Chiari Walter (Annichiarico Walter)
Pseudonimo di Walter Annichiarico (Verona, 8 marzo 1924 – Milano, 20 dicembre 1991), è stato un attore, comico e conduttore televisivo italiano. Attore teatrale, cinematografico e televisivo, è stato uno dei più noti comici dello spettacolo italiano e uno degli esponenti di spicco della commedia insieme ad Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni e Nino Manfredi. È il padre di Simone Annicchiarico, conduttore televisivo, nato dall'unione con l'attrice Alida Chelli (1943-2012).
Biografia
Origini e giovinezza
Nato in una famiglia di origini pugliesi, il padre Carmelo Annichiarico funzionario di Polizia originario di Grottaglie, la madre Enza maestra elementare di Andria, trascorse l'infanzia con la famiglia prima a Verona e poi all'età di 3 anni si stabilì a Milano. Il suo primo impiego fu come magazziniere all'Isotta Fraschini. In quel periodo iniziò a praticare il pugilato, diventando campione lombardo della categoria pesi piuma nel 1939. Fu anche un provetto giocatore di tennis e campione lombardo anche nel gioco delle bocce, sport che abbandonò in seguito alle fratture alle mani, causate dallo sport pugilistico. Praticò anche il nuoto a livello agonistico, vincendo i campionati promossi dalla GIL nei 100 metri stile libero.
Abbandonati gli studi, trovò lavoro in una ditta come radiotecnico, ma fu subito licenziato per aver distrutto tre valvole nel tentativo di riparare un apparecchio. Fu assunto in una banca, ma ancora licenziato perché scoperto da un superiore mentre imitava Adolf Hitler in piedi sulla scrivania; chiamato il capo ufficio e invitato a ripetere lo sketch in sua presenza, veniva dallo stesso prima applaudito, e quindi allontanato e invitato a perseguire una carriera teatrale: lo stesso Chiari racconta l'episodio nel film documentario Storia di un altro italiano (di W. Chiari e T. Sanguineti). Passò quindi a svolgere la professione di giornalista, ma non riuscì neanche in questo campo, per cui si mise a fare il caricaturista. Decise a questo punto di riprendere gli studi; conseguì il diploma di maturità scientifica ma, mentre stava per iscriversi all'università, con l'Armistizio dell'8 settembre 1943 da Milano, per i bombardamenti, Walter, la madre e il fratello più grande furono sfollati ad Andria. Vi restarono solo per qualche mese, ritornando a Milano per evitare di stare lontani dal padre, a causa della guerra che aveva diviso l'Italia in due.
Nel 1944 l'approdo allo spettacolo
Arruolatosi nella Xª Flottiglia MAS, fu arruolato anche nella Wehrmacht (circostanza emersa solo dopo la sua morte) collaborò al suo settimanale, L'Orizzonte,come autore di vignette umoristiche. Con Ugo Tognazzi, condusse anche programmi dai microfoni di «Radiofante», emittente milanese per le truppe della RSI[6].
Una sera del gennaio 1944 si trovava con amici al teatro Olimpia di Milano (oggi scomparso, era situato in Largo Benedetto Cairoli) durante un concorso per dilettanti. Ad un tratto i suoi compagni lo sollevarono scaraventandolo sul palcoscenico. Una volta davanti al pubblico non poté far altro che esibirsi in due "numeri" che con gli amici riscuotevano sempre successo: l'imitazione di Hitler e la gag del balbuziente che cerca disperatamente di ordinare una granita in un bar, numeri che lo resero molto popolare e ricordato negli anni anche nel comune milanese di Corbetta, ove Chiari rimase qualche tempo come sfollato. Il pubblico apprezzò quella esibizione euforicamente, decretandogli un caloroso applauso e un successo pressoché istantaneo.
Dopo la Liberazione fu prigioniero nel campo di Coltano, vicino a Pisa. Nel 1946 ottenne la sua prima parte di rilievo in teatro grazie a Marisa Maresca, che lo inserì nello spettacolo Se ti bacia Lola. Di qui ebbe inizio una lunga carriera nel teatro di rivista dove, oltre che per la bella presenza, si fece notare per le innate capacità d'improvvisazione. Partecipò agli spettacoli Simpatia (1947), Allegro (1948) e Burlesco (1949). Nel 1950 divenne primo attore in Gildo con Miriam Glori, nel 1951 in Sogno di un Walter con Carlo Campanini e Dorian Gray, e nel 1952 consolidò il suo successo con Tutto fa Broadway con Lucy D'Albert e Carlo Campanini.
Si affermò inoltre come autore di testi nei successivi spettacoli Controcorrente (1953) di Metz, Marchesi e Chiari, e Saltimbanchi (1954) di Chiari, Silva e Terzoli.
Walter Chiari, il giovane di belle speranze
Walter Chiari — il più giovane dei comici di Rivista — si direbbe balzato alla ribalta da un salotto di provincia o dalla pista di una « ballerà » studentesca. Ieri le ragazze vincevano le esitazioni materne dicendo:
— Ma sì, mamma, lasciaci invitare anche Walter! È così divertente!
E le mamme finivano per acconsentire:
— Sia pure: invitatelo. Basta, però, che non si scateni...
Oggi gli spettatori dicono alla critica:
— Quanto è divertente quel Chiari!
E la critica annuisce, un po’ preoccupata, pensando anche lei:
— Basta che non si scateni...
In realtà, Chiari — oltreché giovane — è « nuovo ». Non perchè sia recente, ma perchè sembra voler dare un calcio alle convenzioni sceniche dopo aver cacciato via a spinte la tradizione. Non vuol cantare, non vuol ballare, quasi quasi non vuol neanche recitare. Vuol essere se stesso — guardate un po’ che pretese — e fare ugualmente ridere. Il curioso è che ci riesce. Senza trucco e senza cravatta; d’accordo: forse si tratta di pose. Convenite, però, che sono due pose comode. Il giovane Walter si è fatto largo a furia di sberleffi, da quel ragazzaccio che è, fino a mettersi in prima fila. Qui giunto, ha letteralmente preso di petto lo spettatore, aggressivo, prepotente, strafottente, e l’ha costretto a dargli retta. Va bene, c’è chi brontola: «Eh, che maniere! »; ma i più ci stanno e si divertono. La comicità di Chiari è goliardica; ma è indubbiamente comicità. Recita come un boy-scout preoccupato di non essere ancora riuscito a compiere la quotidiana buona azione di prammatica; allora si precipita trafelato addosso ad una vecchia signora obbligandola ad attraversare la strada, si getta a capofitto nella roggia dove conta stia affogando un bambino, si lancia contro un cavallo in corsa nella speranza che sia imbizzarrito. Dài e dài, alla fine una buona azione ci scappa. Dài e dài, una buona risata la strappa. Sì, ma se urlasse meno, se si agitasse meno... Un po’ di pazienza, amici. Chiari è tanto giovane. Lasciatelo sfogare. Poi si calmerà. Pensate che alla sua età Napoleone era soltanto generale, Gotamo Budda era ancora uno scapestrato, Macario e Totò battevano i teatri di terz’ordine. Abbiate un po’ di pazienza, che diamine.
Dino Falconi e Angelo Frattini
Elementi dì osservazione interessanti per lo studio delle possibili soluzioni della crisi del palcoscenico minore italiano sono stati forniti da Walter Chiari e Ugo Tognazzi: non che le riviste da loro presentate fossero, in qualche modo, spettacoli degni di attenzione, ma i due giovani attori, nonostante tutto, sono riusciti a dimostrare che è tuttora viva, anzi più che mai viva, la loro intenzione di mantenersi su una posizione “antitradizionale” senza equivoci, anche a prezzo di rimboccarsi le maniche e tener banco in scena quasi ininterrottamente, per creare o almeno ricercare un determinato e ben preciso clima teatrale. In conseguenza, proprio su Chiari e Tognazzi, nonché (come vedremo) su Carlo Dapporto devono appuntarsi le maggiori speranze per un rinnovamento della rivista.
La differenza di gusti fra i due giovani capocomici (si deve dire cosi?) che troppo frettolosamente qualcuno ha definito “dello stesso tipo” sta in questo: che Walter Chiari presenta un personaggio all’inizio della rappresentazione e lo porta avanti, nonostante i numerosi cambiamenti d’abito e di scena, sino alla fine; mentre Ugo Tognazzi ne presenta un'infinità, «facendo appello a tutte le risorse della mimica e della sua voce singolarissima, e li riconduce tutti ad un minimo denominatore comune che è press'a poco il disgusto o perfino il ribrezzo per talune situazioni particolari della vita attuale. Strafanno? Qualche volta: ma devono ancora toccare la trentina, e i difetti se ne andranno. Comunque, e proprio in relazione alle caratteristiche di entrambi che abbiamo cercato di mettere in luce, ci sembra che Tognazzi ancor più di Chiari abbia bisogno di un copione ricco di invenzioni e suggerimenti. Dove vai se il cavallo non ce l’hai? di Scarnicci e Tarabusi non era davvero in possesso di tali requisiti. Lo spettacolo che ne risultava era anzi (prescindendo dalla presenza di Tognazzi) uno dei più deboli della stagione 1951-52.
S.G. Biamonte
È indubbio che, nella cronaca del teatro di rivista di questo dopoguerra, Walter Chiari abbia una sua posizione particolare e importante; e i futuri storici (se mai il teatro di rivista avrà — come sarebbe augurabile — uno storico) ne dovranno tener conto. Il suo è il caso di un giovane molto dotato che portò, negli anni immediatamente seguenti al ’45, una ventata d'aria fresca, una comicità nuova, fatta di spericolata goliardia (Walter — si disse — è il comico che recita senza cravatta) e di una simpatia immediata, quasi fisica nella sua istintiva salute.
Portò sul palcoscenico un bagaglio culturale isolato, diverse ambizioni e molte speranze. “Non è un attore”, si diceva, e alludevano alla sua incapacità di non essere altri che “Walter”, “ma si farà”.
I suoi vizi erano di eccesso e si parlò di esuberanza giovanile: “È questione di temperamento,” si diceva, “maturerà”.
Sono passati gli anni — non tanti, ma son passati — e Walter Chiari non è maturato: è simpatico, bravo (fin troppo, e lo sa e se ne compiace), brillante ma — mestiere teatrale a parte — da allora non ha fatto un passo avanti. Walter Chiari è il pendant lombardo di quell'istrionismo partenopeo che impera sui nostri palcoscenici di rivista (ed è singolare notare come l’altro comico milanese di questo periodo, Tino Scotti, non faccia che esasperare i vizi di Chiari). Sotto questa luce, la sua personalità è esemplare: è il rappresentante più tipico della civiltà della lambretta (quella che, appena ne ha i mezzi, passa alle automobili da corsa).
Morando Morandini
In realtà, Chiari — oltreché giovane — è « nuovo ». Non perchè sia recente, ma perchè sembra voler dare un calcio alle convenzioni sceniche dopo aver cacciato via a spinte la tradizione. Non vuol cantare, non vuol ballare, quasi quasi non vuol neanche recitare. Vuol essere se stesso — guardate un po’ che pretese — e fare ugualmente ridere. Il curioso è che ci riesce. Senza trucco e senza cravatta; d’accordo: forse si tratta di pose. Convenite, però, che sono due pose comode. Il giovane Walter si è fatto largo a furia di sberleffi, da quel ragazzaccio che è, fino a mettersi in prima fila. Qui giunto, ha letteralmente preso di petto lo spettatore, aggressivo, prepotente, strafottente, e l’ha costretto a dargli retta. Va bene, c’è chi brontola: « Eh, che maniere! »; ma i più ci stanno e si divertono. La comicità di Chiari è goliardica; ma è indubbiamente comicità. Recita come un boy-scout preoccupato di non essere ancora riuscito a compiere la quotidiana buona azione di prammatica; allora si precipita trafelato addosso ad una vecchia signora obbligandola ad attraversare la strada, si getta a capofitto nella roggia dove conta stia affogando un bambino, si lancia contro un cavallo in corsa nella speranza che sia imbizzarrito. Dài e dài, alla fine una buona azione ci scappa. Dài e dài, una buona risata la strappa. Si, ma se urlasse meno, se si agitasse meno... Un po’ di pazienza, amici. Chiari è tanto giovane. Lasciatelo sfogare. Poi si calmerà. Pensate che alla sua età Napoleone era soltanto generale, Gotamo Budda era ancora uno scapestrato, Macario e Totò battevano i teatri di terz’ordine. Abbiate un po’ di pazienza, che diamine.
