Carotenuto Mario

Mario Carotenuto

(Roma, 29 giugno 1916 – Roma, 14 aprile 1995) è stato un attore cinematografico e attore teatrale italiano.
Figlio d'arte - suo padre Nello Carotenuto era un attore del cinema muto - visse insieme al fratello maggiore Memmo, anch'egli in seguito attore, un'infanzia turbolenta e il carattere ribelle gli varrà, una volta adolescente, anche tre anni di riformatorio (uno degli istituti di correzione in cui il giovane Carotenuto ha scontato i propri debiti con la giustizia è stato a Cairo Montenotte). Nel 1953 sposa l'attrice e ballerina Luisa Poselli da cui l'anno successivo avrà una figlia (Claretta attrice e regista); la separazione avverrà nel 1964 ed il divorzio verrà ufficializzato soltanto nel 1974.


Un timido sfacciato

Mario Carotenuto, «romano de Roma» — è quasi un figlio d’arte. Il suo cognome, per merito di suo padre, era popolarissimo fra cinematografai e rivistaioli anche prima che lui, Mario, si scoprisse la faccia tosta del presentatore. Non pensiate che questo significhi diminuirne le sue qualità. La verità è che per fare il presentatore di uno spettacolo di Varietà ci vuole o una gran faccia tosta o una estrema timidezza. Ci si impone al pubblico impaziente o con la sicurezza di sè o con la spaurita umiltà. Di Mario Carotenuto si potrà dir tutto, tranne che sia un timido. Uno se lo può benissimo immaginare in mezzo a una piazza, davanti a una valigetta di fibra, in atto d’arringare i passanti col fatidico: «La ditta che mi onoro di rappresentare non vende, ma regala ». Spavaldo e al tempo stesso bonaccione, protervo eppure cordiale, con un fisico da pugile e la miopia del travet, Carotenuto conquista subito l’ascoltatore e quando lo ha conquistato non stenta a divertirlo.

Probabilmente non è un attore; non saprebbe, forse, creare un tipo o riprodurre emozioni che non sente. Ma è di quelli che saprebbero vendere pettini ai calvi e sci ai sudanesi. È più ed è meglio di un attore: è un simpaticone.

Dino Falconi e Angelo Frattini


Il suo debutto sul palcoscenico era avvenuto a soli otto anni al Teatro Costanzi di Roma, ma successivamente, ancora bambino,aveva svolto mestieri che con lo spettacolo avevano poco a che fare. Solo nella seconda metà degli anni quaranta inizia la carriera di attore alla radio. Si dedica quindi anche al teatro di rivista e, nel 1953, è a capo di una sua compagnia.

Spesso presente nei film che hanno fatto grande la commedia all'italiana, spesso nel ruolo dell'industriale romano intrallazzatore, Mario Carotenuto interpreta più di cento film, alcuni dei quali pluripremiati, tra cui Pane, amore e... (1955), nel quale interpreta magistralmente il parroco don Matteo Carotenuto (fratello di Vittorio De Sica), e Lo scopone scientifico, per il quale merita la Maschera d'Argento nel 1972. Presente spesso anche nei musicarelli, ne fece ben nove.

Anche a teatro la sua carriera è importante. Di rilievo la sua interpretazione del ruolo di Peachum ne L'opera da tre soldi di Bertolt Brecht diretta da Giorgio Strehler, cui seguirono negli anni partecipazioni importanti nei musical di Garinei e Giovannini ma anche nel teatro classico, interpretando Shakespeare, Pirandello e Molière, e brillante, Feydeau e Neil Simon, sino alla fine della sua lunga carriera. Memorabile la sua interpretazione di Shylock nel Mercante di Venezia.

Saltuariamente attivo nel doppiaggio, ha prestato la sua voce a Mario Conocchia in 8½ di Federico Fellini.

Muore all'Aurelia Hospital di Roma il 14 aprile 1995 dopo una breve malattia. Dopo la cerimonia funebre la salma di Carotenuto è stata trasferita nel cimitero di Grottammare, la cittadina marchigiana di cui è originaria Gabriella Cottignoli, la seconda moglie dell'attore.


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

Carotenuto insegue Bartali

Il pubblico è grato agli artisti di "Stop" che non hanno approfittato dell’estate per dargli una cattiva rivista

Di giorno vendeva libri, ma alla sera chiudeva bottega e mobilitava tutta la famiglia: moglie, figli, cognate e persino il padre di ottantasei anni. «Chi lo ricorda più il nome?» dice Carotenuto. «Aveva impiantato una baracca con quattro panche, in provincia di Catania, e lì faceva il teatro. Si capisce, un repertorio à forti tinte, dalla "Tosca" al "Padrone delle ferriere"».

Mario Carotenuto era appena tornato dall’ Africa Orientale e vestiva ancora la divisa di tela, La sera in cui si presentò al capocomico per tentare la sua prima esperienza di teatro non aveva un soldo in tasca, ma una fame dà torcere le budella. Non si trattava, quindi, di un istinto teatrale (anche suo padre, infatti, faceva l’attore) ma piuttosto di un istinto di conservazione. «Adesso va in platea», gli disse il capocomico, «e alla fine dello spettacolo ci vediamo per concertare lo spettacolo di Romani». Concertare, disse proprio così; infatti gli atti in cui era suddiviso un dramma potevano variare da sera a sera, a seconda degli incassi e degli umori del pubblico. Carotenuto ricorda ancora, in una sera di «esaurito», un «Processo dei veleni» in sei atti, prologo ed epilogo.

Quella sera si rappresentava la «Resurrezione di Cristo», liberissimo adattamento di una laude di Jacopone da Todi; da una botola aperta all’ultimo momento doveva sorgere, al suono di «Giovinezza» e di «Marcia reale» per rendere più suggestiva l’azione, il Cristo benedicente. Ma ad un certo punto, l’attore era già apparso a metà, la corda che lo teneva legato all'impalcatura si spezzò, minacciando di farlo precipitare. «Bedda matri!» urlò il poveraccio, «Stasera Gesù Cristo non risuscita. Fate calare u’ sipario!».

