Campanile Achille
(Roma, 28 settembre 1899 – Lariano, 4 gennaio 1977) è stato uno scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e giornalista italiano, celebre per il suo umorismo surreale e i giochi di parole.
Nacque da Gaetano Campanile Mancini (1868 – 1942), napoletano, soggettista, sceneggiatore e regista di film muti e poi redattore capo del quotidiano La Tribuna, e da Clotilde Fiore.
Per breve tempo impiegato di ministero, ancora giovanissimo divenne cronista, iniziando la carriera come giornalista de La Tribuna per passare poi all'Idea Nazionale e al Travaso delle idee. Vuole la leggenda (alla cui coloritura forse lo stesso Campanile potrebbe aver contribuito) che, dovendo raccontare della triste storia di una vedova che tutti i giorni, da molti anni, si recava in cimitero per portare dei fiori sulla tomba del marito e che un giorno ivi era stata trovata morta, riversa sulla tomba, Campanile abbia preparato il "pezzo" come di consueto, ma titolandolo "Tanto va la gatta al lardo".
La trama del mio film Animali Pazzi era articolata sulle vicende di un cavallo che impazzisce, ragion per la quale bisogna ricoverarlo immediatamente in un manicomio veterinario, dove naturalmente, ne succedono di tutti i colori. Totò interpretava il duplice ruolo di due sosia e se la cavava egregiamente, malgrado, per ragioni di contenimento dei prezzi, si dovesse ricorrere a pochi trucchi. Era sempre lesto a scattare da una parte all'altra del set e velocissimo a cambiarsi d'abito. Aveva però una paura maledetta di cadere dal cavallo: scrissi, appositamente per lui, una esilarante scena in cui veniva fissato alla sella del quadrupede tramite la colla arabica. Il film culminava in un Totò impazzito e a sua volta internato in manicomio. Qui gli venivano prescritti calmanti vari, senonché il farmacista, per errore, anziché dargli un sonnifero gli propina un "suonifero," vale a dire una ipotetica sostanza che faceva venire la voglia di cantare. Cosi Totò e tutti gli altri pazzi nottetempo invece di dormire facevano concerti vocali e strumentali. Ricordo perfettamente che Totò, sul lavoro, era estremamente serio e scrupoloso, nonché puntualissimo. Mentre, dalle parti della Farnesina, giravamo alcune scene del film, vi fu un'alluvione, a Roma, e il Tevere straripò. Ebbene, Totò, pur di non mancare, affittò una barca e ci raggiunse. Tutti noialtri, soggettista, regista e produttore, capimmo che le grandi qualità comiche e ironiche dell'attore potevano essere sfruttate sullo schermo meglio ancora che sulla scena.
Achille Campanile
Responsabile della terza pagina del suo giornale era Silvio D'Amico (ma secondo altre versioni si sarebbe trattato di Emilio Cecchi) che, sconcertato, non sapendo se si avesse a che fare con un genio o con uno squilibrato, nel dubbio gli diede una possibilità, che Campanile non avrebbe deluso. In qualche modo presentato ed introdotto, dunque, al mondo della cultura degli anni venti, non tardò Campanile a far notare una spiccata vocazione per una composizione anticonvenzionale ed incline alla ricerca dell'effetto.
Ammirato e sostenuto da Pirandello e Montale (col quale era anche in amicizia), Campanile cominciò dunque a presentare i suoi primi lavori (Centocinquanta la gallina canta del 1924, L'inventore del Cavallo del 1925). Seguirono commedie e romanzi di notevole successo come Ma cos'è questo amore del 1927, Se la luna mi porta fortuna, Agosto moglie mia non ti conosco che gli diedero una notevole popolarità tanto che la sua immagine in abiti molto eleganti e col monocolo era molto nota.