Il cinema
Nel frattempo esordì nel cinema con Vanità, diretto da Giorgio Pàstina nel 1946: doppiato da Gualtiero De Angelis, vince il prestigioso premio "Nastro d'argento". Molto più noti sono i successivi ruoli in film-commedia come Totò al giro d'Italia (1948) e I cadetti di Guascogna (1950), in cui lavora con l'esordiente Ugo Tognazzi.
Nel 1951 Luchino Visconti gli offrì il ruolo del giovanotto cialtrone, modesto dongiovanni, in Bellissima, a fianco di Anna Magnani; questo ruolo, citatissimo dalla critica, fu fonte di grandi soddisfazioni artistiche, ma Walter continuò nel teatro leggero, nella commedia musicale (in coppia con Delia Scala nel 1956 con Buonanotte Bettina e nel 1958 con Il gufo e la gattina, e nel 1960 insieme a Sandra Mondaini, Ave Ninchi ed Alberto Bonucci con Un mandarino per Teo, tutte di Garinei e Giovannini), nel teatro di prosa recitando nel 1965 con Gianrico Tedeschi nella commedia Luv di Murray Schisgal, e nel 1966 con Renato Rascel ne La strana coppia di Neil Simon, e nel cinema di genere, al quale continuò infaticabilmente a lavorare prendendo parte, tra gli altri, ai film del filone comico-giudiziario Un giorno in pretura (1953), Accadde al commissariato (1954), Accadde al penitenziario (1955); film dai quali, qualche anno più tardi, prese origine la cosiddetta commedia all'italiana.
Il grande seduttore
Ma più che per le sue interpretazioni sul palcoscenico e sullo schermo, in quegli anni Walter Chiari fu sulle prime pagine dei rotocalchi per le storie d'amore con donne famose e attraenti che - a torto o a ragione - gli venivano attribuite dalla stampa "rosa". Da Elsa Martinelli a Delia Scala, a Lucia Bosè (con la quale intrattenne un lungo fidanzamento), alla principessa Maria Gabriella di Savoia, alla cantante italiana Mina. Veniva descritto come un infaticabile seduttore che inanella storie d'amore una dietro l'altra, ma in realtà erano quasi sempre le sue partner ad essere conquistate dalla sua prestanza fisica, dalla sua simpatia e dal suo carattere gioviale.
Nel 1957, grazie anche alla sua buona conoscenza dell'inglese, fu scritturato in una produzione statunitense girata a Cinecittà da Mark Robson. In questo film, intitolato La capannina, Walter Chiari ebbe l'opportunità di lavorare con Ava Gardner, all'epoca moglie separata di Frank Sinatra. Con lei intrecciò un chiacchierato e tumultuoso flirt, che proiettò la sua fama di rubacuori nelle pagine di cronaca mondana su tutte le riviste del mondo. Questa inaspettata pubblicità gli fece ottenere anche un ingaggio a Broadway, dove nel 1961 interpretò ben 113 repliche della commedia musicale The Gay Life, tratta da Schnitzler.
Ma anche la storia d'amore con l'attrice hollywoodiana non durò a lungo. Durante una sera, irritata da una graffiante parodia di suo marito che Walter improvvisò al termine di una cena, la Gardner si alzò sdegnata dal tavolo piantandolo in asso e andandosene direttamente all'aeroporto, da dove prese un aereo per gli Stati Uniti.
In una intervista concessa alla Domenica del Corriere n. 52 del 28 dicembre 1952 dichiarò di aver avuto più di una segreta passione: quella di diventare scrittore del tipo John Dos Passos o Ernest Hemingway; e quella di fare grandi viaggi negli sconfinati mari del sud.
Il monologo
Dotato di grandi capacità parodistiche, parlatore infaticabile (fu poi uno dei migliori attori alle prese con il monologo), negli anni sessanta Walter Chiari trovò finalmente nella televisione il mezzo più congeniale alla sua comicità, tanto da diventare in pochi anni il più noto e apprezzato comico televisivo italiano; con la sua voce un po' roca ed il gesticolare a scatti, univa infatti una straordinaria comicità di tipo fisico e mimico ad un eloquio scioltissimo, a tratti anche ricercato e forbito, che gli consentivano di prolungare a piacere qualsiasi sketch, trasformando ogni più semplice storiella in un divertentissimo monologo. Famosi in tal senso sketch come quelli del sommergibile, dove il Capitano dà gli ultimi consigli, prima di affondare, a un terrorizzato equipaggio, o del contadinotto imbranato che va per la prima volta a Milano ad assistere a una partita di calcio nel grande stadio di San Siro. A tal proposito era un grande tifoso del Milan, spesso contrapposto alla fede interista del suo amico e collega Gino Bramieri.
Il matrimonio
Nel 1966 venne scelto come attore protagonista per il film Sono strana gente (They're A Weird Mob), uno dei film fondamentali per la storia della cinematografia australiana, tratto da un famoso romanzo di John O' Grady. Il regista Michael Powell volle che fosse Walter Chiari ad interpretare Nino Culotta, un giornalista italiano emigrato a Sydney che, pur conoscendo bene la lingua inglese, trova difficoltà di adattamento per il particolare slang australiano e le usanze del posto. Grazie alla grande esperienza teatrale e cinematografica ed all'ottima conoscenza della lingua inglese, Chiari fu protagonista di una riuscita prova interpretativa, riscuotendo un enorme successo di pubblico e di critica.
Durante le riprese del film Sono strana gente, l'attore aveva conosciuto sul set l'attrice Alida Chelli ed aveva iniziato con lei una lunga e tempestosa storia d'amore fatta di litigi, riappacificazioni, separazioni e ricongiungimenti meticolosamente scanditi dalle copertine dei settimanali. Finalmente nel 1969, mentre Alida era impegnata nelle riprese dello sceneggiato televisivo Giocando a golf una mattina, ricevette una telefonata da Sydney. All'altro capo del filo c'era Walter, che nella città australiana stava girando il film Squeeze a Flower (mai distribuito in Italia), che le disse «Sono vestito da frate davanti a una fontana, se accetti di sposarmi mi ci butto dentro!». Due giorni dopo le nozze vennero celebrate in una chiesa di Sydney, ma il matrimonio si preannunciò immediatamente irto di problemi dal momento che all'uscita della chiesa Walter venne "prelevato" dagli emissari della produzione che lo portarono ad un evento promozionale a cui doveva partecipare e di cui si era "dimenticato" (i ritardi e le "buche" agli appuntamenti erano una caratteristica dell'attore), per cui la povera sposa si trovò a dover tagliare da sola la torta nuziale.
I due divorziarono nel 1972, dopo meno di tre anni dalle nozze, ma anche in seguito Walter restò sempre in buoni rapporti con Alida e con il figlio Simone.
La televisione
Sul piccolo schermo ripropose numerosi sketch tratti dalle sue riviste, il più celebre dei quali rimane quello del Sarchiapone, trasmesso per la prima volta nel 1958 durante il programma televisivo La via del successo insieme a Carlo Campanini, sua fedele "spalla"; partecipa come ospite fisso a numerose trasmissioni, su tutte Studio Uno, con la regia di Antonello Falqui.
Al cinema interpreta ancora alcuni ruoli degni di nota: ne La rimpatriata (1962) di Damiano Damiani è il ragazzone un po' strafottente che rimette insieme un gruppo di vecchi amici per una serata di evasione, e che si conclude invece con amare riflessioni; ne Il giovedì (1963) di Dino Risi è invece un uomo profondamente immaturo, alle prese con il suo improbabile ruolo di padre divorziato. Nel 1966 si fece notare per due interpretazioni molto diverse: quella del balbuziente Silence nel Falstaff firmato da Orson Welles, e di Sandro, il cinico giornalista che nel film Io, io, io... e gli altri, diretto da Alessandro Blasetti, conduce un'inchiesta sull'egoismo che lo spinge a riflettere sulla propria vita.
Nel 1968 condusse in televisione una delle più fortunate edizioni di Canzonissima, in trio con Mina e Paolo Panelli. Nel 1969 fu protagonista con la moglie Alida Chelli del giallo-rosa Geminus, sceneggiato televisivo in sei puntate diretto da Luciano Emmer. Il suo vizio di "sforare" anche di decine di minuti le sue trasmissioni gli procurò non pochi guai alla RAI (unica a trasmettere in Italia in quel periodo)
I problemi con la giustizia e l'inizio del declino
Il 20 maggio del 1970, mentre si stava recando negli studi radiofonici della RAI di Via Asiago per registrare una puntata del programma Speciale per voi, Walter Chiari venne arrestato. L'attore era accusato di consumo e spaccio di cocaina da un piccolo delinquente e si ritrovò nel vortice di uno scandalo, ingigantito dai media e dalla stampa dell'epoca, che coinvolse suo malgrado anche Lelio Luttazzi, completamente estraneo alla vicenda.
Walter Chiari restò in carcere 70 giorni tra il maggio e l'agosto del 1970 (dove l'8 agosto venne a conoscenza della nascita del figlio Simone da un agente di custodia), e l'anno seguente fu processato, venendo prosciolto dall'accusa di spaccio e condannato con la condizionale per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale.
Ritorno in scena
Tornato in libertà, nel 1973 Walter Chiari partecipò allo spettacolo musicale L'appuntamento insieme con Ornella Vanoni. Emarginato dalla RAI e ignorato dai produttori teatrali, gli venne inaspettatamente offerta l'opportunità di tornare alla ribalta nell'estate del 1974 da Paolo Pillitteri, allora giovane assessore alla Cultura del Comune di Milano, che gli offrì di partecipare ad una serata nell'ambito della serie di spettacoli Vacanze a Milano, patrocinati dall'amministrazione del capoluogo lombardo. Da quella sera, conclusasi con lunghe ovazioni e due bis, ebbe inizio per Walter la riconquista della sua professionalità.
Sempre nel 1974, per i tipi dell'editore SIPIEL di Milano, pubblicò il suo primo ed ultimo libro, Quando spunta la luna a Walterchiari, che egli stesso nella copertina definì "semiromanzo quasibiografico".
Ma il cammino per risalire la china della popolarità risultò arduo, e per sbarcare il lunario Walter Chiari si adattò a lavorare in film di serie B e nelle emergenti TV private, dove conduceva spettacoli leggeri per un pubblico circoscritto ma che comunque continuava a tributargli affetto. Tra il 1977 ed il 1978 condusse A mezzanotte va... su Tele Alto Milanese (programma antesignano degli spogliarelli integrali), quindi Walter Chiari di sera sull'emittente pavese Tele Monte Penice ed in seguito Ciao, come stai? nel 1980 e Mezzogiorno di gioco nel 1986 su Antenna 3 Lombardia, quest'ultimo insieme alla giovane Patrizia Caselli, con la quale già dal 1979 faceva coppia anche nella vita, nonostante il grande divario d'età (36 anni di differenza).
Il ritorno in scena non fu scevro di polemiche. A Genova nel 1975, durante lo spettacolo Chiari di luna, in cui Walter reggeva la scena da solo per due ore, egli pronunciò una battuta che suonava come: "Quando fu appeso per i piedi a Piazzale Loreto, dalle tasche di Mussolini non cadde nemmeno una monetina. Se i nuovi reggitori d'Italia avessero subito la stessa sorte, chissà cosa uscirebbe dalle tasche di lorsignori!" scatenando dissensi e contestazioni tra il pubblico, al punto che le successive repliche dello spettacolo vennero disturbate da picchetti di dimostranti all'ingresso del teatro, mentre la stampa non tardò a manifestare a Chiari tutto il suo disappunto per la battuta.
