Calvo Pablito (Hidalgo Pablo)
Pablo Calvo Hidalgo, noto con il diminutivo Pablito Calvo (Madrid, 16 marzo 1948 – Alicante, 2 febbraio 2000), è stato un attore spagnolo.
Biografia
Deve la sua fama principalmente al ruolo del protagonista del film Marcellino pane e vino di Ladislao Vajda, che interpretò all'età di sei anni, selezionato tra oltre cento bambini.
Fu attivo nel cinema fino al 1963 in produzioni spagnole e italiane, lavorando con lo stesso Vajda e poi anche con Totò, in un film intitolato Totò e Marcellino, di Antonio Musu.
Il precoce successo non lo aiutò però a far carriera, non riuscendo egli a ripetere il successo della sua fortunata pellicola d'esordio. All'età di sedici anni si ritirò dal mondo del cinema per studiare ingegneria industriale; dopo la laurea esercitò per anni la professione e in seguito diresse alcune agenzie immobiliari. Nel 1976 si sposò con la coetanea Juana Olmedo, che nel 1979 gli darà un figlio, Pablito Jr.
Nel settembre 1999 fu ospite del programma televisivo Meteore su Italia 1. In quell'occasione asserì che non sentiva affatto nostalgia per il cinema.
Morì improvvisamente la notte del 2 febbraio 2000, un mese prima di compiere 52 anni, presso l'ospedale Vistahermosa di Alicante a causa di un aneurisma[1]. Il suo corpo fu cremato[2].
Galleria fotografica e stampa dell'epoca
L'ultimo prodigio del cinema è un bimbo spagnolo di sei anni
Con un solo film il piccolo Pablito Calvo Hidalgo ha conquistato il pubblico.
Parigi, giugno
A Pablito piacciono gli uomini e le donne un po’ grassi, dall'aria florida e tranquilla, tale da ispirare fiducia. A Parigi, nel grande albergo nel quale è stato ospite in questi giorni, il suo preferito, fra tutto il personale, era un lift rotondetto che chiamava "Gordito", cioè "piccolo grasso". Avrebbe voluto restare tutto il giorno con lui, accompagnando i dienti su e giù con l'ascensore o spingendo per loro, nell’ingresso del palazzo, la divertente porta girevole. Invece, per tutto il tempo che è rimasto a Parigi, Pablito ha dovuto ricevere i fotografi e i giornalisti, partecipare alle "prime" del suo film, in due importanti cinematografi alla Ma-deleine e ai Campi Elisi, e distribuire senza stancarsi innumerevoli autografi. Egli infatti non può più permettersi i giuochi comuni a tutti gli altri bambini: è. ormai, un bimbo prodigio, il nuovo enfant prodige degli schermi mondiali.
Pablito Calvo Hidalgo è nato sei anni fa in un sobborgo di Madrid e fino all’autunno scorso non aveva mai assistito alla proiezione di una pellicola. I suoi sono tutt’altro che ricchi e i guadagni di suo padre Aquilino, un modesto capomastro, bastano appena alle ‘prime necessità della piccola famiglia. Anche Elena, la sorella maggiore di Pablito. che adesso ha dieci anni, non era mai stata al cinematografo. Papà e mamma Calvo le avevano promesso di accompagnarla il giorno della sua prima comunione, dopo il pranzo solenne per il quale già incominciavano a mettere da parte, giorno per giorno, qualche risparmio. Ma intanto, negli studios della capitale spagnola, stava per nascere un nuovo film. Il suo regista. Ladislao Vajda, aveva pronto da tempo ogni cosa per la sua realizzazione: i mezzi finanziari, il soggetto, le sceneggiature, ma continuava a rimandare il primo colpo di manovella. Infatti, nonostante le sue lunghe ricerche, non era ancora riuscito a trovare il bimbo capace di sostenere la parte diffìcile di "Marcellino”.
Parigi. Il piccolo attore ha ricevuto festose accoglienze dal pubblico parigino, alla presentazione del suo film; ora è già tornato in Spagna, dove l'attendevano il papà e la sorellina maggiore. I genitori di Pablito erano assai poveri e vivevano in una piccola casa alla periferia di Madrid: adesso, con i guadagni che il piccolo ha già realizzato come attore, il padre capomastro costruirà una villetta sul terreno che gli ammiratori spagnoli hanno regalato a Pablito.
Marcellino è il nome del protagonista di un delicato racconto di José Maria Sanchez Silva, dal quale è stato tratto il film che ha reso famoso Pablito e che si intitola Marcelino pane y vino. Si tratta di un povero orfano che agli inizi del secolo scorso, durante le guerre napoleoniche, viene abbandonato sulla soglia di un convento spagnolo. Dodici frati francescani dall'animo candido e puro lo raccolgono e lo allevano con amore dividendo con lui la loro semplice vita. Ma quando ha quasi sei anni Marcellino scopre con meraviglia che gli altri bambini hanno tutti una mamma e chiede ai suoi dodici padri se anche lui ne ha una. Gli rispondono che la sua mamma sta in cielo e da quel momento il piccolo orfano sogna di poterla raggiungere. Un giorno, esplorando di nascosto il vecchio solaio del convento, vede un grande Cristo di legno dai volto triste ed esangue e mosso a compassione dal suo aspetto sofferente, che attribuisce alla fame e alla solitudine, incomincia a portargli in gran segreto del pane e del vino e si ferma a parlare con lui per fargli un po' di compagnia. Si compie allora il miracolo perché il grande Cristo di legno risponde al piccolo orfano e la sua mano si tende per ricevere il pane e il vino. Così Marcellino, che finora aveva avuto soltanto un compagno di giochi immaginario (lo chiamava Michel), trova finalmente un amico e a lui confida tutti i suol pensieri, ottenendo ben presto di poter esaudire il proprio desiderio: raggiungere in cielo la sua mamma
I primi autografi
Questa la storia, fresca e gentile, per la quale il regista Ladislao Vajda cercava inutilmente un interprete. Vajda ha due bambini: Ladj di dieci anni e Pedrito di sei, e spesso gli capitava di fissare a lungo Pedrito chiedendosi se avrebbe potuto sostenere la parte di Marcellino. Ma ogni volta abbandonava questa possibilità: il protagonista del film avrebbe dovuto essere un bambino vivace, come tutti gli altri, ma con uno sguardo capace di esprimere, insieme al candore, una profonda tristezza.
