Cavalieri Lina (Natalina Adelina)

Lina Cavalieri bio

All'anagrafe Natalina Adelina Cavalieri (Roma, 24 dicembre 1875 – Firenze, 8 febbraio 1944), è stata un soprano e attrice cinematografica italiana.

Biografia

Primogenita di un assistente edile marchigiano, Floriano Cavalieri ( † 1909) e di una sarta di Onano (in provincia di Viterbo) di nome Teonilla Peconi (1848 - 1931); alcune fonti segnalano Viterbo altre Roma come luogo di nascita. Il padre fu licenziato per aver difeso la moglie dalle molestie del suo datore di lavoro.

La giovane Lina fu costretta a svolgere umili lavori. Piegatrice di giornali, sarta e simili. L'abitudine della ragazza a cantare anche durante il lavoro, indusse la madre a farle prendere lezioni di canto dal Maestro A. Molfetta, che mise incinta la sua allieva, che a 17 anni partorì il suo unico figlio. Fu coniugata anche con Giovanni Campari (e non con il quasi omonimo Giuseppe, pilota automobilistico, come a volte erroneamente riportato).

La popolarità di canzonettista della Cavalieri fu in continua ascesa grazie alla sua bellissima voce, ma anche grazie alla sua notevole bellezza e ad un temperamento focoso. Passò ad esibirsi al teatro Orfeo, per dieci lire al giorno, poi al teatro Diocleziano per quindici lire. Era arrivato il momento del grande salto nel regno italiano dei cafè-chantant: Napoli.

A ventun anni, al Salone Margherita, sicuramente il traguardo più prestigioso per una canzonettista del tempo, la Cavalieri raggiunse il primo successo di ampio respiro, ottenendo così il trampolino di lancio per l'Europa. A Parigi, trionfò alle Folies Bérgères cantando un programma di canzoni napoletane accompagnata da un'orchestra completamente femminile, tutte chitarre e mandolini.

La Belle époque fu affascinata dalla sua bellezza e dalla sua grazia. Nonostante le sue origini modeste, aveva il portamento e i modi della gran dama. Gabriele d'Annunzio le dedicò una copia del romanzo Il piacere (1899) definendola la massima testimonianza di Venere in Terra.

Il debutto

Giunta al culmine della popolarità, la Cavalieri si trasformò in cantante lirica, debuttando nel 1900 ne La bohème di Giacomo Puccini al Teatro San Carlo di Napoli il 4 marzo dello stesso anno. Ebbe ancora enorme successo e da allora si dedicò alla lirica. Da Napoli le si apre una carriera che la porterà nei più importanti teatri lirici d'Europa e d'America, al fianco di nomi celebri della lirica, quali Enrico Caruso e Francesco Tamagno. I suoi mezzi canori come soprano lirico erano piuttosto limitati, ma al pubblico interessava più vederla che udirla, per la splendida bellezza, l'eleganza del portamento, le acconciature sontuose. Nel puritanesimo della scena lirica, la Cavalieri portava un'eccitante atmosfera di raffinata sensualità. Importantissimi gli ingaggi che la Cavalieri ottenne oltreoceano, per la Metropolitan Opera Company e per la Manhattan Opera Company di New York, dove nel 1906 fu protagonista accanto a Caruso ed Antonio Scotti della Fedora di Umberto Giordano bissando il finale del II Atto e nel 1907 della Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea.

La Cavalieri incarnava l'esatto prototipo di bellezza femminile della sua epoca, una bellezza trasognata e in grado di sottolineare il carattere delle sue eroine; inoltre la sua presenza scenica e la sua recitazione erano notevoli e questo nell'epoca del verismo rappresentava una carta decisiva.

Nel 1914 diede l'addio al teatro, ma non per questo rinunciò a far parlare di sé: negli anni successivi tentò una carriera cinematografica con Manon Lescaut e fino al 1920 interpretò altri sette film; ma sullo schermo non aveva lo stesso carisma che sulla scena.

Nel 1920 diede il suo addio definitivo alle scene dicendo:
«mi ritiro dall'arte senza chiasso dopo una carriera forse troppo clamorosa.»

Nel 1921 si trasferì a Parigi, dove, sfruttando la fama che la circondava, aprì un istituto di bellezza, che cominciò ad essere frequentato da molte signore incuriosite dal mito di una donna che aveva scatenato passioni di ogni tipo, era stata corteggiata da principi e milionari e la cui vita sentimentale aveva dato la stura a molte voci.

Matrimoni

È difficile distinguere tra verità e leggende il numero di proposte di matrimonio ricevute, ben 840 secondo alcuni. I matrimoni effettivi raggiunsero il numero di cinque, senza durare a lungo. Il primo celebrato a Pietroburgo nel 1899 con il principe Alexander Vladimirovich Baryatinsky (1870–1910) dal quale divorziò in fretta dopo la richiesta di lasciare la vita teatrale. La decisione venne dettata dall'etichetta e dalla volontà dello zar Nicola II; pare che il nobile russo fosse disperato a tal punto che, sposata una sosia della Cavalieri, si diede all'alcool e morì a soli quarant'anni, dopo aver espresso la volontà di essere sepolto a Firenze, la città preferita dalla «sua» Lina.

Il secondo marito fu Robert E. Chanler, un ricchissimo americano conosciuto nel 1907 durante le rappresentazioni di Fedora al Metropolitan. Chanler era convinto di legare a sé l'artista per tutta la vita grazie alle sue ricchezze, ma anche lui venne liquidato in una settimana per aver pensato di trasformare la cantante in una moglie. Un'immensa quantità di beni, comprendente addirittura tre palazzi, trasmigrò prima del divorzio dal patrimonio dell'americano nelle mani della Cavalieri. Solo il compagno d'arte, il tenore Lucien Muratore (Marsiglia 1878 - Parigi 1954), sposato nel 1913, riuscì là dove altri avevano fallito, farle cioè abbandonare il teatro.

Il 26 luglio del 1927 divorziò però anche da quest'ultimo per sposare Giovanni Campari[1], imprenditore membro della celebre famiglia creatrice dell'omonimo drink[2][3], che le fu accanto al momento del ritorno in Italia e nella vecchiaia. Nell'ultimo decennio si legò ad Arnaldo Pavoni (Roma 1892 - Firenze 1944) noto con lo pseudonimo di Paolo D'Arvanni, suo impresario, segretario.

I suoi ammiratori

Tra i tanti gustosi aneddoti sulle follie maschili che accompagnarono il successo della Cavalieri, all'inizio del '900 vi fu quello di Davide Campari, figlio di Gaspare, cui si deve la creazione del celebre aperitivo. Innamoratosi della cantante, per giustificare le fughe al suo seguito, Davide usò con la famiglia un abile stratagemma, quello della ricerca di contatti esteri per smerciare il prodotto. Nei suoi viaggi il giovane Campari instaurò davvero proficui rapporti con il mercato estero, ma, a quanto pare, non ottenne mai il favore della sua stella. Curiosamente, anni dopo Lina Cavalieri sposerà un altro membro della famiglia Campari, Giovanni.

Un'altra presenza importante nella folta schiera degli appassionati fu il famoso designer Piero Fornasetti. Il viso serigrafato che ricorre nelle realizzazioni di Fornasetti, e che costituisce la cifra distintiva delle sue opere, altro non è che un ritratto di Lina Cavalieri preso da una rivista del tardo '800.

Il principe russo Alessandro Bariatinsky le regalò una collana di smeraldi così lunga che, nonostante i tre giri intorno al collo, ricadeva comunque sul suo ventre.