Il 24 giugno del 1978 fu protagonista nella prima parte dello spettacolo che segnò l'attesissimo ritorno sulle scene di Mina al teatro-tenda Bussoladomani, in Versilia, Nello stesso anno tornò al teatro leggero con la commedia di Paolo Mosca Hai mai provato nell'acqua calda? in cui aveva come partner Ivana Monti. Nel 1982, sempre con la Monti, riportò in scena Il gufo e la gattina, curandone anche la regia teatrale.
Tra il 1979 e il 1981 si collocano le sue ultime partecipazioni di rilievo in RAI dove, coadiuvato da Augusto Martelli], condusse la trasmissione Una valigia tutta blu. Nello stesso anno, il 7 dicembre, gli venne conferita dal sindaco di Milano Carlo Tognoli la benemerenza civica (medaglia d'oro) della città. Nel 1981 fu nel cast della seconda edizione del fortunato programma del sabato sera Fantastico, al fianco di Heather Parisi, Oriella Dorella, Romina Power, Memo Remigi, Claudio Cecchetto e Gigi Sabani.
Nell'estate del 1985 tuttavia il suo nome fu nuovamente associato ad una vicenda giudiziaria. Venne infatti accusato insieme al cantautore Franco Califano dal camorrista "pentito" Giovanni Melluso (lo stesso accusatore di Enzo Tortora) di aver trattato l'acquisto di rilevanti partite di droga. Anche se questa volta Chiari venne prosciolto in istruttoria, per lui la vicenda fu un altro duro colpo da sopportare.
Soltanto nel 1986 venne riabilitato dal mondo dello spettacolo grazie al teatro di prosa, al quale ritornò interpretando il personaggio dell'avvocato Lattes in un adattamento de Gli amici di Arnold Wesker, ed al programma televisivo della RAI in sette puntate Storia di un altro italiano, biografia appassionata per la regia di Tatti Sanguineti. Nel 1986, nell'ambito delle celebrazioni per Firenze capitale europea della cultura, riprese la collaborazione con l'amico Renato Rascel, con il quale interpretò Finale di partita di Samuel Beckett per la regia di Giuseppe Di Leva.
Nel 1987 Ugo Gregoretti, allora direttore del Teatro Stabile di Torino lo chiamò per interpretare Il critico di Richard Sheridan e tra il 1988 ed il 1989 Six heures au plus tard, di Marc Terrier, in cui recitava assieme a Ruggero Cara. Nel 1990 ripropose Il gufo e la gattina, stavolta insieme a Lory Del Santo. Tornò anche al cinema con il film Romance di Massimo Mazzucco, per il quale fu candidato alla Coppa Volpi come migliore attore alla Mostra del Cinema di Venezia, senza vincere il premio per un soffio (in tale occasione, dato già per sicuro vincitore, Chiari aveva offerto da bere champagne agli amici). Ebbe anche il ruolo di Tonio nei Promessi sposi di Nocita.
Nel 1990 interpretò il suo ultimo film, Tracce di vita amorosa di Peter Del Monte. Negli ultimi anni di vita dell'attore ci fu un riavvicinamento con la città di Grottaglie di cui era originario il padre. Un riavvicinamento sancito, tra l'altro, da una memorabile serata tenuta dal grande artista presso il Quartiere delle Ceramiche.
L'ultima trasmissione televisiva a cui partecipò fu - in qualità di ospite - A pranzo con Wilma, condotta da Wilma De Angelis su Telemontecarlo; la puntata, registrata il 18 dicembre 1991, sarebbe dovuta andare in onda il 25 dicembre successivo ma non fu mai trasmessa.
La sua ultima apparizione televisiva mandata in onda, invece, fu a Domenica Italiana, trasmissione televisiva condotta dall'allora trentenne Paolo Bonolis, il 10 Novembre 1991. In quell'occasione Walter Chiari si rese protagonista di un'esilarante (e forse involontaria) gag con il conduttore. La trasmissione volse al termine ed iniziarono ad apparire i consueti titoli di coda, ma Walter Chiari non accennava a smettere di parlare ed a nulla valsero i tentativi di Bonolis (in evidente imbarazzo) di interrompere il suo discorso. La gag fu raccontata dallo stesso Bonolis in occasione dell'edizione estiva di Cortina InConTra 2011, dove fu fatto visionare il video con gli ultimi tre minuti di quella trasmissione, tra le risate del pubblico, dello stesso Bonolis e del conduttore dell'evento Marino Bartoletti.
La morte improvvisa
Nel dicembre del 1991 Walter Chiari si era recato al Teatro Manzoni per applaudire il collega ed amico Gino Bramieri. All'inizio di quello stesso mese era stato ricoverato all'Ospedale San Carlo di Milano per un piccolo intervento chirurgico, peraltro senza alcun problema, e pochi giorni dopo dimesso.
Il 20 dicembre l'attore aveva in programma una cena con l'impresario teatrale Libero Zibelli, suo amico da oltre vent'anni, il quale non vedendolo arrivare chiamò la stanza 50 del residence Siloe di Via Cesari, dove Chiari viveva da solo da tre anni dopo essersi separato anche da Patrizia Caselli. Non ricevendo risposta Zibelli, allarmato, si recò presso il residence e sfondò la porta, trovando il povero Walter esanime sulla poltrona con gli occhiali sul naso e la televisione ancora accesa. L'autopsia rivelò che la causa della morte fu un'insufficienza cardiocircolatoria (infarto). Aveva 67 anni. Per ironia della sorte, poche ore prima di morire si era sottoposto ad un check-up completo, risultato perfettamente regolare. L'ultimo giorno aveva invitato a pranzo in un ristorante vicino al teatro Nazionale la sua amica Masha Sirago, che frequentava da due anni e le stava molto vicino affettuosamente.
I funerali di Walter Chiari si svolsero presso la Chiesa di San Pietro in Sala, in piazza Wagner, a due passi da quel Teatro Nazionale dove l'attore si esibiva spesso quando recitava a Milano, e vi partecipò una folla immensa che gli tributò un ultimo, lungo e scrosciante applauso. Sulla lapide dove riposa, nel Civico Mausoleo Palanti presso il Cimitero Monumentale di Milano non è incisa, come erroneamente si è detto, la battuta che a Dino Risi aveva confidato voleva fosse scritta: "Amici non piangete, è soltanto sonno arretrato".
Nel 1996 la magistratura ha archiviato la morte di Walter Chiari facendo così cadere l'accusa di omicidio colposo per il massaggiatore abusivo Pierantonio Betelli.
Omaggi
Dopo la scomparsa dell'attore, il comune di Grottaglie ha dedicato a Chiari una strada e celebrato diverse manifestazioni e incontri in suo ricordo, a cui ha partecipato anche il figlio Simone. L'evento è stato oggetto del documentario Il complesso di Walter diretto da Alfredo Traversa e uscito nel 2006.
Anche il comune di Andria gli ha dedicato un viale alberato, proprio nella zona in cui abitavano alcuni suoi parenti materni.
Nel 2012 la Casanova Multimedia ha prodotto per conto di Rai Fiction una miniserie televisiva in due puntate, che è andata in onda su Rai 1 in prima serata domenica 26 e lunedì 27 febbraio, dedicata alla vita e alla carriera di Walter Chiari dal titolo Walter Chiari - Fino all'ultima risata. Ad interpretare il celebre comico italiano è l'attore Alessio Boni mentre la regia è stata affidata a Enzo Monteleone. Il cantautore Flavio Giurato, fratello del più celebre Luca, ha dedicato a Walter Chiari un brano del fortunato album "Il tuffatore".
Influenza culturale
A Chiari, ed al celebre Sarchiapone, è dedicato il concorso che si svolge ogni anno a Cervia in estate, riservato ai giovani comici emergenti. Dal 2006 il premio è rappresentato dal "Sarchiapone" in ceramica realizzato plasticamente da Francesco Annichiarico e graffita da Stefano Monteforte entrambi artisti di Grottaglie e sarà il simbolo delle successive edizioni.
Il film del 1996 di Pupi Avati, Festival, è ispirato a Chiari e alla sua mancata vittoria, come miglior attore, alla Mostra del Cinema di Venezia (tra l'altro l'attore che "soffiò" la vittoria a Walter Chiari fu Carlo Delle Piane con un film proprio di Avati, Regalo di Natale).
Il personaggio
Caratteristiche fisiche e psicologiche
Sotto i quarant’anni, asciutto, snodato, cura molto il proprio fisico: frequenta istituti di bellezza maschile, ha il vogatore e la lampada al quarzo, fa il sub, qualche partitella di calcio con gli amici (scapoli contro ammogliati) e qualche settimana bianca, per tenersi in forma (da ragazzo ha battuto un record provinciale di atletica leggera juniores). Dorme con la finestra aperta, appena sveglio fa cinque minuti di ginnastica. Si propone sempre di smettere di fumare, senza peraltro riuscirci. Intensifica in marzo la cura del proprio corpo in vista delle esibizioni estive (arriva sulla spiaggia già abbronzato: cfr. lampada al quarzo). In ferie tiene la camicia sbottonata da cui spunta un ciuffo di peli, che fa pendant col ciuffo di capelli, e la catenina che gli ha regalato la mamma. Gran consumatore di deodoranti, badedas, after shave. Veste sportivo-classico, in città, con la cravatta spesso tirata giù e il colletto slacciato; in vacanza porta blue-jeans e pullover. Gesticolazione nevrotica tipicamente settentrionale. Estroverso, vociante, un po’ insistente, parla a mitraglia. Tira tardi. Ha molta simpatia e indulgenza verso se stesso. È mammista e razzista con le donne. Sbruffone, è l’italiano del sorpasso.
Condizione sociale
Lombardo, volitivo, lavoratore, pur essendo di estrazione piccolo-borghese è approdato alla media borghesia: la sua gamma di attività professionale si estende dal commesso viaggiatore al commercialista non troppo affermato, passando per l’impiegato di banca, il perito, il direttore di un concessionario d’automobili.
Miracolato del boom, guadagna abbastanza bene. Sfrenatamente consumistico, possiede: una macchina sportiva, comunque veloce, con molta ripresa, preferibilmente una Giulia (dice: "da casello a casello”), e il portaritratto calamitato sul cruscotto con i due figli Luca e Monica e la scritta “papà non correre”; giradischi stereofonico, televisione a colori con antenna per la Svizzera, filodiffusione; un appartamento in un quartiere giardino, pentacamere biservizi boxauto, comprato col mutuo; un angolo-bar; lampada ad arco Castiglioni, un tavolo Willy Rizzo, una grafica di Bernard Buffet, il divano Marenco; caminetto decorativo, ficus, una bella moglie con mèches che non lavora; un’amante giovane, socialmente inferiore. Centro-destra laico.
