Buazzelli Tino (Agostino)

Tino_buazzelli.


Totò era un degno rappresentante della grande comicità all'italiana basata sul lazzo linguistico e sulla mimica corporea. Non si metteva al servizio di una situazione comica, ma faceva nascere continuamente nuove situazioni comiche. Appparteneva al grande ramo del teatro napoletano, anche se non si può dire che fosse un Pulcinella perché gli mancava la frustrazione del Pulcinella: era invece un vincitore e un prepotente, qualcosa di mezzo tra Pulcinella, Sciosciammocca e il "miles gloriosus". Era un comico italiano, un comico friace appartenente alll'antica tradizione latina. Creatore estemporaneo, andava a braccio, inventava.
Come compagno era delizioso. Era un uomo pieno di umanità, perché veniva dal varietà e non dall'accademia, aveva conosciuto la fame dell'attore, si era formato a contatto del pubblico, aveva subito le malversazioni della sfortuna e della fortuna. La sua stessa aspirazione alla nobiltà mi è sempre parsa legittima; nasceva forse dal gusto comico che sapeva mettere nella vita di ogni giorno. Se Totò fosse vissuto in un'altra nazione forse avrebbe fatto cose più importanti.
La riscoperta che se ne è fatta dopo la morte è stata troppo tardiva ed esclamativa. Sono stato suo grande ammiratore sin dai tempi del teatro, dove l'ho visto spesso, e dove ha dato probabilmente le cose migliori di sé. Quando nel '50 ho fatto due film con lui, "Le sei mogli di Barbablù" e "Tototarzan", avevo appena cominciato a fare teatro e ho accettato volentieri queste due occasioni di lavorare con Bragaglia e con Mattoli. Non eravamo giovani dispregiatori, credevamo ancora nella tradizione, capivamo i mestieri e le arti degli altri, ci consideravamo degli apprendisti. Per me Totò è stato - non dico un maestro, me l'impediva la mia presunzione personale - ma un grande fenomeno da osservare.

Tino Buazzelli


Agostino "Tino" Buazzelli (Frascati, 13 luglio 1922 – Roma, 20 ottobre 1980) è stato un attore italiano di teatro, cinema e televisione, e pittore.

Biografia

Dopo aver conseguito il diploma dell'Istituto Magistrale, studiò all'Accademia d'arte drammatica[1] diretta da Silvio D'Amico dove conseguì il diploma nel 1946 e iniziò la carriera di attore teatrale nel 1947 con la compagnia Maltagliati-Gassman, ottenendo subito ottimi giudizi critici nelle sue interpretazioni di lavori teatrali quali Don Giovanni di Molière, Erano tutti miei figli di Arthur Miller, Casa Monastier di Dennis Aniell e L'aquila a due teste di Jean Cocteau, prima di diventare capocomico.

Era sposato con la soubrette del teatro di rivista milanese Ermellina Banfi[2].

Dotato di una dizione inconfondibile e di un timbro di voce caldo e armonioso, Buazzelli seppe trarre partito dal contrasto tra la sua stazza ingombrante e l'eleganza del gesto e della parola per creare un tipo umano insieme vigoroso e ombroso, a tratti sognante, capace di passare naturalmente dal comico al drammatico.

L'obesità favorì la neoplasia che lo condusse alla morte a soli 58 anni[3].

Teatro

Considerato tra i migliori interpreti brechtiani del Novecento, è ricordato per l'interpretazione di Galileo Galilei nella Vita di Galileo diretto da Giorgio Strehler nella stagione 1962/1963 al Piccolo Teatro di Milano. L'incontro con Strehler risale al 1952, quando il regista lo chiamò per mettere in scena Elisabetta d'Inghilterra di Ferdinand Bruckner, Il revisore di Nikolai Gogol e Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello.