Un duca siciliano, (probabilmente il Duca di Carcaci) si offrì per due mesi come suo autista pur di starle accanto ma dovette desistere perché, come spiegò in una sua lettera, «è follia sperare di essere amato da voi, che non pensate e non vivete adesso che per la vostra arte».

La morte

Negli ultimi anni della sua vita Lina Cavalieri visse nella villa Cappuccina presso Rieti, dove aveva raccolto i numerosi cimeli della sua vita professionale, in compagnia del suo unico figlio Alessandro (1892-1993), nato dal maestro di canto, Arrigo Molfetta, e sempre tenuto nascosto. In quel periodo dettò al giornalista Paolo D'Arvanni le sue memorie. L'avvento della seconda guerra mondiale impedì all'azienda cinematografica Paramount di fare un film sulla vita della nota cantante e costò la vita alla Cavalieri che morì nella sua villa di Firenze, dietro al Poggio Imperiale, in occasione di un bombardamento aereo Alleato l'8 febbraio del 1944.

Alla morte, fu tumulata nella cappella di famiglia al cimitero del Verano[4], dove sono sepolti anche i genitori.

La sua vita fu rievocata da Gina Lollobrigida nel film La donna più bella del mondo (1955).


Il caso volle mi dedicassi al teatro. Fu veramente un caso. Frequentava la nostra abitazione un vicino, maestro di musica, che lavorava rei più modesti caffè-concerto di Roma e dava lezioni alle chanteuses principianti. Io, cantavo tutto il giorno; mi senti e fisse ai miei che, volentieri, mi avrebbe insegnato qualche canzonetta. Mi spiace non ricordare il nome di questo brav’uomo che mi iniziò nella carriera artistica e, per il quale, il mio repertorio cominciò a costituirsi, con tre canzoni: II cavallo del colonnello, Le streghe e Chiara stella. Riuscirono, con molti sforzi, a farmi scritturare in un teatrino a piazza Navona, dove guadagnavo, niente meno, una lira per sera!...

Per debuttare, erano necessari almeno due costumi, ma io non avevo il denaro sufficiente per acquistarli. Con gesto magnanimo, l’impresario consenti di ridurre, ad un solo vestito, f mio guardaroba artistico e mi anticipò trenta sere: trenta lire! Comperai a Campo de’ Fiori una toffettina celeste e un paio di scarpe. La confezione del vestito fu fatta in casa. Andai due sere a provare. Il tragitto da via Napoleone III, a piazza Navona, era lungo e non potevo permettermi il lusso neppure di un tram. Mia madre, la mia buona mamma, mi accompagnava. Ricordo, con terrore, il viaggio di ritorno, dopo lo spettacolo: stanche, sole, sfiduciate!

Dopo mezzanotte, andavamo frettolose verso la casa squallida, verso la desolazione e la miseria! Quando ripenso a quell’epoca della mia vita, una tristezza indicibile mi assale, e, se i trionfi posteriori mi fecero lieta, non posso, senza infinita pietà, pensare a tante mie compagne d’arte che hanno, con me, intrapreso il teatro e che non hanno mai avuta la fortuna di ascendere.

Nessuno sa cosa soffre, cosa tribola un’artista! Oro e orpello si fondono e si confondono! Debuttai. Avevo quattordici anni. Di questo mio immaturo ingresso nella vita artistica, conservo un confuso ricordo di paura. Nebulosamente, rivedo quel che mi circondava. Orchestra: un piano cordato e flebile. Scena: quattro quinte scolorite e un fondale strappato e pieno di toppe. Pubblico: eterogeneo e facile all’entusiasmo e alla sonnolenza. Programma: alcune canzoni e una farsa, il cui titolo (seguito da parecchi “ovvero”) spiccava a grosse lettere rosse e nere sul cartellone giallastro, atica particolare del botteghinaio.

Allorché, la sera del mio debutto, “fui di scena”, ricordo che una robusta e inesorabile mano ignota, mi proiettò verso il boccascena spalancato. Non vidi nessuno. Tremavo. Esitavo. L’introduzione della mia canzonetta era già stata ripetuta due volte, dal sonnolento accompagnatore. Dalle quinte, mi raggiungevano sibili imperiosi, minacce ingoiate: “Attacca!... attacca!...” Le mani trepide, tormentavano il vestitino maladatto al mio povero corpicciolo tremante. La bocca non riusciva ad aprirsi. La gola, aggroppata dallo spavento, non emetteva alcuna nota. In questo attimo terribile, intravidi la mia povera casetta: la necessità!

Inconsciamente articolai le labbra, usci qualche suono. Cessò la musica del piano scordato, un frastuono di mani plaudenti mi scosse e, quasi automatica-mente, caddi fra le quinte singhiozzando!... Quando, molti anni dopo, la critica dei grandi quotidiani americani, rilevava che uno dei pregi della mia voce era “il caldo singulto appassionato che arrotondava il mio canto”, ho ripensato che il mio debutto fu dolente e che, forse, quella sera, nella fumosa e nuda sala di piazza Navona, la mia voce ricevette il crisma del singhiozzo che si confuse, per sempre, alle mie note appassionate!

Dal Teatro di piazza Navona, passai al Grande Orfeo e al Diocleziano. Il sonnolento accompagnatore, il maestro Molfetta, era divenuto il mio istruttore e il mio manager. Cominciò di qui, la mia rapida ascesa. La paga serale era considerevolmente aumentata: dieci e quindici lire! Il il repertorio si era arricchito di alcune primizie, tra cui La Ciociara, Funiculi-Funiculà, e La Francesa, di Mario Costa.

Il mio guardaroba, a paragone del primo vestitino striminzito, era addirittura regale. Tanto è vero che possedevo alcune toilettes di... un’altissima personalità! Sicuro! La prima cameriera di questa grande dama, vendeva gli abiti che la sua padrona non indossava più e, qualche volta, alcuni vestiti che non aveva mai indossato. Io, fui una delle acquirenti. Fu certo, ad uno di questi vestiti, che dovetti il primo premio di bellezza, guadagnato al Teatro Costanzi di Roma, in occasione del carnevale, fatto questo che contribuì infinitamente al mio lanciamento. Fui poi scritturata al Salone Margherita, e, infine, a Napoli.

Questo, costituì' il trampolino da cui spiccai il salto, che mi fece varcare le Alpi. E raggiunsi Parigi, dove, alle Folies Bergères assaporai i primi autentici trionfi. La grande sirena ammaliatrice delle anime provinciali, la immensa metropoli internazionale, l’oasi di tutti gli amori! Vi piace la sala? Tutti la conoscono, è elegante, civettuola, ben illuminata, gremita, in ogni ordine di posti, di un pubblico eccezionale. È la massa spaventosa dei giudici inappellabili che dovrà, “pollice dritto” o “pollice verso”, decidere della mia carriera artistica. Nel mio camerino, inondato di fiori inviati dagli immancabili aprioristici ammiratori, dò gli ultimi ritocchi al mio trucco e ispeziono, con cura, ogni particolare della mia toilette.

Un picchio all’uscio. Una voce cortese: “Mademoiselle, c’est à vous.” Esco, fra le quinte. Con quella tal paura che tutti gli artisti conoscono e che tutti, più o meno, hanno provato sempre, traverso lo spazio che mi separa dalla scena. Un vocio indistinto di pubblico che attende, mi giunge all’orecchio. La luce della ribalta mi acceca. Un campanello. L’orchestra attacca... Esco. Canto. Ballo.

