Bragaglia Carlo Ludovico

Carlo Ludovico Bragaglia 2 bio 

(Frosinone, 8 luglio 1894 – Roma, 3 gennaio 1998) è stato un regista, sceneggiatore e fotografo italiano.

Biografia

Terzogenito di Francesco Bragaglia (direttore generale della Casa di produzione Cines) e della nobildonna romana Maria Tassi-Visconti, il nome che gli venne imposto, Carlo Ludovico, era quello di un illustre zio di sua madre, Carlo Ludovico Visconti, esponente della famiglia romana di archeologi ed artisti (tra questi anche Ennio Quirino, archeologo e letterato, esponente del Neoclassicismo e console della Repubblica Romana negli anni 1798-99). Frequentò le scuole elementari a Frosinone, poi si trasferì con tutta la famiglia paterna a Roma, in via di Ripetta; frequentò con gran profitto gli studi classici, ginnasio e liceo, ed anche alcuni anni all'Università degli Studi di Roma La Sapienza per la facoltà di giurisprudenza, negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale. Quindi partecipò alla Grande Guerra, rimanendo gravemente ferito e meritando due Croci di Guerra e la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Riportando la frattura delle costole, fu a lungo ricoverato all'Ospedale militare del Celio, fu riconosciuto "Grande Mutilato di seconda categoria", e nominato, in seguito, Cavaliere di Vittorio Veneto.
Iniziò, insieme al fratello Arturo, come fotografo e ritrattista di dive del cinema: sono di quel tempo le immagini mirabili di Lyda Borelli e di Leda Gys, di Francesca Bertini e di Italia Almirante Manzini, i numerosi ritratti d’arte di artisti insigni, poeti, giornalisti (basti ricordare Lucio D'Ambra e Marco Praga, Pirandello e Marinetti, Giorgio De Chirico e Alfredo Casella). Il suo spirito innovativo ebbe particolare fortuna già con la fotografia. Fu lui il primo a realizzare pose con chiome al vento[senza fonte] (con l'aiuto di primordiali ventilatori), e a "registrare" languidi sorrisi, furtivi ammiccamenti, svenevoli espressioni delle dive del cinema muto. Proprio in questo periodo prese parte, col fratello Anton Giulio, al movimento futurista, inventando la "Fotodinamica".
Nel 1918 con il fratello Anton Giulio fondò la "Casa d'arte Bragaglia", punto d'incontro di pittori, scultori e cineasti. Quattro anni dopo, sempre con il fratello, fondò il "Teatro degli indipendenti", dedicato all'avanguardia e alla sperimentazione, dove tra il 1922e il 1930 firmò oltre venti regie teatrali. A partire dal 1930 si dedicò al cinema, che proprio in quel periodo passò dal muto al sonoro. Entrò alla Cines come fotografo: passò quindi al montaggio, alla sceneggiatura ed ai documentari. Esordì come regista nel1933 con O la borsa o la vita, tratto dall'omonima commedia radiofonica, nel quale fuse come "espressione artistica" audaci esperimenti di contaminazione di diversi moduli dell'avanguardia. In seguito, a Bragaglia venne consentito di realizzare unicamente opere commerciali, cui diede però la sua esperienza e la sua sicura mano di regista.