Nel 1955 Lucio Ardenzi lo coinvolge in una tournée nell'America del Sud,[4] Brasile, Argentina e Uruguay, organizzata con l'appoggio del Ministero dello Spettacolo. Fra i partecipanti attori del calibro di Enrico Maria Salerno, Luigi Vannucchi, Anna Proclemer, Giorgio Albertazzi, Renzo Ricci, Eva Magni, Glauco Mauri, Davide Montemurri, Franca Nuti, Isa Crescenzi e Bianca Toccafondi. A parte il Re Lear di Shakespeare, che vedeva riuniti nello stesso spettacolo tutti gli attori principali della compagnia, il repertorio era tutto italiano: Corruzione al palazzo di giustizia di Ugo Betti, Beatrice Cenci di Alberto Moravia in prima mondiale, Il seduttore di Diego Fabbri.

Tornerà sul palcoscenico del Piccolo Teatro di Milano solo nel 1959, con Platonov di Anton Cechov. Esordisce nel cinema nel 1948 interpretando una piccola parte nel film Il cavaliere misterioso, diretto da Riccardo Freda. In seguito apparirà in più di 20 film in svariati ruoli, spesso da comprimario e talvolta anche come "spalla" di comici affermati quali Totò e Renato Rascel.

La televisione

Nel 1954 Buazzelli esordisce in televisione, apparendo in una riduzione per il piccolo schermo negli Spettri di Henrik Ibsen. Sarà proprio il mezzo televisivo che contribuirà in larga parte alla sua notorietà, non solo con la sua partecipazione alle edizioni di Canzonissima del 1961-62 e del 1962-63, ma anche con le sue interpretazioni di sceneggiati tratti da opere teatrali quali Il malato immaginario di Molière per la regia di Silverio Blasi nel 1963, Charlow e le figlie di Turgenev, diretto da Giandomenico Giagni nel 1966, il Circolo Pickwick diretto da Ugo Gregoretti nel 1967 e Tartarino sulle Alpi di Daudet, diretto da Edmo Fenoglio nel 1968.

Assolutamente indimenticabile, e forse insuperato, nella parte del giudice Cust in Corruzione al Palazzo di giustizia di Ugo Betti, diretto da Daniele D'Anza nel 1966.

Nel 1970, oltre che interprete, fu anche sceneggiatore e regista di Papà Goriot, ispirato al celebre romanzo di Balzac. Ancora nel 1978 diede una magistrale interpretazione del protagonista dello sceneggiato Il balordo, tratto dall'omonimo romanzo di Piero Chiara per la regia di Pino Passalacqua. Le sue ultime interpretazioni televisive furono il Faust diretto da Leandro Castellani nel 1977 per la Rai e come conduttore dello spettacolo Il piatto ride per l'emittente privata romana "Video Uno".

Nero Wolfe

Buazzelli raggiunse l'apice della popolarità interpretando il personaggio dell'investigatore privato Nero Wolfe, creato da Rex Stout, in una serie di dieci telefilm trasmessi tra il 1969 e il 1971, diretti da Giuliana Berlinguer, interpretati anche da Paolo Ferrari nel ruolo di Archie Goodwin e Pupo De Luca nel ruolo del cuoco svizzero Fritz Brenner. Lo sceneggiato raggiunse 19 milioni di spettatori di media a puntata, superando persino il Commissario Maigret interpretato da Gino Cervi.

Il teatro: gli inizi

Don Giovanni o Il convitato di pietra di Molière, regia di Orazio Costa, Teatro il Piccolo di Roma, 1945.
La famiglia dell'antiquario di Carlo Goldoni, regia di Alfredo Zennaro, Teatro Quirino di Roma, 17 aprile 1946.
Il ventaglio di Carlo Goldoni, regia di Alfredo Zennaro, Teatro Quirino di Roma, 15 aprile 1947.
Quelli di Stralsund di Fritz Stavenhagen, regia di Ettore Gaipa, Teatro Valle di Roma, 19 giugno 1947.
L'uomo e il fucile di Sergio Sollima, regia di Luigi Squarzina, 1947.
La fiera delle maschere di Vito Pandolfi, 22 agosto 1947.
Tutti miei figli di Arthur Miller, regia di Luigi Squarzina, Teatro Quirino di Roma, 4 novembre 1947.
N.N. di Leopoldo Trieste, regia di Gerardo Guerrieri, Piccolo Teatro di Milano, 28 maggio 1948.
Lorenzaccio di Alfred de Musset, regia di Luigi Squarzina, Teatro Valle di Roma, 1954
La casa dei Rosmer, di Henrik Ibsen, con Raoul Grassilli, Alida Valli,. Tino Buazzelli, regia di Giancarlo Zagni prima al teatro Biondo Palermo 7 gennaio 1956.