Sono più calma, torna la fiducia e con essa le possibilità artistiche. Nell'intervallo fra un refrain e l’altro, mi accorgo che il pubblico mi segue. Mille bianchi petti incorniciati di nero, mille pinguini, quasi immobili, mi si parano d’innanzi allineati. Qua e là, qualche luccichio di gioielli, breve acchia di color vivo, sull’uniformità immobile degli spettatori. La musica cessa. Mi inchino nell’ultima battuta della mia canzone italiana, un clamore assordante mi stordisce, un lungo applauso mi investe.

Ho vinto.

Vi ricordate? Questa è la sintesi delle mie impressioni sul battesimo parigino alle Folies Bergères, dove siamo entrati insieme, e dalle quali possiamo, insieme, uscire a notte alta, fra la folla che mi attende alla porta, per vedermi da vicino e per gridarmi ancora: Bravo! con un formidabile erre strisciato e con un sicuro accento sull'o. Al mattino seguente, critiche assai benevole sui giornali, lettere e dichiarazioni, fiori e regali. Alla sera, il mio nome scintillante fra mille luci sui boulevard; nuovo spettacolo, nuovo successo. Dopo alcuni giorni, molti biglietti di banca, impresari col cilindro in mano e l’immancabile gardenia all’occhiello e tre bei contratti firmati, ad ottime condizioni, per Londra, Berlino e Pietroburgo.

La celebrità e l’agiatezza.

Lina Cavalieri

"Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980


Fra tutte, rifulse di fama universale Lina Cavalieri. Alla sua prodigiosa e incontestabile bellezza si accoppiava un raro talento e una raffinata sensibilità. In quei tempi, in cui i fasti della retorica dominavano lo spirito e la forma, si diceva di lei, ripetendo il verso di Shakespeare a proposito della sua Desdemona: « Esemplare perfetto della naturale venustà », oppure si ricordava Policleto per proclamare che la Cavalieri, come il Doriforo, riassumeva in sè il greco ideale della bellezza.

Al suo debutto alle Folies conquistò Parigi in pochi minuti. Lo racconta lei stessa nei suoi ricordi, intitolati « Le mie verità » :

«... E raggiunsi Parigi, dove alle Folies Bergère assaporai i primi autentici trionfi. Parigi! ... La più tangibile manifestazione della corsa verso l'irraggiungibile. . . Enorme palcoscenico del più grande Teatro europeo della vita ...

« Eccomi alle Folies, la sera del mio debutto parigino. Sono nel mio camerino, inondato di fiori, dò gli ultimi ritocchi al mio trucco e ispeziono con cura ogni particolare della mia toilette. Un picchio all’uscio, una voce cortese: « Mademoiselle, c’est à vous ... ».

« Esco fra le quinte con quella tal paura che tutti gli artisti conoscono e che tutti, più o meno, hanno provato quasi sempre, attraverso lo spazio che mi separa dalla scena. Un vocio indistinto del pubblico che mi attende mi giunge all’orecchio. La luce della ribalta mi acceca. Un campanello, l’orchestra attacca.

« Esco, canto, ballo. Sono più calma, toma la fiducia e con essa tornano le possibilità artistiche. Nell’intervallo, tra un refrain e l’altro, mi accorgo che il pubblico mi segue. Mille bianchi petti incorniciati di nero, mille pinguini quasi immobili mi si parano davanti, allineati. Qua e là qualche luccichio di gioielli, qualche breve macchia di color vivo sulla uniformità immobile degli spettatori.

« La musica cessa. Mi inchino all’ultima battuta della mia canzone italiana, un clamore assordante, un lungo applauso... ».

Che il suo talento sia stato di gran lunga superiore a quello medio delle donne della sua classe non c’è alcun dubbio. La Cavalieri era una canzonettista, una di quelle tante che affollavano i programmi di quel glorioso Varietà, ma, dai palcoscenici del Varietà ella passò di colpo a quelli del teatro lirico e fu una Violetta Valery abbagliante per stile, gusto e prestanza scenica. La sua voce era melodiosa e intonata, ma non certo eccezionale, e, perciò, non furono i suoi mezzi vocali a darle il folgorante successo, bensì quello insieme di squisito, seducente e fascinoso, che derivava dalla sua purissima bellezza.

Gli uomini di tutto il mondo la sognarono e l’amarono. Fra essi, soltanto quattro o cinque furono i fortunati mortali che potettero avvicinarla, e, a prezzo carissimo, stringerla fra le braccia. Magnati e potenti di Europa, Asia e America se la contesero e qualcuno, pur di averla, la sposò. Nella sua vita sono presenti, come nelle favole, il principe indiano, il granduca russo, l’artista famoso e il miliardario americano. Intorno a lei fiorirono leggende e racconti di fiabe.

Studiò la parte di Manon del Massenet sotto la guida dello stesso autore. A lui la donna famosa chiese un giorno:

— Maestro, stono mai?

E il Maestro:

— Siete così bella che ne avreste quasi il diritto. Quando cantò la Traviata portò lei per prima l’innovazione di poter eseguire certe opere in costume con gli abiti moderni dell’epoca. Sicché la Traviata, con lei protagonista, fu eseguita dagli uomini in frak e dalle donne in abito da sera.

D’inverno, a Parigi, ogni sera, tornando a casa dopo lo spettacolo, regalava al cocchiere un franco. Però le era sembrato durante quest’atto di sentirsi, due o tre volte, vellicar la mano in un modo strano. Una sera si accorse di aver dato al cocchiere un napoleone d’oro invece di un franco. L’altro non disse nulla e a lei parve indelicato farglielo osservare. Ma, pochi giorni dopo, riceveva una scatola tutta d’oro, tempestata di grossi brillanti. C’erano dentro tutti i franchi che aveva dato al cocchiere, più il napoleone d’oro. Il cocchiere era un principe russo che saliva ogni sera a cassetta per avere il piacere di essere vicino alla donna dei suoi sogni, anche per pochi minuti.

Un grande industriale americano le proponeva di cantare la parte di « Margherita » nel Faust :

— Vi darò mezzo milione — le diceva — se alla scena dell’Arcolaio, voi invece dell’arcolaio prendete una macchina da cucire sulla quale sarà scritto il nome della mia ditta.

Un’altra volta, lei cantava a Pietroburgo. Il teatro era sotto la più rigida sorveglianza militare ed era proibito a chicchessia entrare in palcoscenico. Uno dei più giovani aristocratici della citta scommise che vi sarebbe entrato e che avrebbe fotografato la Cavalieri in costume o quasi senza. Per molte sere rimane appostato presso la porta del palco-scenico, e, finalmente, ima sera gli passa accanto il fattorino di una casa di mode. Lo ferma, gli mette in mano cento rubli e lo conduce con sè in una casa vicina. Qui si mette l’uniforme e il berretto gallonato del fattorino, prende lo scatolo, che contiene una ricchissima sopraveste di trina e si presenta alla porta del palcoscenico. Lo fanno entrare nel camerino della Cavalieri. La bella artista prende la sopraveste e vuol provarsela subito, appaiono le sue spalle sfolgoranti, si intravvedono i suoi seni regali. Il finto garzone ha già pronta la sua macchina fotografica. Lei dallo specchio si accorge della manovra, ma è troppo tardi : l’operazione è compiuta. L’Imperatore, al quale raccontarono il fatto e mostrarono la fotografia, volle congratularsi col giovane gentiluomo come per un atto eroico di guerra.