Così, come avviene in questi casi, fu bandito un concorso e su cinquemila concorrenti venne scelto Pablito. Gli fecero "girare", per il "provino”, la scena in cui Marcellino mostra al suo amico immaginario Michel il proprio tesoro che tiene nascosto dietro una roccia: una carta da gioco, due bottoni lucenti, un fermaglio, tanti poveri oggetti amati, dal piccolo orfano, come beni preziosi. Neppure Pablito aveva, per i suoi svaghi, costosi giocattoli e allegri compagni, anche la sua sorellina ha poco tempo da dedicargli perché, dopo la scuola, aiuta la mamma nelle faccende domestiche. Perciò gli sembrò molto facile ripetere i gesti e le parole che gli venivano chiesti. In seguito egli dovette affrontare delle inquadrature che avrebbero preoccupato anche gli attori più esperti, come quella in cui, per il morso di uno scorpione, deve rotolarsi per terra gridando e singhiozzando. Ma Pablito non si sgomentò: quando ha capito esattamente che cosa si vuole da lui, sorride felice mentre sulle guance gli spuntano le due fossettine che non sono estranee alla sua improvvisa popolarità, e da quel momento non ha più bisogno di suggerimenti o di consigli.
In principio, Pablito non conosceva la storia di Marcellino perché gli spiegavano di volta in volta soltanto la scena che doveva "girare". Ma dopo pochi giorni che era incominciata la lavorazione del film, fu preso dalla curiosità di sapere perché quel povero bambino avesse, come gli facevano dire, "dodici padri ma nemmeno una madre". B quando glielo spiegarono le sue larghe pupille dorate si velarono di lacrime perché Pablito adora la sua giovane mamma, che è una donna svelta e intelligente, affettuosa con il suo bambino ma nello stesso tempo severa.
La signora Annamaria Hidalgo de Calvo è stata sempre vicina a suo figlio, da quando ha incominciato a lavorare per lo schermo,/ persuadendolo a dormire di giorno quando le riprese del film si facevano durante la notte e raccontandogli per distrarlo le sue fiabe preferite durante un "si gira” e l'altro. La sua maggiore preoccupazione è che il successo e i vezzeggiamenti possano alterare la semplicità e la spontaneità di Pablito. Ma Pablito è un bimbo saggio e sereno che per istinto rifugge dagli elogi e dalle eccessive carezze e fa qualche capriccio soltanto quando le sue ammiratrici, di ogni età e condizione, si ostinano ad abbracciarlo. Non è mai andato a scuola, ma ha imparato a scrivere il suo nome mescolando a suo modo le maiuscole e le minuscole e accompagnando la Anna con un lungo svolazzo attraversato da due tagli decisi. Posare per i fotografi lo infastidisce, invece gli piace moltissimo firmare autografi e li contempla soddisfatto, per qualche istante, prima di consegnarli. Da quando, per una scena del film, ha dovuto mangiare una omelette (non ne aveva mai assaggiate), le tortillos sono diventate il suo cibo preferito, insieme al salame e alle patate fritte.
A cominciare dal prossimo ottobre, Pablito avià un insegnante privato che gli insegnerà a leggere e a scrivere, ma nel frattempo continuerà a "girare" perché il suo regista gli ha fatto firmare un contratto impegnandolo per cinque anni e ha già in cantiere per lui una nuova pellicola. Marcelino pane y vino ha infatti incontrato nel pubblico un enorme favore. In Spagna il piccolo attore è ormai popolarissimo e riceve da ogni parte innumerevoli regali che non può nemmeno tenere presso di sé perché nella sua povera casa, alla periferia di Madrid, non c'è spazio per contenerli. Ma il pubblico spagnolo ha risolto anche questo problema regalando a Pablito un terreno sul quale Aquilino, il padre dell'enfant prodige, .costruirà lui stesso una villetta alla quale — ha già deciso — darà il nome di Marcellino.
Intanto, a Parigi, Pablito ha conosciuto un nuovo grande trionfo. La sua interpretazione, che gli ha procurato un premio al Festival di Cannes recentemente concluso, commuove profondamente gli spettatori, specialmente le donne che, durante l’ultima scena, quando Marcellino chiede timidamente a Gesù se anche lui ha una mamma, scoppiano in lacrime senza ritegno.
Per coincidenza, domenica scorsa si celebrava una festa che in Francia, da qualche anno, è diventata tradizionale, la féte des méres, dedicata a tutte le mamme, e la pellicola spagnola sembrava quasi un omaggio a quella ricorrenza. Ma Marcellino non lascerà indifferente il cuore di nessuna mamma, in nessuna parte del mondo. Perfino Pablito continua a interessarsi con emozione alle vicende del suo personaggio e durante le "prime” del film, mentre, compostamente seduto accanto a sua madre, assiste alla proiezione, di tanto in tanto si lascia sfuggire a voce alta qualche battuta prevenendo quella che Marcellino, sullo schermo, è sul punto di pronunciare.
In questi giorni l'enfant prodige è ritornato a Madrid e ha raggiunto suo padre e la sua sorellina che, nell’assenza di mamma Annamaria, ha preparato ogni giorno da sola la colazione e la cena come una brava massaia. Pablito era felice di poter salire ancora una volta a bordo di un aereo, ma un po’ rammaricato perché aveva dovuto lasciare a Parigi, in attesa che la nuova casa sia pronta, tutta la collezione di automobiline di ogni grandezza che gli sono state regalate durante il suo soggiorno in Francia. Ne aveva con sé una sola, la minuscola riproduzione della vettura — la Renault a quattro cavalli — che il bimbo sogna di possedere il più presto possibile.e tutta per sé. (Fino all’ultimo momento, nella sua camera d’albergo, si era divertito a dipingerla di grigio cantando allegramente un motivo che dice "Pinta, pinta, nino mio”). Portava inoltre, come ricordo della capitale francese, molte fotografie, alcuni doni per Elena e per papà Aquilino e un’unica, ma grossa delusione. Le fotografie sono state eseguite dallo stesso Pablito nei boschi di Vincennes e dì Boulogne, a Versailles e in piazza Vendòme, e sono nitide e bene inquadrate. I doni per la sorellina e per papà Aquilino consistono in un abito bianco di seta per la prima e in tre cravatte per il secondo (Pablito ha comperato anche un guinzaglio e un osso di gomma per Nela, la sua cagnolina). In quanto alla grossa delusione, si tratta proprio del monumento più famoso di tutta Parigi: della torre Eiffel che "Marcellino” ha trovato "molto, molto più alta di quello che immaginava, ma — che brutta sorpresa — niente affatto dorata!”