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

M'inoltro nel labirinto del camerini del Piccolo Teatro, attraversando corridoi e corridoiettl, salendo e scendendo scalette, per arrivare al minuscolo ascensore che porta al camerino n. 6, sito al primo piano di quel reparto. Un cubo In miniatura, di dimensioni ridotte, dove la mole di Tino Buazzelll acquista maggiore spicco. E' il pomeriggio di domenica della partita «Italia - Belgio». E trovo Buazzelll già nel panni del personaggio che sta interpretando nel «Ricordo di due lunedì» di Miller, pronto per andare in scena, e con l’orecchio teso alla radiolina tascabile che tiene sul tavolino del trucco, dinanzi al quale è seduto. Sta seguendo con grande interesse le fasi della partita di calcio. Tuttavia, trova modo di distrarsi per 1 convenevoli, e per dare notizie sullo svolgimento del gioco ai colleglli che fanno capolino all’uscio con sguardi interrogativi. D’un tratto il suo volto si illumina di un irradiante sorriso, e grida: «Bonaflni !» (il giocatore che ha «segnato» per l’Italia). A questo punto la partita si fa interessante, e Buazzelll che non vorrebbe esserne distratto, con l’orecchio rivolto alla radiolina e la parola a me, mi mostra alcuni libri posti su una «étagère» alla sua si^ nistra, e me ne porge uno: «n buon soldato Scveik» di Làrolasv Hàscek, edito da Feltrinelli. «Glielo regalo, lo legga, si divertirà...». (Forse spera che mi ingolfi subito nella lettura e non lo distragga dal «serrate» della partita che si sta giocando).

Nel rimirare la sua mole, la sua corporatura, la sua «grimace», mi vien fatto di pensare che, fosse vissuto ai tempi della commedia dell’arte, Tino Buazzelll avrebbe avuto poca scelta: o indossare la divisa di «Capitan Matamoros», lo spaccone spagnolo, oppure la palandrana del «dottor Balanzone», che parlava il «latinorum» e riempiva l’èpa di cotechini e mortadelle. Nelle compagnie dell’Ottocento, dove il «ruolo» era di rigore, nessun capocomico gli avrebbe affidato parti che non fossero quelle del «caratterista», del «padre nobile», e del «promiscuo». Nemmeno da «figlio d’arte» avrebbe potuto aspirare a parti di «amoroso», e sempre a cagione del «physique du róle», contentarsi di quelle di «marito becco».

Per sua fortuna egli è nato alle scene, nel ’47, dopo aver frequentato i corsi dell’Accademia d’arte drammatica di Roma. E sta percorrendo la sua brillante carriera in un’epoca in cui il teatro ha abolito i ruoli, sicché la sua prestante mole può calarsi agevolmente in qualsiasi personaggio di risalto, e in una produzione la più disparata.

«Mi batto per un teatro di Stato» (finalmente finita la partita con la vittoria della squadra italiana, e spenta la radio), mi dice Buazzelll. E precisa: «Un teatro di Stato che potesse contare su tre compagnie di giro, una per i classici, un’altra per i drammi, e una terza per le commedie». E’ evidente che, fra tutte le attività spettacolari che gli si offrono, la sua vocazione rimane ferma al teatro, sostenendo che: «Tre cose ha bisogno il teatro: testo, interpretazione e regìa». Figurarsi se al tempo della commedia dell’arte si potevano enunciare cose del genere; ed anche nell’Ottocento, quando il teatro più che sui testi puntava sull’attore, sul «mattatore», per intenderci; e di regìa, almeno da noi, nessuno parlava, in quanto il «mettere in scena» era prerogativa esclusiva del «capocomico», e cioè del direttore della compagnia. E l’andamento dello spettacolo era affidato al «suggeritore», ché il mandare a memoria una parte, era impresa a cui nessun attore si sarebbe sobbarcato. Mentre oggi, il suggeritore è scomparso (almeno nella buca), la disciplina degli attori, che mandano a memoria la propria parte ed eseguono a puntino gli insegna-menti del regista, è perfetta, le messe in scena sono inappuntabili. Insom-ma gli spettacoli che si offrono al pubblico, in generale, sono curati in ogni particolare. E tuttavia, il pubblico anno per anno mostra di disinteressarsi sempre più al teatro. Buazzelll, ne conviene, ma anche lui non ne sa spiegare la ragione. E ribatte:

«Teatro di Stato, testi, interpretazione e regia».