In quel periodo inizia anche la collaborazione con periodici letterari quali La Fiera Letteraria e Il Dramma. Nel 1930, la rappresentazione della sua commedia in tre atti L'amore fa fare questo ed altro al Teatro Manzoni di Milano per la regia di Guido Salvini e l'interpretazione di Vittorio De Sica, Giuditta e Checco Rissone, ed altri famosi, destò un putiferio: il pubblico si divise in entusiasti estimatori e feroci denigratori. La commedia fu poi riproposta anche all'estero con lo stesso risultato.
La sua popolarità aumentò ulteriormente nel 1932, quando seguì il Giro d'Italia per conto del quotidiano Gazzetta del Popolo di Torino. Inventò il personaggio di Battista, cameriere e gregario, e i suoi reportage furono raccolti nel libro Battista al Giro d'Italia. Poco dopo uscì Cantilena all'angolo della strada, raccolta di saggi e meditazioni pubblicate in precedenza sui quotidiani La Stampa e La Tribuna, che gli valse il suo primo Premio Viareggio (1933). Dopo la guerra ebbe un calo di popolarità, ma nel 1953 la nascente televisione italiana, ancora in fase sperimentale, trasmise alcuni brani delle sue opere e lui stesso comparve sullo schermo.
Dal 1959 e per alcuni anni, tenne una rubrica di critica televisiva su L'Europeo. Fra le poche opere del periodo spicca Il Povero Piero del 1959, dove viene affrontato con molta ironia l'argomento della morte e, soprattutto, dei funerali e degli atteggiamenti di parenti e amici del caro estinto. Nel 1963 curò la sceneggiatura di uno spot nella famosa trasmissione pubblicitaria di prima serata Carosello dal titolo Consiglio di famiglia, pubblicizzando lo shampoo DOP per la ditta italo-francese Saipo-L'Oréal.
Negli ultimi anni venne riscoperto e ritornò ad un grande successo con Manuale di conversazione (1973) e Gli asparagi e l'immortalità dell'anima (1974). Nel 1973 ottenne il suo secondo Premio Viareggio, quarant'anni dopo il primo, per l'opera: Manuale di conversazione e nel 1976 vinse il Premio Forte dei Marmi con il romanzo L'Eroe. Nel 1955 aveva sposato Giuseppina Bellavita (detta Nuccia, 1935-1996)[6], dalla quale ebbe l'anno successivo il figlio Gaetano. Visse fra Roma e Milano ma negli ultimi anni si spostò a Lariano, vicino Velletri, dove morì nel 1977.
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Tragedie e battute
Fra le prime sue opere, le Tragedie in due battute (rappresentate per la prima volta intorno al 1925) costituiscono certamente un contributo di grande innovazione ed un'opera in sé irripetuta. Si tratta di piccoli atti, sceneggiati per il teatro, effettivamente composti da un numero irrisorio di battute (termine usato nel senso del gergo teatrale e non in quello umoristico).
La stella nell'imbarazzo
- La prima stella: Ma che vorrà da me quell'astronomo?
- La seconda stella: Perché?
- La prima stella: Mi sta fissando da un'ora con il cannocchiale.
Alcuni sono rimasti noti presso il pubblico, spesso senza che sia noto da dove provengano, come ad esempio il notissimo scambio di battute:
«Dove vai?»
«All'arcivescovado. E tu?»
«Dall'arcivescovengo.»
Malgrado il nome con cui sono note, si tratta ovviamente di opere del genere della commedia, e destinate dallo stesso autore ad una prevista lettura libresca piuttosto che alla resa scenica. Questo anche in considerazione dei numerosi commenti inseriti nelle note di rappresentazione, e che talvolta costituiscono l'intero contenuto della "tragedia", come ad esempio in Una tragedia evitata in tempo, nella quale l'unico protagonista non recita una sola battuta. Anche questa chiave è portata al paradosso in Un dramma inconsistente, il cui unico personaggio è Nessuno: la scena, suggerisce la nota d'ambiente, "si svolge in nessun luogo" e Nessuno "(tace)".