Milano. Da sinistra: Laura Gore, Silva e Rosalia Maggio, in questa foto insieme a Mario Carotenuto, sono le principali interpreti di «Stop». Gli autori della nuova rivista, Silva, Terzoli e Mario Casalbore, hanno soprattutto il merito di avere scritto un copione intelligente, che non affida i principali elementi di successo ai vieti doppi sensi ed alla politica.

Poiché l’interruzione non riuscì gradita agli spettatori, il capocomico, per far cessare le proteste, anticipò l’«annuncio» consueto: la presentazione dello spettacolo della sera seguente. Si trattava della «Morte Civile», che era il cavallo di battaglia suo, del comparuzzo Giovanni Grasso (a questo punto l’attore fece un profondo inchino) e di un certo Zacagni, Zacuni, Zacogni o qualcosa del genere: un attore giovane ancora, ma del quale si diceva abbastanza bene. (A quell’epoca, Ermete Zacconi aveva già compiuto 77 anni). Alla recita avrebbe partecipato per là prima volta «l’illustre attore signor Mario Carotenuto che "p’ammazzare i’ abissini pareva fatt’apposta"».

Questo fu il debutto, a vent’anni, di Mario Carotenuto. Suo padre, Raffaele, fu un attore assai noto e tra i più popolari del cinema muto; conosciuto col nome d’arte di Fantomas interpretò 37 film quando le produzioni D’Ambrosio andavano a scatolà chiusa per tutto il mondo: tra gli altri. «Passione tzigana» con Diana Karenne e «La tortura del silenzio» con Maria Jacobini. Aveva conosciuto tempi felici, eppure morì povero e senza avere i denari per le medicine.

«Nacqui a Roma il 29 giugno 1916», dice Carotenuto, «ma non vi so dire l’ora. La chiesi una volta a mio padre; mi rispose che non l’aveva mai saputo perché aveva dovuto impegnare l’orologio per pagare la levatrice».

Da ragazzo, Carotenuto erà piuttosto irrequieto, si che suo padre pensò bene di rinchiuderlo per qualche tempo nel riformatorio di Cairo Montenotte. Naturalmente Mario trovava più gusto a giuocare alla ruzzola coi compagni che a stare sui banchi di scuola. «Anche Petrolini è stato in cura, a Boscomarengo», dice Carotenuto che sotto taluni aspetti ricorda molto da vicino il grande Ettore. Pure, à ripensarci oggi, non gli sembrano più così brucianti gli schiaffa che buscava da suo padre quando «salava» la scuola per mischiarsi ai lustrascarpe della stazione e ai venditori di acqua acetosa. Poi lavorò da un falegname e infine da un lucidatore di mobili, per otto ore al giorno. Nel ’34 parti volontario e l’anno dopo era sergente. E intanto seguitava a crescere. Adesso è alto un metro e 82, misura uno e venticinque di torace e pesa 103 chili. Ha fatto dieci anni di «naja» in artiglieria: pesante, c’è bisogno di dirlo? Da Addis Abeba a Tirana, di rancio ne ha mangiato parecchio; è stato anche a Pantelleria.

A proposito di Pantelleria, bisogna ridere per forza anche se l’argomento non è troppo allegro. Moriva dalla voglia, Carotenuto, di rivedere Roma e fece tanto e poi tanto da ottenere il permesso di poter accompagnare alla capitale il feretro di un maresciallo pilota. Giunto a Messina, per mettersi al sicuro dalle incursioni, decise di andare a dormire in un paese vicino; e fece bene perché quella notte ci fu un bombardamento grosso. Quando, Dio volle, tutto fu finito, Carotenuto si precipitò nella stazione semidistrutta a chiedere se avevano visto un morto. Quando di morti erano disseminate le strade.

Sono episodi, questi, che si corre rischio a raccontarli; perché, sentiti da Carotenuto, sembrano tutti divertenti e invece può anche darsi che non lo siano. All’Adriano di Roma una sera c’erano 35 persone (il teatro ne contiene più di duemila) e Caro tenuto disse: «Mo’ scendo in platea, così ce le raccontiamo in famiglia». Nel ’47 fece una "tournée" con le Peter Sisters. le tre sorelle negre che pesavano complessivamente più di 400 chili. Una delle tre, Annie, si era follemente innamorata di Carotenuto, che se la trovava sempre tra i piedi; e una notte se la vide arrivare in camera, all’albergo, " quella enorme montagna di carne in camicia rosa e la testa tutta nera che si perdeva nel buio della stanza. Uno spavento.

La prima volta, alla radio, Carotenuto era pagato 300 lire a "cachet"; nella rivista «Rosso e nero», che lo ha reso popolare nei mesi scorsi, prendeva 50.000 lire a sera. Il suo primo grande successo è stato, nel 1948, il «Giro d’Italia»; però ricorda ancora gli applausi che lo accolsero una sera in caserma quando, in un teatrino improvvisato, fece l’imitazione del Gastone di Petrolini. Applaudì anche il colonnello, che volle condonargli otto giorni di cella. Mario Carotenuto andava spesso in cella, ma non ci stava poi tanto male; seduto sul pagliericcio, prendeva un pezzo di carta e cominciava a scrivere dei versi. Sentite questi:

Sto lontano da tutti e so’ contento
perché cosi nessuno m’importuna
e quanno, solo, fo un ragionamento
me dò sempre ragione. Che fortuna!
Però, a penzacce bene, vìe da ride:
io che vorei ch’er tempo me volasse,
più sto qua dentro e più me pare lento;
a chi vorebbe invece se fermasse, je passa accanto come passa er vento.
Ma tutti questi so' solo pensieri.
Morale:
Ar monno non andranno mai d’accordo l’innamorati co’ li prigionieri.