«E come andiamo con l’appetito Buazzelll?». «Non me ne parli, man-gerei di tutto se non fosse per il fegato che non sempre fa giudizio, sa, quella bella' porchetta romana, quell’abbacchio, quelle fettuccine all’amatricina...».

Una povera lucciola, una notte,
pijò de petto a un rospo in riva ar fiume
e cascò giù coll'ale mezze rotte.
Ar rospo je ce presero le fótte.
Dice: - Ma come? giri con un lume eppoi nemmanco sai dove diavolo vai?
La lucciola rispose: - Scusa tanto, ma la luce ch’io porto nu’ la vedo perché ce l'ho de dietro: e, in questo, credo che c’è stato uno sbafo ne l’impianto...

Queste ed altre poesie del Trilussa, nonché quelle dell’autore de «La scoperta dell’America», Cesare Pascarella, Buazzelll dirà alla televisione in una serie di «caroselli». Buazzelll è di Frascati, ma l’accento romanesco con il quale dice questi versi è perfetto. Sarà così rinnovato per i tele-spettatori il gradimento che già procurò loro nelle trascorse apparizioni sul «video», il prestigioso attore.

L’altoparlante avverte che mancano pochi minuti all’andata in scena. Nell’accomlatarml mi compiaccio con l’attore, per l’applauso che il pubblico gli rivolge al suo apparire in scena. Cosa insolita al Piccolo Teatro. Credevo di fargli piacere e invece Buazzelli atteggiando il volto a mestizia, mi fa: «Creda, è una cosa che mi mette in imbarazzo...».

Un’affermazione che potrebbe essere giustificabilmente non sincera, tuttavia dimostrativa della moderna disciplina di palcoscenico che non vuole attori «mattatori», ma docili strumenti nelle mani del regista. Una disciplina sentita anche da un attore come Tino Buazzelli, che è di quelli cui un tempo si diceva bastasse il loro apparire alla ribalta per «riempire» la scena.

Rodolfo De Angelis, «La Domenica del Corriere», 31 maggio 1964


Fantasioso, candido ed entusiasta come l'eroe di Tarascona, o impulsivo, vigliacco, ma profondamente umano, come il Falstaff? Tino Buazzelli, attore numero uno del teatro italiano, non ama parlare di sé e lascia che il pubblico lo riconosca attraverso le virtù e i difetti dei mille personaggi che ha interpretato.

ROMA, settembre

Dopo essere stato Galileo e il soldato Schweyk, Falstaff e Macbeth. dopo aver recitato sul palcoscenici italiani e stranieri decine di testi classici ed aver interpretato i più popolari eroi del teatro, Tino Buazzelli ha indossato i panni del fantasioso e candido Tartarino. il famoso personaggio di Alphonse Daudet che ci ha fatto sognare da ragazzi. «Come si sente nel ruolo di Tartarino» è quindi la prima domanda che viene spontanea di rivolgergli, quando lo Incontro negli studi televisivi.

Fa notizia solo se recita

«Tartarino è molto importante per me — dice con la sua voce grave — è una delle cose più importanti che ho fatto. Un personaggio che amo molto, che ho desiderato rappresentare fin da ragazzo. Tartarino mi dà grandi emozioni ed è una gioia per me interpretarlo. Nel momento in cui l'umanità cerca soltanto beni materiali ed è schiava della tecnologia, portare sulle scene un personaggio che stimola la fantasia ed esercita lui stesso questa grande dote umana, penso sia un incitamento al pubblico a ritrovare la gioia di guardare dentro se stessi, giovarsi della fantasia, una qualità che oggi quasi nessuno, purtroppo, usa più. Da qui nasce la validità di Tartarino, la sua divertita e commossa attualità».