Entrata nella vecchiaia, si ritirò nei pressi di Firenze per finirvi i suoi giorni serenamente. Ma, nel ’44, mentre la guerra infuriava in Toscana, morì tragicamente durante un bombardamento degli Alleati.

Mario Mangini


La stampa dell'epoca

In quella magnifica villa di Neuilly che fu costrutta per un principe ed è degna di una regina, Lina Cavalieri (oggi Madame Lucicn Muratore) lavora febbrilmente a preparar belletti, a profumar ciprie, a mescolare mille unguenti. Sicuro: Lina Cavalieri, la grande, la bella Lina che venticinque anni or sono io vidi a New York acclamata come regina da una folla delirante, salutata da mille giornali come il più puro tipo di bellezza latina che mai avesse traversato l’Oceano, Lina Cavalieri che ha conosciuto i trionfi della scena e della vita sociale, che ha entusiasmato con la sua voce, con la sua bellezza e con il suo fascino due continenti e che ha goduto dell’amicizia di re e di imperatori, che potrebbe continuare a godersi in pace nella sua quiete di Neuilly i milioni che essa e Lucien Muratore hanno accumulati in una trionfale carriera, sta per divenire una «dottoressa di bellezza», una «Beauty specialist», come dicon gli Americani e sta per aprire nel quartiere più elegante di Parigi, sulla Avenue Victor Emmanuel III, un grandioso «Institut de Beauté», ove la donna di mondo troverà, riunito sotto un sol tetto, tutto ciò che una dama può domandare per la cura della propria bellezza.

A cinquantun anno questa donna eccezionale non ne dimostra quaranta; essa ha conservato una tale freschezza di carnagione, una tale morbidezza di colorito, una tale vivacità di sguardo e di movimento, che ben poco è mutata da quella che tutti ricordano un quarto di secolo fa.

«Sicuro: eccomi diventata direttrice di un laboratorio chimico e fra poco direttrice del più grande «Institut de Beaute» che Parigi abbia mai conosciuto. Ridete ? Risi anch’io, quando qualcuno me ne parlò, ma poi vi ho ripensato, ed eccomi qui. Dopo tutto, non per nulla sono di origine romana ed i Romani, voi lo sapete, hanno sempre avuto il culto del bello e per la più pura creazione del bello, la donna. Dunque, dacché mi si offre l’occasione, perchè non fare opera utile e non offrire alla donna i mezzi per conservare il suo «charme» e per prolungarlo fino ai confini avanzati della vecchiaia? E mi son data a ricercare in biblioteche e musei quelle vecchie formule di unguenti, balsami, olii, profumi che sapevo esser noti all’antichità e che dovevan formare il segreto principale di quei tipi di bellezza che Fidia ed Apelle ci hanno tramandato e che i poeti dell’antichità decantano con tanto verismo. Ho scartabellato per mesi e mesi; mi son fatta aiutare da chimici esperti di ogni perfezione scientifica moderna ed ora posso lanciare alle mie consorelle nel mondo dei prodotti e dei metodi che gioveranno loro come hanno giovato a me.

«La donna moderna è diversa da quella di un quarto di secolo fa. Venticinque o trent’anni or sono ci accontentavamo ancora di manteche e belletti: oggi la donna vuole di più. La Guerra, questa grande sconvolgitrice dell’umanità, ha aperto alla donna nuovi orizzonti, le ha dato maggior coscienza della propria forza, le ha dato campo di comprendere maggiormente che «bellezza» e «gioventù» sono sorelle. La donna moderna si sente giovane, vuole essere giovane, vuol rimanere giovane. «Gioventù» è nell’aria, ovunque: è lo spirito dei tempi! Pensate alla moda dei capelli alla «garsonne» e delle sottane corte. Non è forse essa la prova di questa nuova tendenza della donna di oggi?».
«E voi non credete invece che la donna tenda sempre più a mascolinizzarsi e ad abbandonare ciprie e belletti ?».

«Non lo credo affatto. La tendenza a scimmiottare gli uomini è stata di breve durata e già non se ne parla più. Nemmeno le inglesi, che pure avevano applaudito con tanto entusiasmo a questo tipo di «donna-uomo», non hanno potuto resistere alla tentazione naturale di ogni donna, quella cioè di piacere, di attirare l'ammirazione del sesso opposto, di dominare con la bellezza e con la grazia. Passeggiate a Parigi, a Londra, a New-York, ovunque nel mondo e vedrete che la «coquetteric» femminile trionfa oggi più che mai. No, balsami e lozioni rimangono oggi il complemento di ogni toeletta femminile, come lo furono in ogni tempo. Ma la terapia moderna ci insegna metodi che completano gli effetti dei vecchi balsami e che, applicati con procedimenti razionali e scientifici, permettono di ottenere risultati sorprendenti e duraturi.

«E che cosa pensate della moda dei capelli corti?».

«Penso che non se n’andrà più poiché essa è l’espressione più sintetica della donna moderna. Oggi la donna monta a cavallo, guida l’automobile e magari l’areoplano, giuoca al golf ed al tennis, vive insomma di vita fisicamente intensa. I capelli corti si adattano quindi di più al suo genere di esistenza, sono più comodi a portare, più semplici ad intrattenere e poi... contribuiscono a mantenerci giovani.

«Ed avete dunque del tutto abbandonato il Teatro?».

«Per ora sì, pel futuro non so. Vedete qui, ancora oggi un cablogramma per una scrittura a New York; ma preferisco rimaner qui, a lavorare per il mio Istituto. E’ una vita nuova e, voi lo sapete, non si è mai troppo vecchi per non amare le novità».

E qui finiva la nostra conversazione, mentre l’amico Biard, facendo scattare per l’ennesima volta il suo apparecchio fotografico ripeteva col suo tono d’intenditore: «Quelle femme photogénique! Et il n’y aura pas méme besoin de retouches...».

Mario Pettinati, «Comoedia», anno VIII, n.3, 20 marzo 1926


Fu la più bella del mezzo secolo

(1a parte)

Lina Cavalieri morì sotto le bombe, nella sua villa di Firenze, un pomeriggio della primavera del 1944. La domestica, quel giorno aveva chiesto congedo, e, così, scampò alla morte. La villetta rustica sulla collina Lina l’aveva avuta da Titti Master che, a sua volta, la affittava dalla proprietaria, una russa. Sul colle pieno di cipressi (a sinistra il collegio di Poggio Imperiale, a destra la casa di Galileo), la grande artista visse il suo ultimo giorno. Quel pomeriggio era sola in casa, cingendo alla vita un grembiale, per occuparsi come faceva negli ultimi tempi, del ménage. Era tonata, senza sforzo, ad abitudini modeste, ad una vita che la riportava ai lontani anni dell’adolescenza romana. In ogni suo gesto riaffiorava la trasteverina che, prima di diventare principessa, aveva conosciuto la miseria. Il giorno della tragica morte aveva il bucato da curare e fu dopo colazione che, intenta a stirare la biancheria, fu sorpresa dall'attacco aereo. Quasi contemporanea di Cléo de Merode, della Bella Otero, di Liane de Pougy, le aveva sorpassate tutte e nessuna le fu veramente rivale.