Cultura
Liceo scientifico o istituti tecnici; forse ha frequentato economia e commercio. Ha il mito della scientificità: vorrebbe un governo di tecnocrati, ammira l’efficienza israeliana, anche se la sua nazione ideale resta l’America. Se la cava con l’inglese, che ha studiato alla Berlitz. Ex lettore di "Selezione del Reader’s Digest”, di "Playboy” edizione americana, che comprava in Svizzera quando andava a fare il pieno di benzina, abbonato a "Epoca”, “Quattroruote”, "Mondo Sommerso”, compra saltuariamente anche "Duepiù”, "Playmen”, ‘‘La Gazzetta dello Sport", “Gente”, e "Il Corriere della Sera” (dice però: "ormai è uguale all’‘Unità’ ”). Ammira Montanelli e Veronelli, dei quali possiede alcuni testi fondamentali. Alcuni best seller (Papillon, Il Padrino, Un amore di Buzzati, Il gabbiano Jonathan Livingston, le prime tre pagine del Primo cerchio di Solzenycin). Ex divoratore di film d’azione americani in seconda visione, oggi vede in prima visione l’opera omnia di Laura Antonelli, Terence Hill e Bud Spencer, i grandi successi di cassetta americani, Un uomo, una donna, Un tocco di classe, Ultimo tango a Parigi, visto in piedi nei primi giorni di programmazione. Vede anche un po’ di televisione, verso la quale ostenta anche un certo disprezzo, per fare l’anticonformista. Ma apprezza La domenica sportiva, le trasmissioni ecologiche alla Cousteau, qualche vecchio film americano con gli attori della sua giovinezza. Va a teatro un paio di volte all’anno per Bramieri, Walter Chiari, la Proclemer. Ma le sue vere emozioni estetiche le vive con Ornella Vanoni e, soprattutto, la Mina. Ammira Barnard, va ai clubs mediterranée (dove gode molto a pagare con le conchiglie). I suoi luoghi di cultura sono lo stadio di San Siro, i ristoranti tipici, anche esotici (sebbene abitualmente si nutra di risotto, paillard, pompelmo) dove va sempre almeno con un’altra coppia, i party in casa propria o di amici, e soprattutto il Bar, suo habitat naturale.
Argomenti di conversazione abituali: automobile, sport, sesso (sfoggia i suoi successi con le donne, esagerandoli) e i viaggi organizzati in paesi extraeuropei fatti con la moglie. Lamentele sul governo e la contestazione studentesca.
Osservazioni
L’attore Walter Chiari incarna da trent’anni il suo personaggio con una coerenza estrema, ai limiti della nevrosi. Anche quelli dei suoi sketches che paiono più lontani da questo modello, come l’imitazione dei fratelli De Rege, rientrano perfettamente nel quadro generale, essendo eseguiti con lo stesso spirito con cui il personaggio Chiari da giovane imitava i professori nell’intervallo fra una lezione e l’altra. La sua misura espressiva perfetta è il monologo (condotto nel neovolgare dell’era tecnologica, con imprestiti da linguaggi settoriali, sportivo, tecnico, pubblicitario, manageriale): il pubblico del teatro coincide con il gruppo degli amici del bar. È il comico italiano che maggiormente si avvicina al modello dell’entertaner americano, con la differenza che alla violenza verbale e all’impegno politico contrappone la "simpatia" e un qualunquismo irrimediabile.
Nelle scenette, a favorire la progressione iperbolica degli effetti sino allo scoppio finale, interviene talvolta una "spalla”, generalmente Carlo Campanini, il cui personaggio è il calco negativo di quello di Walter Chiari: timido, goffo, balbuziente, dimostra più anni di quelli che ha, è pesante, ha scarsa dimestichezza con le donne, conserva un candore di fondo che gli impedisce una sua totale integrazione nella società dei consumi.
Galleria fotografica e stampa dell'epoca
Settimanale «Epoca», dicembre 1950 - "Gildo", rivista di Walter Chiari
Lacrime e risate di Walter Chiari
Molti lettori, fra cui Natila S. ed Elena P., Firenze; Silvana Storiano, viale Zara 82, Milano; M. Rota, Milano; Briciola, Genova; ci hanno rivolto domande su Walter Chiari. Quando e dove sia nato, che cosa facesse prima di dedicarsi al teatro, quali siano le sue vere aspirazioni, i suoi progetti per l'avvenire. A queste domande e a tante altre che i esprimono tutte simpatia e interesse per il giovane capocomico, risponde lo stesso Walter Chiari.
Sono nato a Verona nel 1924. Ma la mia vera città è Milano, dove ho trascorso l’infanzia e dove tuttora abito (per quanto lo consenta la mia attività) con i miei genitori. Il quartiere in cui sono vissuto per molti anni è uno dei tanti della grande periferia di Milano. Tra quelle case tutte eguali sono nati i miei sogni. Ho pianto e riso come tutti i ragazzi di questo mondo, sognando a occhi aperti le solite cose fantastiche che popolano il mondo dell’infanzia e della prima giovinezza. Quando avevo tre anni, mio padre pensò 'li fare di me un avvocato. Capita spesso ai padri di ipotecare l'avvenire dei propri figli. Poi gli anni passano e i figli s’incaricano di rovinare tutto. Arriva un giorno - è sempre triste quel giorno - in cui i figli prendono un’altra strada, e il padre in silenzio li sta a guardare. È una vecchia storia, una vecchia storia Patetica come quella che interpreta Paolo Stoppa in «Morte di un commesso viaggiatore».
Io m’incaricai di spezzare i sogni di mio padre a quindici anni. Fu quando m’iscrissi tra i soci di una palestra per pugilato ri dilettanti. Dopo sei mesi conquistavo il titolo di campione lombardo dei pesi piuma. Quel match per me memorabile, perché si concludeva con la mia prima vittoria, rappresentò il primo incontro col pubblico di un uomo che avrebbe dovuto prendere a pugni la vita facendo l’avvocato. Ero orgoglioso del titolo di campione. Ero tanto orgoglioso quanto mio padre era demoralizzato. Poi sopraggiunse la guerra e le cose cambiarono.
Non potrei dire con precisione quando mi venne in mente di recitare. So che partecipai a una delle tante «Ore del dilettante» organizzate dalla Radio Italiana, che allora si chiamava E.I.A.R. Ebbi successo, e decisi fermissimamente di far l’attore. Fu una decisione saggia o no? È difficile rispondere. Dal 1946 (anno in cui esordii come attore comico nella mia prima rivista) a oggi, continuo a rivolgermi questa domanda alla quale non riesco a dare una risposta esatta. Perché se amo il teatro, amo anche scrivere e viaggiare. Vorrei poter scrivere più di un romanzo, e diventare celebre non come attore ma come scrittore. Due anni fa ero in procinto di lasciare il palcoscenico per fare l’inviato speciale di un quotidiano milanese. All’ultimo momento non mi fu possibile annullare il contratto con la Compagnia e tutto rimase come prima. O meglio, le cose cambiarono egualmente per me, almeno in parte. Cominciai a intercalare la rivista al cinema, e feci male. Certi registi fanno le cose in fretta coi risultati che tutti sanno. È umiliante per un attore fare del cinema come l’ho fatto io. Perché, nonostante il mio sogno di scrittore, amo - come ho già detto - il teatro e rispetto profondamente gli attori, tutti gii attori.
Mi piacerebbe, domani, dire qualcosa di più a quel pubblico che mi vuol bene e al quale voglio bene. Impegnarmi nell’interpretazione di un personaggio drammatico, esprimere qualche lato migliore, o per lo meno più umano, di questo Walter Ciliari che pochissimo conosco veramente. Sarà un sogno anche questo?
Walter Chiari, attore e capocomico «Epoca», 1951
I guai di Walter
Walter Chiari? C’è ormai qualcuno che non lo conosca? Basta la riproduzione del suo volto su un cartellone a richiamare nelle sale cinematografiche migliaia di spettatori. Il suo volto dalle mille espressioni, ora buffamente patetico, ora serio, ora raggiante, ora semplicemente buffo, è il più nobile ed espressivo di quanti, fino ad oggi, siano apparsi sullo schermo italiano. I personaggi di Walter, di solito, si trovano nei guai. Sia. Walter, commesso in un negozio di articoli sportivi, sia egli un disoccupato in cerca di lavoro, Walter ha la capacità di tirarsi addosso guai, sempre guai, e con questi riesce a divertirci immensamente. Gli ultimi pasticci nei quali è caduto, costituiscono la trama del film «Vendetta... sarda», prodotto dalla Excelsa Film e distribuito dalla Minerva Film.
«Vendetta... sarda», un titolo che ci fa pensare subito a duelli rusticani, a rivalità, a furibonde gelosie. Immaginiamo Walter in mezzo a tutto questo. L’azione prende inizio da un locale elegante, il «Somarello d’oro», sprovvisto, però, di eleganti clienti: rapidamente, poi. l’azione si sposta a Dente di Canu, un piccolo paese della Sardegna, e tutti i personaggi del film entrano nelle situazioni più pericolose e per il pubblico più divertenti. Pensate, per esempio, a quella che sarà la scena in cui Gualtiero, Mario e Riccardo, i tre eroi del film, dovranno duellare con i feroci fratelli Leoni. All’ultimo momento i nostri amici si accorgono che i fucili dei loro avversari non sparano a salve, come da un’intesa segreta era stato stabilito, ma che sparano autentici e mortali colpi!
Il regista del film, Mario Mattoli, ci promette un buon film; a sua disposizione, per realizzarlo, sono attori ormai pienamente affermati, come Walter Chiari, Mario Riva, Riccardo Billi, Carlo Campanini, Giovanna Pala. Dorian Gray, Alberto Sorrentino, Giorgio Bixio. Anna Maestri, Carlo Croccolo e la bella Franca Marzi.
«Noi donne», anno VII, n.5, 2 febbraio 1952
MACARIO E CHIARI. Nel giro di due sere, a Milano, da una parte Macario e dall'altra Walter Chiari; come dire la stabile tradizione contro l'irrequieta ricérca della novità: un confronto non facile e, nel caso in questione, combattuto poi ad armi impari, poiché il copione di Tutte donne meno io non è nemmeno lontanamente confrontabile con quello dei saltimbanchi. Insomma. Chiari ha corso su una Ferrari e Macario, tutt'al più, su una vecchia Bugatti. Ma non era di una gara che si voleva parlare; piuttosto di un'antitesi che si è presentata, sui due palcoscenici milanesi, nei suoi termini opposti. Macario è la tradizione, una scuola. il remoto ricordo dei guitti di una giovinezza raminga e, alla sua maniera, romantica; Chiari è l'improvvisazione e l'anti-tradizione, un po' di goliardia, qualche scintilla pazza e perciò stesso estrosa, un temperamento-fiume.
Macario è assai più attore di Chiari, nel senso tradizionale della parola; Macario conosce i toni, i sottotoni, le pause; non ha segreti per lui l'arte delle grimacca, la mimica che fa, di una maschera come quella che egli interpreta da anni, un cangiante personaggio teatrale. Chiari non recita ma parla; è sulla scena come nella vita, irruento, polemico, fragoroso e fanciullesco. Macario nella vita è un tranquillo signore in doppio petto che parla con pacata nostalgia degli attori, di prosa, del tempo che fu; la figura di Chiarì si confonde con quelle d'una serie di giovani del nostro tempo, un po’ sovraeccitati, tirati a mille giri, ma che magari s'arrestano di colpo, tac, chi sa perché, una molla s'è rotta o semplicemente hanno trovato una ragazza che li ha portati alTnltare; di costoro Chiari interpreta assai bene il linguaggio aspro e insieme barocco, infantile e paradossale. Dunque, per Macario, non c'è niente do fare, ci vuole uno spettacolo costruito secondo le dimensioni normali. Per Chiari va bene lo spettacolo-rivoluzione.
Il fatto è che spettacolo normale non vuol dire la povertà di copione di Tutte donne meno io. Lo spunto, si sa, era ottimo; era una idea che Macario rigirava dentro di sé da parecchio tempo, quella di presentare uno spettacolo in cui l'unico uomo fosse lui e, intorno, tutte donne; un'idea che fa parte anche di quella sua galante funzione di Diogene della passerella, sempre in cerca di belle donnine da lanciare. Ed era un'idea anche quella di mettergli accanto Carla Del Poggio. Soltanto, sia per lui sia per lei. I due autori, Scarnicci e Tarabusi, non hanno trovato i quadri tipici, funzionali; hanno tratto Macario fuori dalla sua maschera di tonto candido e furbo, ma i nuovi personaggi che egli interpreta non sono al centro di situazioni irresistibili, né originali; e reggono solo per il mimetismo intelligente di questo dotatissimo comico, che è riuscito a dare, per esempio, una nota nuova, fatta di astuzia sorniona, a un personaggio secolare come quello del vieux marchcur. Quanto a Carla Del Poggio, dopo la presentazione. Indovinatissima, che cosa le hanno offerto, i due autori? Assai poco, per la verità. E si che, elegante, pepata e nervosa, la Del Poggio ha dimostrato di avere brio, disinvoltura, una certa vocazione persino; di potere, insomma, diventare un'ottima soubrette. Lo spettacolo, dicono, è stato ora rinsanguato e in parte modificato; è stato chiamuto a collaborarvi, dicono, quell'abile cerusico del cosiddetto teatro minore che è Marcello Marchesi. Dunque, una rivista da rivedere e tonti auguri. Non bastano infatti un titolo, delle buone coreografie e le canzoni di Amru Sani, per fare uno spettacolo.