L’attore parla compunto, serioso, come chi dà una certa importanza alle proprie parole. La sua voce forte e ben modulata tuona nel bar della televisione dove ora ci siamo seduti. L'osservo mentre parla e mi accorgo che. sotto il trucco. Il suo viso è giovanile, bonario. Ma ecco che, ad un tratto, sgrana gli occhi, li gira intorno come fari, l'espressione cambia rapidamente e diventa via via ironica, perplessa, indignata perfino, quando tocca argomenti che scottano, come il suo dissidio con il Piccolo Teatro di Milano, dopo tanti anni di collaborazione.

Appoggiate le braccia sul tavolo, mi domina con il suo fisico forte, massiccio, la sua irruenza.

A quarantasei anni Tino Buazzelli è considerato il «ragazzo terribile» del teatro italiano, e da quando si è diplomato alla Accademia, ventidue anni fa. porta rigore e scompiglio sulle nostre scene. E ciò non per amore della polemica per la polemica, ma per la passione che mette nel suo mestiere.

E' certo oggi l'attore più moderno delle nostre scene, moderno nel senso che al rigore professionale, alla preparazione culturale, alla dedizione più totale al teatro, contrappone una vita privata schiva di ogni forma di pubblicità: è sposato, ha una figlia, ma nessuno ha mai visto una foto della famiglia Buazzelli: i fotografi del resto non lo prendono di mira, perché lui non frequenta i night, non è un «personaggio», non fa notizia. Ma quando è sulle scene allora si che scatena l'interesse del pubblico, della critica, della stampa: allora si che I teatri si riempiono per vederlo, come soltanto Gassman, al suoi tempi migliori, riusciva a riempire.

La sua carriera, proprio perché non ha mai cercato la pubblicità a buon mercato — e forse anche perché non ha il fisico dell'» amoroso» — è stata lenta, faticosa. Ma non si lagna di ciò, non si atteggia a vittima. Al contrario, ora che il successo lo ha ottenuto dice: «Si. al successo tengo molto, ma anche all'insuccesso: il successo appaga, l'insuccesso stimola? Tutti e due fanno parte dell'arte».

DOPO TARTARINO SARA’ NERO WOLFE «Tartarino sulle Alpi» tratto dal romanzo di Alphonse Daudet. Visto il successo della trasmissione, che sta entusiasmando soprattutto i bambini, si progetta già di sceneggiare altri episodi delle avventure dell'eroe di Tarascona. Tino Buazzelli, intanto, si sta preparando ad un’altra fatica televisiva: sarà Nero Wolfe, il famoso investigatore, in una serie di dieci sceneggiati che andranno in onda il prossimo inverno. L’attore, nonostante la mole di lavoro televisivo, reciterà con il Teatro Stabile di Genova durante la prossima stagione di prosa.

Non dimentica “Galileo”

Per quanto io cerchi di portare la conversazione su altri argomenti, li discorso scivola inevitabilmente sul teatro, non gli piace che gli si rivolgano domande personali, vuole interessare il pubblico soltanto come attore. E quando io insisto perché mi parli dell’uomo Buazzelli, mi parla di se stesso in dimensioni di personaggio teatrale: «Com'è Buazzelli? — dice — Ammesso che ciò possa interessare, le rispondo portando ad esempio Falstaff: è pieno di vizi e di virtù, di sensibilità, di ricchezza interiore, ma anche di vigliaccheria e disonore. Ma è pur sempre un uomo di profonda umanità. Spesso e volentieri mi identifico con Falstaff. Ma anche con Tartarino e Schweyk mi identifico, li amo molto: se si guarda bene in fondo a questi personaggi si troverà il mio carattere. Se poi vuol saperne di più le dirò che sono un uomo cui piace la calma, la casa, la famiglia, non amo gli snob, le mode, le ipocrisie, le grettezze. E una delle qualità cui tengo di più è che non scoccio gli altri». Poi aggiunge. tuonando: «Ma non voglio nemmeno essere scocciato».