Proprio la paura aveva spinto lei, «la più bella donna del mondo» verso la sua fine violenta. A Firenze città non si sentiva tranquilla. Abitava un attico bellissimo, in via Cavour, dove aveva raccolto parte del mobilio antico, di gran valore, delle passate dimore, e oggetti d’arte, tappeti, quadri, colme di argenteria; lì avrebbe dovuto aspettare la fine della guerra per la sistemazione ultima. Invece andò sulla collina, a morire, mentre l'attico rimase immune dalle bombe. A Firenze visse il capitolo del confinamento, in solitudine, quasi sapesse che la morte era vicina. Avendo sposato in terze nozze il tenore francese Istriano Muratore, era diventata cittadina di Francia e per questo, alio scoppio della guerra, fu relegata, senza tanti complimenti in un campo d'internamento a Rivodutri, preso Rieti. Solo più tardi riuscì ad ottenere di essere «confinata» a Firenze, grazie alle relazioni altolocate di cui poteva ancora disporre.

Prima della guerra, aveva rinunciato all’appartamento sontuoso di Parigi, alle ville meravigliose di Neuilly, di Eze, al castello «La Chapelle», a Vallengoujard, e aveva fatto le valigie per l’Italia, scegliendosi per dimora preferita la pianura reatina. Nel '30, infatti, aveva provveduto a far acquistare una modesta casa di campagna a Castel S. Benedetto, ridente collina a settecento metri dalla eguale si domina la pianura seminata di casolari, i nossici casolari della proprietà del principe Potenziarli, con l'imponente scenario del Terminillo. Di quella casa, aiutata da un capomastro e da artigiani dd luogo, senza architetti e arredatori, aveva fatto un’altra grande villa. Fece abbattere muri trasformare granai in saloni, alzare scale, e ne venne fuori una residenza elegante. Una sala da musica dove troneggiava, sulla pedana, uno Steinway a coda e sulla parete il ritratto dipinto per lei da Michetti, accanto all'altro di Corcos; una sala da pranzo-veranda, un tinello, boudoirs, bagni, cucine elettriche, camere da letto per ospiti in puro stile giapponese, mobili antichi e preziosi e tante, tante fotografie. Tutto il passato di una donna celebre die, con un po’ di accortezza, aveva saputo ritirarsi a tempo. Lina Cavalieri, pur nella rapidissima e sfolgorante carriera di «ferrame du siede», non dimenticò un istante la sua umile provenienza e questo suo saper vivere in mezzo agli allori senza dimenticare Trastevere fu il mezzo segreto con il quale riuscì a salvarsi.

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Quella dei Cavalieri era una onesta ed umile famiglia. Fiorindo, il padre, d’origine marchigiana, era un bravo sebbene piccolo capomastro. La madre, Teonilla Peconi, era una bella ragazza venuta a nozze dal Viterbese. Natalina fu la primogenita, nacque meravigliosamente « bellissima », non si sa per quale miracoloso connubio, in una notte di Natale, nella casa che apriva due finestre su un’oscura viuzza del popolare quartiere romano di Trastevere. Dopo di lei verme alla luce Giovannino, un ragazzo mezzo paralitico, poi ancora una sorella, Giulia. Lina dimostrò, fin dall’infanzia, un carattere orgoglioso e ribelle, desideroso di indi-pendenza e per tal motivo non riuscì a tollerare la scuola che abbandonò appena giunta alla terza elementare. In seguito ad un rimprovero paterno, a sette anni, scappò la prima volta da casa nascondendosi per un giorno in un cantiere poco distante. A otto anni la raggiunse un terzo fratello, Oreste, il prediletto, perchè le somigliava nella purezza dei lineamenti che ancora oggi conserva. Sempre irrequieta un giorno i monelli coetanei la dessero comandante della banda che aveva il quartier generale in piazza Guglielmo Pepe. La famiglia abitava in quel periodo in via Napoleone III, in sei, in una povera stanza. Ma Natalina era spensierata. « Guerra francese », partite di «picchio» e « campana», furtarelli in un orto vicino e cantare e ballare. Fin da piccola rivelò disposizioni artistiche.

Con una vocetta acuta, un certo orecchio, ricorda motivi o li inventa. Ma soprattutto le piace ballare. Ne va pazza. Inventa passi e ritmi con una grazia innata che mette in rilievo l’acerba bellezza, si produce davanti ad amici e vicini. Natalina canta e balla, ma la miseria entra ndla casa. Fiorindo Cavalieri che lavora in quel tempo lontano, giù, verso Valle d’inferno, è bruscamente licenziato, per uno di quei salti d’umore di certi « padroni ». A 13 anni Natalina deve lavorare. E’ la maggiore e i fratelli hanno bisogno di lei» come sempre avverrà, poi, nella vita, fino della fine. La mettono ad imparare da sarta. Ma è fatica sprecata. Natalina l'irrequieta non può star chiusa tutto il giorno, china sul cucito. Deve ballare, deve cantare. Fu cosi che un modesto maestro di musica da caffè-concerto le insegna, per scherzo, tre vere canzoni. Con quelle tre canzoni comincia la vita di Lina Cavalieri.

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Debutta in un teatro a 14 anni, sono emozioni, ha anche il cuore che trema, ma gli occhi le brillano d’orgoglio. Che importa se il misero teatrino di Piazza Navona non ha che un fondale rattoppato e due quinte sbilenche? Che importa se bisogna perdere un giamo intero a Campo di fiori per cercare sulle bancarelle una stoffetta che costi poco, pochissimo, qualche soldo al metro, una povera cotonina azzurra, mal cudta che la infagotta, per il debutto? E trascinare le gambe stanche tutte le notti, con la mamma accanto, per tornare a piedi da Piazza Navona a Via Napoleone?

Lina Cavalieri, cantante italiana, figura già come ultimo numero della prima parte del programma al « Grande Orfeo ». Da una lira per sera arriva a guadagnarne died e quindici al « Diocleziano ». Funiculì Funicolà e la « Ciociara », con la tamburella che l’aiuta ad accentuare il ritmo, fanno furori. Gradino per gradino, sale. A Roma, ancora, al Salone Margherita, poi Napoli e, infine, un salto prodigioso, da dar le vertigini a chiunque : le « Folies Ber-gères », la scritturano. La bellezza di Lina — quella stessa bellezza che più tardi sulle scene liriche le sarà spesso d'ostacolo — è il suo biglietto da vista. Non ha bisogno di parlare o chiedere ma solo di mostrarsi. Il carosello continua. Dopo Parigi, Londra all’Empire, Berlino, Pietroburgo. Lina trova tutto ciò naturale e, forse per 'questo il successo non la inebria, non altera l’innato temperamento. Non si dà arie, non posa. Resta la trasteverina semplice, che non fa troppe differenze tre gli umili e i potenti. A Berlino, alla fine dell’ottoccnto, giovanissima ancora, passando la frontiera, i doganieri ispezionano le numerose valigie. Dimenticano, però, un grosso socco. La raggiungono in albergo e intendono sapere che cosa nasconde il dubbio fagotto. Lina si rifiuta di aprirlo. Non vuole spiegare che dentro c’è una provvista di cetrioli che essa porta sempre con se. per conservare il candore della sua pelle. Quelli insistono in malo modo ma finiscono messi fuori a pedate dalla bollente romana. Romana, sempre ribelle e orgogliosa che, se non vuol fare una cosa, rifiuta ad un sovrano — e fu Edoardo VII d’Inghilterra — di cantare una romanza di Tosti che non le piace; oppure liquida, sempre alla romana, in piena recita, in Portogallo, presenti i sovrani, un impresario villano, o prende tranquillamente il treno per Parigi, mentre l’Imperatore Nicola, zar di tutte le Russie, l’attende, con gli invitati, nel Palazzo Imperiale, dove l’ha invitata per una recita.