Telefoni bianchi

Divenne maestro del filone dei telefoni bianchi specializzandosi particolarmente nel genere comico e realizzando ben sei film con Totò. Ma la rilevanza, se non altro commerciale dei suoi film è documentata dal fatto che egli si trovò a dirigere negli anni trenta gli attori più importanti dell'epoca. Il regista ha conservato inalterata la capacità di evadere dalle catene commerciali e c'è riuscito con La fossa degli angeli definito dal Filmlexicon il suo capolavoro.
Nel 1939 firmò Animali pazzi, secondo film interpretato da Totò e primo dei sei che la coppia realizzò insieme. Si cimentò in vari generi, anche se ebbe successo soprattutto con le commedie brillanti. Oltre a Totò, Carlo Ludovico Bragaglia diresse i più importanti attori italiani fra i quali i fratelli De Filippo (Eduardo, Titina e Peppino in Non ti pago!), Vittorio De Sica (Un cattivo soggetto) e Aldo Fabrizi (I quattro moschettieri). Abbandonò il cinema negli anni sessanta, dopo aver firmato 64 film in 30 anni di attività; nell'ultima parte della sua vita si dedicò soprattutto alla poesia.
Bragaglia, regista prolifico, portò nel cinema italiano l'amore per il nonsense e il surreale e moduli di lavoro di tipo efficientista, che già comuni negli altri paesi erano sconosciuti in Italia, dove il cinema continuava ad avere connotazioni artigianali.
Negli anni 50 diresse anche qualche commedia televisiva negli studi della RAI di Roma.
Nel 1994, in occasione del suo centesimo compleanno, presenziò alla retrospettiva che gli fu dedicata dal Festival di Locarno. La sua ultima fatica fu un documentario sull'isola di Capri, che amò particolarmente. Si spense nel 1998, alla veneranda età di 103 anni. Riposa nel cimitero cattolico di Capri.


La rassegna stampa

Carlo Ludovico Bragaglia studiava il modo di riempire un castello di trabocchetti e di macchine infernali: più che un regista, in quel momento egli sembrava un signorotto medievale che volesse dare il massimo di terribilità al proprio maniero.

— Niente paura, - ci disse Bragaglia -, me ne servirò per il mio prossimo film Se ci sei batti un colpo: un film comico, o meglio, una farsa. Per precisare, vi dirò che è mia intenzione giungere, da certe situazioni e da certe interpretazioni proprie della Commedia dell’Arte, ad una farsa come ne esistevano all’epoca del muto. Quella farsa che ha dato origine allo speciale tipo americano di commedia -.

Non bisogna dimenticare, per ben comprendere queste parole, i precedenti film di Bragaglia. Egli partì con un O la borsa o la vita in cui il comico, tuttavia pieno di intelligenza, appariva di natura intellettualistica. I film che seguirono O la borsa o la vita, furono di un più comune genere di comicità.

Eliminata quella speciale interpretazione intellettualistica che, forse, lo teneva un po’ distante dal gusto della gran massa, seguì una strada più facile; ed ora,- a parte la fossa degli angeli in cui egli ha affrontato in pieno il dramma -forte della prima e della seconda esperienza, vuol tentare con Se ci sei batti un colpo quel tipo di farsa che fu l’oggetto del nostro discorso.

— Può dirvi qualcosa - spiegò ancora Bragaglia -il fatto che nel mio film ci sarà una morale. Gli avvenimenti confluiranno a concludere che « Chi va per gabbare resta gabbato ». Una morale che, come vedete, avvia abbastanza bene ad intuire la natura e il carattere di Se ci sei batti un colpo. In quanto allo spunto del soggetto esso è venuto, a me e a Margadonna (col quale sto lavorando alla sceneggiatura), da una novella di Pietro Solari.

Naturalmente, tenendo conto di quei criteri che vi dicevo sopra, il film si sta sviluppando con ricchezza di fatti e varietà d’intreccio intorno a questo vecchio castello che sto studiando affinché faccia a dovere, anch’esso, la sua parte... -Come ripreso da una vecchia idea, si precipitò sopra un suo taccuino a fissare uno spunto. Doveva esser buono perché tornando subito dopo a parlare con noi sorrise soddisfatto. Domandammo il nome del protagonista. In giro si era fatto insistentemente quello d’un noto attore comico.

— Nulla di definito. In ballo ci son parecchi nomi ma per il momento non posso precisare.

«Cinema», n.32, 20 ottobre 1937


Carlo Ludovico Bragaglia è della stirpe dei Bragaglia a cui appartengono Anton Giulio e Arturo, quest' ultimo meno noto, ma abbastanza affaccendato nel cinematografo con la sua doppia professione di fotografo e di attore. Carlo Bragaglia debuttò come regista coi film "O la borsa o la vita", film d'avanguardia realizzato con molta intelligenza. Il secondo suo tentativo di una produzione non commerciale fu "La fossa degli angeli" ma, tra l'uno e l'altro, egli ha mostrato le sue enormi capacità di regista "a tiro rapido" ottenendo l'appoggio incondizionato dei produttori. Con grande eclettismo, non so se voluto o sincero, Bragaglia ha diretto film di genere diversissimo, con rapidità sbalorditiva, toniti che dal gennaio 1941 al gennaio 1942 egli ha potuto condurre a termine ben sette film. Ma il suo amor proprio pare lo spinga oggi a tornare verso un genere cinematografico meno commerciale, più elevato, che è quello al quale, in fondo, ha sempre ambito nella sua non lunga ma virtuosa carriera di regista.