E torna a parlare del suo dissidio con il Piccolo Teatro di Milano (abbandonato dopo anni di lavoro con Strehler e Paolo Grassi, perché insofferente di certi sistemi «dittatoriali» che soffocavano la personalità dell'attore), delle polemiche che ne sono seguite, e lo afferra un senso di nostalgia per quel periodo, per i personaggi cui ha dato vita. Basterebbe pensare al «Galileo», all'opera da tre soldi», a tutto il repertorio di Brecht.... come non avere rimpianto per quegli spettacoli?

Il ribelle è domato?

«Avrei tanto voluto portare il "Galileo" in giro per l'Italia — dice —, farlo conoscere al più vasto pubblico possibile, ma il Piccolo di Milano ha l'esclusiva di quasi tutto il teatro di Brecht». Ora che, con la televisione, si è assunto un impegno a lunga scadenza (dopo Tartarino sarà, per dieci puntate. Nero Wolfe) ha dovuto abbandonare il teatro per questa stagione?

«No, faccio l'uno e l'altro. In teatro riprendo il "Mercadet» di Balzac e interpreterò «Bouvard e Pecuchet» tratto da Flaubert con il Teatro Stabile di Genova, per la regia di Luigi Squarzina».

Ha dunque modificato le sue opinioni sui teatri Stabili, nei confronti dei quali è stato in passato tanto polemico? Il ribelle è finalmente domato?

Sogna un governo di donne

«Penso che in questo momento di "cancellazione" di tutto, i teatri stabili siano da difendere. Sono l'unica struttura che la mia generazione è riuscita a creare dal dopoguerra. In questo momento di confusione bisogna difenderli, e difenderli significa appoggiarli e rinnovarli, aprire possibilità di lavoro a voci giovani. Significa allargare il discorso, uscendo dagli odi, le polemiche e sganciarsi dalla politica. Gli Stabili non debbono essere organi di potere, ma organi di cultura».

E' infervorato e ho l'impressione che andrà avanti per un pezzo. Invece, d'un tratto, si ferma e mi dice: «Ma lei crede che le sue lettrici possano interessarsi a questi argomenti?». Poi. risponde da solo alla sua domanda: «Ma già, è vero, oggi le donne si interessano di tutto, lo spero che si arrivi un giorno ad un governo di donne. Essendo più intelligenti, penso che le cose andrebbero meglio».

E di Nero Wolfe. il famoso investigatore, voghiamo parlare, Buazzelli?

«Certo, certo. Sin da bambino leggevo tutti i romanzi di Rex Stout. Il suo Wolfe non è un poliziotto, ma un giudice della società, che impiega anche l'arma dell'ironia. Compassato. raffinato, elegante, non alienato, con uno strano senso di paternità mancata. Nero Wolfe è una presenza sempre vigile sotto la faccia alla apparenza sonnolenta, un fascio di nervi calmi sotto una cappa di tensione...».

Ed ecco che ora il suo volto bonario, i suoi occhi-faro hanno già l'espressione e l'intensità di Nero Wolfe. Solo parlandone, è già entrato nella parte.

Maria Maffei, «Noi donne», anno XXIII, 28 settembre 1968

1966 Tino Buazzelli 1966 00


La prosa radiofonica RAI

Edipo Re di Sofocle, regia di Orazio Costa, trasmessa il 2 febbraio 1950.
Giovanna D'Arco di Charles Peguy, regia di Anton Giulio Majano, trasmessa il 15 maggio 1950.
Displaced persons di Vito Blasi, regia di Franco Rossi, trasmessa nel 1951.
Il tacchino dalle gambe di legno di Ugo Liberatore, regia di Mario Ferrero, trasmessa nel 1959.
Pronto, chi spara? di Carlo Manzoni, regia di Nino Meloni, trasmessa nel 1960.
Il calapranzi di Harold Pinter, regia di Giorgio Bandini, trasmessa il 23 febbraio 1962.
Il gioco delle parti di Luigi Pirandello, regia di Flaminio Bollini, trasmessa il 18 giugno 1963.
Corso di lingue di Herrman Mert, regia di Giandomenico Giagni, trasmessa nel 1966.
La rigenerazione di Italo Svevo, regia di Edmo Fenoglio, trasmessa il 24 maggio 1975.