La rivista «Stop» che si dà in questi giorni a Milano, rappresenta un fatto molto importante, e forse definitivo, per la scalata ai primi posti in classifica che Carotenuto ha tentato non a caso. Ha cominciato come «isolato» ed ora si trova nella impegnativa posizione di capo squadra. Ha cominciato come presentatore, dice lui, per ragioni soltanto economiche: perché il corredo di un attore costa caro e agli inizi di carriera, quando non si è conosciuti, è difficile trovare un sarto che faccia credito. Ma non è facile neppure il mestiere di presentatore; e Carotenuto lo ha impostato modernamente, con una tecnica nuova e spigliata che oggi è più gradevole di quella di Nunzio Filogamo. Mario Carotenuto ha il tonnellaggio di un giocatore di "baseball"; «Se nun ridete, ve meno», sembra voler dire talvolta con quella sua comicità aggressiva alla "Giggi er bullo". Ma non sta qui, e neppure nell’ironia bonacciona, il merito maggiore di Carotenuto; poiché la battuta non è mai superficiale e si avverte che è stata assimilata con cura. Quando ha il copione tra le mani, Carotenuto lo analizza minutamente; soltanto e dopo averlo dissezionato può dormire tranquillo, poiché il senso esatto della percezione già gli ha fatto centrare la battuta o l’accento con cui suscitare la risata. Ed è per questo che riesce a ricavare il massimo rilievo anche dalle battute apparentemente più insignificanti.

La radio gli ha dato la popolarità, ma non lo ha inventato ; il successo di oggi deriva, infatti, da lunghi anni di preparazione. Ma egli non vuole fermarsi alla rivista, che considera come un passaggio; infatti, quando si sentirà pronto, tra due o cinque anni non importa, affronterà il teatro di prosa. Un teatro in romanesco, che però dovrà differenziarsi da quello di Gastone Monaldi, il quale puntò sempre sull’ambiente popolare. Gastone Monaldi morì povero come suo padre; è per questo che Carotenuto si preoccupa già per il domani. Non vuol finire male, quindi si dà da fare per realizzare una sua vecchia aspirazione: quella di aprire un negozio di abbigliamento. Vede già la scritta al neon: «Una cravatta e una barzelletta da Carotenuto».

A fianco di Carotenuto, nella rivista «Stop», c’è un poker di donne. Le nominiamo in ordine alfabetico: Tina De Mola, Laura Gore, Rosalia Maggio e Silva.

Tina De Mola è la moglie di Rascel, dal quale vive separata. E’ bionda e ha gli occhi straordinariamente azzurri; il suo maggior successo l’ha ottenuto quando era in compagnia col marito ai tempi di «Veleno». Adesso lascia la compagnia per iniziare una "tournée" all’estero, a Città del Messico. Starà via almeno sei mesi; e a sostituirla hanno chiamato una cantante che ha già a-vuto un buon successo con Navarrini. Ha vent'anni e si chiama Isa D’Arpa.

Laura Gore ha fatto diciotto film; l’ultimo è «Canzoni di primavera» con Leonardo Cortese. E’ stata in rivista con la Magnani in «Cantachiaro», con Campanini e con Dapporto, e in prosa con Eduardo de Filippo. Diretta dallo stesso Eduardo, interpreterà sullo schermo «La paura numero uno». Farà anche un film con Carnè ed uno insieme al pugile Tiberio Mitri. Ha un temperamento diametralmente opposto a quello di Rosalia Maggio, e forse è soprattutto per questo che i suoi duetti con la brava e vivace attrice napoletana (della infinita stirpe dei Maggio) riscuotono tanti applausi.

Silva, coreografa oltreché solista, ha avuto il suo più grande successo in «Salomé», che faceva parte della rivista «Cantachiaro» e che ha ripreso a Roma. Non lo ha presentato a Milano perché non ha troppa fiducia nella cultura del pubblico estivo. A Roma, dopo i primi giorni di repliche, una signora dall’apparenza molto snob quando vide la testa del profeta Giovanni sul piatto, disse incuriosita: «Mamma mia, e quello chi è?». «Guarda un po’ se non assomiglia allo zio Michele!» le rispose un’amica che le sedeva vicino. Col «Bolero», invece, tutto risulta più facile. Le coreografie che ha ideato per «Stop» sono eleganti e di buon gusto.

La rivista è nata in un modo piuttosto strano; infatti l’idea di metterla in scena è venuta ad un uomo, Giulio Paternieri, che si occupa soprattutto di musiche del 600. Il copione in un primo tempo avrebbe dovuto essere scritto dal commediografo Achille e dal critico musicale Giulio Gonfalonieri; poi Silva e Terzoli, che si trovavano per caso a Varese ad assistere all’allenamento della nazionale di calcio, si incontrarono con Mario Casalbore, regista dello spettacolo, e il terzetto degli autori risultò ufficialmente costituito. Silva e Terzoli, milanesi, sono i più giovani autori di rivista italiani; complessivamente fanno 57 anni, di fronte alla settantina circa dei più diretti concorrenti Garinei e Giovannini. Vanno d’accordo come fratelli e litigano soltanto per motivi calcistici; Silva, infatti, fa il tifo per l’«Inter». mentre Terzoli è milanista spinto. Come tutti gli autori, sono un po’ superstiziosi; soprattutto hanno il pallino di pigliare a calci i sassi che trovano per la strada e mandarli nei tombini di scolo. Se l’operazione si svolge con facilità, è segno che lo "sketch" al quale lavorano avrà sue. cesso. Qualche volta i sassi li buttano addirittura con le mani a distanza ravvicinata "per essere a posto con la coscienza". Scrivono volentieri per Carotenuto perché dicono che con lui si fa meno fatica che con gli altri.

L’autore numero tre, e regista dello spettacolo, è Mario Casalbore, il giornalista che per primo ha chiamato "Wandissima" l’Osiris (ci tiene in modo particolare). Nonostante sia ancora giovane, si occupa di rivista, da quasi vent’anni ed è stato il primo giornalista, a Milano, ad essere designato particolarmente ad occuparsi di questo genere di spettacoli. Prima di allora il compito spettava al "vice" della prosa.