«Tempo», anno VI, n.144, 5 marzo 1942


Gli stivaloni di Alessandro Blasetti ispirano con frequenza l'estro un po’ stanco degli umoristi, sostituendo vantaggiosamente i rituali « zio Giuseppe » e « zia Carolina ». Essi sono altrettanto celebri che i suoi film, e formano parte integrante di una personalità che è complessa e inconfondibile. S'immagina più facilmente un Alessandro de Stefani nella parte di Armando Ouval, che Blasatti senza stivali. Se un giorno il Nostro, per capriccio d'artista, comparisse a Cinecittà vestito come noi e voi, si griderebbe allo scandalo, quasi fosse nudo. Il fotografo ha fermato in un'istantanea il suo malumore, un suo momento di perplessità. Blasetti si è appartato dai suoi collaboratori, per riflettere comodamente. Il suo sguardo ha una malinconica fissità. Si direbbe che il noto regista pensi all'immortalità dell’anima, o alla caducità delle cose umana. Qui Blasetti è un romantico con gli stivali. E mai come in quest'occasione, le famose calzature gli saranno tanto preziose. Egli si avventura in. fatti con il pensiero nella giungla di « Nessuno torna indietro », un film che prevede la simultanea partecipazione di sette dive di gran nome. Il regista si ripromette di condurre a buon porto l'ardua impresa. Ma forse a Blasetti, questa volta, oltre agli stivali di rito, occorrerà anche la frusta del domatore.

In questi ultimi anni, la sua regìa 'si è fatta velocissima, fulminea, « Una regìa di passaggio », la definisce un suo critico senza indulgenza. Si direbbe che, dirigendo un film, egli ingaggi una gara di velocità con se stesso. Carlo contro Ludovico. E vince regolarmente Bragaglia; o, per meglio dire, vince il suo produttore, che si frega le mani, soddisfatto, e lo addita come esempio sublime di velocistiche virtù a Genina, Malasomma e Castellani. Il motto di C. L. B. è quello di una nota tintoria romana: « Presto e bene ». Alla prima parte di esso, il regista è abitualmente fedelissimo; alla seconda, un po' meno. L'anno scorso girò 10 film in 250 giorni, con una media di quasi un chilometro di pellicola ogni 24 ore. Ma gli restò ancora il tempo di essere il fratello dell'immenso Anton Giulio Bragaglia. Nel pieno del lavoro, si addormenta dove gli capita. Qui il fotografo lo ha colto men. tre russa con soavità in un canestro della biancheria. Dall’innocenza del suo sonno e dal sorriso fanciullesco che gli erra sul volto aerodinamico, s’intuisce che C. L. B. sta sognando di essere lui il soggettista e lo sceneggiatore di « Fuga a due voci ». Ancora pochi minuti, e poi il regista si sveglierà, affrettandosi a girare, tra le 18,25 e le 19.30, il secondo tempo del suo nuovo film.

«Film», 26 giugno 1943


«L'Unità», 17 giugno 1984 - Carlo Ludovico Bragaglia


Carlo Ludovico Bragaglia festeggia i 97 anni e racconta il suo cinema

«Le mie dive, il mio Totò»

«Mi colpì Lyda Borelli, come in un sogno il bel corpo nudo sotto la veste trasparente» «Quante litigate col principe, se mi avesse ascoltato sarebbe stato più grande di Charlot»

Emilia Costantini, «Corriere della Sera», 16 giugno 1991


«L'Unità», 13 febbraio 1993 - Intervista al regista Carlo Ludovico Bragaglia


Aveva 103 anni e proprio oggi avrebbe dovuto rievocare alla radio la sua carriera - Mentre i critici lo riscoprivano i produttori gli chiusero le porte

Bruno Ventavoli, «La Stampa», 5 gennaio 1998


Orio Caldiron, Daniela Sanzone, Nadia Tarantini, «L'Unità», 5 gennaio 1998


E' morto il decano del nostro cinema: un maestro della commedia

Addio a Bragaglia, 103 anni. Fu regista di Totò e Nazzari

E’ morto a Roma, a 103 anni, il regista Carlo Ludovico Bragaglia. Era all’ospedale S. Giacomo dove l’avevano operato al femore dopo una caduta.