Prosa televisiva RAI

Gli spettri di Henrik Ibsen, regia di Mario Ferrero, trasmessa il 28 ottobre 1954.
Alcesti di Euripide, regia di Guido Salvini, trasmessa il 18 luglio 1956.
I giorni più felici, regia di Tino Buazzelli, trasmessa il 21 aprile 1958.
Corruzione al palazzo di giustizia di Ugo Betti, regia di Ottavio Spadaro, trasmessa nel 1966.

Filmografia

Guarany, regia di Riccardo Freda (1948)
Il cavaliere misterioso, regia di Riccardo Freda (1948)
Vivere a sbafo (1949)
Margherita da Cortona, (1949)
I fuorilegge (1949)
La fiamma che non si spegne, regia di Vittorio Cottafavi (1949)
Le sei mogli di Barbablù, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1950)
La strada finisce sul fiume (1950)
Il conte di Sant'Elmo (1950)
Contro la legge (1950)
Tototarzan (1950)
La bisarca, regia di Giorgio Simonelli (1950)
La folla (1951)
I morti non pagano le tasse, regia di Sergio Grieco (1952)
Il bandolero stanco (1952)
Capitan Fantasma (1953)
Il nemico pubblico n° 1 (1953)
Donne proibite (1954)
Carosello napoletano, regia di Ettore Giannini (1954)
Il cardinale Lambertini (1954)
Il conte Aquila (1955)
Totò all'inferno (1955)
I baccanali di Tiberio (1960)
Il corazziere, regia di Camillo Mastrocinque (1960)
Fantasmi a Roma (1961)
Vino, whisky e acqua salata, regia di Mario Amendola (1963)
I cuori infranti - episodio "La manina di Fatma" (1963)
Chi lavora è perduto (In capo al mondo), regia di Tinto Brass (1963)
Thrilling - episodio "Il vittimista" (1965)
Una vergine per il principe (1966)
Caccia alla volpe, regia di Vittorio De Sica (1966)
Il diavolo nel cervello, regia di Sergio Sollima (1972)
Il balordo (1978)

Premi

Maschera d'Argento, premio della critica rivolto agli attori teatrali (1963).
Premio San Genesio come migliore attore teatrale dell'anno per Mercadet di Honorè de Balzac.

Libri

Il gigante, Malipiero Editore, 1979.

Curiosità

Negli anni '60 si dedicò alla pittura producendo un buon numero di interessanti opere, principalmente olio su tela, usava firmarsi con lo pseudonimo: Vittorio, sul retro delle tele usava scrivere di pugno: Tino Buazzelli ATTORE in Arte Vittorio.
Ricorda Paolo Ferrari (in un'intervista a "Il Resto del Carlino" del 1º giugno 2014) che Buazzelli "era un ciociaro vero. Quando (...) la regia (...) mandava la registrazione per controllare come era venuta una scena, Buazzelli (...) si girava verso di noi e si congratulava da solo per la propria bravura. Agitava la mano nell'aria e borbottava: aho', embè...".

Discografia

Album

Dante - Inferno (Sansoni Accademia Editori, SLI 03, LP) con Tino Carraro, Giorgio Albertazzi, Ottavio Fanfani, Davide Montemurri


Note

  1. ^ Appendice al libro di Maurizio Giammusso, La fabbrica degli attori, pubblicazione (1989) della Presidenza del Consiglio.
  2. ^ Dizionario biografico Treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/agostino-buazzelli_%28Dizionario-Biografico%29/
  3. ^ Archivio storico de "L'Unità" http://archivio.unita.it/risric.php?key=tino+buazzelli&ed=&ddstart=20&mmstart=10&yystart=1980&ddstop=23&mmstop=10&yystop=1980&x=19&y=7
  4. ^ Sito ufficiale di Anna Proclemer http://www.annaproclemer.it/proclemer.asp?sezione=seconda&parte=sudamerica

Riferimenti e bibliografie:

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • Rodolfo De Angelis, «La Domenica del Corriere», 31 maggio 1964
  • Maria Maffei, «Noi donne», anno XXIII, 28 settembre 1968