«Stop» è stata già rappresentata a Roma per 29 sere; a Milano, nelle prime tre recite, ha fatto una media di 750.000 lire. Dopo l’infelicissimo esito de «L’uomo di Ymelda», di Giannini, ha risollevato le sorti della rivista di tipo estivo; ed anzi, essendo uno spettacolo affidato più all’intelligenza ed al buon gusto del copione che alle costose coreografie, è già stato stabilito che la stessa rivista verrà rappresentata durante la prossima stagione invernale, rafforzando il nucleo degli interpreti.

La satira è garbata e signorile; alcuni quadri sono davvero indovinati, come quello della ghigliottina, del giro di Francia, dei Monopolio e del gioco del calcio. In quest’ultimo quadro tutte le ballerine vestono le maglie delle squadre che hanno partecipato al campionato e va a finire che tutti fanno il tifo per la " Juventus ", perché Pina Tornese è la più in forma di tutte. Anche Edda Ruzzi ed Herta Piersi, le ragazze che vestono le maglie della Roma e del Genoa, sono molto carine e la gente dice che, se le due squadre fossero state così in forma, si sarebbero certo salvate dalla retrocessione.

Al debutto di Milano gli autori hanno inserito lo "sketch" del giro di Francia, dove i tre capitani si raccontano le loro disavventure su rifacimenti di canzoni note, cominciando con «Che succès che succès...» che anni fa fu davvero il grande successo di Rabagliati. Il "vecchietto'’ si presenta in scena in monopattino, insieme alle "spalle" Ravazzini e Tova-gliari, portando una barba lunghissima. Lo "sketch" è sempre molto applaudito.

Carlo A. Giovetti, «Settimo giorno», anno IV, n.33, 16 agosto 1951


Il suo nome non è certo adatto ad un comico. Pensate a quella generazione di «artefici della risata» (come amavano definirsi sui primi manifèsti) venuti alla, luce della ribalta maggiore dopo i successi nei teatri di rione: Totò, Rascel, Billi, Riva. Due sillabe soltanto, nomi insomma che s’impongono alla memoria con la loro tranquilla brevità. Si può ricordare anche il nome di tre sillabe purché offra qualche «aggancio» (volontario o naturale) : Fanfulla, Macario. Il comico invece di cui torna ad occuparsi la cronaca di Milano, in occasione di una sua rentrée coni una rivista già collaudata con. succèsso dal pubblico di altre città, esibisce — e non ha mai tentato di modificarlo — un cognome di cinque sillabe che rischia di imparentarlo più con un rispettabile e serio dentista che con gli attori comici quotatissimi : Carotenuto, Mario Carotenuto. Un nome che dirà molto a chi ancora rammenta i primi film italiani, al .tempo in cui il muto neppure prometteva di diventare sonoro : l’epoca dei vecchi Fantomas di produzione nostrana. Ebbene, il Fantomas in questione era un tal Raffaele Carotenuto che all’a-nagrafe si può agevolmente stabilire sia il padre dell'attuale Mario.

Ma Fantomas, Mario Carotenuto non potrà mai esserlo. Il corpo agile che si richiede all'uomo che tiene Parigi in scacco, il nostro attore di rivista ormai non l’ha più. Cento chili e passa, dicono le bilance, distribuiti su una statura che s'avvicina agli 1 e 90. Era artigliere, quando prestava servizio sotto le armi: che altro avrebbe dovuto essere? Se qualche lettore armato di pazienza andrà a sfogliare le annate della Domenica dei Corriere, a cominciare dal tempo della guerra d'Etiopia — da quando cioè il diciottenne Carotenuto parti volontario — non è improbabile riesca a scoprire, sia pure con fattezze decisamente giovanili, il nostro attore: nell’atto di fare un presentat’arm reggendo, al posto del fucile, un obice.

1952 11 19 Settimo Giorno aV n47 Mario Carotenuto f1

Prodezze del genere, oggi', Carotenuto non osa più tentarle. Al dinamismo preferisce la calma, alla esagitazione la flemma. Un americano, uno de# tanti che appena arrivati in Italia cercano le riviste di Wanda Osiris forse per divertirsi ma più sovente per fare confronti con gli spettacoli di casa loro, si trovò lo scorso anno ad osservare una replica di «Stop» con Carotenuto. Se lo studiò ben bene, in particolare quando Mario anziché esibirsi come attore sembra più incline a quella funzione di «presentatore» che gli ha procurato 4 primi successi. «Straordinario!» diceva l'americano «Straordinano davvero». Alle nostre richieste, nel corso dello spettacolo, noti volle concedere risposte. Ma alla fine si sgelò. Quel Carotenuto, cominciò a spiegare il newyorchese, ricorda in maniera decisa un attore della televisione americana. Anzi, più che attore, quel Dave Garroway di cui egli parlava, è un presentatore: con la stessa calma di Mario, la stessa pazienza, l’identico gioco scenico; in più la prontezza a risolvere le situazioni curiose durante La recita, senza annegare nel famoso bicchier d'acqua come purtroppo capata a molti attori sorpresi dall’imprevisto e non soccorsi da alcun copione. «Curioso un altro fatto — soggiunge l’americano, — Gli occhiali. C'è chi porta lenti a contatto, e chi rinuncia a quell’ aggeggio, definitivamente. Garroway e Carotenuto li mostrano senza riporr ere a trucchi, e quasi se ne fanno ima divisai». Sono gli occhiali da miope, osserviamo noi, che dànno al grosso, e non glamouros, volto del nostro attore un’immediata caratteristica. Scommettiamo che ne tiene una serie dalle montature diverse, proprio dome Fanfulla fa con le giacche multicolori, Totò con i cappelli a bombetta e Dapporto con i berretti baschi.