Tullio Kezich, «Corriere della Sera», 5 gennaio 1998


Filmografia

Regista

O la borsa o la vita (1933)
Non son gelosa (1933)
Un cattivo soggetto (1933)
Quella vecchia canaglia (1934)
Frutto acerbo (1934)
Amore (1936)
La fossa degli angeli (1937)
Belle o brutte si sposan tutte... (1939)
Animali pazzi (1939)
L'amore si fa così (1939)
Un mare di guai (1939)
Pazza di gioia (1940)
Alessandro, sei grande! (1940)
Una famiglia impossibile (1941)
La forza bruta (1941)
Il prigioniero di Santa Cruz (1941)
Barbablù (1941)
Due cuori sotto sequestro (1941)
La scuola dei timidi (1941)
Se io fossi onesto (1942)
Violette nei capelli (1942)
La guardia del corpo (1942)
Non ti pago! (1942)
Casanova farebbe così! (1942)
Fuga a due voci (1943)
La vita è bella (1943)
Non sono superstizioso... ma! (1943)
Il fidanzato di mia moglie (1943)
Tutta la vita in ventiquattr'ore (1943)
Torna a Sorrento (1945)
Lo sbaglio di essere vivo (1945)
La primula bianca (1946)
Albergo Luna, camera 34 (1946)
Pronto, chi parla? (1946)
L'altra (1947)
Totò le Mokò (1949)
Il falco rosso (1949)
Totò cerca moglie (1950)
Le sei mogli di Barbablù (1950)
Figaro qua, Figaro là (1950)
47 morto che parla (1950)
L'eroe sono io! (1951)
Una bruna indiavolata (1951)
Il segreto delle tre punte (1952)
Don Lorenzo (1952)
A fil di spada (1952)
Orient Express (1954)
Il falco d'oro (1955)
Cortigiana di Babilonia (1955)
Lazzarella (1957)
La Gerusalemme liberata (1957)
La spada e la croce (1958)
Io, mammeta e tu (1958)
È permesso Maresciallo (1958)
Caporale di giornata (1958)
Le cameriere (1959)
Gli amori di Ercole (1960)
Annibale (1960)
Le vergini di Roma (1961)
Ursus nella valle dei leoni (1961)
Pastasciutta nel deserto (1961)
I quattro monaci (1962)
I quattro moschettieri (1963)

Bibliografia

Leonardo Bragaglia, "Carlo Ludovico Bragaglia. I suo film, i suoi fratelli, la sua vita", 2009, Persiani Editore, ISBN 9788890200397

Carlo Ludovico Bragaglia: arte e artigianato di un professionista del cinema

Carlo Ludovico è stato molto probabilmente il più famoso dei fratelli Bragaglia: giovanissimo si trasferisce a Roma, insieme alla sua famiglia. Suo padre Francesco, infatti, viene assunto dalla Cines, importante casa cinematografica, in qualità di direttore amministrativo: inutile dire come questo evento segnerà la vita del nostro Carlo Ludovico.

Fin da ragazzo infatti inizia a coltivare la passione per la fotografia, proprio presso gli studi della Cines, dove realizza ritratti fotografici per le dive del cinema muto del tempo, che ha la fortuna di conoscere, come Lyda Borelli, Francesca Bertini e Leda Gyss. Con lo scoppio della Grande Guerra, è costretto a partire, e in una delle battaglie a cui prende parte rimane gravemente ferito (con conseguente frattura alle costole): per tutta la vita questo incidente lo segnerà in modo indelebile, tanto da essere soprannominato, dopo il suo ritorno in patria, con l’appellativo Il resto del Carlino.

