'argento al festival di Berlino del 1982.[17]
Negli anni ottanta e novanta, lo sguardo del regista cambia ancora: dal maschilismo di Amici miei si passa all'esaltazione della donna contenuta nell'opera Speriamo che sia femmina (1985), mentre il successivo Parenti serpenti (1991) presenta nuovamente una caustica rappresentazione del modello familiare attraverso la problematicità dei rapporti tra generazioni, culminante in un finale addirittura scioccante. Con Speriamo che sia femmina, Monicelli torna a ricevere ampi consensi di critica e pubblico.[17]
Negli anni '80 Monicelli si dedica anche al teatro, sia in prosa che lirico, con alcune felici produzioni.[17] Per la televisione produce il cortometraggio Conoscete veramente Mangiafoco? (1981), con Vittorio Gassman, La moglie ingenua e il marito malato (1989) e Come quando fuori piove (2000)[17], mentre come documentario Un amico magico: il maestro Nino Rota (1999) e vari collettivi.
Mario Monicelli si è anche occasionalmente prestato a qualche cameo attoriale (L'allegro marciapiede dei delitti, 1979; Sotto il sole della Toscana, 2003; SoloMetro, 2007), dando anche la voce al nonno di Leonardo Pieraccioni nel Ciclone (1996).
È da considerarsi senza dubbio il regista che meglio di tutti ha interpretato lo stile e i contenuti del genere della Commedia all'italiana. Il suo attore di riferimento è stato Alberto Sordi, da lui trasformato in attore drammatico in La grande guerra e Un borghese piccolo piccolo, ma ha anche avuto il merito di scoprire le grandi capacità comiche di due attori nati artisticamente come drammatici[19]: Vittorio Gassman nei Soliti ignoti e Monica Vitti nella Ragazza con la pistola. Il sorriso amaro che accompagna sempre le vicende narrate, l'ironia con cui ama tratteggiare le storie di simpatici perdenti, caratterizzano da sempre la sua opera. Forse non è un caso che molti critici considerino I soliti ignoti il primo vero film della commedia all'italiana, e Un borghese piccolo piccolo l'opera che, con la sua drammaticità, chiude idealmente questo genere cinematografico.
Con l'avanzare dell'età la sua attività è gradualmente diminuita ma non si è mai fermata, grazie ad una forma fisica e mentale sempre buona. A dimostrazione di questo, a 91 anni è tornato al cinema con un nuovo film, Le rose del deserto (2006). In occasione della sua uscita ha confidato, in un'intervista a Gigi Marzullo, di non aver alcuna paura della morte, ma di temere moltissimo il momento in cui smetterà di lavorare, perché si annoierebbe moltissimo.
In un'intervista del 2008 ha dichiarato di aver abbandonato definitivamente l'attività registica con il cortometraggio documentaristico Vicino al Colosseo... c'è Monti. Nonostante ciò nel 2010 realizza La nuova armata Brancaleone, un cortometraggio di protesta contro i tagli alla cultura e all'istruzione di questo governo, con la collaborazione del compositore Stefano Lentini, di Mimmo Calopresti in veste di sceneggiatore e di Renzo Rossellini come produttore. Il corto è stato presentato durante l'Open Day alla scuola Cine Tv Rossellini di Roma il 3 giugno 2010, dove sono stati presenti diversi giornalisti e politici oltre ai professori e ai ragazzi, vi ha partecipato anche Mario Monicelli. Nello stesso anno ha inoltre preso parte alla realizzazione del cortometraggio L'ultima zingarata, omaggio al suo Amici miei, in cui reinterpreta il ruolo del professor Sassaroli.

Vita privata

Tra gli avvenimenti che hanno segnato di più la sua vita c'è senz'altro il suicidio del padre, Tomaso Monicelli noto giornalista e scrittore antifascista, avvenuto nel 1946. A tal riguardo ha detto[20]:
« Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre l'ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l'altro un bagno molto modesto. »
La sua ultima compagna è stata Chiara Rapaccini. Quando si sono conosciuti lui aveva 59 anni e lei 19. Hanno avuto una figlia, Rosa, quando lei ne aveva 34 e lui 74.
Nel 2007 dichiarava di vivere da solo, di non sentire la lontananza di figli e nipoti (pur avendoli), di essere un elettore di Rifondazione Comunista e di avere pianto l'ultima volta alla morte del padre[21]; mentre in un'intervista[22] svelava, in particolare, il motivo per cui viveva da solo a 92 anni:
« Per rimanere vivo il più a lungo possibile. L'amore delle donne, parenti, figlie, mogli, amanti, è molto pericoloso. La donna è infermiera nell'animo, e, se ha vicino un vecchio, è sempre pronta ad interpretare ogni suo desiderio, a correre a portargli quello di cui ha bisogno. Così piano piano questo vecchio non fa più niente, rimane in poltrona, non si muove più e diventa un vecchio rincoglionito. Se invece il vecchio è costretto a farsi le cose da solo, rifarsi il letto, uscire, accendere dei fornelli, qualche volta bruciarsi, va avanti dieci anni di più. »
Il 5 dicembre 2009 parla dal palco del No Berlusconi Day e di fronte ad una piazza gremita pronuncia parole molto dure contro il governo e l'intera classe dirigente.
Il 27 febbraio 2010 interviene ancora una volta a sorpresa durante la manifestazione organizzata dal Popolo Viola contro il Legittimo impedimento.
Il 25 marzo 2010 partecipa all'evento Raiperunanotte, dove si esprime in modo molto critico nei confronti della società odierna.
Ormai minato da un cancro alla prostata in fase terminale, la sera del 29 novembre dello stesso anno Monicelli si suicida gettandosi dal quinto piano del reparto di urologia dell'Ospedale San Giovanni in Roma, dove era ricoverato[23][24][25][26][27][28][29][30]. Dopo le commemorazioni civili tenutesi nella sua casa romana (rione Monti) e presso la Casa del cinema il suo corpo è stato poi cremato.


Dei due aspetti dell'arte di Totò, non saprei quale preferire: la parte burattinesca, i fuochi d'artificio, la commedia dell'arte, è una componente della sua comicità di grande valore, importantissima, soprattutto a ritroso; ci se ne accorge oggi meglio di quando, mettiamo, io cominciai a lavorare con lui. C'era allora l'esplosione del neorealismo, e quello che Totò faceva in teatro e aveva cominciato a fare in cinema con Palermi o Mattoli sembrava un po' sorpassato, e si cominciarono a prendere per lui dei temi neorealisti. Il Totò maschera, il Totò surrealista, il Totò marionetta, si trasformò pian piano in una figura più umana, e neorealistica, conseguentemente a tutto l'indirizzo del cinema italiano. Nessuno pensava che ci fosse in lui tanta carica di umanità, e tanta precisione di sfumature psicologiche, e fu in questa nuova veste che egli ebbe alcuni grandi successi. Il suo boom fu dovuto in gran parte al neorealismo e a questo tipo di nuova comicità.

Fu Pasolini a riprendere di nuovo il suo personaggio surreale, nei suoi ultimi film. Pasolini s'innamorò di Totò, e fu uno dei pochissimi registi importanti e di valore a occuparsi di lui, perché nessuno se n'era mai occupato. Lo usò su uno sfondo di transizione neorealista, ma lo prese nelle sue caratteristiche più surreali, e ne fece una figura diversa e piena di grazia. La tradizione comica di Totò, in cinema e in teatro, di prima e durante la guerra, era, come abbiamo detto, marionettistica e surrealistica. Poi ci fu l'avvento del neorealismo e dei personaggi ancorati alla vita quotidiana, quelli che rappresentavano l'italiano medio di allora. Totò ne ha subito l'influenza e ha dovuto trasformare il suo tipo di comicità. Il primo film neorealista come tematica che egli fece fu quello mio e di Steno Totò cerca casa. Si trattava precisamente, come dice il titolo, della crisi degli alloggi. Totò doveva affrontare un personaggio che non aveva mai affrontato prima, e il film infatti risente da tutti i punti di vista, da quello della recitazione come da quello della regia e della sceneggiatura, di un certo squilibrio, perché la tematica era spesso vecchio stile, di comicità burattinesca.

Io ero convinto che la vena che fosse da tirare fuori da lui fosse quella neorealista. Mentre giravo con Totò, lui spesso mi dava dei suggerimenti a carattere un po' surreale, astratto, e io glieli bocciavo quasi tutti. Ripensandoci, credo che molte volte avesse ragione lui, ma allora... Sempre Steno e io, facemmo poi un film abbastanza buono sul varietà, Vita da cani con Fabrizi, che allora era nel suo grande momento di attore e di personaggio. A Ponti venne un'idea molto produttiva, quella di mettere insieme questi due personaggi, Totò e Fabrizi, e tutto sommato fu un soggetto scritto su misura, da Flaiano e da Brancati, che poi sceneggiammo facendone Guardie e ladri. La qualità, il tono del film, era diverso, anche perché nasceva da una diversa scrittura. Totò si compiaceva se chi gli scriveva le sceneggiature o i soggetti erano autori di nome, però credo che sul fondo non gli interessasse molto. La grande passione, la grande nostalgia di Totò era il teatro, era il contatto con il pubblico, era recitare la sera su un palcoscenico. Verso il cinema aveva un atteggiamento non dico di disprezzo, questo no, ma comunque di disinteresse.

Lo ha fatto per venti anni e fatto soltanto quello, ma lo ha fatto per ragioni economiche, però il suo amore restava il teatro. Il passaggio definitivo al nuovo personaggio fu dunque Guardie e ladri sia per l'intervento di Vitaliano Brancati, che fece la sceneggiatura e gli dette un'impronta particolarmente valida dal punto di vista psicologico e umano, realistica e aggiornata per quello che era l'Italia di allora, sia per l'esperienza che avevamo ormai dietro tutti quanti. E su questa scia si mossero Totò e Carolina, Totò e i re di Roma, e altri film. Totò e i re di Roma lo prendemmo, Steno e io, addirittura da Cechov. Guardie e ladri ebbe un grossissimo successo. Vi si mettevano quasi sullo stesso piano sia la guardia che il ladro, coi loro problemi, ragione per cui avemmo parecchi guai con la censura, perché sembrava che questo fosse rivoluzionario. Su quell'ambiente venne fuori anche l'idea di fare con Sonego un film su un agente di PS che si trovava per le mani una ragazza che aveva tentato il suicidio e che Totò doveva riportare al paese col foglio di via. Il film, Totò e Carolina, ebbe un mucchio di guai, e usci dopo un anno e mezzo, perché ebbe trentaquattro-trentacinque tagli in censura. Dovemmo cambiare parecchie battute, fu proprio massacrato, e anche lì perché la guardia era fatta da Totò e già questo era visto come un'offesa all'intero corpo della polizia, e poi perché aveva degli atteggiamenti umani, si faceva convincere, non faceva il suo dovere fino in fondo per ragioni umanitarie, e questo sembrava un'offesa ai corpi dello stato. Il personaggio del Totò di quegli anni è tipico degli anni Cinquanta, un piccoloborghese, anzi nemmeno, un sottoborghese in combattimento sempre con lo stipendio, la fame, il posto, la disoccupazione, con un'ideologia diciamo pure qualunquistica, e quindi affamato di notorietà, di sesso...