Come in molte di queste tragedie, infatti, Campanile parte dal titolo per costruire il suo atto unico in rigorosa deduzione dal titolo stesso, la tragedia è spiegazione del suo titolo. Meglio se in poche battute, con epigrammatica esplicitazione della potenziale pericolosità paradossale di un apparentemente innocente assunto. È questa infatti una delle tecniche più caratteristiche di Campanile: recepire l'assunto esterno, sia esso il titolo, sia esso una battuta di uno dei suoi protagonisti, con sospensione temporanea di giudizio, portandolo perfidamente alle sue estreme conseguenze di paradosso, implicitamente denunciando che nessun assunto è sufficientemente ristretto in una definizione unica, inequivoca ed incontrovertibile, insuscettibile di esiti perniciosi.
In altri casi, la chiave è ribaltata e le tragedie riassumono in un titolo formalmente corretto situazioni di vaga eccezionalità, la cui racchiudibilità in un concetto banalmente consueto svilisce il contenuto di eccezionalità, o forse irride l'intento o l'istinto di considerare talune situazioni come eccezionali, come cioè non riconducibili a già esplorate categorie dell'ordinarietà. Le Tragedie sono state raccolte da compilatori, in realtà non furono ordinate dall'autore. Furono anche più volte rappresentate a teatro, fra gli altri dalla compagnia Tieri Lojodice.
« Un giorno, avendo bisogno di quattrini, mi presentai allo sportello di una banca e dissi al cassiere: "Per favore, mi potrebbe prestare centomila lire?". Il cassiere mi disse: "Ma sa che lei è un umorista?". Così scoprii di esserlo. »
(Achille Campanile)
Lo stile e le stilettate
Lo stile di Campanile, praticamente oggi riconoscibile ed inconfondibile al primo assaggio, si compone di una prosa curata, precisa, pignola, con costante (ma sottintesa) ricerca di impeccabilità linguistica. Nella grande ed esperta conoscenza della lingua, e nel sapiente uso del lessico (solo apparentemente popolaresco, in realtà rigorosamente studiato e sofisticato), affonda la radice della non comune capacità di allestire spettacoli della logica che, in qualche assonanza (o piuttosto consonanza) con effetti tipici pirandelliani, ridicolizzano la più istintiva delle convenzioni sociali, la parola, ed attraverso questa le convenzioni stesse.
Critica
Molti critici hanno elevato lo scrittore a "classico" del Novecento, fra questi Carlo Bo (per il quale era "uno dei rarissimi inventori di un nuovo genere letterario") ed Enzo Siciliano, che ha evidenziato come in questo autore "il riso, nell'attimo in cui scocca, è anche empio". Oltre che all'analogia con alcuni dei percorsi pirandelliani in tema di convenzioni, Campanile è stato variamente accostato alle ricerche sull'assurdo di Ionesco (accostamento che respinse) ed al surrealismo, ma secondo alcune visioni costituirebbe un unicum, un caso pienamente a sé e di non vantaggiosa comparazione.
Come tutti gli umoristi, Campanile fu sottovalutato per anni da tutta la critica ufficiale; la sua riscoperta da parte del pubblico e della critica negli anni settanta rese giustizia ad uno dei più grandi umoristi italiani. In particolare Umberto Eco ne analizzò lo stile e la modernità del suo umorismo paradossale e surreale. Fra gli altri ammiratori vanno menzionati Oreste Del Buono e Giovanni Arpino.
«L'umorista tra l'altro è uno che istintivamente sente il ridicolo dei luoghi comuni e perciò è tratto a fare l'opposto di quello che fanno gli altri. Perciò può essere benissimo in hilaritate tristis e in tristitia hilaris, ma se uno si aspetta che lo sia, egli se è un umorista, può arrivare perfino all'assurdo di essere come tutti gli altri "In hilaritate hilaris e in tristitia tristis" perché, e questo è il punto, l'umorista è uno che fa il comodo proprio: è triste o allegro quando gli va di esserlo e perciò financo triste nelle circostanze tristi e lieto nelle liete.»
Achille Campanile
Riferimenti e bibliografie:
- "Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fori) - Feltrinelli, 1977
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «La Stampa», 5 gennaio 1977