Con l’indennizzo che ebbe in conseguenza al suo ferimento, apre insieme al fratello Anton Giulio la celebre Casa d’Arte Bragaglia: qualche anno dopo , quindi, fonda Il Teatro degli Indipendenti, dove la sperimentazione e l’avanguardia la fanno da padroni. Nel frattempo diventa fotografo di scena sempre presso la Cines, dove il padre è diventato direttore generale, affiancato da Emilio Cecchi: proprio l’illustre critico d’arte e letterato gli affiderà la sua prima regia.

Così dopo aver realizzato dei piccoli documentari sull’amata isola di Capri, Carlo Ludovico entra ufficialmente nel cinema: il film d’esordio si intitola O la Borsa o la vita, omaggio evidente a Renè Clair, con Sergio e Rosetta Tofano. Il film ebbe da subito un notevole successo (con le sue atmosfere chiaramente surrealiste e oniriche che lasciavano presagire le indubbie doti del regista, in realtà mai più espresse negli anni a seguire), e l’interpretazione di Sergio Tofano, creatore del celebre Bonaventura, risultò essere tra le migliori della sua carriera.

Inizia così l’avventura di Carlo Ludovico, regista cinematografico, tra i più fecondi e longevi artigiani del cinema italiano, artigiano si sottolinei e non mestierante: Carlo Ludovico, infatti, conosce alla perfezione le possibilità espressive del mezzo cinematografico, le sue basi tecniche non hanno nulla da invidiare ai più illustri colleghi del tempo.

Carlo Ludovico, inoltre, viene dal Teatro, e quindi predilige dirigere attori che provengano proprio da quel mondo: elemento non da poco questo, per un regista che verrà ricordato anche per la velocità e la facilità di ripresa (era capace di girare anche sette film in un anno!). Contrariamente a ciò che si pensi, Carlo Ludovico non è stato esclusivamente il regista di Totò: insieme al principe De Curtis, infatti gira soltanto sei pellicole (Animali pazzi, Totò le Mokò, Totò cerca moglie, Figaro qua… Figaro là, Le sei mogli di Barbablù, 47 morto che parla) su un totale di oltre sessanta. Nella sua carriera Bragaglia tocca i generi più disparati, tra cui quello sentimentale, la commedia, l'avventuroso, il cappa e spada, il peplum e la commedia- musicale, il tutto condito da un’evidente necessità commerciale, che le produzioni dell’epoca esigevano da lui (lavorerà inoltre anche per la televisione).

Nella sua vasta filmografia costellata da innumerevoli successi al botteghino, si devono necessariamente segnalare due titoli: La fossa degli angeli (1937) e Fuga a due voci (1943). Il primo, che Bragaglia considerava il suo capolavoro, ambientato a Carrara in una piccola cava di marmo, sarebbe dovuto essere nelle intenzioni del regista un film totalmente realista (in cui avrebbero recitato i veri personaggi del luogo, e non degli attori professionisti), ma la produzione impose due divi come Nazzari e la Ferida.

Sarà poi Visconti con La terra trema ad aprire ufficialmente la grande stagione del neorealismo, che Bragaglia aveva in qualche modo tentato di anticipare. Fuga a due voci, infine,è una commedia musicale (con Gino Bechi, Irasema Dilián, Aroldo Tieri, Paolo Stoppa e Carlo Campanini), con la quale Bragaglia ripropone sullo schermo le sue ambizioni autoriali già sperimentate con successo all’esordio, come un certo linguaggio meta-cinematografico, con l’irruzione dell’irreale nel quotidiano e la confusione tra realtà e cinema, il tutto magnificamente supportato da un cast perfetto.


Riferimenti e bibliografie:

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • «Cinema», n.32, 20 ottobre 1937
  • «Tempo», anno VI, n.144, 5 marzo 1942
  • «Film», 26 giugno 1943
  • Emilia Costantini, «Corriere della Sera», 16 giugno 1991
  • «L'Unità», 13 febbraio 1993
  • Bruno Ventavoli, «La Stampa», 5 gennaio 1998
  • Orio Caldiron, Daniela Sanzone, Nadia Tarantini, «L'Unità», 5 gennaio 1998
  • Tullio Kezich, «Corriere della Sera», 5 gennaio 1998