Anita Pensotti, «Oggi», 16 giugno 1955
Lucietta è volata nelle braccia di Pablito
Una bambina di sei anni ha scritto alla Befana chiedendo che le faccia conoscere il piccolo interprete di “Marcellino pane e vino”; e dopo due mesi la Befana l’ha esaudita.
Roma, marzo
Il Natale scorso, la piccola Lucia Ragni provò due grosse delusioni: una compagna di classe dell'Istituto dell'Assunzione le rivelò che la Befana era tutta una invenzione dei genitori e che Pablito Calvo, che lei credeva morto come nel finale del film Marcellino pane e vino, era invece vive, vegeto e, per di più a Roma. Tornata a casa delusa ed incredula, Lucietta trovò nei genitori tutta la comprensione di cui aveva bisogno in un momento così difficile: la mamma le garantì infatti che la compagna di classe era una bugiarda invidiosa e convinse la bambina, ormai con le lacrime agli oc-
chi, a scrivere proprio alla Befana perché le facesse incontrare il piccolo attore spagnolo. Incerta ma ubbidiente, Lucietta riempì a grandi caratteri tre fogli di quaderno e attese che la Befana si facesse viva.
Quella sera, in casa Ragni, si tenne un consiglio di famiglia. Presenti genitori e nonni, ciascuno disse la sua, si prospettarono varie possibilità di accontentare la piccola e vennero prese all’unanimità due decisioni: far cambiare di banco la compagna di classe di Lucietta e organizzare l’incontro con Pablito Calvo. Si trattava, insomma, di trovare una Befana per una bimba che nutriva ormai seri dubbi su questo personaggio. E chi meglio del direttore di un quotidiano avrebbe potuto sostenere potenzialmente questo ruolo? La mamma di Lucietta, una giovane signora sicura del fatto suo, prese carta e penna e scrisse una breve lettera che cominciava in questo modo: « Gentile Direttore, invio a lei invece che alla Befana questa lettera della mia bambina, perché spero che potrà esaudire il suo desiderio ».
Dal giorno della Befana sono passati ormai due mesi e Lucietta avrebbe avuto tutto il diritto di pensare che la compagna di scuola non era poi così bugiarda e male informata come le si voleva far credere. Ma sia pure con un po’ di ritardo, la Befana-Direttore si è fatta viva e poiché nel frattempo Pablito era tornato a Madrid, Lucietta e la mamma hanno avuto due biglietti d'aereo per raggiungerlo in Spagna. Rallegrata dalla notizia, ma evidentemente poco convinta di così erano svolti i fatti, Lucietta ha voluto scrivere una seconda lettera alla Befana (che però nessuno, questa volta, ha girato al giornale): con essa voleva farle sapere che sarebbe andata più volentieri in Spagna a cavallo della sua scopa.
Lucietta Ragni è una bimba timida, chiusa, scontrosa, ma con le idee abbastanza chiare: porterà in dono a Pablito un piccolo veliero di legno e gli dirà che vuol lavorare con lui in un film, per annodare, come in Marcellino pane e vino il cordone ai frati. All’aspetto Lucietta fa pensare ad una Shirley Tempie prima maniera, leggermente più magra e con un visetto più mobile. Fa la seconda elementare, riesce meglio in aritmetica che in dettato ed ha una spiccata predilezione per la TV, tanto che il giorno della partenza per Madrid ha pianto accorata-mente perché non poteva andare a casa di un vicino a vedere lo spettacolo. Annoiata e seria in mezzo alla gente, anche troppo paziente con fotografi e giornalisti che nell’ultima settimana le hanno interrotto ogni gioco, ha promesso alla sorellina, che porta i capelli biondi alla Veronica Lake ed ha le caratteristiche della « frugoletta tutto sale e tutto pepe », un giubbetto rosso e calzettoni dello stesso colore. All’idea di prender l’aereo non si è emozionata: un po’ perché ha solo sei anni e un po’ perché c’è già stata per curare la tosse convulsa.
Molti hanno parlato della vicenda di Lucietta in termini un po’ enfatici, commuovendosi e appassionandosi a questa « fiaba dei nostri giorni ». I suoi genitori invece l’hanno seguita come un piacevole diversivo che potrebbe portare, chissà, anche ad una conveniente avventura cinematografica. Il signor Ragni, che è impiegato di banca, e la sua signora, che è una donna pratica, lo ammettono con molta franchezza, senza nascondere una certa emozione, ed hanno insegnato alla figlia quello che deve dire a Pablito: « Voglio lavorare con te per comperarmi una bella villa al mare ».
Favola moderna, dunque, ma soprattutto per i « grandi». La piccola Lucia, ne siamo sicuri, tornerà a Roma abbastanza delusa: di aver trovato un Pablito Calvo che, a differenza del film, non parla e non capisce l’italiano; che non sa scrivere perché è figlio di povera gente e non è mai andato a scuola ; che è dispettoso, prepotente, nervoso come ogni bimbo viziato. Un bimbo-divo che è noto in tutto il mondo, è stato ricevuto in privata udienza anche dal Papa, ma che fa i capricci quando lo portano in giro e, qualche volta, si chiude nella sua stanza d’albergo gettando la chiave - scusate -nel gabinetto.