A Walter Chiari, invece, è andata bene. Ed è andata bene perché, dopo la troppo polemica Controcorrente dell'anno scorso, egli ha trovato la giusta misura, la via di mezzo tra spettacolo e contenuto, fra quel po’ d'apparenza che pur cl vuole, e la sostanza comica, che è fondamentale. Cosi, lontano dall'accentuuto e un po' duretto e talvolta sgradevole broncio satirico dei Fo-Durano-Parenti e dall'intellettualismo amarognolo dei Gobbi, s'è rifatto, in fondo, a quelle che furon le origini della rivista in Italia, dai tempi di Turlupineide a quelli di Zabum: cioè, molta prosa, molte idee, un certo sprezzo del conformismo, senza tuttavia pestar troppo sui piedi alle platee, ché tanto alle prediche fatte dai quei frivoli pulpiti nessuno cl crede; e un intelligente impiego degli attori del teutro maggiore. Il tutto, entro una cornice da rivista, naturalmente. Cosi, Aroldo Tieri e Liliana Tellini - il primo, forse, un po’ sacrificato - portano allo spettacolo una nota particolare, si concedono all'ironia di se stessi, il che è piuttosto divertente, considerato il fatto che, per esempio, Tieri è uno dei migliori primi attori di cui il teatro italiano possa disporre. E cosi, ugualmente funzionali sono Enzo Turco, Franco Scandurra, Antonella Steni e tutti gli altri, dalla coreografa Gisa Geert ai danzatori Jerome Johnson, Wilbert Bradley e Julie Robinson. E poi c'è lui, Walter. Un Walter finalmente equilibrato, non proprio traboccante. E un testo, c’è, che ha persino qualche pretesa lette raria. Complimenti.
R.D.M., «Epoca», 1954
Chiari-Campanini con Colette Marchand
Tra le quinte del Politeama Rossetti. La nuova compagnia progettata da Walter, per la quale stenderà egli stesso il copione
Se nella rivista, in campo femminile, esiste ancora una Wanda Osiris che tutti ormai conoscono come la Wandissima, il teatro può oggi annoverare tra le sue file anche un Walter Chiari che ben a ragione i più incominciano già a chiamarlo il Walterissimo. Questo fanciullo prodigio cui tutto è consentito, gode di una popolarità alla quale pochi dei comici italiani sono finora arrivati ed il segreto di tanto successo sta nella semplicità dei suoi modi ed a volte anche del suo parlare in ogni momento della vita. A vederlo mentre lavora sulla scena potrebbe anche sembrare che il Chiari usi atteggiamenti e toni di voce solo ed in rapporto con il copione che deve recitare. Invece... Sì, proprio così. Fuori del teatro egli cambia poco se non addirittura niente. E' fatto così in quanto sente l’influenza degli astri ed ha bisogno di averne sempre vicino qualcuno che lo tenga a bada, sennò straripa.
Walter è un caro ragazzone al quale si possono anche perdonare certe stranezze e come attore, a mano a mano che il tempo passa, diventa sempre più completo. Di lui, recentemente, Orio Vergani ebbe a scrivere che potrebbe anche essere un nuovo «Cimara in montgomery» e la definizione è azzeccata in pieno. Forse come ingegnere, perchè tale lo volevano i suoi genitori, non avrebbe avuto successo e forse come atleta, perchè una promessa egli si considerava da ragazzo, avrebbe fatto fiasco. Nella sua vita vi è stata, ad un certo punto, la svolta decisiva. Accadde una sera, a Milano, durante una rivista alla quale egli intervenne fra i tanti ed anonimi spettatori.
Il presentatore, quel giorno, ebbe bisogno di qualche persona presente in sala per dei giochetti oggi tanto in voga sui palcoscenici e negli spettacoli della radio. Un amico del Chiari, incoraggiandolo, lo spinse avanti ed egli, per la prima volta, presentandosi al pubblico, ottenne l’inaspettato successo.
Son passati degli anni ed in questo tempo molti sono stati anche i film interpretati, primo fra i quali «Vanità», poi «Totò al Giro d’Italia», «Quel fantasma di mio marito» e tanti altri ancora. Se avesse continuato a sostenere ruoli come quello di «Vanità» oggi avremmo un attore drammatico sul tipo di Daniel Gelin ma il pubblico pretende che al cinema Chiari continui a fare le smorfie della rivista. La rivi-
sta. Ecco questa è la grande sposa alla quale egli dedica con passione tutte le sue risorse. Ma della rivista Walter Chiari non vuol essere ora soltanto il comico ma anche l’autore e dato il fatto che un tempo buttava giù racconti e poesiole ha ripreso in mano la penna mettendosi a stendere i copioni che scrive su misura, cioè secondo quelle che sono le sue più spiccate attitudini. Ed in quei copioni sa rispettare il dialogo, le buone battute, le scenette paradossali.
Ieri sera, nel suo camerino, al Politeama Rossetti, gli abbiamo chiesto i suoi progetti. Ed ecco la risposta: il prossimo anno ritornerà a Trieste presentando, scritta naturalmente da lui, una rivista nella quale conta di poter aver ri-confermata la prestazione del Tieri con in più, nuovamente al suo fianco, Carlo Campanini e l'attrice francese Colette Marchand che ammirammo nel film «Moulin Rouge». Inoltre, risposando la vecchia formula, s’attornierà di un grande balletto di belle ragazze ch'egli stesso sceglierà andandosele a scritturare a Londra. Per quanto concerne invece il cinema, la radio e la televisione, Walter Chiari deciderà non appena rientrato a Roma.
SIM, «Il Piccolo di Trieste», 17 maggio 1955
32 domande a Walter Chiari
Walter Chiari è nato a Verona nel 1924, da genitori pugliesi che si trasferirono presto a Milano. Trascorse l’infanzia fra le palestre sportive e le "bande” di quartiere. E’ giunto al teatro dagli spettacoli goliardici. La sua prima rivista, con Marisa Maresca (”Se mi bacia Lola”) è del 1946. Seguono, fra le più importanti, "Gildo”, "Controcorrente”, "Simpatia”. Ultima, attualmente sulle scene italiane: "Oh quante belle figlie Madama Dorè” a fianco della Marchand e Campanini. Tra i suoi film: "O. K. Nerone”, ”L’inafferraMle dodici", "Bellissima”. La sua vita trascorre tra Milano e Roma.
Domanda. - Qual è nella vita la cosa che la spaventa di più?
Risposta. - Morire mentre sono in vita.
D. - E nella sua professione?
R. - Morire mentre sto recitando. E magari cascare proprio sulla grancassa e, morente, udire il giovane critico colto che mormora a un vicino: "L’ha già fatto Charlie Chaplin in Luci della Ribalta”.
D. - A che cosa attribuisce principalmente il suo successo?
R. - Ai genitori non dispiace che io piaccia ai loro figlioli. Forse perchè mi si giudica un comico discretamente intelligente e quasi mai volgare. E poi è importante far ridere la gente di qualcosa di diverso dagli insuccessi altrui.
D. - Qual è l'Istituzione più importante d’Italia?
R. - Quando è ammalato e temiamo per lui, ci accorgiamo che è il Papa, ma quando il Papa sta bene, e sta male la Lollo crediamo sia la Loren.
D. - A New Orleans un tale è stato arrestato mentre si disponeva a impalmare la sua quattordicesima moglie. Interrogato per quale motivo avesse trascurato di inoltrare successivamente le domande per ottenere i rispettivi divorzi, si è difeso dicendo: "me ne ero dimenticato”.
Nelle identiche condizioni come si sarebbe difeso lei?
R. - Dicendo: "in fondo le amavo ancora; non potevo staccarmi del tutto".
D. - Se un nuovo incendio dovesse distruggere Roma, da che parte e in base a quale criterio suggerirebbe di ricostruirla?
R. - Come prima: da ingegneri e architetti tedeschi, con maestranze formate da napoletani. Si potrebbe contare sul risultato di una fedele ricostruzione nella quale siano evidenti i segni di una geniale incompiutezza dovuta a una fantasiosa pigrizia.
D. - Subito dopo la fine della guerra un illustre attore, Orson Welles, seminò il panico a Chicago annunciando alla radio che i Marziani stavano invadendo la città. Si verificarono incendi e perfino suicidi. Se lo stesso annunzio venisse ripetuto in modo che lei non avesse motivo di dubitarne quale sarebbe la sua reazione?
R - Dipende. Se il fatto mi coglierà a Milano andrò alla RAI e in trasmissione comunicherò che è stato un mio scherzo per imitare Orson Welles. Avrò evitato cosi il panico. Se sarò a Roma dirò come tutti: "e chi se ne frega, ce avemo ex Vaticano". Se infine sarò a Napoli mi procurerò documenti apocrifi comprovanti "avere to occultato e protetto un Marziano durante il periodo dei dischi clandestini".
D. - Sarebbe capace di sposare una donna poverissima?
R. - Tutte le donne sono poverissime quando puntano su un onest'uomo.
D. - Alla moglie di un suo produttore lei deve mandare una lettera di condoglianze per ii decesso del suo cane. Come la comincerebbe?
R. - Cara signora, questa moria che ha cominciato a decimarci... ecc... ecc...
D. - A quale età e occasione ritiene di aver lasciato l’infanzia?
R. - Non l'ho ancora lasciata. Ne ho semplicemente diminuito il tasso per lasciar posto all'infantilismo sopraggiungente.
D. - Dovendo raccontare una favola a un bambino, quale sceglierebbe?
R. - La storia di Gesù Cristo, omettendogli la morte e dicendogli che probabilmente un bel giorno lascerà Eboli e riprenderà il suo cammino.
D. - Nei giochi infantili, quale parte le piaceva riserbare per sè?
R. - Quella di chi moriva sei, sette volte e poi tornava a casa con una gran fame.
D. - In quale occasione (nella vita, naturalmente) sente di essere meno se stesso, ossia in obbligo di recitare una parte?
R. - Quando recito e non ne ho voglia.
D. - Dispone un piano alla sua recitazione o si lascia sovente trasportare dal suo istinto pur sapendo che a un dato momento potrebbe rimpiangere di essersi così comportato?
R. - Predispongo sempre dei piani che poi l'istinto distrugge o modifica. E senza rimpianti.
D. - Preferisce essere amato, ammirato oppure indifferente? In altre parole, in quale conto tiene l’opinione altrui?
R. - Dovesse costarmi il manicomio le confesso che, stranamente, mi fa maledettamente piacere sentir parlare bene di me, e mi secca invece il contrario. Seriamente aggiungerò che tutto dipende da chi parla di me.
D. - Per quale ragione i matrimoni fra attori sono solitamente infelici?
R. - Perchè nel film della loro vita c’è sempre qualche attore secondario che approfitta dei momenti di distrazione per giocare un attimo la parte del primo attore.
D. - Qual è l’azione che le ha lasciato maggior rimorso?
R. - L'aver dato a uno scocciatore quattro poltronissime in prima fila, datandole per il giorno dopo la fine delle recite.
D. - Quale reazione le suscita rincontro fortuito con un suo compagno di lavoro cui la fortuna non ha arriso?
R. - Gli racconterei gli enormi guai che procura la notorietà dimostrando genuina invidia per la sua, sia pur malinconica, tranquillità.