Il Totò della prima maniera veniva dal pazzariello che va in giro per le strade con una livrea e un bastone in mano, e i passanti, i bambini, lo circondano e ridono alle sue mosse e alle sue battute. La sua comicità era senza dubbio più immediata, proprio perché più infantile e diretta, spontanea. In questo c'era anche un aspetto "intellettualistico", surreale, che però non è affatto in contrasto col mondo dei bambini e dell'immediatezza comica. Il personaggio comico neorealista, era un personaggio di tutti i giorni, il sottoproletario e il diseredato o il sottoborghese, e veniva mediato da altre esigenze, era meno diretto e immediato. Però era altrettanto, se non forse più popolare. Il pubblico Io riceveva con la stessa facilità e con la stessa partecipazione con cui riceveva il primo personaggio. Le donne poi nei film di Totò hanno poca consistenza di personaggi drammatici, sono messe sempre come abbellimento, come oggetti, come divagazioni. La società era quella repressiva di allora, piena di censure, non c'era l'apertura che ci siamo poi conquistata. In fondo Totò rappresentava proprio questo tipo di italiano sottosviluppato, diciamo la verità, perciò credo che il suo grande successo, la sua grande popolarità fossero dati proprio da questo. A parte naturalmente le sue qualità eccezionali di attore, di mimo.

Le donne, nei film di Totò, servono solo per dare pimento, come una bella scenografia, diciamo. Ma come personaggio che abbiano una loro umanità, in generale no, erano un semplice ornamento. Di emancipazione della donna in quei film non se ne parla proprio! Sono un oggetto, bellissimi oggetti che aiutano i film e i produttori a far entrare nei cinematografi un po' più gente. Poi, più tardi, facemmo insieme I soliti ignoti. Fu un colpo di fortuna, perché Isoliti ignoti nacque come un film in cui non doveva entrarci Totò, ma siccome era il debutto nel film comico di Gassman, e Gassman era visto allora dai produttori come il fumo negli occhi, soprattutto per una parte comica e di protagonista, allora per avallare la presenza di Gassman fui costretto a prendere nelle altre parti attori come Totò, come Mastroianni, ` Salvatori, ecc., perché il pubblico si divertisse con questi personaggi e non fosse oppresso dalla presenza di Gassman.

L'ultimo film che ho fatto con Totò, Risate di gioia, non andò molto bene. Penso che intanto la coppia non fosse molto bene assortita, perché avevano tutti e due una forte personalità, e tentavano di sormontarsi l'un l'altra. Poi era probabilmente un po' sorpassato quel genere di film, quel soggetto. E c'era il fatto che era un film ibrido, c'era dentro Ben Gazzara, che parlava in americano, mentre loro due parlavano romano e napoletano italianizzati, e con l'altro si capivano fino a un certo punto. E abbiamo dovuto doppiare il film completamente. Con la Magnani si poteva fare, ma con Totò era una cosa complicatissima e difficilissima.

"Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fori) - Feltrinelli, 1977



Videoclip estratti dalle serie televisive prodotte dalla RAI e curate da Giancarlo Governi; "Il Pianeta Totò", ideata e condotta da Giancarlo Governi, trasmessa in tre edizioni diverse - riviste e corrette - a partire dal 1988 e "Totò un altro pianeta" speciale in 15 puntate trasmesso nel 1993 su Rai Uno.

Galleria fotografica e rassegna stampa

Mario Monicelli, rassegna stampa

Mario Monicelli 814 Mirella Delfini, «Tempo», anno XXIV, n.52, 29 dicembre 1962

Mario Monicelli è polemico ma parla bene di tutti

Mario Monicelli è polemico ma parla bene di tutti Prima di partire per Belgrado dove sta per iniziare “I compagni” il regista ha rivelato le sue opinioni sui suoi colleghi di lavoro. Litiga con Germi ma gli vuol bene, comprende Antonioni, ammira…
Mario Monicelli 22 Elena Doni, «Il Messaggero», 14 settembre 1980

Mario Monicelli: «che bei tempi quelli con Totò»

Mario Monicelli: «che bei tempi quelli con Totò» Mario Monicelli, sul set, racconta la sua carriera Sotto i riflettori, agli stabilimenti De Laurentiis alla Vasca Navale, c’è un calore da fornace del vetro. Con in testa un cappelletto di tela per…
Mario Monicelli 1029 «L'Unità», 1 dicembre 2010

Mario Monicelli, un eroe del nostro tempo

Mario Monicelli, un eroe del nostro tempo Mario Monicelli, un eroe del nostro tempo Se n’è andato uno dei più sapienti Artigiani del nostro cinema, grande narratore e appassionato testimone della cultura e dell’umanità italiane Quindici anni fa…

Un film in cui rispunta spesso De Amicis

Il Varietà è stato talmente saccheggiato, ormai quasi da un secolo, dalla pittura, dalla poesia, dalla letteratura e, per ultimo, dal cinema, che ben poco in questo campo resta da dire che non sia già stato detto. Scoperto dal decadentismo europeo in cerca di una nuova poetica, esso ha fatto presto a diventare convenzione cartacea o figurativa, un po’ come la mitologia greco-romana per la letteratura e la pittura classiche. Per tenerci al solo cinema, quanti film di questo genere abbiamo visto a partire dal lontano Variété con Lia de Putti e Emil Jannings. Bisogna, tuttavia, notare che il varietà cosi monotonamente eguale a se stesso in tutti i tempi e in tutti i luoghi, sembra avere riserve insospettate di vitalitf che ne giustificano sempre nuove interpretazioni, alcune delle quali, ogni tanto, anche nuove e felici. In realtà esso è vecchio quanto il mondo e le squisite figurine di danzatrici e mimi e suonatori dei vasi greci sono i lontani antenati delle nostre soubrettes in tutù, dei nostri caratteristi e dei nostri virtuosi di sassofono.

Steno e Monicelli con il loro film "Vita da cani" hanno voluto presentarci una nuova interpretazione di questo mondo dell'arte cosidetta varia, insieme prestigioso e logoro. Questi due registi e sceneggiatori, come è noto, provengono dalle file dei redattori di giornali umoristici che, durante i vent’anni del fascismo, ebbero grande fortuna. In quegli anni la formula dell’umorismo nostrano si rinnovò completamente riuscendo quasi a uscire dal vieto campo della freddura e a sfiorare la critica di costume. Fu un momento breve in cui la piccola borghesia italiana, dimenticando per poco le sue eterne angustie economiche, parve inclinare ad una maggiore conoscenza di sè, dei propri limiti e delle proprie deficienze. Dell’umorismo giornalistico, i nostri due registi hanno conservato sopratutto la disposizione a risolvere in una «battuta» le situazioni e le psicologie. Quale differenza passa tra la «battuta» e il «gag» cinematografico? Diremo che la «battuta» non ha che una dimensione, rivelandosi, appunto di essenza giornalistica, mentre il gag, con tutto il suo automatismo, sembra esser più ricco di sostanza teatrale. Abbiamo, con questa osservazione, già indicato uno dei limiti del film.

La storia del quale è molto semplice. Una modestissima compagnia di arte vana viaggia, come è l’uso, per le più sperdute e rustiche città dell’Italia provinciale. Il capocomico, Martoni, è un brav’uomo clamoroso ma cuor d’oro; al misero carro di Tespi sono aggregate o si aggregano numerose, Delle ragazze ansiose di «sfondare». Dopo molte vicende, effettivamente, almeno tre delle ragazze «sfondano». La prima diventa una celebre «soubrette» del varietà; la seconda si sposa con un bravo giovane che le vuol bene; la terza, dopo un fidanzamento povero e un matrimonio ricco, si suicida gettandosi dalla finestra. La compagnia comica Martoni che, all'inizio del film, abbiamo visto viaggiare in terza classe per l'Italia, riprende alla fine le sue peregrinazioni nella stessa classe di treno e con la stessa miseria.

Steno e Monicelli, avvertendo senza dubbio il carattere ormai oleografico dell’argomento, hanno avuto la buona idea, soprattutto nella prima parte, di puntare sulla descrizione di un ambiente meno noto; quello dei paesini visitati, appunto, soltanto dalle compagnie di terzo e quarto ordine. Abbiamo anche noi viaggiato in provincia e così abbiamo ritrovato con piacere le sale squallide e gelate, di solito adibite a cinema, con le sgangherate poltrone popolate di sbalorditi contadini; i minuscoli palcoscenici e le orchestre di tromboni; le locande rustiche avvezze a ospitare sensali di bestiame e viaggiatori di commercio; i caffeucci affollati ai giorni di mercato. La compagnia Martoni, con il suo capocomico miserabile e abituato a non pagare i conti e il suo stuolo di belle fanciulle affamate e affettuose, in quei paesini, su quei palco-scenici, ci sta benissimo; e, infatti, tutta la prima parte del film è non soltanto divertente ma anche veritiera. Peccato che i due registi non abbiano insistito su quegli ambienti cosi genuini e relativamente nuovi.