La nuova rivista che Carotenuto ha allestito non rivela quelle preoccupazioni jdi sfarzo e di lusso che molti sovrani senza corona della piccola ribalta ostentano. «Non ci sono in palcoscenico — dice Mario — settanta e più milioni di lire, ma cento e più sacrifici, un sacco di volontà, un bagaglio d'esperienze acquisite attraverso vite intense consumate dai padri e poi, da noi, figli, in questo mondo di "cantinelle”, e di "spezzati" di carta». Può sembrare che ci sia della retorica, in questo discorso tenuto da un attore che s’è fatto apprezzare proprio per la sua mancanza di retorica, per quel suo saper scendere in platea a "far quattro chiacchiere". Ma a noi che sappiamo, per averlo letto sui giornali, per averglielo sentito dire di persona, quali sono stati i suoi primi passi, il discorso non pare magniloquente.

1952 11 19 Settimo Giorno aV n47 Mario Carotenuto f2

Abituatosi, al ritorno dall'Africa, ai sistemi primitivi di una compagnia di guitti vicino a Catana., Carotenuto ha imparato che la scenografia non è tutto: lo spettacolo è ancora l’attore che si muove, recita, e all'occorrenza canta e balla. Nella sua rivista Cavalcata... a piedi (questo è il titolo del lavoro che Carotenuto porta sulla ribalta di Milano) la cosiddetta "occorrenza" è sempre presente. E Mario quindi non è solo presentatore, un genere che aveva intrapreso quando i presentatori erano richiestissimi e non dovevano essere in possesso, come invece succede agli attori, di un guardaroba da baronetto inglese. Inoltre (caratteristica questa interessante perché lo mette sempre più in contatto con l’americano Garroway, "scopritore di talenti") egli non punta tutte le sue carte salila soubrette di primissimo piano; per quanto abbiano delle qualità rilevanti e la critica lo abbia fatto più volte notare Katyna Ranieri e Rosalia Maggio sono accora nel rango delle "cadette". Ma a Carotenuto sono congeniali. E congeniale è anche Augusto Gamucci, l'acrobatico; per non pollare di un attore che molti rivedranno con una sorta di piacere, quasi un ritorno al varietà di dieci, quindici anni fa: alludiamo ad Armando Fineechi, del famoso tandem Fineschi-Donati.

"Carotenuto è stato in un riformatorio. La notizia lanciata così, senza preparazione. può far meravigliare: di solito si associa al pensiero di un istituto per discoli l'immagine del talento avvilito. Eppure proprio in un riformatorio anche il grande Petrolini è stato, come si suol dire, "raddrizzato" durante l'adolescenza. Il talento, come si vede, non ne ha sofferto.

Carotenuto non vuole paragoni; per Petrolini poi ha una venerazione che va oltre ogni limite. Ma non gli dispiace che si sappia di questa sua avventura giovanile, oggi che nessuno gli contende il titolo di "il più garbato gentleman della rivista italiana", mentre può starsene in scena per intere mezz'ore, con quel suo volto da rispettabile professionista e con gli occhiali vistosi come la benda nera dell’ammiraglio Orazio Nelson.

Franco Invernizzi, «Settimo Giorno», anno V, n.47, 18 novembre 1952


«Radiocorriere TV», 1963 - Mario Carotenuto


«Radiocorriere TV», luglio 1968 - Mario Carotenuto


Carotenuto, l'uomo «nato con la camicia»

Malato da tempo, è morto ieri, a 79 anni, l'ultimo grande caratterista della commedia all'italiana. Brillante, spaccone, mai volgare lavorò con Loren, Allasio, Koscina

Malato da tempo di un cancro ai polmoni, è morto ieri a Roma Mario Carotenuto, «l'uomo nato con la camicia» secondo una famosissima pubblicità tv («una camicia di popeline Capri»); il burbero commendatore, il ridicolo padre della sposa, il seduttore da quattro soldi di tante nostre commedie, da quelle più nobili degli Anni Sessanta firmate Risi, Bolognini, Comencini, Steno, a quelle meno nobili degli Anni Ottanta intitolate «La professoressa di scienza naturali», «L'infermiera di notte», «La soldatessa alla visita militare».

Era nato a Roma il 29 giugno del 1916, in una famiglia di attori: attore suo padre Nello, attore suo fratello Memmo, attrici la sua prima moglie Luisa Poselli, la sua seconda moglie Gabriella, sua figlia Claretta. Al teatro, però, era arrivato per disperazione, solo alla fine della guerra, dopo aver combattutto come soldato di carriera e dopo una infanzia passata tra istituti di correzione e fughe da casa alla ricerca di un equilibrio che ha stentato tutta la vita a trovare. La sua passione, lo aveva detto sul principio degli Anni Novanta, commentando U successo del «Falstaff» shakespeariano e de «L'avaro» di Molière era stato calcare le scene, soprattutto da quando poteva lavorare con una compagnia che gli affidava finalmente i grandi ruoli, quei ruoli che per anni gli erano stati negati o si era negato, troppo impegnato a recitare senza sosta, saltando da una cosa all'altra. Prima, diceva lui, aveva «soltanto lavorato», accettando qualunque parte, piccola o grande, perché non era ricco e fare l'attore era la sua unica fonte di reddito.

Per il pubblico, comunque, la sua faccia bonaria, la sua voce tonante, i suoi occhiali restano legati soprattutto a certe apparizioni cinematografiche in «Pane amore e...» con la Loren, in «Susanna tutta panna» accanto a Marisa Allasio, in «Ladro lui ladra lei» con la Koscina, e alla celebrepubblicità della camicia. Se Sordi nello spettacolo è stato il protagonista assoluto del nostro miracolo italiano, Mario Carotenuto ne è stato la spalla. Caratterista brillante, vitale, spaccone, mai volgare, ha rappresentato per trent'anni sulle scena quella che nella commedia dell'arte è stata la ma- schera di Pantalone, l'uomo burbero ma bonario, innamorato delle donne ma onesto, apparentemente avaro in realtà capace di improvvise generosità.