Di tutti questi incidenti, presi allegramente e burlandosi di sè stessa, quest'ultimo le è ritornato, più tardi, alla memoria come un bruciante ricordo. Lina Cavalieri non fu mai più invitata dallo Zar, nemmeno quando il più appassionato suddito di Nicola, ebbe posto sulla sua testa incantevole la corona di principessa. Dal varietà al Principato; sono cose da operette, si dice, e invece accadono, molte volte, nella vita. La bellezza meridionale e mediterranea della Cavalieri non poteva non esaltare l’anima russa, mistica e sognante. « I suoi occhi di fuoco — dicevano — farebbero sciogliere le nostri nevi e i nostri ghiacci ». Linotchka, come ormai era chiamata da tutti, di trionfo in trionfo, era caduta nelle braccia del bellissimo e biondo e pallido prinape Alessandro Bariatinsky, aiutante di campo di S. A. Imperiale il Granduca Eugenio di Leuchtenberg. Vi era caduta, era diventata principessa, aveva abbandonato il varietà, forse soltanto perchè Sacha, come lo chiamavano gli intimi, soffriva di cuore. Durante un pranzo a palazzo Pavloski. Sacha soggiogato dalla « bellissima » non ballò con lei, non la avvicinò. Si accontentò di guardarla trasognato, tracannando bicchierini. La vodka e le fiamme dd cuore fecero il resto. Svenne. Al suo ietto, insieme al medico e ad alcuni ufficiali, accorse anche Lina, la trasteverina, dal cuore romano. E un mese dopo era principessa. Ciò avveniva nella primavera del 1900.

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Il periodo non lungo, della sua vita coniugale con Bariatinsky, deve essere rimasto nella memoria della Cavalieri, fino agli ultimi anni, come un sogno. Di quei sogni cosi netti e vivi da sembrare realtà. Forse soltanto odia Russia di quel tempo, ormai leggendaria, era possibile vivere una vita come quella che essa visse. Sacha, più che innamorato. perduto, soddisfaceva, anzi preveniva ogni suo desiderio. Non motte donne, certo, come la Cavalieri, hanno provato la voluttà di affondare le mani in mucchi di perle, le più perfette, o cingere al collo molte file di brillanti grossi come fagioli. I suoi diademi di brillanti, perle» rubini, zaffiri, potevano gareggiare con quelli delle case regnanti. Tutti gli altri monili, anelli, braccialetti, orecchini, spille, erano opera dd primi orafi dd mondo. Fu runica, in Europa, a possedere una rara collezione di smeraldi, quelli die occhieggiavano, tra sfavillanti diamanti, nella famosa collana della non meno famosa Lady Hamilton. Con Bariatinsky, da cui provenivano tutti qud tesori» la vita fu frenetica. Pranzi, feste, balli, viaggi in tutta Europa. Lina era giovanissima, nei massimo splendore, trattata come una regina, ricevuta da tutti, riceveva tutti. A Parigi, durante un soggiorno con Sacha, le fu presentato, dal Conte Castritene, il pretendente al trono di Francia, principe Enrico d’Orléans, quello che si battè in duello anche con il conte di Torino e che, notoriamente, disprezzava gli italiani. Nemmeno con Lina, di cui conosceva le origini e i sentimenti, trascurava di attaccarli e ld cominciava ad averne abbastanza Fu coti che un giorno, vedendolo arrivare ad un suo ricevimento, con le unghie non perfettamente nette, si vendicò. E, in pieno salotto : « Altezza — gli disse, con la sua voce leggera — se Lei toma da me un’altra volta con le unghie sporche, non la lascerò entrare! ».

Nel suo palazzo sfarzoso di Pietroburgo, Lina riceveva le celebrità dell’arte internazionale, di passaggio e, tra questi, primi, i suoi connazionali. Battistini, la Tetrazzmi, Kashmann, Tamagno, Caruso, Marconi. Checco Marconi, « il romano de Roma » il popolare tenore. E, appunto, dall'amicizia con Marconi, è nata Lina Cavalieri, artista lirica.

Fu lui, infatti, a incoraggiarla, lui ad affidarla, per lo studio del canto a Maddalena Mariani Masi. Alla riuscita della vita di Lina molti elementi, a lei estranei, hanno concorso. Senza l'incontro con Bariatinsky, forse Lina sarebbe rimasta una chanteuse di varietà più o meno famosa. La raffinatezza dell’ambiente in cui visse aumentò le sue ambizioni e le sue aspirazioni. Aveva voce e bellezza da vendere. Perchè non diventare una stella del teatro lirico? Sacha, chino ai suoi intimi voleri, acconsentì al suo desiderio, senza pensare alla rigida etichetta della corte russa. Il principe Bariatinsky, aiutante di corte di un’altezza Imperiale poteva aver sposato una cantante, nobilitandola con il suo titolo, ma la principessa Banatinsky, non poteva portare il suo titolo in un teatro. Lina visse in questa pausa, anche se rapida fa la sua scelta, l’attimo più grave della sua vita.

Adele Pergola, «Settimana Incom Illustrata», anno III, n.19, 13 maggio 1950


Per lei il principe si consumò d'amore

(2a parte)

Il solo uomo che Lina Cavalieri amò veramente fu il primo marito, il principe russo Bariatinsky. D'Annunzio l’aveva battezzata «Testimonianza di Venere in terra» ma non è provato che la bella trasteverina fosse dotata di un temperamento passionale; lasciava piuttosto che gli amori turbinassero intorno alla sua bella persona e anche il biondo Sacha dovette far le spese di quell'inimitabile bellezza che entrò nella sua vita forse soltanto per distruggerla. Lina rimase perplessa dovendo decidere tra l'amore e l’arte. Ma lo stesso Bariatinsky le venne in aiuto, risolvendo i suoi dubbi. Disse, commosso, alla sua affascinante compagna: «Non inquietarti, Limotchka, se desideri tornare sulla scena ci tornerai, non sarò certo io a impedirtelo!» S’inchinò, per amore, al desiderio di Lina e si piegò,. per dovere, all’imposizione della Corte Imperiale. E Lina fu libera dalla sua vita fissa a Pietroburgo. Ma, da quel giorno, Sacha Bariatinsky non fu più lui. Visse come un tronco secco e si spense all'età di quarantanni, chiedendo, in memoria della bellissima, di essere seppellito nella terra che aveva visto nascere la creatura perfetta, in un’umile tomba del cimitero di Firenze. Molti anni più tardi, quando Lina mori sotto le bombe, i due furono ricòngiunti per qualche tempo, prima che la salma di lei fosse trasportata al Verano di Roma, nel camposanto fiorentino, come se la sorte si fosse compiaciuta di avvicinarli nell’estremo riposo.

Lina non fu molto scossa dalla sua meravigliosa avventura nella patria di Puskin. Nemmeno la maternità riuscì a toccarla nel profondo, lei che era stata destinata a passare di trionfo in trionfo senza che la sua bellezza potesse essere scalfita. A soli quattordici anni aveva avuto un figlio, Alessandro, al quale diede il suo 'nome. Il ragazzo, dopo aver trascorso l'infanzia in collegio, divenne ufficiale di cavalleria, noto per le sue partecipazioni a tutte le corse e alle competizioni ippiche. Alessandro visse quasi sempre lontano dalla madre che gli spediva, da Parigi o da New York cartoline e assegni, sopratutto quando, in seguito a una caduta da cavallo, rimase gravemente minorato e costretto ad abbandonare cavalli e concorsi.