Nella seconda parte, invece, il film passa dalla provincia inedita e povera alla città ricca e troppo nota, dalla descrizione d'ambiente all’intreccio e subito decade nella ricetta e nel luogo comune. La storia della ragazza ambiziosa che sposa il milionario e poi, rosa dal rimorso, si uccide, sembra venuta fuori da un romanzo di Ohnet; la fortuna di quella che diventa soubrette non è meno abborracciata; il matrimonio della terza sa di apologhetto morale. Come al solito, appena si esce dalla miseria e dal dialetto e si passa negli ambienti ricchi e civili, ci si imbatte nella volgarità e nell’approssimazione. Quel milionario che riceve in casa sua, in vestaglia, la ballerina, è un personaggio stonato e improbabile. E anche il n odo con il quale il buon Martoni si libera delia sua soubrette per non intralciarle la camera, appartiene ad una tradizione deamicisiana ormai definitivamente scontata. Il film, oltre che sulla arguta e precisa descrizione d’ambiente della prima parte, regge sulla recitazione di Fabrizi, bravissimo davvero e più misurato e sapido del solito. Gina Lollobrigida ha dei buoni momenti e, per una volta, la sua timidezza di attrice si intona col personaggio interpretato. La regia di Steno e Monicelli, senza granai voli ma pulita e cordiale, è perfettamente adatta al genere del film, appunto, comico-sentimentale.

Alberto Moravia, «L'Europeo», anno VI, n.42, 15 ottobre 1950


Umoristi e registi cinematografici - La nuova via del film comico aperta da «Guardie e ladri» La censura si accanisce contro «Totò e i sette re di Roma» - Comicità e tragedia nelle «Infedeli» 

Roma, 28 novembre

Steno e Monicelli costituiscono in Italia un binomio molto popolare, perché legato ad una serie numerosa di film comici, alcuni del quali notevolmente significativi, come Guardie e ladri e il recente Totò e i re di Roma. In questi due film, e particolarmente nel primo di essi, si notano alcune caratteristiche che li differenziano dalla media della produzione comica italiana; l'umorismo di Guardie e ladri e di Totò e i re di Roma non é, infatti, gratuito e campato in aria, ma si riferisce ad aspetti reali della vita italiana d'oggi. In entrambi i film il protagonista, Totò, oltre a farci ridere, riesce, a tratti, a commuovere con la amara e dolorosa umanità del suoi personaggi. 

Carriera «dalla gavetta» 

Steno e Monicelli sono arrivati entrambi alla regia, diciamo cosi «dalla gavetta». Monicelli cominciò, quindici e forse più anni or sono, facendo «l'uomo del ciak» in un film di Gustav Machatg, Ballerine. A quell'epoca. Machetiy, che aveva sbalordito e scandalizzato il pubblico del Festival di Venezia con famoso quanto mediocre Estasi (in cui Hedy Kieslerova, oggi Hedy Lamar, compariva nuda), era considerato un grande maestro del cinema, soprattutto da certi giovani imbevuti di estetismo. Monicelli era anche lui convinto di vivere una fondamentale esperienza artistica, ma quando vide il film proiettato ci rimase assai male, tanto esso gli apparve scadente. Poi Monicelli fece, via via, l’«aiuto» del più importanti registi italiani, il soggettista e successivamente lo sceneggiatore. Dopo avere scritto assieme alcune sceneggiature, Monicelli cominciò a dirigere film in collaborazione con Steno. Quanto alla carriera cinematografia di quest’u'timo, essa ebbe inizio con il film Imputato alzatevi. In quell'occasione, Steno, che lavorava nel giornale umoristico Marc'Aurelio, venne chiamato a scrivere alcune trovate comiche per il film. Poi realizzò soggetti, sceneggiature e, finalmente, cominciò a lavorare con Monicelli. 

— Quando si hanno piò o meno gli stessi gusti, la collaborazione è molto vantaggiosa — dicono i due registi: — oltre a rendere più spedito il lavoro, si ha modo di esercitare una reciproca critica su quello che si fa. Del resto, il cinema é soprattutto un’arte di collaborazione. 

Nel corso di un lungo e interessante colloquio con i due registi, abbiamo, fra l'altro, chiesto loro informazioni sulle traversìe subite a causa della censura dal film Totò e i re di Roma. Abbiamo chiesto, in particolare, se fosse vero che nel film erano state soppresse molte scene.

— Effettivamente — rispondono Steno e Monicelli — mancano nell'edizione definitiva del film alcune scene molto importanti; per esempio, alla fine, il povero impiegato che aveva cercato la morte per poter andare nell'aldllà (la censura, fra parentesi, ha voluto che alla parola «aldilà» fosse sostituita la parola «Olimpo») a prendere i numeri del lotto e darli in sogno alla moglie, si sfogava con iI Padreterno e gli diceva press'a poco: tu che ti preoccupi tanto di me, dei miei peccatucci, della mia vita piena di miserie e di sacrifici, guarda, guarda un po’ la terra e vedrai come le cose vadano male; c’è la miseria, c’è la guerra, c’é la bomba atomica e un sacco di altri guai. Non faresti meglio ad occuparti un po’ di quello che succede laggiù? Questo finale, che avrebbe dato al film una carica satirica e drammatica molto più forte di quella che esso ha, è stato tolto di mezzo dalla censura.

— La censura — ci spiegano i nostri interlocutori — specialmente quella non ufficiale, quella cosiddetta «preventiva», è un grave ostacolo al nostro lavoro. Certi temi non si possono nemmeno toccare. Noi vorremmo che si avesse un po’ più di fiducia in noi e che ci si permettesse di realizzare film in pace, fidando nel nostra senso di responsabilità.

Il discorso cade ora sull’influenza che il cinema italiano del dopoguerra può aver esercitato specificamente sul nostro film comico.

Una parentesi tragica

Secondo Steno e Monlcelli, il cinema realista del dopoguerra ha educato il pubblico in modo tale che esso non apprezza più i film comici che non abbiano una precisa caratteristica nazionale, che non si svolgano In ambienti Italiani e che non rispecchino in un modo o nell’altro la vita dei Paese.

— Naturalmente — dice a questo punto Steno, mentre Monicelli annuisce — noi vogliamo essenzialmente far ridere, far ridere di cuore iI nostro pubblico, evitando però di cedere alle seduzioni dell'umorismo meccanico e senza senso.

Ma nel lavoro di questi due registi — finora dedicato esclusivamente al genere comico — c’è un'eccezione: La infedeli. Questo film, che sta per essere ultimato proprio in questi giorni, è infatti un film drammatico, e, ad un certo punto, addirittura tragico, Le Infedeli si svolge negli ambienti della borghesia, o meglio, di quella parte della borghesia, che è costituita dai nuovi ricchi. Esso vuole svelare la miseria morale di questi ambienti. L'episodio tragico del film (una cameriera, accusata ingiustamente di aver rubato un oggetto in casa dei padroni, si brucia viva) ricorderà un fatto di cronaca nera che commosse profondamente qualche anno fa l’opinione pubblica italiana.

Alla fine della interessante conversazione, Steno e Monicelli hanno espresso il loro amore e la loro fiducia nel nostro cinema, che costituisce, a parer loro, la forza culturale più popolare, più importante e più viva che esista oggi in Italia.

Siamo anche noi convinti, insomma, che esistano comunque le premesse di un film comico profondamente nazionale e popolare; e che, come hanno detto Steno e Monicelli, la strada da seguire sia quella maestra del realismo.

Franco Giraldi, «L'Unità», 29 novembre 1952


«Il Nostro Tempo», 17 settembre 1959


 


Alla ricerca dei registi “impegnati". Siamo andati a cercarli sul set, all’inizio o alla fine di una nuova fatica per costruire un film su un argomento "impegnato”. Storia recente o passata, temi di costume e d’attualità al vaglio della macchina da presa: ne vedrete le prime immagini, le sentirete commentare dagli autori. Inizia la serie di queste interviste Mario Monicelli, "Leone d'oro” con "La grande guerra", presentando il film che sta portando a termine: "I compagni”.


Una lira e venti centesimi era il salario medio giornaliero di un operaio verso il 1890. Ed un chilo di pane costava 35 centesimi, un chilo di pasta 50 centesimi. Rapportato quindi ai prezzi di oggi il guadagno dell’operaio non arrivava a cinquecento lire al giorno, per quindici ore filate di lavoro, dall’alba a notte fonda con appena mezz’ora di sosta per mangiare.

Su questi dati si soffermò Mario Monicelli leggendo una inchiesta sulla condizione operaia che Gina Lombroso aveva pubblicato nel 1895 sulla rivista «Riforma Sociale». Il regista intuì quale disperazione potesse esistere nell’animo di uomini costretti a vivere nell’abbrutimento della fatica e della miseria. I primi scioperi, di cui Monicelli da giovane aveva sentito parlare dal padre in termini di epica leggenda, dovevano essere esplosi in questo clima di estrema rivolta in nome della più semplice ed essenziale dignità dell’uomo. Maturò così il progetto del film I compagni.

«Il problema dello sciopero, del rapporto umano fra padroni e lavoratori è vivo e scottante ancora oggi — dice Monicelli. — Avrei quindi potuto affrontare questo tema anche in termini attuali. Ma ho creduto più interessante risalire agli inizi delle agitazioni operaie per mostrare qunto di spontaneo e di immediato vi fosse in questi movimenti. Non esistevano sindacati, non c’era traccia di organizzazione: la spinta veniva dall’intemo di animi disperati ed avviliti. Questi primi scioperi furono manifestazioni confuse, istintive, quasi romantiche. Ma proprio questa verità umana degli scioperi di mezzo secolo fa aiuta a comprendere i valori dei movimenti operai di oggi, valori che spesso restano nascosti dietro nuovi e complessi schemi organizzativi».