A scoprirlo fu Giorgio Strehler nel '56 che lo trovò in un teatro milanese mentre faceva il varietà e gli volle affidare la parte di Peachum, il re dei mendicanti, in tui celeberrimo allestimento di «L'opera da tre soldi» di Brecht. Da allora ha lavorato con Garinei e Giovannini e con Albertazzi e Proclemer, ha fatto sceneggiati tv e commedie musicali, ha portato in teatro «Ritorno a casa» di Pinter e «La gatta sul tetto che scotta» di Tennessee Williams in una alternanza continua tra generi, imprese, modi che oggi non si pratica più.

Il nastro d'argento, uno dei pochi riconoscimenti ottenuti per la sua carriera cinematografica, ma molti di più ne ha avuti per quella teatrale, lo aveva ricevuto per «Lo scopone scientifico» di Comencini, dove aveva recitato accanto a Silvana Mangano, Alberto Sordi e Bette Davis. L'ultimo suo lavoro è di quest'anno: una piccola parte in «Romanzo di un giovane povero», il film che Ettore Scola ha finito di montare in questi giorni con Alberto Sordi protagonista. La malattia che s'era aggravata solo in questo mese non gli ha permesso neanche di vederlo uscire nelle sale. Il funerale si terrà martedì mattina, nella chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo.

Simonetta Robiony, «La Stampa», 15 aprile 1995


Per tutta la vita forsennati e ininterrotti impegni di lavoro. Una maratona di 90 film.

Soddisfazioni e amarezze, ma soprattutto un forsennato e ininterrotto impegno di lavoro, hanno costellato l'esistenza di Mario Carotenuto. Il «Dizionario del cinema italiano» di Gianni Rondolino elenca circa 90 film dal '51 al '69, da «Marakatumba ma non è una rumba» al «Satyricon» antifelliniano di Polidoro; a questa lista il «fìlmlexicon», aggiornandola agli Anni 80, aggiunge un'ulteriore sessantina di titoli e senza dubbio ce ne sono degli altri. Per cui si può dire che non guardando troppo per il sottile (e accettando di tutto, da «Miracolo a Viggiù» a «Bellezze a Capri») l'imponente Mario si era continuamente trasferito da un filmetto a un filmaccio, riuscendo ogni tanto a interessare qualche regista di qualità come Lattuada («La spiaggia»), Nanni Loy («Il padre di famiglia»), Luigi Comencini («Lo scopone scientifico»), Damiano Damiani («Girolimoni»).

Sui vari set Carotenuto era circondato dall'unanime ammirazione per l'innato talento e l'umorismo che lo accompagnava anche nella vita. Visse il suo momento di gloria quando Giorgio Strehler lo chiamò per la parte di Peachun nella prima edizione di «L'opera da tre soldi» (1956) ed ebbe l'emozione di avere le congratulazioni personali di Bertolt Brecht, che prediligendo questo tipo di attore-cantante colorito e rivistaiolo lo paragonò a Ernst Busch. Si può dire che in quell'occasione Carotenuto prese il gusto del gran teatro, che lo portò negli ultimi anni a recitare in proprio Goldoni e Molière. La peggior disavventura della carriera il povero Mario la incontrò sul set di «Giulietta degli spiriti», dove Fellini (dopo averlo prescelto nella parte del poliziotto privato assoldato dalla protagonista per accertare il tradimento del coniuge) inspiegabilmente se ne disamorò e lo sostituì con un attore di secondo piano che gli assomigliava fisicamente. Non fu la prima, e neppure l'ultima, delle molte contrarietà che afflissero Carotenuto da quando il cinema smise di prediligerlo: ma resta il fatto che, a dispetto dello scarso valore dei film, quel personaggio di commendatore pieno di prosopopea della prima Repubblica, da lui interpretato con tanta ironia, è destinato a rimanere un piccolo classico della comicità nostrana.

Alessandra Levantesi, «La Stampa», 15 aprile 1995


Dino Risi: «tanto bravo quanto pigro»

Dino Risi, uno dei grandi registi della commedia all'italiana, aveva diretto Mario Carotenuto in «Pane amore e...», accanto a Sofia Loren e in «Poveri ma belli», il film che lanciò Marisa Allasio. Con «La spiaggia» di Lattuada, «Girolimoni» di Damiani, «Lo scopone scientifico» di Comencini, i pochi, pochissimi titoli cinematografici di cui Carotenuto poteva andare fiero. Gran conoscitore di uomini Risi 10 descrive come un attore che per pigrizia e bonomia s'era accontentato di fare al cinema sempre parti secondarie. «Era di straordinaria bravura. Recitava senza che si avvertisse mai che stava recitando. Romano e figlio d'arte aveva quella naturalezza e spontaneità che oggi anche i caratteristi sembrano aver smarrito.

Se avesse voluto sarebbe potuto diventare un protagonista del nostro cinema. Ma non volle. O forse noi non lo forzammo a compiere la grande scelta». Perché il cinema degli Anni Sessanta di grandi protagonisti ne aveva già tanti? «Non so. Credo perché allora il nostro cinema somigliava di più a una industria. Si giravano duecento, trecento film all'armo, le offerte piovevano sui tavoli degli attori, un bravo caratterista non aveva che l'imbarazzo della scelta. E poi per lui tentare ruoli più complessi avrebbe anche potuto significare rinunciare al guadagno immediato e allora questo non si usava. Del resto le soddisfazioni di interprete gliel'ha date il teatro».

si. ro., «La Stampa», 15 aprile 1995


Addio a Carotenuto, campione di ogni scena

L'attore romano si è spento ieri a 79 anni. Sul set aveva lavorato anche con Comencini, Lattuada, Zampa; in teatro, dopo l'avanspettacolo, con Strehler e Garinei. Dai film di serie B ai «Karamazov» tv, a Shakespeare. Ma diceva: «Sono un artista che non fa notizia»

Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 15 aprile 1995


Carotenuto, comico di lusso

Morto ieri l'attore interprete di popolali commedie all'italiana, che lavorò a teatro con Strehler

1995 04 15 Il Piccolo Mario Carotenuto morte intro0

ROMA - E' morto ieri mattina Mario Carotenuto. L'attore, affetto da tempo da un male incurabile, era ricoverato da oltre un mese presso la clinica romana «Aurelia Hospital». Aveva 79 anni.