Giorgio Salvioni, «Epoca», anno VII, n.284, 11 marzo 1956
L'uomo che diventò cane
Pablito Calvo, il piccolo eroe di “Marcellino pane e vino”, interpreta con Peter Ustinov la bizzarra e poetica favola cinematografica che porta il titolo “Un angelo è sceso a Brooklyn" e per la quale è stato ricostruito in un angolo della vecchia Spagna un quartiere di Nuova York
Madrid, giugno
«Non si può vivere senza amore». Questa dichiarazione di Ladislao Vajda è abbastanza ovvia; lo è meno la spiegazione che segue: « Chi lo ha provato, non può più farne senza». E’ il tema del film che Vajda sta girando negli studi Chamartin di Madrid: Un angelo è sceso a Brooklyn. Lo svolgimento del tema è più peregrino, giacché comporta la trasformazione di un uomo in un cane; in altre parole, esistendo un uomo molto cattivo e molto solo, sarà necessario mutarlo in cane per fargli capire quanto irragionevole e penoso sia vivere senza l’amore del prossimo. Se ne può dedurre che un uomo ha la testa più dura di un cane. Ho chiesto a Peter Ustinov, l’uomo che diventa cane, a qual genere di morale o di filosofia voglia richiamarsi il film; ed egli ha risposto: « A una filosofia canina». Scherzi a parte, Un angelo è sceso a Brooklyn è un film interessante: non tanto per il successo che potrà avere e che gli auguro di tutto cuore, quanto perchè è l'esperimento industriale di maggior impegno che il cinema spagnolo stia affrontando. Ecco perchè, venendo a Madrid a dare un’occhiata fugacissima a questo cinema che va diventando di moda, comincerò da quanto avviene negli studi di Chamartin.
Forse è davvero il momento del cinema spagnolo. Capita di incontrare qui a Madrid gente del mestiere che ne parla con quel pudore un po’ superstizioso che nasconde sempre le grandi speranze. Gli spagnoli sentono che il mondo del cinema si sta interessando di loro, l’aria che respirano non deve essere molto diversa da quella che circolava a Roma quando Blasetti girava Quattro passi fra le nuvole e Visconti Ossessione. I più, è vero, si rendono conto che fra Ossessione e Roma città aperta c’è stato lo sconvolgimento della società italiana (e il ricordarlo può far piacere a una parte degli spagnoli, sicuramente dispiacere all’altra parte). Tuttavia per molti indizi si può pensare comunque a un "ciclo” del film spagnolo così come ci sono stati i cicli del film tedesco, francese, italiano. Esiste anzitutto quella spinta creativa che dà sempre ad un popolo la scoperta di un linguaggio nuovo: gli spagnoli, cinematograficamente muti fino a pochissimo tempo fa, provano l’ebbrezza di chi si sente repentinamente padrone di un mezzo espressivo che gli consentirà di manifestarsi, di descriversi con insperata libertà e con illuminante precisione. E’ una conquista peraltro già confortata da inattesi successi di stima e finanziari: Calabuig, Marcelino pan y vino. Calle mayor sono film di cui si è occupato il mondo intiero, anche se per motivi diversi o per interessi non sempre autentici. Esiste, in secondo luogo, molto denaro a disposizione del cinema, in conseguenza di una situazione industriale estremamente favorevole.
PABLITO CALVO, che aveva sei anni quando fu prescelto per "Marcellino pane e vino”, ora ne ha otto. ”Un angelo è sceso a Brooklyn” è il suo terzo film: i suoi guadagni sono diventati rilevanti, ma la maggior parte di essi viene depositata per quando raggiungerà la maggior età. Pablito ha i genitori e una sorella di 13 anni. Nella foto in alto: Peter Ustinov e il molosso Furio.
La rottura dei rapporti commerciali fra Spagna e M.P. A.A. (l’associazione dei "grandi” produttori di Hollywood) dura da oltre due anni, il che significa che da due stagioni non arriva qui un film americano. Ora si sta cercando di concludere un accordo sulla base del "quattro a uno”, cioè della garanzia che almeno un film spagnolo sia proiettato per ogni quattro americani. Ma credo che non si farà nemmeno tale accordo e che per molto tempo ancora l’industria cinematografica nazionale avrà a disposizione quasi per intero il grande mercato spagnolo.
Denaro dunque, e idee, e fermenti, e l’eccitazione delle cose nuove, dei mondi da scoprire, e anche quegli scontenti, quelle aspirazioni a un mondo migliore che danno tanto fastidio a tutte le censure ma che sono indispensabili per far qualcosa di buono in arte: nascerà da tutto questo il "ciclo del cinema spagnolo”? Ci auguriamo di sì, anche se un moto unitario dei migliori intelletti in una direzione sola, come ci fu alla nascita del neorealismo italiano, non sembra esservi ancora.
Quale sia la direzione in cui si muove Vangelo di Vajda che è sceso a Brooklyn, lo si è già detto in parte: una moralità candida e tradizionale, alla quale si giunge mediante una favola raccontata con i modi del realismo. La vicenda del film è abbastanza semplice. Un esoso e detestato proprietario di case, non malvagio ma inasprito dalla sua stessa solitudine, vive nel torvo piacere di questa sua solitudine e di questo disamore che lo circonda. Un giorno una vecchia gli lancia la maledizione delle favole: tu vivi come un cane e allora diventerai cane fino a quando qualcuno non ti amerà. Ed ecco che d’incanto l’uomo diventa cane, un cane dapprima identico all’uomo che fu, cioè ringhioso, solitario, fondamentalmente disperato. Ma il denaro che era la sua forza ora non lo protegge più, e l’amore che invano gli fu offerto nell’altra vita, adesso deve guadagnarselo per non morire. Sarà l’amore di un bimbo a rompere l’incantesimo.
SILVIA MARCO e Maurizio Arena sono due dei principali attori italiani che hanno parte nel film. Trattasi intatti di una coproduzione italo-spagnola. Vi recitano anche Aroldo Tieri e Franca Tamantini. Silvia Marco, che debutta nel cinema, ha 21 anni ed è romana. La sua prova è eccellente. La Marco ed Arena interpretano la parte amorosa del film.