Monicelli con I compagni affronta un tema difficile e coraggioso, si impegna su un problema che si stacca violentemente dalla grigia palude in cui nuota oggi gran parte del cinema italiano. In nome della crisi in atto produttori e registi ricamano in fretta film senza idee e senza problemi. Ed in un certo senso può stupire che la reazione più seria e decisa a questo cinema di evasione sia guidata da un regista come Monicelli che per molti anni è stato l’araldo dei film di Totò e di Silvana Pampanini. Ma la contraddizione è solo di ordine storico: fra i filmetti ridanciani di quel periodo e questo impegnato di oggi c’è l’esperienza de La grande guerra, la scoperta cioè dei più gravi problemi dell’uomo nella dimensione spesso meschina della vita quotidiana. Proprio perchè Monicelli è rimasto per tanti anni nel pantano dei filmetti di cassetta la serietà con cui oggi affronta problemi di fondo è molto impegnativa: «Mi sono accorto

— spiega il regista — che il settanta per cento dei cosiddetti film brillanti di evasione, in realtà sono noiosissimi, proprio perchè si avverte quanto siano vuoti ed inutili. D’altro canto i film seri possono ugualmente annoiare il pubblico perchè pretendono di isolare i problemi dalla realtà minuta della vita. Per I compagni sono voluto restare in una certa misura sul filone de La grande guerra: vedere un momento decisivo della storia, come
fu appunto la nascita del movimento operaio, attraverso la realtà spicciola degli uomini che lo vissero. Nelle giornate di qualsiasi uomo c’è il momento di disperazione e quello di entusiasmo, c’è la lacrima e c’è la risata».
in Italia c’erano stati alcuni movimenti di resistenza, che si potrebbero anche chiamare scioperi, nelle campagne nel 1882, e poi ancora nel 1884. Anzi a voler andare indietro nel tempo c’erano stati anche i moti di protesta contro la tassa sul macinato nel ’68 in varie regioni d’Italia. Ma Monicelli ha preferito ricercare il primo sciopero nell’industria. «Le condizioni di vita degli operai erano di gran lunga le più disperate — spiega il regista. — Da alcune testimonianze si ricava un quadro di tale squallore che a sentirne parlare si prova ancora oggi un senso penoso di angoscia. Ho cercato di riprodurre questo ambiente, le casupole degli operai, i loro quartieri fangosi, sullo schermo, ma non mi illudo di essere riuscito neppure a sfiorare la realtà».

In un ospizio per vecchi di Torino, Monicelli ha ritrovato due operai che parteciparono attivamente ai primi scioperi del ’96. Uno è Lorenzo Baudino. Ha ot-tantacinque anni ed a quei tempi era «battimazza» in una stamperia. Lavorava sedici ore al giorno in una specie di cantina senza luce e senza aria, picchiando con martelli di legno sugli stampi di piombo che allora avevano il posto delle rotative. E quando era malato e restava a casa, in una gelida e sconnessa catapecchia di periferia, il padrone gli toglieva la paga. Giuseppe Trinchero è l’altro vecchietto incontrato da Monicelli nell’ospizio. A quattordici anni già lavorava in una fonderia di Vercelli e, sia pure con la confusione dell’età, ricorda i primi movimenti nelle fabbriche, gli assalti delle Guardie «Regie chiamate dai padroni. Le testimonianze di questi due vecchi operai sono state preziose a Monicelli per ricostruire il clima umano in cui maturarono gli scioperi del ’96.

Il film comincia infatti con alcune sequenze che mostrano la vita degli operai nelle stamberghe in cui abitavano, in una Torino invernale, gelida e squallida. In una cantina gli operai hanno improvvisato una scuola: vogliono almeno imparare a leggere, ed un professore idealista e di nobili sentimenti li aiuta in questo loro impegno. Una vita senza significato la loro: tornano a casa a sera tarda, stanchi e disfatti, partono per la fabbrica che ancora è notte. E anche le loro donne devono andare a lavorare, come lavandaie, come domestiche ; i bambini crescono nella strada, finché a quattordici anni prendono anch’essi la strada della fabbrica. Un giorno imo degli operai ha un incidente sul lavoro: perde la mano negli ingranaggi d’una macchina. Per la fabbrica la sua presenza è diventata inutile, ed il padrone lo caccia senza una parola di comprensione.

E’ la scintilla che accende gli animi già spinti alla disperazione: gli operai decidono lo sciopero. Ma il loro movimento è talmente spontaneo che sconfina nella più disarmata ingenuità: il padrone li schiaccerebbe facilmente e il professore decide allora di organizzarli, di guidare la loro azione. Il film è la storia di ventisei giorni di sciopero, di ven-tisei giorni di ansia e di fede. C’è l’arrivo dei crumiri, c’è l’assalto delle Guardie Regie, c’è la fame che piega gli animi più forti. E dopo quasi quattro settimane lo sciopero fallisce.

Il finale potrebbe apparire pessimistico nella sua amarezza — dice Monicelli.

— Ma proprio le conquiste cui è giunto oggi il movimento operaio dimostrano che quei movimenti di cinquant’anni fa non furono inutili, anche le battaglie perse servono a vincere le guerre. Se non altro quelle esperienze, dolorose e sanguinose, convinsero gli operai che l’azione non poteva essere condotta in maniera romantica, ma doveva essere compatta ed organizzata».

1963 07 13 Noi Donne Mario Monicelli f2

Figura chiave del film è, da questo punto di vista, il professore. Il ruolo è interpretato da Marcello Mastroianni, un Mastroianni inedito, con barba ed occhiali. «Vi fu sul fiinire del secolo un ”socia-lismo dei professorini”, un movimento generoso e idealista che spingeva gruppi di intellettuali sulle barricate degli operai — dice Monicelli. — Erano giovani professori che avevano una testa positivista ed un cuore deamicisiano. Portavano la loro convinzione nelle nuove teorie sociali, la loro esperienza di studio, ma soprattutto il loro entusiasmo romantico. Credo che una delle pagine più indicative sia proprio il comizio che Mastroianni improvvisa sul piazzale della fabbrica quando coglie nella massa i primi segni di scoraggiamento e di paura».

Le scene dello sciopero sono state girate a Cuneo e per una strana circostanza in quei giorni una delle grandi officine della città era effettivamente in sciopero. Monicelli ha quindi arruolato in massa alcune centinaia di operai veri, anzi di scioperanti veri, e li ha utilizzati nelle riprese. Il comizio tenuto da Mastroianni li ha talmente presi che lo hanno acclamato a lungo, oltre i limiti previsti dalla scena: in fondo quello che diceva il «professore» di cinquantanni fa era valido ancora oggi.

1963 07 13 Noi Donne Mario Monicelli f2

Ed anche la scena dello scontro con le guardie regie ha acquistato
estremo vigore poiché gli operai erano guidati da Folco Lulli il quale a Cuneo ha una grande notorietà che risale ai tempi della Resistenza, quando organizzò le prime bande partigiane in Val Casotto e tenne in scacco per mesi i tedeschi che occupavano la città e che misero sulla sua testa una taglia da un milione. Con Lulli gli operai-comparse sono andati all’assalto con la foga e l’impeto di quegli anni. Anche da questi fatti marginali di lavorazione, Monicelli ha tratto la convinzione di aver scelto bene la strada: i film che affrontano, sia pure in ima prospettiva storica, temi che hanno una profonda risonanza nell’animo della gente, suscitano quella spinta di entusiasmo ad ogni livello che serve ad abbattere il diaframma della finzione scenica.

1963 07 13 Noi Donne Mario Monicelli f2

Monicelli crede nel film impegnato, ma a due condizioni fondamentali: evitare di cadere nella retorica ed evitare di salire nell’intellettualismo astratto. Ed a questo fine egli cerca di vedere i problemi nella dimensione degli uomini che vi si trovano coinvolti. Cosi I compagni non è tanto la storia di uno sciopero, quanto la storia, ora drammatica ora comica, degli uomini che lo fecero.

Giorgio Nicolai, «Noi donne», anno XVIII, n.28, 13 luglio 1963


«Noi donne», 22 marzo 1969 - Mario Monicelli


«L'Unità», 6 giugno 1984 - Mario Monicelli


Steno ed io diventammo registi per caso quando inventammo «Totò cerca casa». Per «Risate di gioia» la Magnani non lo voleva: «Abbassa il tono del film»

«Ok, parliamo dell'estate 1949. Allora girai il mio primo film, in collaborazione con Steno: Totò cerca casa». Mario Monicelli, con quel suo modo un po' brusco un po' sincopato di parlare, accetta finalmente di ripercorrere un pezzetto della sua lunga carriera. Non voleva farlo. «Non mi piace guardarmi indietro - aveva detto -. Il passato è passato. E, poi, non ho il gusto dell'aneddoto. Figuriamoci del pettegolezzo retrospettivo. Posso parlare solo del mio lavoro, del cinema. E' l'unica cosa che ho fatto nella vita».

Di cose, nella sua vita, veramente ne ha fatte moltissime. Ha 77 anni e fa cinema da quando era diciottenne. Ha girato una settantina di film e nella storia del cinema è entrato come uno dei maestri della commedia all'italiana. Ha lavorato con grandi attori e suoi sono alcuni capolavori come La grande guerra, I compagni, L'armata Brancalcone. Ma nel mondo dei ricordi s'inoltra malvolentieri. Mentre si muove con serena sicurezza fra gli interessi e gli affetti del presente. Eccolo sorridere - neanche tanto spesso - nella piccola casa dove è andato ad abitare con la sua nuova famiglia. Mostrare i quadri dipinti dalla giovane moglie. Raccogliere il pupazzo di peluche che la sua ultima figlia - Rosa, di 4 anni - ha piazzato sul più bel divano della stanza. E soffermarsi sul film cui sta lavorando, insieme con Suso Cecchi D'Amico e due esordienti.

«Vorrei fame - dice - una sorta di continuazione e controcanto di Speriamo che sia femmina. Lì raccontavo il rapporto fallimentare fra uomo e donna, la speranza per il mondo nelle relazioni nuove che le donne sanno instaurare fra loro. Adesso vorrei raccontare quanto le donne - passate attraverso l'esperienza del femminismo - hanno spaventato gli uomini, li hanno intimiditi, messi in fuga. lnsomma vorrei che le donne si prendessero un po' la responsabilità del fatto che i sessi non riescono più a trovare un'intesa fra di loro».

E Totò? Il regista fruga fra buste ingiallite mescolate a libri e dischi. Fatica a mettere ordine fra le foto di film disparati. Si diverte, qualche volta, nel rivedere una faccia. S'imbroncia, più spesso, davanti a visi di gente scomparsa, ragazze sparito dopo la breve parentesi in celluloide. Finalmente ecco una piccola antologica di Totò. Totò che ammicca, strabuzza gli occhi, avanza sghembo come solo lui sapeva fare. Monicelli riflette e dice: «Lui era speciale».