Sanguigno, voce forte, occhio penetranti, Mario Carotenuto era capace di infondere un'energia tutta particolare nei suoi personaggi, sia nei goffi commendatori dongiovanni della commedia all'italiana, sia nei grandi caratteri di Goldoni e di Molière.

Era «figlio d'arte, nato a Roma il 29 giugno 1916, un anno dopo il fratello Memmo, anche lui attore: il padre era Nello Carotenuto, che interpretò tanti dei primi film italiani degli anni Dieci. Mario inizia la sua carriera artistica nell'immediato dopoguerra come presentato-re e regista radiofonico. Anche in palcoscenico comincia come presentatore: lo ingaggiano per la rivista inglese sul ghiaccio »Ice Follies «, nel 1949.

Poi il boom del cinema lo risucchia in una serie numerosa di commedie. Accanto a ruoli comici in film insignificanti, spiccano l'industriale arricchito e cafone ne »La spiaggia« di Lattuada (1953), il bonario prete di »Pane, amore e... «(1955) e il commerciante, egoista ma in fondo di buon cuore, di «Poveri ma belli« entrambi di Dino Risi, (1956), e ancora le interpretazioni nei film di Steno, come «Susanna tutta panna», e nella serie interminabile con Totò. Per tutti questi personaggi, sentimentali e codardi, un po' vili oppure euforici, ogni regista può sempre contare sul suo cordiale e comunicativo umorismo, sulla sua capacità di rappresentare vizi e virtù degli italiani del «miracolo economico«.

A fine anni Cinquanta lavora anche nella rivista («Le strade di questa città», 1956), dove incontra la sua futura moglie, l'attrice Luisa Poselli, che gli darà una figlia, Garetta, anch'essa attrice. Diventa, inoltre, interprete assiduo delle commedie musicali di Garinei e Giovannini (a partire da «Un paio d'ali» di Garinei e Giovannini, con Rascel).

Ma la punta più alta della sua carriera arriva quando Giorgio Strehler gli affida a sorpresa la parte del re dei mendicanti Peachum nella commedia musicale di Bertolt Brecht «L'opera da tre soldi», spettacolo-monumento del Piccolo Teatro di Milano, interpretazione che gli frutta il Premio San Genesio 1956. Passati i quaranta anni, è ora un attore completo, che può alternare la prosa più impegnata («Un cappello pieno di pioggia» con la Proclemer-Albertazzi) a sceneggiati televisivi di grande popolarità.

Tutto il cinema italiano lo ha avuto per compagno: i grandi attori come Sophia Loren («Ci troviamo in galleria»), Raf Vallone («Destini di donne»), Alberto Sordi («Un eroe dei nostri tempi»); e tutti i registi importanti, fino a Luigi Comencini che lo diresse in «Lo scopone scientifico» (1972).

A una carriera tanto intensa, a zig zag fra cinema e teatro, mancavano ancora i grandi classici del palcoscenico, e a essi Carotenuto dedicò gli ultimi dieci-dodici anni, quando il cinema era diventato avaro di occasioni. Erano spettacoli per lo più con registi non di grido e produzioni non ricchissime, quelli dove il vecchio attore diventava di volta in volta Falstaff e Arpagone, il Burbero benefico e l'Avaro.

In tutti Carotenuto infondeva una vitalità indomita, nonostante gli acciacchi dell'età, una forza e un'ironia che il pubblico apprezza; va molto e che sorprendeva QSm volta la critica.

Così negli anni alti della vita, il caratterista di cento film, il comprimario di tanti spettacoli s'era preso tutte le soddisfatemi e qualche rivincita per una carriera vissuta quasi sempre senza «il nome in ditta».

«Il Piccolo di Trieste», 15 aprile 1995


Filmografia:

Maracatumba... ma non è una rumba di Edmondo Lozzi (1949)
Abbiamo vinto! di Robert Adolf Stemmle (1950)
Milano miliardaria, regia di Marcello Marchesi Vittorio Metz (1951)
Miracolo a Viggiù, regia di Luigi Giachino (1951)
I due sergenti, regia di Carlo Alberto Chiesa (1951)
Bellezze a Capri, regia di Luigi Capuano (1951)
Ieri, oggi, domani (1952)
Lasciateci in pace (1953)
Ci troviamo in galleria (1953)
Se vincessi cento milioni (1953)
La spiaggia (1954)
Scuola elementare (1954)
Io piaccio (1955)
Non c'è amore più grande (1955)
Destinazione Piovarolo (1955)
Racconti romani (1955)
Pane, amore e... (1955)
Un eroe dei nostri tempi (1955)
A sud niente di nuovo (1956)
Montecarlo (1956)
Mio figlio Nerone (1956)
Poveri ma belli (1956)
I giorni più belli (1956)
Souvenir d'Italie (1957)
Vivendo cantando... che male ti fò? (1957)
Susanna tutta panna (1957)
Femmine tre volte (1957)
Gli zitelloni (1958)
Rascel marine (1958)
Pane, amore e Andalusia (Pan, amor y... Andalucía), regia di Javier Setó (1958)
Mogli pericolose (1958)
Ladro lui, ladra lei (1958)
Guardia, ladro e cameriera (1958)
Come te movi, te fulmino! (1958)
L'amico del giaguaro di Giuseppe Bennati (1958)
L'amore nasce a Roma (1958)
Ballerina e Buon Dio (1958)
Primo amore, regia di Mario Camerini (1959)
Urlatori alla sbarra (1959)
Juke box - Urli d'amore, regia di Mauro Morassi (1959)
I ragazzi del juke-box (1959)
Il terrore dell'Oklahoma (1959)
Totò, Eva e il pennello proibito (1959)
Le sorprese dell'amore (1959)
Roulotte e roulette (1959)
Genitori in blue-jeans (1959)
La cento chilometri (1959)
Il mattatore (1959)
Uomini e nobiluomini (1959)
Cerasella (1959)
A qualcuna piace calvo (1960)
La banda del buco (1960)
Le svedesi (1960)
Le signore (1960)
Gli scontenti (1960)
I piaceri dello scapolo (1960)
Fontana di Trevi (1960)
Un dollaro di fifa (1960)
Caccia al marito (1960)
Ferragosto in bikini, regia di Marino Girolami (1960)
I Teddy boys della canzone (1960)
Mariti in pericolo (1961)
Che femmina!! e... che dollari! (1961)
Bellezze sulla spiaggia (1961)
Totò, Peppino e la dolce vita (1961)
Vacanze alla baia d'argento (1961)
I soliti rapinatori a Milano (1961)
Scandali al mare (1961)
La ragazza sotto il lenzuolo (1961)
Io bacio... tu baci (1961)
Il mantenuto (1961)
Le magnifiche 7 (1961)
Maciste contro Ercole nella valle dei guai (1961)
Colpo gobbo all'italiana (1962)
Peccati d'estate (1962)
Pesci d'oro e bikini d'argento (1962)
Nerone '71 (1962)
Il mio amico Benito (1962)
Esame di guida (Tempo di Roma) di Denys de La Patellière (1962)
Gli eroi del doppio gioco (1962)
2 samurai per 100 geishe (1962)
5 marines per 100 ragazze (1962)
La donna degli altri è sempre più bella (ep. La dirittura morale) (1962)
Colpo gobbo all'italiana (1962)
Siamo tutti pomicioni (ep. Le gioie della vita) (1963)
Scandali nudi (1963)
7 monaci d'oro (1966)
Il padre di famiglia (1967)
Satyricon (1969)
Se è martedì deve essere il Belgio (1969)
La ragazza del prete (1970)
Il debito coniugale (1970)
Nel giorno del Signore (1970)
La Betìa ovvero in amore, per ogni gaudenza, ci vuole sofferenza (1971)
I due assi del guantone (1971)
Quando le donne si chiamavano madonne (1972)
Boccaccio (1972)
Girolimoni, il mostro di Roma (1972)
Fiorina la vacca (1972)
Lo scopone scientifico (1972)
Racconti proibiti... di niente vestiti (1972)
Storia di fifa e di coltello - Er seguito d'er più (1972)
Il prode Anselmo e il suo scudiero (1972)
Il sergente Rompiglioni (1973)
Pasqualino Cammarata... capitano di fregata (1973)
Sesso in testa (1974)
Farfallon (1974)
La poliziotta (1974)
Squadra volante (1974)
Colpita da improvviso benessere (1975)
L'insegnante (1975)
La liceale (1975)
Cassiodoro il più duro del pretorio (1975)
Il sogno di Zorro (1975)
La poliziotta fa carriera (1975)
La nuora giovane (1975)
La professoressa di scienze naturali (1975)
L'Italia s'è rotta (1976)
Due sul pianerottolo (1976)
Classe mista (1976)
L'altra metà del cielo (1976)
La portiera nuda (1976)
Febbre da cavallo (1976)
La dottoressa del distretto militare (1976)
L'appuntamento (1977)
La vergine, il toro e il capricorno (1977)
Il ginecologo della mutua (1977)
La soldatessa alla visita militare (1977)
Kakkientruppen (1977)
Il marito in collegio (1977)
Quando c'era lui... caro lei! (1978)
Dove vai se il vizietto non ce l'hai? (1978)
L'infermiera di notte (1978)
L'insegnante balla... con tutta la classe (1978)
La supplente va in città (1979)
La vedova del trullo (1979)
Qua la mano (ep. Sto così col papa) (1980)
Pierino medico della SAUB (1981)
Per favore, occupati di Amelia (1982)
Gian Burrasca (1982)
Scusa se è poco (ep. Trenta secondi d'amore) (1982)
Il tifoso, l'arbitro e il calciatore (ep. Il tifoso) (1982)
Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento (1983)
Cuando calienta el sol... vamos alla playa (1983)
Romanzo di un giovane povero (1995)


Riferimenti e bibliografie:
  • (EN) Mario Carotenuto, su AllMovie, All Media Network
  • (EN) Mario Carotenuto, su Internet Movie Database, IMDb.com
  • Mario Carotenuto, su CineDataBase, Rivista del cinematografo
  • (EN) Mario Carotenuto, su Find a Grave.
  • Giancarlo Governi e Leoncarlo Settimelli, Nato con la camicia. Mario Carotenuto dall'avanspettacolo a Brecht, Ed. Marsilio, 1997
  • Massimo Giraldi, Enrico Lancia, Fabio Melelli, 100 caratteristi del cinema italiano, Gremese Editore, Roma 2006.
  • Scuola di tecniche dello spettacolo di Claretta Carotenuto, Biografia online, 2016. URL consultato il 26 maggio 2018.
  • Nicola Fano, Carotenuto Mario, Enciclopedia del cinema, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2003-2004. URL consultato il 26 maggio 2018.
  • Centro Studi di Cultura, Promozione e Diffusione del Cinema, Per Mario Carotenuto, In occasione del centenario della nascita, Annuario del cinema online . URL consultato il 26 maggio 2018.
  • "Guida alla rivista e all'operetta" (Dino Falconi - Angelo Frattini), Casa Editrice Accademia, 1953

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • Carlo A. Giovetti, «Settimo giorno», anno IV, n.33, 16 agosto 1951
  • Franco Invernizzi, «Settimo Giorno», anno V, n.47, 18 novembre 1952
  • «Radiocorriere TV», 1963
  • «Radiocorriere TV», luglio 1968
  • si. ro., Alessandra Levantesi, Simonetta Robiony, «La Stampa», 15 aprile 1995
  • Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 15 aprile 1995
  • «Il Piccolo di Trieste», 15 aprile 1995