La morale della favola è trasparente. « L’amore di un bimbo è l’amore più forte» soggiunge Vajda, guardando Pablito Calvo che aspetta il suo turno di ripresa giocando "ai gangsters” con tre o quattro ragazzini poco più alti di lui e suoi compagni di lavoro nel film. Pablito è molto cambiato da quando interpretò "Marcellino”; è più alto, più deciso, forse anche più scaltrito. Non j so se si renda conto di essere oggi il più importante attore cinematografico spagnolo, comunque non lo dà a vedere, anche se qualche impuntatura improvvisa e certi lunghi sguardi sospesi ti fanno indovinare i piccoli e grandi turbamenti di tutti i bambini prodigio. Detesta furiosamente, per esempio, d’essere fotografato, da chiunque, e non sai se per qualche scossa nervosa subita chi sa quando o se per infantile capriccio. E nello stesso momento, tuttavia, ti viene incontro con la manina tesa, sogguardandoti calmo, rispettoso, pieno di una dignità che ti incanta. E’ molto spagnolo in questo, addirittura forse l’elemento più spagnolo del film.
Come tutti i prodotti cinematografici di costo e d’ambizioni internazionali, Un angelo è sceso a Brooklyn è un curioso guazzabuglio dì favelle. Ladislao Vajda è ungherese (lasciò l’Ungheria una ventina d'anni fa, lavorò in Inghilterra, Germania, Francia, Italia, venne per la prima volta in Spagna nel 1942 e ci tornò poco dopo trovandovi l’ambiente di lavoro più congeniale, non per nulla ama definirsi "latino”, e infine anche il successo clamoroso con "Marcelino”). Ungheresi sono il soggettista del film, Bekeffy, e l’operatore, Guerner. Italiani sono molti attori (Maurizio Arena, Silva Marco, Aroldo Tieri, Franca Tamantini), inglese è il protagonista, Peter Ustinov, sebbene di origine russa. E finalmente il terzo protagonista della storia, il cane Furio, è romano, ancorché di razza sia "molosso napoletano”.
Quanto all’ambiente, addirittura siamo in America. Si è già detto come il film, non potendo essere giudicato sino a questo momento dal punto di vista estetico, sia già un ragguardevole esempio di sforzo produttivo. Può darsi che il suo costo non superi i duecento milioni delle nostre lire: sarebbe poco per la nostra prodiga industria, è moltissimo per quella parsimoniosa degli spagnoli. Dopo avere girato dal vero, a Nuova York, sequenze che serviranno loro per i trasparenti, gli spagnoli hanno trovato più economico ricostruire fra le pieghe rosse di questa vecchia Spagna un minuscolo ma completo quartiere di Brooklyn, con strade e case in grandezza naturale e riproducenti alla perfezione i modelli fotografati a Nuova York. Queste costruzioni sono costate un quarto del valore totale del film, suppongo: sono comunque la testimonianza di un ammirevole impegno.
Ultimo bisticcio del film: non è una Nuova York generica, è un angolo di ”Little Italy”, un ambiente tipico di emigrati italiani, con scritte italiane nei negozi e nomi di italo-ameri-cani ai personaggi. Perchè? Vajda mi assicura che questa storia non avrebbe potuto essere vissuta da altri che da italiani di Brooklyn.
Intanto Peter Ustinov un po’ ci parla delle tredici commedie che ha scritto (ha soltanto trentasei anni) e un po’ ci offre saggi della sua profonda conoscenza della psicologia e della fisiologia canine. In altre parole, abbaia. E’ molto importante che lo sappia fare, giacché la sceneggiatura, in un gioco di osservazioni realistiche che immagino molto divertenti, vuole che l’uomo divenuto cane perda soltanto a poco a poco modi, abitudini, pudori, appetiti umani (non gli riesce per esempio di fare in pubblico ciò che gli uomini fanno in privato e i cani no); e viceversa, quando ridiviene uomo, dura a lungo nel comportarsi da cane. Vajda precisa che in qualsiasi edizione del film, l’attore incaricato di doppiare il protagonista dovrà avere le stesse facoltà di Ustinov, cioè parlare e abbaiare con la stessa voce.
Vittorio Bonicelli, «Tempo», anno XIX, n.26, 27 giugno 1957
"Marcellino" piange davanti al fotografo
«Cercansi ragazze e giovani donne straniere per carriera cinematografica». Allettate da questo annuncio pubblicitario apparso nella stampa madrilena, buon numero di interessate si precipitarono allindi rizzo indicato; ma la parte che veniva loro proposta era parecchio strana: servir da bersaglio a un lanciatore di coltelli messicano!
Ma non tutti gli annunci del genere che pubblicano da qualche tempo a questa parte i giornali spagnoli sono così deludenti. Spesso, anzi, portano alla gloria e alla fortuna, come quello che quattro anni fa attirò l'attenzione dei genitori del piccolo Pablo Calvo Hidalgo, un ragazzino tranquillo di 5 anni e mezzo, dai capelli castani e dagli occhi neri espressivi sopra un sorriso ingenuo e birichino a un tempo; un bambino che viveva allora una vita semplice e monotona nel popolare quartiere dei Quatro Caminos, a Nord dell’agglomerato di Madrid.
«Cercasi ragazzino per scopi cinematografici», diceva un annuncio delia compagnia di produzione Chamartin, dopo molti tentativi infruttuosi di trovare fra giovani attori professionisti spagnoli il protagonista ideale del film «Marcellino, pan y vino»; il regista di origine ungherese, Ladislav Vajda, aspettava solo di scoprirlo per mettersi al lavoro.
Letto l'annuncio, la nonna di Pablito Calvo prese il piccino per mano e andò alla Chamartin. Qui presero nome e indirizzo del piccolo soggetto e dissero alla vecchia signora che l'avrebbero richiamata. La sera stessa Battito si era completamente dimenticato dell’avventura e i suoi genitori stavano per fare altrettanto quando qualche giorno dopo arrivò una lettera. Pablito veniva chiamato alla Compagnia per le eliminatone.