Racconta: «L'ho conosciuto nel '49, anche se - prima - l'avevo spesso incontrato. Insieme con Steno avevo scritto le sceneggiature di tanti suoi film di successo. Io e Steno eravamo una coppia molto richiesta quando noi dopoguerra ci fu quell'imprevedibile boom del cinema italiano. Tutti credevamo che - aperte le porte alle pellicole americane, finita la protezione che il regime aveva assicurato al nostro cinema - non ci sarebbe stato un futuro per noi. Molti si erano dirottati verso attività alternative: giornalismo, fumetti. Invece scoppiò il neorealismo. Nacquero - nonostante i pochi soldi, i mezzi tecnici scadenti - quei capolavori e tante pellicole di cassetta. I film costavano poco e rendevano. La gente faceva la coda davanti ai cinema. I produttori investivano e ci guadagnavano. Stimolavano anzi gli autori a sperimentare nuovo strade Insomma, fu un boom.

«Steno ed io diventammo registi per caso. Carlo Ponti aveva sotto contratto Totò per due mesi. Doveva fare un film per la Lux di Alfredo Guarini. Pensò di fame due di film, invece di uno. Allora si girava alla buona, senza la prosopopea di oggi. Ponti ci disse: inventatevi un soggetto, presto! E ci venne l'idea di Totò cerca casa. Il problema degli alloggi era drammatico. Le città erano semidistrutte. Quella storia teneva d'occhio l'attualità e - come si faceva alloro saccheggiava anche le idee di altri, gli spunti che venivano da una conversazione, il teatro napoletano tradizionale. L'episodio dell'alloggio nel cimitero, ad esempio, è preso di sana pianta da un alto unico - anonimo - del repertorio napoletano. Il clima era quello del tempo dell'opera buffa, di Cimarosa e Paisiello, quando un'aria si trasferiva da un'opera all'altra, e cosi una situazione, un personaggio. Le cose nascevano cosi, con grande felicità, in una maniera che poi si è perduta e che rimpiango molto. Si stava insieme, allora, registi, scrittori e attori. A Roma ogni sera sul palcoscenico di un piccolo teatro, l'Arlecchino, saliva a cantare o recitare chi voleva: Aldo Fabrizi come Ennio Flaiano, Ciarletta. Brancati, Mazzarella, la Valeri.

«Ponti interpellò un paio di registi, poi ci disse: Ma, scusute, porché il film non lo dirigete voi? E cosi finimmo dietro la macchina da presa. Era estate, naturalmente, perché allora si girava solo nei mesi estivi quando il bel tempo era sicuro. Non come oggii che, con le pellicole e i mezzi tecnici a disposizione, si può lavorare sempre e, anzi, la luce invernale, di taglio, è preferita. Le ragioni artistiche allora non potevamo neppure permettercele. Mentre oggi - ironia della storia! - film non se fanno quasi più. Arrivammo sul set col copione completo. Non si usava cambiare, avere ripensamenti. Non c'era il tempo per rifare una scena. Totò aveva approvato la sceneggiatura. Lui veramente non discuteva mai. Gli andava sempre bene tutto. Non contestava mai una situazione, una psicologia. All’inìzio aveva tentato di dare qualche suggerimento, per portare avanti una comicità più surreale, più lieve. Ma non fu capito. E la smise di insistere.

«Anch'io l'avevo contrastato. Avevo voluto, semmai, umanizzare il personaggio, portarlo fuori dal cliché della macchietta. Ho fatto un errore. E me ne dispiaccio, tanto più che, poi, mi ha sempre divertito molto rovesciare i ruoli, inventare attori. Sono stato io - in La ragazza con la pistola - a fare di Monica Vitti, l'interprete dell'incomunicabilità e dell'alienazione, un'attrice comica. E nei Soliti ignoti ho avuto l'idea di trasformare in attore comico Gassman, che fino ad allora il cinema aveva voluto nei ruoli del latin lover o del cattivo o dell'antipatico. Sempre in quel film feci saltare fuori Marcello Mastroianni comico, la Cardinale che era una ragazzetta appena venuta da Tunisi e che non sapeva neppure parlare l'Italiano. Tiberio Murgia che faceva Io sguattero in un ristorante... Stessa operazione, ma in senso inverso, nella Grande guerra, dove affidai a Sordi un ruolo drammatico...

«Già allora, nel '49, Totò era fragile, di salute delicata. Era un vero uomo di teatro, abituato a orari diversi, spazi ristretti. Si sentiva a disagio all'aperto dove si girava. Si stancava e infastidiva per le lunghe pause, sotto il sole o la pioggia, nelle attese che il cinema comporta. In realtà amava il teatro e riteneva che quello fosse il luogo in cui valeva la pena esprimersi. Del cinema non gliene importava molto. Era gentile, un signore. Lui era il cast, per questo gli si mettevano accanto anche attori non professionisti che facevano ripetere una scena magari tante volte: Totò non si spazientiva. Con le sue partner, le bellone del tempo, aveva un modo distaccato di comportarsi: era come su un palcoscenico d'avanspettacolo, quando le luci si spegnevano tutto finiva lì. Certo, era un divo. Ma, insieme con Aldo Fabrizi mi diede la prima grande lezione di uomo di spettacolo. Li volli per Guardie e ladri, nel '51. Erano due mostri sacri. Fabrizi aveva fatto il regista, aveva lavorato con la Magnani, era un uomo scontroso e irritabile. Sembrava un'impresa impossibile farli lavorare insieme. Tutti erano preoccupati. Invece mi rivelarono che - quando più divi lavorano insieme - ciascuno vuole mostrare quanto è disponibile: arriva in orario, non pretende il camerino migliore, non si presenta al trucco per ultimo per guadagnare mezzora di sonno. Andò tutto benissimo.

«In quell'estate del '49 due cose mi colpirono di Totò. Una sorta di sdoppiamento fra l'attore e il principe. Sul set recitava, era scurrile, farsesco, comico. Poi diventava il principe De Curtis e la sua fedeltà alla figura del blasonato era totale. Amava stare a casa. Aveva una saletta di proiezione dove si vedeva - anche do solo - i film. Ascoltava musica e ne componeva. Quando riceveva, la sera, ci faceva sentire le sue canzoni, raccontava aneddoti. Era un uomo molto simpatico, ma non faceva il comico, non si esibiva. Sapeva ascoltare. Si facevano le due, le tre...

«Le volte che andava a vedersi - e non lo faceva neanche sempre - assisteva al film come se quello sullo schermo fosse un altro: rideva di gusto oppure non si divertiva per niente, ma non entrava mai nel merito dicendo questo si poteva fare così questo è andato male perché... Era come se la cosa non lo riguardasse: un atteggiamento che non ho mai trovato in nessun altro attore. Era davvero così diviso? Era una corazza che si era costruito? Non l'ho mai capito. Ho capito poi, invece, quanto grande fosse il mito - mania, debolezza, fissazione? - per quel suo titolo nobiliare. Una volta, nel '51, mentre giravamo Guardie e ladri al Palatino, lui puntò il dito verso l'Arco di Costantino. ‘ Sai che quello è mio?", disse. Io non capii. “Certo, certo”, risposi con ironia. Lui, serissimo, insistè: "E' mio perché Costantino era un imperatore romano. Mentre io discendo direttamente da antenati greco-bizantini”.

«La sua notorietà era senza confronti. Con lui girai il primo film che firmavo da solo, nel '55, Totò e Carolina (film che mi diede un sacco di guai con la censura, perché Totò era un poliziotto diciamo umano, vessato dai suoi superiori, sostenuto da un groppo di persone che cantavano L'Internazionale e sventolavano la bandiera rossa: dovetti fare un sacco di tagli, l’identità di quelle persone fu cancellata e il film uscì con mesi di ritardo!).

«Le nostre strade si separarono per anni. L'ultima volta che lavorai con lui fu nel '60. in Risate di gioia, con Anna Magnani. La Magnani la conoscevo bene. Andavo spesso alle serate in casa sua, serate molto divertenti: lei recitava sketches, cantava, faceva terribili scherzi col telefono svegliando la gente, spacciandosi per altri... Per quel film ci scontrammo: lei non voleva Totò. Tira giù il tono del film! diceva. Io però mi impuntai o Totò fu nel cast. La macchina da presa - vidi - gli era diventata più familiare. Il pubblico cinematografico, per lui abituato al rapporto platea-palcoscenico, non era più qualcosa di astratto. Alla fine di ogni scena la troupe - 20-30 persone - si raccoglieva insieme e lo applaudiva. Questo lo riscaldava, gli piaceva. Un'idea geniale. Che però non avevo avuto io...»

Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992


Inizia stasera il «Roma film festival» che quest’anno si articola intorno al tema «Il vero e il nero» (il realismo e l’umorismo crudele), tra il Palazzo delle Esposizioni e la multisala Nuovo Olimpia fino al 16 dicembre. A febbraio, secondo quanto anticipato dall'assessore alla Cultura Borgna in occasione della presentazione della rassegna, è prevista la riapertura del Film-studio che fu insieme al Nuovo Olimpia, da poco ri-strutturato, uno dei più famosi cineclub di Roma.

Stasera si terrà una festa in onore di Mario Monicelli al quale è dedicata una retrospettiva che prenderà le mosse dalla proiezione di «I soliti ignoti» in una copia che la Scuola nazionale di Cinema ha preservato dai negativi originali. Interverranno anche Alberto Sordi, Monica Vitti, Nino Manfredi e Suco Cecchi d’Amico. Monicelli alla soglia degli 85 anni si sente di dare una chiave di lettura valida per tutta la sua produzione: «Ho capito che il cinema che faccio ha sempre lo stesso schema: un gruppo di individui si battono per compiere un’impresa situata al di là delle loro capacità, inevitabile esito è sempre il fallimento». Presente a Roma anche la grande attrice turca, Turkan Soray per ricevere un riconoscimento alla carriera all'interno della finestra che il festival aprirà sul nuovo cinema turco insieme a quello spagnolo.

Saranno proiettati film d’autore provenienti dai maggiori festival mondiali dell'anno, e interessanti novità di David Lynch, Jim Jarmush, Kaplan, Rafelson, Winterbotton e tanti altri. Un omaggio verrà fatto ad Abel Ferrara con la presentazione del suo primo film «The Driller Killer», e arriverà a Roma Paul Mo-rissey per riproporre il 14 in una nuova veste rimasterizzata la mitica trilogia dell’underground americano realizzata insieme a Andy Warhol. Verrà ricordato anche il grande documentarista Van der Keuken, e proiettato un raro film muto di Lubitsch intitolato «Als ich tot war» trovato e restaurato dalla Cineteca di Lubiana. Fra i recuperi, anche il restaurato «Totò e Carolina», a suo tempo censurato, con il grande comico e Annamaria Ferrero.