D. - In quale misura, secondo lei, la fortuna incide nel successo di un individuo?
R. - Nella misura che serve a colmare il disavanzo tra i meriti effettivi e il successo di cui si gode.
D. - La decisione ultima se lei sia meritevole del purgatorio oppure dell’inferno viene affidata a una buona azione che sta in lei compiere tornando per un breve periodo su questa terra. Che cosa farebbe?
R. - Prenderei il posto di un condannato a morte che io sapessi innocente.
D. - In una società pianificata quale funzione vorrebbe esercitare?
R. - Il nichilista.
D. - Riconosciutane la necessità, quale slogan pubblicitario impiegherebbe per propagandare la virtù?
R. - «Figlioli, sei giorni di virtù alla settimana e il peccato sarà il vostro week-end».
D. - Ospite di uno dei suoi amici viene fatto oggetto di una profferta amorosa dalla di lui moglie, bella affascinante e trascurata. Accetterebbe l’invito? Se no in qual modo si schermirebbe per non offendere la sua suscettibilità?
R. - Con la bocca vicinissima alla sua, le direi che accetto, che l’amo e che l’ho sempre desiderata. Dopo però aver masticato aglio e bevuta acqua vecchia, di fiori appassiti, per un giorno.
D. - Quale colpa si sente più disposto a perdonare a una donna?
R. - L’essere divenuta madre durante un’avventura galante. Gli attimi non si possono controllare.
D. - Deciso a prendere commiato da una donna, con quali mezzi e in quali termini glie lo farebbe sapere?
R. - Metterei il calendario al polso e guardandolo direi: «beh, ho fatto tardi. E’ ora che vada». Una spronata, uno sfaglio e via, nel Nuovo. (Teatro sito in Milano).
D. - Ci sono cinque minuti della sua vita che non vorrebbe rivivere, come si suol dire, «per tutto l’oro del mondo»?
R. - Sì. Tutti quei cinque minuti durante i quali non è successo nulla. (E scusate le arie che si dà questa risposta. E’ un po’ colpa della domanda).
D. - Esiste un personaggio che ha sempre desiderato e mai potuto interpretare?
R. - Dio che bello rispondere «me stesso». E invece no! Fino a quindici anni fa era San-dokan. Ora che sono un uomo serio, che ha sofferto, Buffalo Bill.
D. - Se le rimanesse mezz’ora di vita che cosa farebbe?
R. - Con un aquilone in mano, gli occhi al cielo, me ne andrei verso un burrone che distasse mezz’ora di cammino.
D. - Nel corso della sua carriera, qual è stato l’omaggio che le è riuscito più particolarmente gradito?
R. - Alla mia prima venuta a Roma. Un telegramma di Aldo Fabrizi l’indomani del mio debutto, con su scritto: «bravo, bravo, bravo». Mi fece piacere!
D. - Qual è, secondo lei, la differenza fra Roma e Milano?
R. - A Roma Giulio Cesare sembra sia morto l’altro ieri lì all’angolo. A Milano il nome di Radetzky sembra uscito dalle favole lontanissime di Lao-Tze. Morale: il sole conserva la storia, la nebbia e l’industria la uccidono.
D. - Se le fosse concesso un atto di potenza assoluta, come lo esplicherebbe?
R. - In nessun modo. Prenderei severamente e con sospetto chi me lo offre, poi chiamerei il buon Dio e direi: «Signore, ha perduto qualcosa».
D. - Quali colpe errori ‘debolezze umane suscitano in lei maggiore indulgenza?
R. - Quelle delle persone forti. I loro rimorsi sono maggiori.
Fra le risposte che ho avute finora, nel corso di queste interviste, quelle di Walter Chiari mi appaiono come le più difficili. 5Jon parlo della loro interpretazione letterale, ma della difficoltà di interpretare attraverso queste ultime il personaggio che le ha date. Il termine "personaggio” può forse essere d’aiuto: una delle risposte alle mie domande, che fondamentale è la seguente: «quando sto recitando e non ne ho voglia», in relazione alla domanda: in quale occasione «sente di essere meno se stesso». Il che significa che il più popolare dei comici italiani non recita mai, nemmeno quando è sul palcoscenico, nemmeno quando sembra, come nelle risposte alle mie domande che faccia sfoggio delle sue migliori boutades. Se, nella vita, per assurdo egli venisse veramente a trovarsi nelle condizioni che solo per gioco, per studiare la sua personalità gli ho proposto, l’attore risponderebbe e perfino si comporterebbe nel modo da lui descritto. Per lui dunque la vita è un palcoscenico, ma un palcoscenico sul quale egli non recita: vive. In questo sta la sua sincerità, il segreto stesso del successo. Alla domanda «a quale età ha lasciato l’infanzia», risponde, beninteso, che non l’ha ancora lasciata ma vi fa seguire «ina annotazione maliziosa: c ne ho diminuito il tasso per far posto all’infantilismo sopraggiungente». In tale modo egli invalida la sua affermazione, scoprendo quale sia la miracolosa "lampada di Aladino’ di cui dispone: l'essersi accorto che gli uomini "seri” sono più infantili e meno "seri” di coloro che non si considerano tali.
Enrico Roda, «Tempo», 1956
Chiari e Tognazzi romani de Roma
Rodolfo De Angelis interroga e Walter Chiari risponde
Ha voglia di trillare il telefono! A pochi minuti dalla rappresentazione puntualmente ogni sera la sala del milanese Teatro Nuovo è gremita di pubblico, e il camerino di Walter Chiari è vuoto. I suoi assistenti (stavo per dire al soglio) alla vestizione, nonché il segretario, il direttore di scena e l’impresario Sirri (in sempre comprensibile trepida attesa), si avvicendano al telefono, posto nel salottino adiacente, per rispondere, invariabilmente, alle varie voci che chiedono del divo: «No, il signor Walter non è ancora arrivato...». Walter si può concedere questi ritardi, perchè in due minuti è bell’e pronto. Si libera degli indumenti da passeggio, rimanendo a torso nudo e in «slip», infila camicia e abito da scena, si ravvia un po’ il ciuffo ribelle, e «voilà!»: «Pronto, puoi dare il segnale...».
Per ben quattro volte sono andato a chiedergli se aveva risposto alle mie domande formulategli per la «Domenica del Corriere». Finalmente ecco le mie domande e le sue risposte.
D. - Caro Walter, parliamoci chiaro, per quanto tempo ancora speri di divertire il pubblico (e, devo aggiungere, da mandarlo addirittura a male dal ridere) vestendo 1 panni dell’«enfant-gaté», del coccolone, dello scavezzacollo, del farfallone, ed anche del personaggio che sta fra lo studente bocciato e il seminarista insofferente, linguacciuto, saccente, protervo e irriverente?
R. - Fino a quando qualcuno di questi tipi continuerà a vivere e a far parte del costume di oggi. Sono pronto, però, a cambiare da domani stesso.
D. - Non pensi che, diventando maturo, la tua comicità abbia bisogno di un più largo respiro, e dia maggior risalto alle tue grandi possibilità d’interprete; così, come a suo tempo fece Petrolinl?
R. - Lo feci già in spettacoli televisivi come «Controcorrente» e in «Studio Uno». Aspetto l’occasione.
D. - Ho accennato a Petrolini, perchè se non lo sai (ma qualcuno te l'avrà sicuramente detto), non trovo nei tuoi predecessori che quel solo paragone. Come per Petrolini, è proprio questa facoltà di improvvisare, e di lasciarsi andare, che costituisce i punti di forza del tuo successo; a parte la simpatia che sprizza da ogni poro. Ne sei persuaso?
R. - Si, e grazie del complimento. Il pubblico di oggi, però, è più attento alle cose che si dicono che a colui che le dice.
D. - A tale proposito, non ho mal capito come mai tu abbia accettato di recitare in una commedia musicale a Broadway; In una lingua che non è la tua, e che, per quanto la possedessi, non ti avrebbe mal dato modo di fare sfoggio delle tue estrosità fuori copione. Come mal non ti sei reso conto di questo «handicap»?
R. - Qualsiasi «handicap» di natura teatrale (da me intuito in pieno), era compensato dalla esperienza umana di un anno di vita a Nuova York.
D. (impertinente) - Speravi forse col successo di Broadway di conquistare Hollywood?
R. - Mai pensato a questo.
D. - Strano che molti attori (anche «hollywoodiani») la mecca del cinema l'abbiano trovata in Italia. Ed è più strano ancora che il nostro cinema non abbia saputo ancora sfruttare appieno le tue immense risorse. A che cosa attribuisci questa tua mancata messa a fuoco nel campo cinematografico?
R. - A parte Visconti per «Bellissima», che mi volle per un ruolo accanto alla Magnani, e Damiani, e il produttore Nello Santi per «La rimpatriata» di quest’anno, devo riconoscere che le grosse produzioni ed i grandi registi «impegnatissimi», mi ignorano.
D. - Ed ora, passando al campo sentimentale, ti rendi conto di quante donne figurano sul tuo calendario amoroso, senza contare quelle che ti ha segnato e continua a segnare la pubblicità? E di tutti questi fidanzamenti e sfidanzamenti che n’è rimasto? Sei forse nel tuo intimo un refrattario al matrimonio?
R. - Aspetto la «mia» e la vera occasione.
D. - Anche questo tuo passare da un amore all’altro con qualche sosta prolungata (Ava Gardner, per esempio), bisogna riconoscere che ti dona. Fare il «tutti mi vogliono e nessuno mi prende», fa sempre parte del personaggio; dell’«enfant-gaté», del bighellone, del ridanciano ottimista, quale tu sei, o, meglio, quale tu sembri (si sa che l’attore ha sempre una «doublé face»). Mettendo da parte i sentimenti, non c'è in tutto questo, anche un tantino di calcolo?
R. - Se c’è calcolo è unicamente d'indole giornalistica. Io ho sempre cercato di condurre 1 miei rapporti affettivi se non segreta-mente almeno con discrezione.
D. - E’ inutile che tl chieda che cosa avresti fatto se non fossi «scivolato» sul palcoscenico, perchè lo so già; saresti stato l’amicone ricercato da tutti, per allestire bisbocce, inventare spassi, stuzzicare il prossimo; il giovialo-ne allegro e spensierato che ogni comitiva ricerca affannosamente, per spassarsela un po', per levarsi di dosso il tedio della vita quotidiana. Mi sbaglio forse?
R. - L’avrei fatto, ma oggi a Milano e domani a Bangkok.
D. - Caro Walter, per quest’ultima domanda vorrei chiederti di rispondermi sinceramente. Via, dimmi la verità, ti ha un po' scocciato questa mia intervista?
R. - No! E’ affettuosamente curiosa, come te che sei curiosamente affettuoso con me, da quando mi conosci. E son vent’anni (quasi).
R. De Angelis - W. Chiari, «Domenica del Corriere», 30 giugno 1963
Walter ospite frettoloso
Chiari recentemente a "Studio Uno" ha continuato a ripetere che non aveva tempo. E allora che cosa l'hanno mandato in scena a fare? I misteri di Tortora e della Pavone
«La Domenica del Corriere», 19 giugno 1966
«Noi donne», 7 gennaio 1969 - Walter Chiari
«Noi donne», 27 settembre 1969 - Walter Chiari
Non ha fatto in tempo a darci il suo «Ricorda con rabbia»
Fra i tanti progetti che Walter Chiari pensava di realizzare o a proposito dei quali gli piaceva fantasticare, due, negli ultimi tempi, mi avevano particolarmente colpito. Il primo era quello di interpretare l'«Enrico IV» di Pirandello; il secondo, di debuttare come regista con una messa in scena di «Ricorda con rabbia» di John Osborne.
Credo non ci sia modo migliore per ricordare un artista scomparso che ricordarlo, appunto, per ciò che non ha fatto e avrebbe voluto fare. Ma se questo è vero in generale, è ancora più vero per un artista come Walter Chiari, la cui meravigliosa è, si sarebbe detto, inconsumabile vitalità gli consentiva di essere perennemente giovane, perennemente «immaturo», di ripartire ogni volta, come il personaggio di una fiaba metafisica, alla rincorsa della propria immagine.