Divorziata dal principe Bariatinsky, Lina tornò in Italia e fu al teatro San Carlo di Napoli che, nel 1905, debuttò come artista lirica nella «Manon» di Puccini. Fu un successo incontrastato, e subito, come quando iniziò da chanteuse, potè compiere il gran balzo: i teatri d’Italia ('acclamarono e poi Parigi, Londra, Pietroburgo, l’America. I compositori reclamavano da lei l’interpretazione delle loro opere, gli impresari dovevano lottare contro la sua bellezza prima di contrattare la sua voce, maestri come Massenet, Puccini, Leoncavallo, Giordano e Boito le scrivevano le loro parole d’elogio, mentre le voci maligne circolavano sul suo conto, a indicare che i trionfi di Lina Cavalieri cantante lirica erano dovuti soltanto alla bellezza e ai gioielli, più che alle sue qualità vocali. Qualche parere, quindi, fu discorde, ma come poteva essere altrimenti? La donna bruciava le ali alle persone che la circondavano; il vecchio editore Ricordi, intanto, temendo forse di essere intrappolato dalle qualità fisiche di Lina, voleva dimostrare di essere il più ritroso a scritturarla. Ma per «la bellissima» il tempo passava, e i giornali americani che dedicavano alle sue interpretazioni colonne elogiative, non tralasciavano occasione di commentare i suoi successi di donna.

A New York, con la scrittura al «Metropolitan», dovette sostenere una gara con la famosa cantante Geraldine Farrar, amica di Enrico Caruso. Debuttava con la «Fedora» di Giordano, accanto al famoso tenore napoletano. Durante la prima rappresentazione, spronata dal desiderio di battere la rivale, fu protagonista di un episodio che elettrizzò, scandalizzandolo in parte, il pubblico americano. Alla fine del duetto d’amore dell’opera, Lina baciò sulla bocca il baldo tenore: era la prima volta, nell’anno 1906, che 'nell’America puritana, un’attrice baciava un uomo sulla scena. Il pubblico chiamò gli attori sedici volte e da quella sera il successo della protagonista fu assicurato. Dopo Caruso, Tamagno, Scialiapin e Battistini, tutti i più acclamati cantanti d’opera furono suoi compagni, in rappresentazioni che oggi, a ricordarle, sembrano già fuggite nel tempo. La deliziosa trasteverina carica di gioielli restava sempre una cantante latina e il suo repertorio fu limitato all’interpretazione di eroine romantiche, Manon, Violetta, Fedora o Margherita. Per questo, i suoi successi furono anche i più commoventi.

Dal 1906 al 1910 Lina fece la spola tra l’Europa e l'America, sempre adorata, corteggiata e ambita dal pubblico di cento teatri. Una sera del gennaio 1908, invitata a un pranzo in casa Guiness, a New York, dove stranamente riuscì ad arrivare puntuale, la bella Lina incontrò un pittore americano, il ricco Bob Chanler. Simpatico, ma brutto, cominciò a farle una corte sfacciata, s’innamorò e dopo tre giorni le chiese di sposarlo. Lina scoppiò a ridere, cerano tanti uomini intorno a lei e 'non le sembrava vero che quell’impertinente e presuntuoso pittore dilettante avesse l’ardire di chiederle tanto. Dopo l’amore del biondo Sacha sepolto a Firenze, l’artista non aveva più pensato ad affari di cuore. Ma il ragazzone americano tornò alla carica, con una sicurezza, una prestanza, che indusse Lina a giocargli uno scherzo. Una sera, sempre in casa Guiness, gli fece questo discorso: «E va bene, sposiamoci, ma scommettiamo che il nostro matrimonio non durerà più d’una settimana!» Bob Chanler cadde nel tranello, raggiante annunciò ai presenti il matrimonio, il giorno dopo regalò un palazzo, una villa e una collezione di gioielli alla indiavolata trasteverina e la portò al matrimonio pazzo di gioia. «L'amore verrà, mia cara, nel matrimonio l’amore è l’ultima delle cose!» diceva l’i'ncauto. Alla fine dell’ottavo giorno, durante un pranzo che la coppia offriva ad alcuni amici, la sposa scomparve alla chetichella, s’imbarcò per l'Europa e, appena giunta a Le Havre, incaricò il suo avvocato parigino di avanzare istanza di divorzio. Bob Chanler era stato servito piuttosto duramente. La sua vita di nomade la tenne quasi sempre lontana dall'Italia, dove il pubblico ebbe sempre poche occasioni per applaudirla. A Roma, poi, non accettò mai nessuna scrittura. Nonostante le pressioni di compagni d’arte e di amici, compresi Trilussa, Marconi e «Rastignac», Lina Cavalieri non volle mai esibirsi, nemmeno in un concerto, nella città natale. Cantò al Metropolitan e alla Manhattan Opera House di New York, al Covent Garden di Londra all’Opera di Parigi, ma a Roma ebbe timore del pubblico che forse era quello che l'amava di più. La «Fedora» è l’opera più importante della sua vita. Con «Fedora» debuttò a Parigi e a New York, covi la stessa opera chiuse la sua carriera artistica al teatro di Montecarlo e la «Fedora», ancora, è il motivo per il quale incontrò il suo terzo marito. Con il tenore francese Luciano Muratore, infatti, la Cavalieri si presentò al pubblico parigino dell’Opera per la rappresentazione dell'opera di Giordano. Qualche mese dopo, i due si sposarono e Lina cambiò per la terza volta la sua nazionalità, diventando cittadina francese. Con il bel tenore Lina visse qualche anno di vita familiare abbinata al comune lavoro artistico. Il Muratore adottò persino il figlio di Lina, Alessandro, mentre lei, a Roma durante un soggiorno ai «Royal» nel 1926, presentò come sua la figlia di Muratore, la bionda Arianna che andava sposa mesi dopo al caricaturista italiano Garretto.

La Cavalieri e Muratore viaggiarono molto, in quegli anni, tornarono anche in America, cantarono insieme in teatri e concerti, tentando perfino il cinematografo. Risale all'altra guerra mondiale l’attività cinematografica, poco nota e poco saliente, per la verità, della Cavalieri. Il cinema, ancora muto, non era per lei, poco prestandosi la sua bellezza più statuaria che espressiva. Le poche fotografie superstiti di quel periodo rivelano quanto poco la statua sapesse animarsi. Con Mecheri, a Roma girò i suoi due primi films: La rosa di Granata, con Diomira Jacobini, e La sposa della morte con Alberto Collo e Luciano Muratore regista Emilio Ghione. La Cines era allora in auge e un’altra bellezza trasteverina, Francesca Bertini, cominciava a conquistare le folle. Scritturata dalla «Players Films Company» del New Jersey, interpretò: Le due spose, L'eterna tentatrice e Gismonda di Sardou, ma con questo ultimo film mise fine anche all’esperienza cinematografica che le aveva fatto conoscere Hollywood appena nata, Max Linder, e Mary Pickford ,e Lillian Gish del «Giglio infranto» e Charlot appena debuttante.