Marco Andreetti, «Corriere della Sera», 4 dicembre 1999


Mario Monicelli sarà oggi alle 14 all'associazione Filmstudio. «Steno e la commedia all’italiana» il tema dell'incontro, organizzato dagli studenti e ncolaurcati della facoltà di Lettere della «Sapienza», ma aperto a tutti. «Sono poco abituato a fare relazioni, non sono un insegnante. Mi sottoporrò però volentieri alle domande del pubblico» spiega Monicelli, che ha scritto tante pagine illustri del nostro cinema, creando soggetti c sceneggiature, curando la regia di una sessantina di film. Pellicole memorabili come «Totò cerca casa» del 1949 e «L'armata Brancaleone» (1966), «La ragazza con la pistola», del '68, e i due «Amici miei» (1975 e 1982).

«Su Steno spero non mi chiedano aneddoti, non ricordo i singoli episodi. Ma parlerò sicuramente della necessità di rivalutare una figura straordinaria. Steno era nato con la penna in mano. La sua era una scrittura molto fine.

Basta andare a rivedere le rubriche pungenti c i gustosissimi ritratti dei grandi del cinema di allora, pubblicati su giornali e riviste come “Marco Aurelio", o “Bertoldo”. Consiglierò ai ragazzi un suo bellissimo libro, “Sotto le stelle del ’44", appunti autobiografici dov'è presente tutta la sua acutezza di spirito. Si trovava Mario Monicelli più a suo agio curvo su un tavolino a mettere nero su bianco i suoi pensieri, che nel tumulto di un set». Epoca irripetibile, quella della commedia all’italiana, di cui Monicelli c stato l'inventore, insieme con Dino Risi, Pietro Germi, Luigi Comencini, anche Alberto Lattuada. Lo dirà oggi, il regista, ai ragazzi che vogliono tentare la difficile arte del far ridere: «Vedo parecchia superficialità e poche idee in quanti scelgono la strada della Commedia. Ci sono comici che rendono benissimo nei loro one man show a teatro, ma perdono carisma e incisività alla prova del cinema. Noto anche una certa tendenza a fare film tutti uguali, toscancggianti e napoletaneggianti in maniera eccessiva. Bisognerebbe andare oltre certi steccati».

Laura Martellini, «Corriere della Sera», 12 febbraio 2001


Wladimiro Settimelli, «L'Unità», 24 maggio 2004


Alberto Crespi, «L'Unità», 27 aprile 2005


Paolo Foschi, Paolo Mereghetti, Rinaldo Frignani, «Corriere della Sera», 30 novembre 2010
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2010 12 01 Il Piccolo Mario Monicelli morte

«Il Piccolo», 2 dicembre 2010


2010 11 30 Il Messaggero Mario Monicelli morte intro

«Il Messaggero», 30 novembre 2010 - Pag.1 - Pag.2 - Pag.3


Alla Casa del Cinema si inaugura oggi la retrospettiva organizzata in collaborazione con la Cineteca Nazionale; tra i film in programma «La ragazza con la pistola» con Monica Vitti

Virtù e meschinerie, rivincite e amarezze. Lo sguardo gioviale e disincantato del maestro Mario Monicelli è riuscito a scandagliare la società italiana dell'immediato e successivo dopoguerra. Con i suoi personaggi (spacconi, piccoli truffatori e malviventi sgangherati interpretati sempre da grandi attori) ha saputo cogliere i mutamenti di un Paese in cerca di riscatto, pronto a imboccare scorciatoie più o meno lecite pur di rialzarsi. Le sue commedie, insomma, riescono a cogliere lo spirito del tempo e per questo più che risate tirano fuori sorrisi amari. Alla Casa del Cinema si inaugura oggi la retrospettiva dedicata al grande regista scomparso il 29 novembre. Sei giorni di proiezioni (organizzate in collaborazione con la Cineteca Nazionale) per rivedere alcune delle sessanta pellicole firmate dal padre della «Commedia all'italiana».

La rassegna si apre oggi alle 16 con «I soliti ignoti», il film del 1958 che segna l’inizio della collaborazione con Vittorio Gassman. Il personaggio di Beppe, il giovane pugile suonato e a
corto di espedienti, è uno dei più riusciti «mostri» della premiata galleria Monicelli e per l’attore ha rappresentato la «grande svolta» dall’accademia ai ruoli popolari. La retrospettiva propone anche gli altri grandi successi firmati dalla coppia Monicelli-Gassman, come quella strana «specie di Samurai», che parlava in latino-viterbese, protagonista de «L’armata Brancaleone» e di «Brancaleone alle Crociate» (domani dalle 17).

Giovedì alle 17, invece, è in programma uno dei capolavori indiscussi del cinema italiano: «La grande guerra» (1959), la commedia agrodolce che all’ipocrita soldato Giovanni Busacca (Gassman) contrappone Oreste Jaco-vacci, interpretato da Alberto Sordi, un altro attore che collaborò a lungo con Monicelli. Albertone è anche il paranoico impiegato di «Un eroe dei nostri tempi» (venerdì ore 15) e l’indimenticabile Onofrio del Grillo, il marchese beffardo protagonista del film del 1981 premiato al Festival di Berlino (sabato ore 17). Ma sono tanti gli attori che, diretti da Monicelli, hanno offerto interpretazioni memorabili. Dal principe De Curtis di «Totò cerca casa» (domani alle 15) a Monica Vitti nei panni di «La ragazza con la pistola» (venerdì alle 20.30), passando per il Marcello Mastroianni di «I compagni» (sabato ore 20.30) e «Le due vite di Mattia Pascal» (domenica alle 17).

La rassegna si chiude domenica con due pellicole più recenti: il corale «Speriamo che sia femmina» (che ha nel cast Liv Hlmann, Catherine Deneuve, Philippe Noiret, Giuliana De Sio e Stefania Sandrelli) e «Le rose del deserto», l'ultimo lungometraggio firmato da Monicelli nel 2006 all'età di 91 anni. (Ingresso libero fino a esaurimento posti. Info: 06.423601).

Carlotta De Leo, «Corriere della Sera», 11 gennaio 2011


Immagini dal set del film "Risate di gioia", 1960
Foto Archivio Istituto Luce, Getty Image


Riconoscimenti

Premi cinematografici

Mostra del Cinema di Venezia

1959: Leone d'oro al miglior film - La grande guerra
1985: Premio Pietro Bianchi
1991: Leone d'oro alla carriera

Festival di Berlino
1957: miglior regista - Padri e figli
1976: miglior regista - Caro Michele
1982: miglior regista - Il marchese del Grillo

David di Donatello
1976: miglior regista - Amici miei
1977: miglior regista - Un borghese piccolo piccolo
1977: miglior film Un borghese piccolo piccolo
1986: miglior regista - Speriamo che sia femmina
1986: miglior film - Speriamo che sia femmina
1986: miglior sceneggiatura - Speriamo che sia femmina
1990: miglior regista - Il male oscuro
2005: David speciale

Nastri d'argento
1959: migliore sceneggiatura - I soliti ignoti
1977: migliore sceneggiatura - Un borghese piccolo piccolo
1982: migliore sceneggiatura - Il marchese del Grillo
1986: regista del miglior film - Speriamo che sia femmina
1986: migliore sceneggiatura - Speriamo che sia femmina

Premio Oscar
1958: Nomination all'Oscar al miglior film straniero - I soliti ignoti
1959: Nomination all'Oscar al miglior film straniero - La grande guerra
1968: Nomination all'Oscar al miglior film straniero - La ragazza con la pistola
1978: Nomination all'Oscar al miglior film straniero - I nuovi mostri (co-regia)

TraniFilmFestival
2002: premio cinematografico “Stupor Mundi” riconoscimento alla carriera ispirato alla figura di Federico II di Svevia.
Festival Europa Cinema di Viareggio
2005: premio Fellini 8½ Platinum Award for Cinematic Excellence
Premio "Città di Trieste"
2009: Alabarda d'oro alla carriera

Onorificenze

Grand'Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana

— Roma, 27 aprile 1987. Su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Cavaliere di Gran Croce Ordine al merito della Repubblica Italiana
— Roma, 22 marzo 1994.
Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte
— Roma, 25 febbraio 2000.

Filmografia

Regista 

I ragazzi della via Paal (1935)
Pioggia d'estate (1937)
Totò cerca casa (1949)
Al diavolo la celebrità (1949)
È arrivato il cavaliere (1950)
Vita da cani (1950)
Totò e i re di Roma (1951)
Guardie e ladri (1951)
Totò e le donne (1952)
Le infedeli (1953)
Proibito (1954)
Un eroe dei nostri tempi (1955)
Totò e Carolina (1955)
Donatella (1956)
Il medico e lo stregone (1957)
Padri e figli (1957)
I soliti ignoti (1958)
Lettere dei condannati a morte (1959)
La grande guerra (1959)
Risate di gioia (1960)
Boccaccio '70 (1962) - episodio Renzo e Luciana
I compagni (1963)
Alta infedeltà (1964) - episodio Gente moderna
Casanova '70 (1965)
Le fate (1966) - episodio Fata Armenia
L'armata Brancaleone (1966)
La ragazza con la pistola (1968)
Capriccio all'italiana (1968) - episodio La bambinaia
Toh, è morta la nonna! (1969)
Le coppie (1970) - episodio Il frigorifero
Brancaleone alle crociate (1970)
La mortadella (1971)
Vogliamo i colonnelli (1973)
Romanzo popolare (1974)
Amici miei (1975)
Caro Michele (1976)
Signore e signori, buonanotte (1976)
Un borghese piccolo piccolo (1977)
I nuovi mostri (1977) - episodi Autostop e First Aid
Viaggio con Anita (1979)
Temporale Rosy (1980)
Camera d'albergo (1981)
Il marchese del Grillo (1981)
Amici miei atto II (1982)
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1984)
Le due vite di Mattia Pascal (1985)
Speriamo che sia femmina (1986)
I picari (1988)
12 registi per 12 città (1989) - documentario, episodio Verona
Il male oscuro (1990)
Rossini! Rossini! (1991)
Parenti serpenti (1992)
Cari fottutissimi amici (1994)
Facciamo paradiso (1995)
Esercizi di stile (1996) - episodio Idillio edile
I corti italiani (1997) - episodio Topi di appartamento
Panni sporchi (1999)
Un amico magico: il maestro Nino Rota (1999) - documentario
Un altro mondo è possibile (2001) - documentario collettivo
La primavera del 2002 (2002) - documentario collettivo
Lettere dalla Palestina (2002) - docu-drama collettivo
Firenze, il nostro domani (2003) - documentario collettivo
Le rose del deserto (2006)
Vicino al Colosseo... c'è Monti (2008) - cortometraggio documentaristico
La nuova armata Brancaleone (2010) - cortometraggio, solo credito