Se Pablito Calvo è riuscito vittorioso ed è oggi l’attore spagnolo più famoso il suo trionfo non è stato facile. Ha dovuto lottare, e non di poco. La famiglia Calvo Hidalgo, infatti, non era stata la sola a leggere l’annuncio della Chamartin Films e ad esser convinta che il proprio figlioletto era nato per il cinema. Nientemeno che cinquemila madrileni erano dello stesso parere e altrettanti ragazzini erano stati condotti per mano da genitori e parenti davanti agli uffici
Una prima selezione eliminò gran parte dei giovani candidati ; per i superstiti cominciò una serie di prove davanti al microfono e alla macchina da presa, con tre eliminazioni successive. Fino al momento in cui ne rimasero solo tre in lizza: tra i quali Pablito Calvo.
Venne allora il test finale, il più difficile. I tre bambini vennero condotti nel piccolo villaggio di San Rafael vicino a Segovia dove Ladislav Vajda girava gli esterni del film; e per i quattro giorni i tre finalisti interpretarono il personaggio di Marcellino recitando le stesse scene. Pablito Calvo, con un contratto di tre anni prossimo a scadere ma già immediatamente rinnovato dalla Chamartin Films».
Pablito è infatti attore nato, assolutamente spontaneo davanti alla macchina da presa dove si comporta come se stesse vivendo e non recitando l’azione che gli impongono di rappresentare. E’ vero che nella sua famiglia ci sono due «uomini di teatro»; ma si disilludano quelli che sostengo-nono a spada tratta la teoria della vocazione ereditaria: il padre di Pablito è suggeritore e il nonno era amministratore.
A prescindere da altri due film, «Mi tio Jacinto» (Lo zio Giacinto) e «Un angelo è sceso a Brooklyn» per cui si è ricostruito nello studio di Madrid l’intero quartiere newyorkese, girati sempre con Ladislav Vajda per la Chamartin, e a parte i viaggi pubblicitari in Italia e nelPAme-rica del Sud, la biografia del divo mondiale che è oggi Pablo Calvo Hidalgo detto Pablito è assolutamente priva di avvenimenti salienti. Il bambino ha solo nove anni e appena lascia gli Studios torna un bambino come gli altri, tifoso del calcio (e non dei «to-ros») e affamato di giornali illustrati. .
Difficile intervistarlo, perchè i giornalisti gli fanno paura e risponde a monosillabi; non meno difficile è fotografarlo: Pablito è stato tanto fotografato dai fotografi durante i suoi viaggi a Cannes e a Venezia che quando ne intrevvede uno si copre il faccino con le mani; e se insistono si mette anche a piangere.
Ha fatto una sola eccezione durante la visita a Madrid di una piccola romana, Lucia Fenicia. La bambina aveva tanto pianto vedendo morire sullo schermo Marcellino che per consolarla la portarono a Madrid per dimostrarle che non era vero e per farle vedere Pablito Calvo vivo e vegeto. In quell'occasione Pablito si comportò da vero uomo di mondo; andò a ricevere la piccola all’aeroporto con un cesto di fiori e a un ricevimento per bambini si lasciò fotografare con una condiscendenza affatto insolita. C’era forse un «angolo» sentimentale nella vita di Pablito?
Mai più. Quando Lucia Fenicia ripartì per Roma, Pablito chiese:
«Ne verranno altre di ragazzine italiane?»
«Ma certo», gli rispose Ladislav Vajda, soddisfatto di questa curiosità inattesa.
«Accidenti!», rispose Pablito preoccupato. Non è mica uno spasso. Perchè io non sono un tipo come Marion Brando. Le donne italiane le ho già fin sopra i capelli».
Axel De Holstein, «Il Piccolo di Trieste», 1 marzo 1958
Risponde a monosillabi quando lo intervistano e piange quando vogliono ritrarlo a tutti i costi - Ma davanti alla macchina da presa recita con la naturalezza di un attore nato
« Cercansi ragazze e giovani donne straniere per carriera cinematografica ».
Allettate da questo annuncio pubblicitario apparso nella stampa madrilena buon numero di interessate si precipitarono all'indirizzo indicato; ma la parte che veniva loro proposta era parecchio strana : servir da bersaglio a un lanciatore di coltelli messicano!
Ma non tutti gli annunci del genere che pubblicano da qualche tempo a questa parte i giornali spagnoli sono cosi deludenti. Spesso, anzi, portano alla gloria e alla fortuna, come quello che quattro anni fa attirò l’attenzione dei genitori del piccolo Pablo Calvo Hidalgo, un ragazzino tranquillo di cinque anni e mezzo; dai capelli castani e dagli occhi neri espressivi sopra un sorriso ingeniio e birichino a un tempo: un bambino che viveva allora una vita semplice e monotona nel popolare quartiere dei Quattro Caminos, a nord dell’agglomerato di Madrid.
«Cercasi ragazzino per scopi cinematografici» diceva un annuncio della compagnia di produzione Chamartin, dopo molti tentativi infruttuosi di trovare fra giovani atteri professionisti spagnoli il protagonista ideale del film «Marcellino, Pan y Vino»: il regista di origine ungherese, Ladislao Vajda aspettava solo di scoprirlo per mettersi al lavoro...
Letto l'annuncio la nonna di Pablito Calvo prese il piccino per mano e andò alla Chamartin. Qui presero nome e indirizzo del piccolo soggetto e dissero alla vecchia signora che l’avrebbero richiamata. La sera stessa Pablito si era completamente dimenticato dell’avventura e i suoi genitori stavano per fare altrettanto quando qualche giorno dopo arrivò una lettera. Pablito veniva chiamato alla Compagnia per le eliminatorie.
Se Pablito Calvo è riuscito vittorioso ed è oggi l’attore spagnolo più famoso il suo trionfo non è stato facile. Ha dovuto lottare, e non poco. La famiglia Calvo Hidalgo, infatti, non era stata la sola a leggere l'annuncio della Chamartin Films e ad esser convinta che il proprio figlioletto era nato per il cinema. Niente meno che cinquemila madrileni erano dello stesso parere e altrettanti ragazzini erano stati condotti per mano dai genitori e parenti davanti agli uffici della società cinematografica.