Se Lina Cavalieri sposò veramente Muratore per opportunità artistica sbagliò. Qualunque unione tra di e artisti è di solito votata al fallimento. Muratore era geloso e, forse ,non soltanto della donna ma anche dell’artista. Nella sua vita, poi, oltre Lina, c’era la carriera teatrale ed egli non poteva recitare la parte dell'eterno adoratore, prostrato ai piedi della moglie, come essa avrebbe voluto. Decisero, così, di comune accordo, di lasciare le scene per dedicarsi ad attività commerciali. Lanciarono a Parigi, in un sontuoso palazzo dell’Avenue Victor Emanuel, vicino ai Campi Elisi, un Istituto di bellezza che portava il nome di Lina Cavalieri, e che diventò presto celebre e frequentatissimo, più per ragioni pubblicitarie che per la qualità dei suoi prodotti o per la fragranza di una speciale acqua di colonia. Si iniziava, allora, con l'altro dopo-guerra, la passione dell'estetica. Le donne desideravano dimenticare quegli anni terribili, volevano rifarsi una giovinezza e una bellezza. E a chi meglio chiederne i segreti se non a colei che serbava intatte, attraverso trionfi e vicissitudini, e l’una e l’altra? Ma questo che cosa importava? Alle sue creme e ai suoi belletti venivano attribuite virtù magiche note, si diceva, a lei sola. Per la Cavalieri, d’altra parte, l'Istituto rappresentava un mezzo per far parlare ancora di sè.

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Nonostante la loro nuova esistenza, i rapporti tra i due artisti non migliorarono. Tutt’altro. E anche il terzo matrimonio si concluse con una separazione. L’Istituto, traboccante di sete tappeti ed inutili cristallerie, venne liquidato. Fu, allora, come se si fosse spento l’ultimo riflettore che proiettava ancora il suo fascio di luce sulla bellissima. La guerra, in realtà, aveva determinato la rottura definitiva nella vita di Lina Cavalieri. Il ritmo del tempo andava sempre più accelerando, i gusti mutavano. Al contrario di molte sue coetanee che ' brillarono nell’epoca «fin de siècle», la Cavalieri, seppe accortamente aggiornarsi. Fino allo ultimo, la sua bellezza fu moderna, attuale. Ma, il tipo di donna fatale che essa incarnava era tramontato per cedere il posto a nuovi tipi femminili. Gli uomini andavano dimenticando l’antica galanteria ed erano troppo distratti dalle crescenti preoccupazioni della vita, per perdere ancora la testa per un idolo femminile.

II matrimonio, del resto tappa capitale della vita di questa artista, aveva ormai esaurita la sua funzione. I suoi tre matrimoni, infatti, matrimonio-amore, matrimonio-scommessa, matrimonio-arte, gli episodi cioè più estranei, si direbbe, alla sua carriera artistica, ne segnarono, invece, le svolte principali. Con il primo divorzio, da Bariatinsky essa salì sulle scene liriche tanto desiderate. Con l'ultimo matrimonio, quello di Muratore, abbandonò definitivamente il teatro. «Chanteuse» e artista lirica, principessa e moglie di un pittare americano, amica d’imperatori, principi, scienziati artisti, volta a volta italiana, russa, americana, francese ritornò, quasi come un vecchio combattente, alla sua terra; curando il fondo della «Cappuccina» dopo la definitiva separazione da Muratore.

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Condusse vita semplice, ricevette qualche amico superstite e, spinta a tare qualcosa si buttò in altre speculazioni commerciali con l’albergo delle «Quattro stagioni» di Rieti, di sua proprietà, che finì ben presto in un fallimento. Per la «Cappuccina» spese cifre pazzesche, fece costruire la strada carrozzabile che univa la villa al centro abitato e consumò così gran parte delle sue sostanze, tra le quali un hotel a Montecarlo e la famosa collezione di gioielli. Poco prima che scoppiasse la guerra, con l’internamento seguito poi dal «confine» fiorentino e dalla morte in quel pomeriggio di primavera, Lina Cavalieri fu vista compiere il suo ultimo viaggio. Lasciò la villa reatina per Milano, dove andò a disfarsi, a prezzo irrisorio, di un cofanetto pieno di quelle perle che tutte le donne della sua epoca le avevano invidiato.

Adele Pergola, «Settimana Incom Illustrata», anno III, n.20, 20 maggio 1950


Filmografia

Attrice

Manon Lescaut, regia di Herbert Hall Winslow (1914)
Sposa nella morte!, regia di Emilio Ghione (1915)
La rosa di Granata, regia di Emilio Ghione (1916)
The Eternal Temptress, regia di Émile Chautard (1917)
Love's Conquest, regia di Edward José (1918)
A Woman of Impulse, regia di Edward José (1918)
The Two Brides, regia di Edward José (1919)
Film su Lina Cavalieri
La donna più bella del mondo, regia di Robert Z. Leonard (1955)
Bellissime 1 (documentario), regia di Giovanna Gagliardo (2004) - filmati di repertorio

NOTE

  1. ^ CAVALIERI, Lina in "Dizionario Biografico", su www.treccani.it.
  2. ^ The Sun, the Moon, and Lina on penccil.
  3. ^ (EN) Paul Fryer e Olga Usova, Lina Cavalieri: The Life of Opera's Greatest Beauty, 1874-1944, McFarland, 8 dicembre 2003, ISBN 9780786416851.
  4. ^ Fryer, pag. 161.

Riferimenti e bibliografie:
  • Lina Cavalieri, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  • Alberto Pironti, Lina Cavalieri, in Enciclopedia Italiana, III appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1961.
  • Lina Cavalieri, su sapere.it, De Agostini.
  • Raoul Meloncelli, Lina Cavalieri, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 22, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1979.
  • Graziella Rivitti, Lina Cavalieri, su enciclopediadelledonne.it, Enciclopedia delle donne.
  • (EN) Lina Cavalieri, su Find a Grave.
  • Opere di Lina Cavalieri, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
  • (EN) Lina Cavalieri, su Discogs, Zink Media.
  • (EN) Lina Cavalieri, su Internet Movie Database, IMDb.com.
  • (EN) Lina Cavalieri, su AllMovie, All Media Network.
  • Fotografie di Lina Cavalieri: primo piano del volto di profilo, col dito sulle labbra in atto di chiedere silenzio
  • "Il Cafè-Chantant", (Mario Mangini), Ed. Ludovico Greco, Napoli 1967
  • "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980
  • Lina Cavalieri, Le mie verità, redatte da Paolo D'Arvanni, Roma, Soc. An. Poligr. Italiana, 1936;
  • Vincenzo De Angelis, Lina Cavalieri e Gabriele D'Annunzio, Roma, Fratelli Palombi, 1955;
  • Vittorio Martinelli, L'avventura cinematografica di Lina Cavalieri, S.l., s.n., 1986;
  • Franco Di Tizio, Lina Cavalieri, la donna più bella del mondo. La vita 1875-1944, prefazione di Dacia Maraini, Chieti, Ianieri, 2004.
  • Lucia Fusco, Storie di donne che hanno fatto la storia: Lina Cavalieri, Nuova Informazione, Lt, A. XXIII, n. 12, pp. 302-303, Dicembre 2017.
  • Franco Di Tizio, Lina Cavalieri "Massima testimonianza di Venere in Terra", Pescara, Ianieri, 2019.
  • Fryer, Paul, and Olga Usova. Lina Cavalieri: The Life of Opera's Greatest Beauty, 1874-1944. McFarland, 2003.

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • La Stampa
  • La Nuova Stampa
  • Stampa Sera
  • Nuova Stampa Sera
  • Il Messaggero
  • Corriere della Sera
  • Corriere d'Informazione
  • Adele Pergola, «Settimana Incom Illustrata», anno III, n.19, 13 maggio 1950
  • Adele Pergola, «Settimana Incom Illustrata», anno III, n.20, 20 maggio 1950