Sceneggiatore 

I ragazzi della via Paal, regia di Mario Monicelli (1935)
Pioggia d'estate, regia di Mario Monicelli (1937)
La granduchessa si diverte, regia di Giacomo Gentilomo (1940)
Brivido, regia di Giacomo Gentilomo (1941)
La donna è mobile, regia di Mario Mattoli (1942)
Cortocircuito, regia di Giacomo Gentilomo (1943)
Il sole di Montecassino, regia di Giuseppe Maria Scotese (1945)
Aquila nera, regia di Riccardo Freda (1946)
Gioventù perduta, regia di Pietro Germi (1947)
La figlia del capitano, regia di Mario Camerini (1947)
Il corriere del re, regia di Gennaro Righelli (1947)
I Miserabili, regia di Riccardo Freda (1948)
L'ebreo errante, regia di Goffredo Alessandrini (1948)
Il cavaliere misterioso, regia di Riccardo Freda (1948)
Accidenti alla guerra!..., regia di Giorgio Simonelli (1948)
Totò cerca casa, regia di Steno e Mario Monicelli (1949)
Il lupo della Sila, regia di Duilio Coletti (1949)
Il conte Ugolino, regia di Riccardo Freda (1949)
Al diavolo la celebrità, regia di Mario Monicelli e Steno (1949)
Come scopersi l'America, regia di Carlo Borghesio (1949)
Follie per l'opera, regia di Mario Costa (1949)
È arrivato il cavaliere, regia di Mario Monicelli e Steno (1950)
Il brigante Musolino, regia di Mario Camerini (1950)
Botta e risposta, regia di Mario Soldati (1950)
L'inafferrabile 12, regia di Mario Mattoli (1950)
Vita da cani, regia di Mario Monicelli e Steno (1950)
Soho Conspiracy, regia di Cecil H. Williamson (1950)
Quel bandito sono io (Her Favorite Husband), regia di Mario Soldati (1950)
Vendetta... sarda, regia di Mario Mattoli (1951)
Totò e i re di Roma, regia di Steno e Mario Monicelli (1951)
Tizio, Caio, Sempronio, regia di Marcello Marchesi, Vittorio Metz e Alberto Pozzetti (1951)
È l'amor che mi rovina, regia di Mario Soldati (1951)
Core 'ngrato, regia di Guido Brignone (1951)
Il tradimento, regia di Riccardo Freda (1951)
Accidenti alle tasse!!, regia di Mario Mattoli (1951)
Amo un assassino, regia di Baccio Bandini (1951)
Guardie e ladri, regia di Mario Monicelli e Steno (1951)
O.K. Nerone, regia di Mario Soldati (1951)
Totò e le donne, regia di Steno e Mario Monicelli (1952)
Totò a colori, regia di Steno (1952)
Cinque poveri in automobile, regia di Mario Mattoli (1952)
Cani e gatti, regia di Leonardo De Mitri (1952)
Un turco napoletano, regia di Mario Mattoli (1953)
Il più comico spettacolo del mondo, regia di Mario Mattoli (1953)
Cavalleria rusticana, regia di Carmine Gallone (1953)
Le infedeli, regia di Mario Monicelli e Steno (1953)
Perdonami!, regia di Mario Costa (1953)
Giuseppe Verdi, regia di Raffaello Matarazzo (1953)
Violenza sul lago, regia di Leonardo Cortese (1954)
Guai ai vinti, regia di Raffaello Matarazzo (1954)
Proibito, regia di Mario Monicelli (1954)
Totò e Carolina, regia di Mario Monicelli (1955)
Un eroe dei nostri tempi, regia di Mario Monicelli (1955)
La donna più bella del mondo, regia di Robert Z. Leonard (1955)
Donatella, regia di Mario Monicelli (1956)
Il medico e lo stregone, regia di Mario Monicelli (1957)
Padri e figli, regia di Mario Monicelli (1957)
I soliti ignoti, regia di Mario Monicelli (1958)
Ballerina e Buon Dio, regia di Antonio Leonviola (1958)
La grande guerra, regia di Mario Monicelli (1959)
Risate di gioia, regia di Mario Monicelli (1960)
A cavallo della tigre, regia di Luigi Comencini (1961)
Boccaccio '70 (1962) - segmento Renzo e Luciana
Frenesia dell'estate, regia di Luigi Zampa (1963)
I compagni, regia di Mario Monicelli (1963)
Casanova '70, regia di Mario Monicelli (1965)
I nostri mariti (1966) - segmento Il Marito di Olga
L'armata Brancaleone, regia di Mario Monicelli (1966)
Toh, è morta la nonna!, regia di Mario Monicelli (1969)
Brancaleone alle crociate, regia di Mario Monicelli (1970)
Le coppie, regia di Mario Monicelli (1970)
Vogliamo i colonnelli, regia di Mario Monicelli, Alberto Sordi e Vittorio De Sica (1973)
Romanzo popolare, regia di Mario Monicelli (1974)
Gran bollito, regia di Mauro Bolognini (1977)
Un borghese piccolo piccolo, regia di Mario Monicelli (1977)
Temporale Rosy, regia di Mario Monicelli (1980)
Camera d'albergo, regia di Mario Monicelli (1981)
Il marchese del Grillo, regia di Mario Monicelli (1981)
Amici miei atto II, regia di Mario Monicelli (1982)
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, regia di Mario Monicelli(1984)
Le due vite di Mattia Pascal, regia di Mario Monicelli (1985)
Speriamo che sia femmina, regia di Mario Monicelli (1986)
I picari, regia di Mario Monicelli (1988)
Il male oscuro, regia di Mario Monicelli (1990)
Rossini! Rossini!, regia di Mario Monicelli (1991)
Parenti serpenti, regia di Mario Monicelli (1992)
Cari fottutissimi amici, regia di Mario Monicelli (1994)
Facciamo paradiso, regia di Mario Monicelli (1995)
Panni sporchi, regia di Mario Monicelli (1999)
Un amico magico: il maestro Nino Rota (1999) - documentario
Le rose del deserto, regia di Mario Monicelli (2006)
Vicino al Colosseo... c'è Monti, regia di Mario Monicelli (2008) - cortometraggio documentaristico
La nuova armata Brancaleone, regia di Mario Monicelli (2010) - cortometraggio, solo credito

Televisione

La moglie ingenua e il marito malato (1989)
Come quando fuori piove (2000) (anche sceneggiatore)

Attore 

Rue du Pied de Grue, regia di Jean-Jacques Grand-Jouan (1979)
Sono fotogenico, regia di Dino Risi (1980)
La vera vita di Antonio H., regia Enzo Monteleone (1994)
Il ciclone, regia di Leonardo Pieraccioni (1996) - voce
Sotto il sole della Toscana (Under the Tuscan Sun), regia di Audrey Wells (2003)
SoloMetro, regia di Marco Cucurnia (2007)
L'ultima zingarata, regia di Federico Micali (2010)

Libri e sceneggiature edite

Romanzo popolare, con Age e Scarpelli, Milano, Bompiani, 1974.
La grande guerra, Bologna, Cappelli, 1979.
Cinema italiano. Ma cos'è questa crisi?, Roma-Bari, Laterza, 1979.
Il romanzo di Brancaleone, con Age e Scarpelli, Milano, Longanesi, 1984.
L'arte della commedia, Bari, Dedalo, 1986. ISBN 88-220-4520-3
Brancaleone alle crociate. Sceneggiatura originale dell'omonimo film di Mario Monicelli, con Age e Scarpelli, Mantova, Provincia di Mantova-Casa del Mantegna-Circolo del cinema di Mantova, 1989.
Presentazione di Aldo Belli, I colori della memoria, Lucca, Pacini Fazzi, 1994.
Prefazione a Antonio Maraldi (a cura di), Fotografi di scena del cinema italiano. Divo Cavicchioli, Cesena, Il ponte vecchio, 2000.
Alberto Pallotta (a cura di), I soliti ignoti, sceneggiatura originale di Age & Scarpelli, Suso Cecchi D'Amico, Mario Monicelli, Un mondo a parte, 2002.
Autoritratto, Firenze, Polistampa, 2002. ISBN 88-8304-500-9
Prefazione a Francesca Bianchi, con Luigi Puccini, Dizionario del cinema per ragazzi, Pisa, ETS, 2003. ISBN 88-467-0708-7
L'armata Brancaleone, con Furio Scarpelli, Roma, Gallucci, 2005. ISBN 88-88716-38-6
Prefazione a Nicola Bultrini, con Antonio Tentori, Il cinema della grande guerra, Chiari, Nordpress, 2008. ISBN 9788895774053
Capelli lunghi. Storia e immagini di un film mai nato, con Massimo Bonfatti e Franco Giubilei, Reggio Emilia, Aliberti, 2008. ISBN 9788874243587
Intervento in Emiliano Morreale, con Dario Zonta (a cura di), Cinema vivo. Quindici registi a confronto, Roma, Edizioni dell'Asino, 2009. ISBN 9788863570083
Prefazione a Roberto Gramiccia, Fragili eroi. Ritratti d'artista, Roma, DeriveApprodi, 2009. ISBN 9788889969878