E c'è di più: in quei due progetti così ambiziosi, così «alti», così diversi dalla pur fantasiosa routine cui la realtà l’aveva costretto, non c’è soltanto l'eterna giovinezza di Walter, c'è anche tutta la sua dolcissima, incantevole megalomania. Chi non ricorda i suoi interminabili. prolissi, deliziosi sproloqui «culturali»? Ho sempre pensato che se un drammaturgo fosse stato capace di cucirgli addosso un personaggio e una storia (un po’ come fece, genialmente. Luchino Visconti nel disegnare la sua parte in «Bellissima»), il teatro italiano di questi decenni avrebbe avuto forse uno dei suoi rarissimi capolavori.
Di fronte alla varietà, alla generosità, alla bellezza di questi c di altri progetti, la carriera effettiva di Walter — la carriera, intendo, di attore di prosa — può sembrare poca cosa. Iniziata, rispetto ad altri filoni della sua attività, piuttosto tardi, verso la metà degli anni Sessanta, quando già aveva alle spalle un ventennio abbondante di successi nel campo della rivista, essa allinea abbastanza prevedibilmente qualche commedia brillante. cominciando con «Luv» di Schisgal (interpretata nel ’65 accanto a Gianrico Tedeschi) e passando, fra l’altro, per un paio di testi di Neil Simon (fra cui nel ’66 «La strana coppia» con Rascel) e per l'inaffondabile «Il gufo e la gattina», interpretato non so quante volte al fianco di non so quante partner, da Paola Quattrini e Alida Chelli. che furono le prime, a Lory Del Santo che è stata, non molto tempo fa, l'ultima.
A far coppia con Rascel tornò, a metà degli anni Ottanta, con un testo degno, quello sì. della sua voglia di superarsi, di raggiungere la propria immagine in fuga: «Finale di partita» di Beckett: e lo spettacolo va ricordalo in questa chiave, per questo segno, assai più che come riuscita.
Allo stesso modo, anzi simmetricamente, non sono affatto sicuro che l’ultima commedia in cui l’ho visto. «Colpo grosso» del francese Marc Perier, che interpretò (anche al Lirico di Milano) nella primavera dell’87, fosse davvero il toccante testamento generazionale che Walter credette, probabilmente. d’aver trovato in essa. Ma sta di fatto che lui seppe recitarla, seppe viverla come se lo fosse, c ne fece qualcosa di non dimenticabile.
Finito l'elenco — insoddisfacente come, d'altronde, ogni elenco — delle cose fatte, si apre il librò più vero, più importante, più intimamente suo, dei desideri e dei sogni. Nessuno, l'ho già suggerito all'inizio, è più giovane di chi, vivendo di progetti, vive nel futuro; e nessuno muore di meno, nessuno rimane vivo per sempre più di chi riesce a morire serbando dentro di se, intatta, la propria giovinezza.
Giovanni Raboni, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1991
Saltimanco della scena con un'alluvione di parole. In passarella con la Maresca, Delia Scala, la Chelli
La passerella di Walter Chiari è stata unica nel teatro di rivista. L'attore «casual», l'unico ad essere un bel ragazzo osservato dalle signore, si piazzava in quella strìscia rossa di palcoscenico — terra di nessuno in bilico tra l'orchestra e un burrone che si chiama pubblico — da padrone, in attesa del finalissimo.
Iniziavano così monologhi straripanti, innovativi e contagiosi, che dimostravano l'originalità del nuovo -ragazzaccio-che non raccontava solo barzellette, magari prolungandole all'Infinito con esborsi personali di humour, ma sapeva rovistare negli usi e costumi del quotidiano, rendendolo deformante e divertente, già parodiando gli stereotipi del cinema e gli eroi americani.
Intelligente e preparato a prender la rincorsa su qualunque battuta, fosse di Nell Simon o di Marchesi. Walter aveva una particolare dialettica. mescolando sense e nonsense. ruffianerie e raffinatezze, smorfie e imitazioni, dallo scimmione al burino di campagna che -è contento di essere arrivato primo»; assieme a Tognazzi era la nuova guardia che si staccava dalla generazione maliarda di Dapporto.
Il suo debutto avvenne cosi, per allegria, in una serata di dilettanti e amici nel ‘44. all'Olimpia di Milano. Da allora le grandi soubrettes se lo contendono: vince Marisa Maresca. che gli offre il nome in ditta (le prime luci al neon fra le nebbie del dopoguerra) in «Se vi bacia Lola» nel '46, cui seguono «Simpatia», «Allegro», «Burlesco» e «Gildo», con Miriam Glori. Come ogni comico di razza, anche Chiari, pur portato al monologo, ebbe la sua -spalla- di razza in Carlo Campanini, fedele amico, pronto ogni sera alla recita a rischio: ecco gli sketch resi popolan in Tv. i fratelli De Rege. o l'impagabile Sarchiapone. prodigio del surreale, ma anche di osservazione della psicopatologia quotidiana (in treno, come Totò nel vagone letto).
Dopo «Sogno di un Walter», «Tutto fa Broadway», «Oh quante belle figlie madama Dorè», nel ‘53 e '54 Chiari tentò coraggiosamente, sulla scia dei «Gobbi», la rivista da camera, senza lustrini e paillettes, con «Contro-corrente» di Metz e Marchesi (e un giovane cantautore siciliano, Domenico Modugno) e «I saltimbanchi», di Silva e Terzoli.
Quando inizia la stagione del musical. Chiari è pronto: ha l'età, il fisico, il gusto, anche quello di scavalcare il testo e di rimanere sempre e comunque il Walter. Lo ribattezzano Garinei, Giovannini e Kramer in «Buonanotte Bettina»: due edizioni, storica quella del '56 con Delia Scala, la mogliettina che scrive, anonima, un best seller audace, ruolo che passò poi alla Chelli, in un cast con la «suocera» Wanda Osiris, tutti uniti nel refrain «È tutta colpa della primavera». Walter era il maritino impiegato, pudico, che canta «Com'è bello dormir soli»: un finimondo di simpatia.
In seguito in scena con lui ci sarà un'altra sbarazzina, Sandra Mondaini. Il musical di Garinei e Giovannini si chiama «Un mandarino per Teo», vanta nel cast Bonucci e Ave Ninchi, porta al successo motivi come «Soldi, soldi, soldi» e «Svegliati amore», ed anche questa è la storia di un tran tran borghese e di un proverbio cinese.
Negli ultimi anni Chiari ogni tanto si concede allo show, all'arte varia, all’entertainment. magari con una cantante di moda. Lui. parlantina sciolta. fa piroette di parole: e il pubblico gli vuole sempre bene. E rimasto un ragazzaccio fino alla fine, e avrebbe voluto ripercorrere la sua carriera in uno show d'addio: ora lo spettacolo ciascuno se lo può fare da solo, ripensando a Chiari con l’affetto che merita.
Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1991
Quei mille amori sempre perdonati
La vita segnata dalla boxe, un breve matrimonio e tante «Fidanzate», da Ava Gardner a Gabriella di Savoia. Nel '70 tre mesi in carcere per droga proprio quando nasceva il suo unico figlio
Quella vita spericolata invocata ed esibita da tanti, lui l'ha vissuta per davvero. Sessantasette anni di roulette russa giocata con passione fino all'ultimo, di amori, follie, scazzottate, fughe, matrimoni, divorzi, trionfi e cadute, che l’hanno fatto oscillare innumerevoli volte dalla polvere all'altare.
Perché Walter Annichiarico, nato a Verona il 2 marzo del 1924 da genitori pugliesi, incontrastato re della ribalta per oltre 40 anni, ha sempre e comunque anteposto alla scena la vita. Preferendo perdere faccia, quattrini e reputazione, se una bella donna o un amico gli dicevano: Walter vieni? «Lussi che si pagano cari — aveva ammesso di recente —. Se avessi da parte quello che ho guadagnato in 50 anni di carriera, sarei ricco come zio Paperone. E invece eccomi qui, allegramente spiantato».
Croce e delizia di impresari e registi (che arrivarono a mettergli alle costole un «gorilla» incaricato di «consegnarlo» ogni sera a teatro in tempo per lo spettacolo). Chiari riusciva comunque a fare le sue «birichinate» di eterno ragazzaccio da zero in condotta.
Orecchie a sventola, naso da pugile (la boxe era una delle sue passioni militanti, fu campione interregionale di pesi piuma). Walter non si poteva definire un «bello». Eppure, a quegli occhi malinconici e beffardi non resistettero le donne più affascinanti: da Lucia Bosè ad Ava Gardner (sua delizia e dannazione, che di lui disse: «Ha un dono meraviglioso: riesce a far si che qualunque donna accanto a lui si senta ringiovanita di vent'anni»). E ancora: Elsa Martinelli, Alida Chelli, Mina. Per lui perse la testa persino una principessa. Maria Gabriella di Savoia. E in tempi piu recenti, quando già le rughe non si contavano più, ebbe per «fidanzate» Gloria Guida, Anna Maria Rizzoli, Patrizia Caselli.
Ma la prima ad innamorarsi di quel giovanotto allampanato fu una celebre soubrette degli anni '40. Marisa Maresca, che condivise con lui scena e fuori scena. Bastarono pochi anni per portarlo al massimo della popolarità. costringendolo per lunghi periodi a girare con una controfigura.
Amatissimo da mamme e bambini, adorato dalle donne, con le stimmate dello scapolo a vita, nel '69, a 45 anni, fresco dei trionfi di «Canzonissima» al fianco di Mina, si decise e sposò a Sydney l'irrequieta Alida Chelli, che aveva vent'anni meno di lui. Un matrimonio che durò neanche tre anni ma che dette all’attore la gioia più grande: il figlio, Simone, oggi ventenne e che Walter ha seguito e amato come il più affettuoso dei padri.
Proprio nel periodo della nascita del figlio, Chiarì ebbe anche l'amarissima disavventura della droga. Il 22 maggio del '70 venne arrestato sotto l'accusa di uso e spaccio di stupefacenti e rinchiuso a Regina Coeli, dove rimase per 98 lunghissimi giorni. Uscito, si rese conto di dover scontare un'altra, più pesante, condanna: il feroce ostracismo del mondo dello spettacolo che per due anni gli chiuse in faccia ogni porta. La Tv giunse ad annullare tutti i programmi con una sua partecipazione e mandò indietro persino i caroselli girati dall’attore. L'esilio fini nel '73 quando, al fianco di Ornella Vanoni, condusse «L’appuntamento» e subito dopo alla radio con Mina fece «Gran varietà».
Nel '75 un nuovo incidente di lavoro, stavolta però a lieto fine. A Genova, durante una recita di «Chiari di luna», si lasciò andare a una serie di battute su Mussolini che non piacquero ad alcuni giovani comunisti in sala. Il giorno dopo Walter Chiari propose un incontro nella sede del Pci locale, dove il previsto «processo» all'attore si trasformò in uno show irresistibile di quest'ultimo, chiudendo la questione tra grandi risate.
Nell'84 ancora guai per la cocaina. Ad accusarlo stavolta è Giovanni Melluso, un malavitoso pentito. Le sue accuse risultano però infondate e nell'86, al termine delle indagini, l'attore viene assolto. La nuova vicenda giudiziaria però lo segna nel corpo e nello spirito. Walter continua a far teatro, cinema, riprende la sua adorata rivista. In autunno progettava di riportare in scena «Sarchiapone ed altre storie». Ma i malori e i ricoveri si susseguono sempre più frequentemente. L'idolo del pubblico, delle donne, del rotocalchi è stanco. Amava ripetere: «La vita è un match truccato: sali sul ring con le tue gambe, ma ne scenderai portato a spalle dagli altri».