Una prima selezione eliminò gran parte dei giovani candidati; per i superstiti cominciò una serie di prove davanti al microfono e alla macchina da presa, con tre eliminazioni successive. Fino al momento in cui ne rimasero solo tre in lizza: tra i quali Pablito Calvo.
Venne allora il test finale, il più difficile. I tre bambini vennero condotti nel piccolo villaggio di San Rafael vicino a Segovia dove Ladlslav Vajda girava gli esterni dei film e per i quattro giorni i tre finalisti interpretarono il personaggio di Marcellino recitando le stesse scene. Pablito Calvo, con un contratto di tre anni prossimo a scadere ma già immediatamente rinnovato dalla Chamartin Films.
Pablito è infatti attore nato, assolutamente spontaneo davanti alla macchina da presa dove si comporta come se stesse vivendo e non recitando l'azione che gli impongono di rappresentare. E' vero che nella sua famiglia ci sono due «uomini dì teatro»; ma si disilludano quelli che sostengono a spada tratta la teoria della vocazione ereditaria: il padre di Pablito è suggeritore e il nonno era amministratore.
A prescindere da altri due film, «Mi tio Jacinto» (Mio zio Giacinto) e « Un angelo è sceso a Brooklyn » per cui si è ricostruito nello studio di Madrid l’intero quartiere newyorkese, girati sempre con Ladislav Vajda per la Chamartin, e a parte i viaggi pubblicitari in Italia e nell'America del Sud, la biografia del divo mondiale che è oggi Pablo Calvo Hidalgo detto Pablito è assolutamente priva di avvenimenti salienti. Il bambino ha solo nove anni (è nato 11 16 marzo 1949) e nessun agente riesce ancora ad affibbiargli una relazione femminile o a combinargli un clamoroso divorzio. Non appena lascia gli Studios torna un bambino come gli altri, tifoso del calcio (è non dei «toros») e affamato di giornali illustrati.
Difficile intervistarlo, perchè i giornalisti gli fanno paura e risponde a monosillabi; non meno difficile è fotografarlo: Pablito è stato tanto fotografato dai fotografi durante i suoi viaggi a Canries e a Venezia che quando ne intravvede uno si copre il faccino con le mani; e se insistono si mette anche a piangere.
Ha fatto una sola eccezione, durante la visita a Madrid di una piccola romana Lucia Fenicia. La bambina aveva tanto pianto vedendo morire sullo schermo Marcellino che per consolarla la portarono a Madrid per dimostrarle che non era vero e per farle vedere Pablito Calvo vivo e vegeto, in quell’occasione Pablito si comportò da vero uomo di mondo; andò a ricevere la piccola all'aeroporto con un cesto di fiori e a un ricevimento per bambini sì lasciò fotografare con una condiscendenza affatto insolita. C'era forse un «angolo» sentimentale nella vita di Pablito?
Mai più. Quando Lucia Fenicia riparti per Roma Pablito chiese ai suo impresario: «Ne verranno altre di ragazzine italiane?».
«Ma certo» gli rispose Ladislav Vajda, soddisfatto di questa curiosità inattesa.
«Accidenti!» rispose Pablito preoccupato. « Non è mica uno spasso. Perchè io non sono un tipo come Marion Brando. Di donne ne ho già fin sopra i capelli».
Axel de Holstein, «Gazzetta di Mantova», 13 marzo 1958
Morto ad Alicante l'attore Pablito Calvo
Marcellino pane e vino fece piangere il mondo
MADRID In Italia undici milioni di spettatori si commossero per la sua interpretazione di un orfanello allevato dai frati. In tutto il mondo divenne famoso per quel ruolo cinematografico, interpretato all'età di 8 anni. Pablito Calvo, il bambino protagonista di «Marcellino pane e vino», celebre film uscito nel 1954 con la regia di Ladislao Vajda, è morto ieri ad Alicante per un ictus. Aveva 52 anni e il suo funerale si è svolto ieri. L'attore ha voluto essere cremato.
Dopo l'enorme successo di «Marcellino pane e vino», il film spagnolo più visto nel mondo, aveva girato altre cinque pellicole («Juanito», «Alena en el cielo», «Dos anos de vacaciones», «Barcos do papel» e «Totò e Marcellino»), ma ad appena 14 anni si era ritirato dalle scene, aveva studialo ingegneria, e si era dedicato agli affari immobiliari. I! film che lo ha reso celebre, continuamente proposto dalle sale parrocchiali, era ambientato nella Spagna di fine Ottocento dove l'orfanello Pablito, allevato dai frati, stringeva amicizia con un crocifisso parlante al quale chiedeva di conoscere la madre. Veniva accontentato e Gesù lo portava con sé in cielo. Tratto da un romanzo di Jose Maria Sanchez ispirato a una leggenda popolare, il film puntava alla commozione.
Sull'onda del grande successo, anche Totò realizzò «Totò e Marcellino»; interpretava un ladruncolo che per sfuggire agli inseguitori, dopo un furto, si unisce a un corteo funebre e si fa passare per lo zio di Marcellino (sempre Pablito Calvo, doppialo ancora una volta da una donna). «Marcellino pane e vino» ebbe anche un remake italiano nel '91 firmato da Luigi Comencini e interpretato da Nicolò Paolucci. In questa versione recente l'azione è spostata dall'Ottocento al Seicento e la storia è stata un poco ripulita degli elementi troppo struggenti e mistici che caratterizzavano l'originale. Pablito Calvo era apparso recentemente sulla tv italiana come ospite nel programma di Italia 1 «Meteore» basato sulla presentazione di quei personaggi che hanno avuto un folgorante ma brevissimo successo nel mondo dello spettacolo. Molto simpaticamente l'attore aveva ricordato la sua esperienza come protagonista di «Marcellino pane e vino» per poi spiegare che attualmente lavorava appunto come ingegnere, specializzato nella costruzione di case di villeggiatura in Spagna.