Bibliografia 

Bruno Torri, Cinema italiano. Dalla realtà alle metafore, Palermo, Palumbo Editore, 1973.
Orio Caldiron, Mario Monicelli, Roma, CIES, 1981.
Fabrizio Borghini, Mario Monicelli. Cinquantanni di cinema, s.l, Master, 1985.
Masolino D'Amico, La commedia all'italiana. Il cinema comico in Italia dal 1945 al 1975, Milano, Mondadori, 1985.
Stefano Della Casa, Mario Monicelli, Firenze, La nuova Italia, 1986.
Mario Monicelli, Lorenzo Codelli (a cura di), L'arte della commedia, Tullio Pinelli, Edizioni Dedalo, 1986. ISBN 88-220-4520-3
Aldo Viganò, Commedia italiana in cento film, Recco, Le Mani, 1999. ISBN 88-8012-027-1
Stefano Della Casa, Storia e storie del cinema popolare italiano, Torino, La Stampa, 2001. ISBN 88-7783-134-0
Manola Alberighi, con Jaures Baldeschi e Federico Cioni, Omaggio a Mario Monicelli, Castelfiorentino, Circolo del cinema Angelo Azzurro, 2001.
Leonardo De Franceschi (a cura di), Lo sguardo eclettico. Il cinema di Mario Monicelli, 1, Venezia, Marsilio Editori [2001]. ISBN 88-317-7763-7
Maria Coletti, Francesco Crispino, Ivelise Perniola (a cura di), Mario Monicelli, Pesaro, Fondazione Pesaro Nuovo Cinema Onlus, 2001.
Mariano Sabatini, con Oriana Maerini, Mario Monicelli. La sostenibile leggerezza del cinema, Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001. ISBN 88-495-0061-0
Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano (1905-2003), Torino, Einaudi, 2003. ISBN 88-06-16485-6
Stefano Della Casa (a cura di), L'armata Brancaleone. Un film di Mario Monicelli. Quando la commedia riscrive la storia, Torino, Edizioni Lindau, 2005. ISBN 88-7180-567-4
Sebastiano Mondadori, La commedia umana. Conversazioni con Mario Monicelli, Milano, Il Saggiatore, 2005. ISBN 88-428-1162-9
Chiara Rapaccini, Le mosche del deserto. Spunti dal set del film Le rose del deserto di Mario Monicelli, Firenze, Maschietto Editore, 2006. ISBN 978-88-88967-64-6
Giacomo Martini et al. (a cura di), Il cinema di Mario Monicelli, Porretta Terme, I quaderni del battello ebbro, 2007.
Adriana Settuario, L'espressione triste che fa ridere. Totò e Monicelli, Napoli-Roma, Graus-Centro sperimentale di cinematografia, 2007. ISBN 978-88-8346-186-6
Ivana Delvino, I film di Mario Monicelli, Roma, Gremese Editore, 2008. ISBN 978-88-8440-477-0

Documentari

Mario Monicelli: A Man, film documento di Gian Luca Valentini per EuropaCinema, Viareggio, 1989
Marco Cucurnia, a cura di Carmen Giordano, Mario Monicelli, l'artigiano di Viareggio, film documento, Directory Media, 2001
I sentieri della gloria - In viaggio con Mario Monicelli sui luoghi della grande guerra, di Gloria De Antoni, La Cineteca del Friuli, 2005
Mario Monicelli - Il re della commedia all'italiana (2015, regia di Lorenzo Bassi e Franco Longobardi)


Note

  1. ^ Silvia Bizio e Claudia Laffranchi, Gli italiani di Hollywood: il cinema italiano agli Academy Awards, Gremese Editore, 2002, p. 39, ISBN 978-88-8440-177-9.
  2. ^ Pozzi Antonia, Ti scrivo dal mio vecchio tavolo, Àncora Editrice, 30 settembre 2014, p. 283, ISBN 978-88-514-1484-9.
  3. ^ Mario Monicelli e Dino Risi, i Maestri della Commedia all’italiana, quartopotere.com.
  4. ^ Salta a:a b c d e f Coletti, pag. V.
  5. ^ Salta a:a b Stefano Della Casa, Mario Monicelli, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 75, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2011.
  6. ^ Viareggio sì, Viareggio no, la 'beffa' sul luogo di nascita di Monicelli lanazione.it
  7. ^ Sorpresa: Mario Monicelli è nato a Roma repubblica.it
  8. ^ Salta a:a b c Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.13.
  9. ^ Salta a:a b Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.14.
  10. ^ Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.15.
  11. ^ Salta a:a b Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.16.
  12. ^ Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.19.
  13. ^ Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.20.
  14. ^ Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.21.
  15. ^ [1], Sito ufficiale di Mario Monicelli
  16. ^ Salta a:a b Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.17-18.
  17. ^ Christian De Sica: “I cinepanettoni? Sono quelli che funzionano di più. Chi li critica ‘se la canta e se la sona…'”
  18. ^ Salta a:a b c d e f g Coletti, p. VI.
  19. ^ Salta a:a b Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.22.
  20. ^ Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.29.
  21. ^ Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.30.
  22. ^ Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.23.
  23. ^ Mario Monicelli, Lorenzo Codelli, pag.38.
  24. ^ Salta a:a b c d e f g h Coletti, p. VII.
  25. ^ AA.VV.Coletti, p. VI-VII
  26. ^ Mario Monicelli - Biografia, su trovacinema.repubblica.it. URL consultato il 22 novembre 2013.
  27. ^ Le Garzantine Cinema vol. II, Garzanti, 2003 - p. 793
  28. ^ intervista pubblicata su Vanity Fair del 7 giugno 2007 (pagina 146)
  29. ^ Restano gravi le condizioni del regista Mario MonicelliLa Repubblica, 19 aprile 1988
  30. ^ Ottavia Monicelli, Guai ai baci, Sperling & Kupfer, 2013
  31. ^ Intervista raccolta da Enrico Lucci, inviato de Le Iene nel febbraio 2007
  32. ^ pubblicata nel edizione di Vanity Fair del 7 giugno dello stesso anno (pagina 146)
  33. ^ Intervista rilasciata a Raiperunanotte il 25 marzo 2010.
  34. ^ Mario Monicelli, ultimo socialista
  35. ^ De te fabula narratur. Conversazione con Mario Monicelli di Curzio Maltese
  36. ^ Curzio Maltese, Il Venerdì di Repubblica 15 aprile 2005
  37. ^ Mario Monicelli morto suicida a Roma, Corriere della Sera.it, 29 novembre 2010.
  38. ^ Appino: Il Testamento, su Canzoni contro la guerra, 29 novembre 2016. URL consultato il 21 marzo 2019.
  39. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
  40. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
  41. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.

Riferimenti e bibliografie:

  • Bruno Torri, Cinema italiano. Dalla realtà alle metafore, Palermo, Palumbo Editore, 1973.
  • Orio Caldiron, Mario Monicelli, Roma, CIES, 1981.
  • Fabrizio Borghini, Mario Monicelli. Cinquantanni di cinema, s.l, Master, 1985.
  • Masolino D'Amico, La commedia all'italiana. Il cinema comico in Italia dal 1945 al 1975, Milano, Mondadori, 1985.
  • Stefano Della Casa, Mario Monicelli, Firenze, La nuova Italia, 1986.
  • Mario Monicelli, L'arte della commedia, a cura di Lorenzo Codelli, Tullio Pinelli, Edizioni Dedalo, 1986, ISBN 88-220-4520-3.
  • Aldo Viganò, Commedia italiana in cento film, Recco, Le Mani, 1999. ISBN 88-8012-027-1
  • Stefano Della Casa, Storia e storie del cinema popolare italiano, Torino, La Stampa, 2001. ISBN 88-7783-134-0
  • Manola Alberighi, con Jaures Baldeschi e Federico Cioni, Omaggio a Mario Monicelli, Castelfiorentino, Circolo del cinema Angelo Azzurro, 2001.
  • Leonardo De Franceschi (a cura di), Lo sguardo eclettico. Il cinema di Mario Monicelli, 1ª ed., Venezia, Marsilio Editori, 2001, ISBN 88-317-7763-7.
  • Maria Coletti, Francesco Crispino e Ivelise Perniola (a cura di), Mario Monicelli, Pesaro, Fondazione Pesaro Nuovo Cinema Onlus, 2001.
  • Mariano Sabatini, con Oriana Maerini, Mario Monicelli. La sostenibile leggerezza del cinema, Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001. ISBN 88-495-0061-0
  • Marco Cucurnia, a cura di Carmen Giordano, "Mario Monicelli, l'artigiano di Viareggio", film documento, Directory Media, 2001
  • Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano (1905-2003), Torino, Einaudi, 2003. ISBN 88-06-16485-6
  • Stefano Della Casa (a cura di), L'armata Brancaleone. Un film di Mario Monicelli. Quando la commedia riscrive la storia, Torino, Edizioni Lindau, 2005. ISBN 88-7180-567-4
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  • Giacomo Martini et al. (a cura di), Il cinema di Mario Monicelli, Porretta Terme, I quaderni del battello ebbro, 2007.
  • Adriana Settuario, L'espressione triste che fa ridere. Totò e Monicelli, Napoli-Roma, Graus-Centro sperimentale di cinematografia, 2007. ISBN 978-88-8346-186-6
  • Ivana Delvino, I film di Mario Monicelli, Roma, Gremese Editore, 2008. ISBN 978-88-8440-477-0
  • «Quaderni d'Altri Tempi», n. 30, gennaio-febbraio 2011. ISSN 1970-3341
  • Ottavia Monicelli, Guai ai baci. Così grande, così lontano: ritratto di mio padre, Sperling & Kupfer, 2013 ISBN 978-88-200-5367-3
  • Alessandro Ticozzi, Ci vorrebbe la rivoluzione! Elementi di riflessione politico-sociale nell'opera di Mario Monicelli, Ravenna, SensoInverso Edizioni, 2016
  • Sito ufficiale, su mariomonicelli.it
  • Mario Monicelli, su Treccani.it, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
  • Mario Monicelli, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
  • (EN) Mario Monicelli, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc
  • Mario Monicelli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
  • (EN) Mario Monicelli, su Find a Grave
  • (EN) Mario Monicelli, su Open Library, Internet Archive
  • Bibliografia italiana di Mario Monicelli, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com
  • Mario Monicelli, su Discografia nazionale della canzone italiana, Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi
  • (EN) Mario Monicelli, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation
  • Mario Monicelli, su INDUCKS
  • Mario Monicelli, su CineDataBase, Rivista del cinematografo
  • Mario Monicelli, su MYmovies.it, Mo-Net Srl
  • (EN) Mario Monicelli, su Internet Movie Database, IMDb.com
  • (EN) Mario Monicelli, su AllMovie, All Media Network
  • (EN) Mario Monicelli, su Internet Broadway Database, The Broadway League
  • (DE, EN) Mario Monicelli, su filmportal.de
  •  Giorgio Nicolai, «Noi donne», anno XVIII, n.28, 13 luglio 1963
  • Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992
  • Carlotta De Leo, «Corriere della Sera», 11 gennaio 2011