Una curiosità: Pablito Calvo era doppiato per l'Italia da una bambina, Ludovica Modtigno, che oggi è un'attrice affermata di teatro e «presta» la voce a Glenn Close, Emma Thompson, Maryl Streep.
s.n., «La Stampa», 3 febbraio 2000
Addio all'indimenticabile Marcellino
Morto a soli 52 anni Pablito Calvo, protagonista del film spagnolo (1954) più visto al mondo. Dopo aver interpretato altre cinque pellicole, a 14 anni si era ritirato
MADRID Solo in Italia undici milioni di spettatori si commossero per la sua interpretazione di un orfanello allevato dai frati: Pablito Calvo, il bambino protagonista di «Marcellino pane e vino» (1954), è morto martedì ad Alicante per aneurisma. Aveva solo 52 anni.
Dopo l’enorme successo di «Marcellino pane e vino» di Ladislao Vajda, il film spagnolo più visto nel mondo, aveva girato altre cinque pellicole («Juanito», «Aierta en el cielo», «Dos anos de vacaciones», «Barcos de papel» e «Totò e Marcellino»), ma ad appena 14 anni si era ritirato dalle scene, aveva studiato ingegneria, e si era dedicato agli affari immobiliari.
Il film che lo ha reso celebre, continuamente proposto dalle sale parrocchiali, era ambientato nella Spagna di fine Ottocento dove l’orfanello Pablito, allevato dai frati, chiedeva a un crocefisso parlante di conoscere la madre e veniva accontentato: Gesù lo portava con sè in cielo.
Pablito Calvo, che aveva 8 anni (nella foto in una scena del film), fu doppiato in italiano da una bambina di cinque anni, Ludovica Modugno, che fu scelta fra 300 candidate, una delle quali era Rina Morelli, e che oggi è attrice di teatro e presta la sua voce al cinema a Glenn Close, Emma Thompson, Maryl Streep.
Tratto da un romanzo di Josè Maria Sanchez ispirato a una leggenda popolare, il film puntava dritto a commuovere grandi e piccini. Sul treno del suo successo salì anche Totò interpretando in «Totò e Marcellino» di Antonio Musu un ladruncolo che per sfuggire agli inseguitori dopo un furto si unisce a un corteo funebre e si fa passare per lo zio di Marcellino (sempre Pablito Calvo).
«Marcellino pane e vino» ebbe anche un remake italiano nel ’91 firmato da Luigi Comencini e interpretato da Nicolò Paulucci (nella parte di Marcellino), Ida Di Benedetto e Roberto Herlitzka.
«Il Piccolo di Trieste», 3 febbraio 2000
Addio a «Marcellino», commosse il mondo parlando di Gesù
Pablito Calvo, il «Marcellino» del cinema, è morto ieri ad Alicante a soli 52 anni, per un aneurisma. Era stato il bambino più popolare lanciato dal cinema europeo negli anni ’50 dopo l’Enzo Stajola di «Ladri di biciclette». La sua carriera, fatta di cinque titoli simili tra loro, è durata poco: inizia nel ’54, quando Pablito ha 6 anni, con il trionfo del melò strappalacrime spagnolo di Ladislao Vajda «Marcellino pane e vino» c finisce nel ’62 con «Il ritorno di Marcellino», dove il ragazzo, cresciutello, rimane sempre una vittima della vita, destinato a morte sicura per offrire un plusvalore di buoni sentimenti e abbondante piagnisteo in platea. Marcellino, che Comencini rifece poi nel ’91, fu un personaggio smaccato, semplice ma indovinato, ispirato a un libro di José Sanchez. E’ un orfanello allevato dai frati che parla con Gesù, come faceva Don Camillo, e lo convince a portarlo con sé in Paradiso a conoscere la mamma. Le sale parrocchiali l’hanno proiettato fmo a consunzione della pellicola. Fu il massimo successo spagnolo e in Italia, Marcellino, divenne un cult e ispirò una canzone. Pablito era un bel bambino bruno, pantaloncini e una sola bretella stile neorealista, aspetto mediterraneo, grandi occhioni scuri aperti sul mondo.
Al contrario di molti bambini prodigio che hanno scontato fino alla fine le nevrosi di carriere mancate, Pablito Calvo si ritira dal cinema a 14 anni senza problemi, studia ingegneria e lavora nel mondo immobiliare. Certo, se fosse andato da Freud, Marcellino avrebbe rappresentato un bel super io, decorato da un successo che poi non accolse più gli altri film del ragazzo, tra cui «Pepote», «Un angelo è sceso a Brooklyn» e «Totò e Marcellino» in cui fa strana ma non indovinata coppia col comico, un ladruncolo che si fa passare per lo zio del bambino, per sempre Marcellino.
Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 3 febbraio 2000
Michele Anselmi, «L'Unità», 3 febbraio 2000
Filmografia
Marcellino pane e vino (Marcelino pan y vino) di Ladislao Vajda (1955)
Mio zio Giacinto (Mi tio Jacinto) di Ladislao Vajda (1956)
Un angelo è sceso a Brooklyn (Un ángel pasó por Brooklyn) di Ladislao Vajda (1957)
Totò e Marcellino (1958)
Juanito (1960)
Alerta en el cielo (1961)
Dos años de vacaciones (1962)
Il ritorno di Marcellino (Barcos de papel) (1963)
Note
^ Cinema: è morto Pablito Calvo, 'Marcellino Pane e Vino' Adnkronos.com, 02-02-2000.
^ È morto Pablito Calvo, indimenticato Marcellino Larepubblica.it, 03-02-2000.
Riferimenti e bibliografie:
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Anita Pensotti, «Oggi», 16 giugno 1955
- Giorgio Salvioni, «Epoca», anno VII, n.284, 11 marzo 1956
- Vittorio Bonicelli, «Tempo», anno XIX, n.26, 27 giugno 1957
- Axel De Holstein, «Il Piccolo di Trieste», 1 marzo 1958
- Axel de Holstein, «Gazzetta di Mantova», 13 marzo 1958
- s.n., «La Stampa», 3 febbraio 2000
- «Il Piccolo di Trieste», 3 febbraio 2000
- Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 3 febbraio 2000
- Michele Anselmi, «L'Unità», 3 febbraio 2000