Giuseppina Manin, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1991
Le ultime ore. «Guarderò in TV Lucia Bosè»
MILANO - Gli occhiali sul naso, la testa appena reclinata, seduto in poltrona. Davanti alla tv. Così Walter Chiari è stato trovato dal personale del residence «Siloe», in via Cesàri, ieri a mezzogiorno nel suo appartamento, il 508. Stroncato da infarto, alle 8 del mattino, è scritto sulla cartella compilata all'obitorio di Lambrate dove il corpo dell'attore è stato portato alle 17.
«L’ho cercato al residence perché doveva venire a pranzo da me, avevo preparato un branzino», dice Libero Zilli, Walter per gli intimi, amico del più famoso Walter da vent'anni e suo ex impresario. Chiari non risponde, «forse ha messo i tappi di cera», pensa Silvio dalla reception del «Siloe». Poi, di fronte al silenzio, si bussa più volte alla porta del 508. La sfondano. E Walter, 68 anni il prossimo 8 marzo, è li, come Hamm, il personaggio di Beckett in «Finale di partita», da lui interpretato qualche stagione fa con Rascel.
Walter Chiari era rientrato l'altra notte all'una e mezzo nel residence dove alloggiava da dodici anni, dopo aver salutato Gino Bramieri: lo aveva applaudito al Teatro Manzoni, aveva portato doni a tutti, ripetendo che «Gino è un prototipo, come me, gli altri comici sono tutti imitatori». Due chiacchiere proprio con Silvio, poi sale in camera, senza dare disposizioni per la sveglia, contrariamente alle sue abitudini. «Guarderò in tv spezzoni di film con Lucia Bosè», Lucia, uno dei suoi grandi amori.
Da una settimana Chiari era stato dimesso dall'ospedale San Carlo di Milano, dove aveva subito un'operazione chirurgica per un'ernia inguinale. Ma durante la degenza aveva accusato un dolore al petto. «Lo visitai più volte — spiega il dottor Franco Casazza, aiuto nel reparto di cardiologia del San Carlo —, un paziente meticoloso nel riferire i suoi trascorsi cardiaci, ma pronto a minimizzare». Gli esami non confermano la sospetta angina, Walter viene dimesso con una terapia di protezione.
Sarà il figlio Simone, ventuno anni, nato dal matrimonio con Alida Chelli, a prendere le ultime decisioni. Forse Walter Chiari sarà cremato, come il fratello. «Ma lui — dice Zilli — non aveva mai dato disposizioni per la sua morte. Non ci voleva pensare». I funerali sono previsti per dopodomani alle dieci.
Claudia Provvedini, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1991
E' stato il nostro Peter Pan del dopoguerra
Il cinema gli andava stretto, la Tv la calzava meglio, a teatro si realizzava pienamente solo a patto di evadere dal copione. Ma il vero habitat di Walter Chiari, il vecchio ragazzo di 67 anni scomparso ieri dopo un'esistenza senza un attimo di tregua, fu il proscenio o addirittura la passerella. Dove il pubblico ce l’aveva più vicino, quasi a portata di mano. Là in mezzo, finalmente solo, Walter parlava e straparlava, gesticolava. inventava, irrideva, imitava, commentava, divagava e si surriscaldava al calore della sua stessa fiamma.
Mentre dalla platea le risate montavano a onde continue e irregolari, contrappuntando la chiacchiera del monologante con la perentorietà di un basso continuo; e intanto il direttore del teatro sbirciava preoccupato l’orologio e lanciava un pensiero ai tram che stavano partendo per l’ultima corsa.
Pugliese d’origine, veronese di nascita, milanese di adozione, Chiari è stato il Peter Pan della ricostruzione italiana; l'indomito scopritore del lato umoristico delle cose, l'elemento mercuriale infaticabile nel tentativo di contagiare il prossimo con la sua mobilità. Prima di lui il comico dell'avanspettacolo doveva essere buffo a prima vista, non poteva essere un bel ragazzo ex-campione di pugilato e assiduo rubacuori. E quando il nostro dalla schiera dei dilettanti arrivò con un gran salto sulla ribalta professionale, la gente non se l'aspettava eppure lo adottò subito.
Erano i mesi dell'immediato dopoguerra e nella vulneratissima Milano. ancora intrisa degli odori di calcinaccio dei bombardamenti, si ballava nei cortili. A quel clima di speranza si intonò con piena naturalezza il brio di Walter, aggiungendo alla voglia di novità che animava lutti il tocco magico dell'allegria. Cioè affermando un’ ulteriore conquista, e non la meno importante, della ritrovata libertà.
Etichettato come uomo di destra, fu in realtà un campione di individualismo; e lo confermò a prezzo di molti equivoci e non pochi guai giudiziari. Da qualche anno aveva maturato in piena serenità il gusto di confessarsi. di aprirsi ad angolo piatto, di giocare le sue ultime partite a carte davvero scoperte. Sarà puntualmente ricordato con personali dei suoi numerosissimi film, tra i quali i critici privilegiano prove meno occasionali e intercambiabili come «Bellissima» ('62) di Visconti, «Il giovedì» ('62) di Risi, «La rimpatriata» ('63) di Damiani, «Romance» (’86) di Mazzucco: un innocuo imbroglioncello che fa tifilo alla Magnani nei viali di Cinecittà, un babbo separato che trascorre il pomeriggio con il flglioletto, l'animatore di un gruppo di amici che li rimette insieme per una notte, un vecchio genitore barabba alle prese con un figlio tartufo. Seppe essere anche questo, un interprete a volte geniale, sempre debordante di intensità e proposte: e in tale veste interessò registi come Otto Preminger o Orson Welles.
Ma il ruolo che Waller Chiari interpretò con maggior successo, nella finzione e nella vita, fu senza dubbio quello di Walter Chiari.
Perciò oggi sul volto di milioni di italiani d'ogni età e condizione si spegne il sorriso. Sfamo rattristati come per la morte di un amico, pur se non eravamo in tanti a far alto di presenza nette sue ultime tournée di prosa, sempre laboriose e non di rado interrotte. E in pochi l’abbiamo ammirato alla Mostra di Venezia del '90 in quello stupendi o episodio di un film sfortunato. «Tracce di vita amorosa», in cui faceva un marito anziano e malato che fugge nudo dalla clinica nell'illusione di ricominciare tutto da capo. Qualcuno scrisse: «Signori giurati, vogliamo dargli una medaglia, un'Osella, qualcosa?»; ma la proposta non ebbe seguito.
Forse, come succede con i veterani, tendevamo un po' a dimenticarlo. Ma era rassicurante sapere che Walter era là, tra le quinte, sempre sul punto di irrompere in scena con il suo ciuffo ormai stanco, la sua fierezza di prototipo, il suo spiazzante iperattivismo, la sua irrefrenabile voglia di vivere.
Tullio Kezich, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1991
Bramieri: per me l'ultima sera
Il ricordo dei molti amici nel mondo dello spettacolo
ALIDA CHELLI — «Mi ha telefonato appena tornato da Pavia dove aveva avuto il responso sulla sua salute. Era contento e sereno, si sentiva bene. Ha detto che era sicuro di vivere altri 15 anni. Mi ha dato alcuni del momenti più belli della mia vita. Era un pazzo spericolato, divertente, un uomo di grandi slanci».
GINO BRAMIERI — «Sono convinto di essere stato l'ultimo vero amico che l’ha visto. Perché di conoscenze ne aveva tantissime, di amici veri pochi Walter è venuto a trovarmi al Manzoni. "Dobbiamo fare assieme 'I ragazzi irresistibili"', mi ha detto. Siamo cresciuti nel quartiere Garibaldi, dove ci siamo conosciuti da ragazzi, e io sono cresciuto nella sua scia: prima col pugilato e poi col teatro. Se n'è andato un genio».
DELIA SCALA — «Non era facile lavorare con lui, non arrivava mal puntuale. Amava l'improvvisazione, se trovava il pubblico giusto poteva re-
citare fino alle cinque del mattino».
ITALO TERZOLI — «Eravamo molto amici. È l'attore che ha rivoluzionato il ruolo del comico nel dopoguerra. L’ultima volta che ci siamo incontrati, al funerale di un comune amico, lui disse, parafrasando il titolo di un lavoro teatrale: "Vedi italo, gli amici lo tonno sempre..."».
DINO RISI - «Ho diretto un Walter tenerissimo e al meglio della sua forma in "Il giovedì". E stata una delle sue migliori interpretazioni».
GIORGIO ALBERTAZZI - «Era un amico fraterno da quando portavo i suoi bigliettini d'amore a Lucia Bosè tra Roma e Milano. Chissà cosa direbbe della sua morte: forse che è quella di un vecchio rincoglionito. Invece il suo destino è di rimanere eternamente giovane e geniale».
Tra i politici, hanno espresso il loro cordoglio anche il presidente del Senato Giovanni Spadolini e il ministro dello spettacolo Carlo Tognoli.
«Corriere della Sera», 21 dicembre 1991
«L'Unità», 21 dicembre 1991 - Pagina 1
Filmografia
Vanità, regia di Giorgio Pàstina (1947)
Che tempi!, regia di Giorgio Bianchi (1948)
Totò al Giro d'Italia, regia di Mario Mattoli (1948)
Quel fantasma di mio marito, regia di Camillo Mastrocinque (1950)
L'inafferrabile 12, regia di Mario Mattoli (1950)
I cadetti di Guascogna, regia di Mario Mattoli (1950)
Abbiamo vinto!, regia di Robert Adolf Stemmle (1951)
Arrivano i nostri, regia di Mario Mattoli (1951)
È l'amor che mi rovina, regia di Mario Soldati (1951)
Il padrone del vapore, regia di Mario Mattoli (1951)
Era lui... sì! sì!, regia di Metz e Marchesi (1951)
O.K. Nerone, regia di Mario Soldati (1951)
Bellissima, regia di Luchino Visconti (1951)
Vendetta... sarda, regia di Mario Mattoli (1952)
Il sogno di Zorro, regia di Mario Soldati (1952)
Lo sai che i papaveri, regia di Metz e Marchesi (1952)
5 poveri in automobile, regia di Mario Mattoli (1952)
Noi due soli, regia di Marino Girolami (1952)
L'ora della verità (La Minute de vérité), regia di Jean Delannoy (1952)
Viva il cinema, regia di Enzo Trapani (1953)
Era lei che lo voleva, regia di Marino Girolami e Giorgio Simonelli (1953)
Viva la rivista!, regia di Enzo Trapani (1953)
Gli uomini, che mascalzoni!, regia di Glauco Pellegrini (1953)
Cinema d'altri tempi, regia di Steno (1953)
Un giorno in pretura, regia di Steno (1953)
Questa è la vita - episodio "Marsina stretta", regia di Aldo Fabrizi (1954)
Siamo tutti milanesi, regia di Mario Landi (1954)
Gran varietà, regia di Domenico Paolella (1954)
Vacanze d'amore, regia di Jean-Paul Le Chanois (1954)
Avanzi di galera, regia di Vittorio Cottafavi (1954)
Rosso e nero, regia di Domenico Paolella (1954)
Accadde al commissariato, regia di Giorgio Simonelli (1954)
Nanà, regia di Christian-Jaque (1955)
Accadde al penitenziario, regia di Giorgio Bianchi (1955)
Io sono un sentimentale, regia di John Berry (1955)
Io piaccio, regia di Giorgio Bianchi (1955)
Mio zio Giacinto, regia di Ladislao Vajda (1956)
Donatella, regia di Mario Monicelli (1956)
Moglie e buoi, regia di Leonardo De Mitri (1956)
La capannina, regia di Mark Robson (1957)
Amore a priva vista, regia di Franco Rossi (1958)
Buongiorno tristezza, regia di Otto Preminger (1958)
Festa di maggio, regia di Luis Saslavsky (1958)
Gli zitelloni, regia di Giorgio Bianchi (1958)
La ragazza di piazza San Pietro, regia di Piero Costa (1958)
L'amico del giaguaro, regia di Giuseppe Bennati (1959)
Parque de Madrid, regia di Enrique Cahen Salaberry (1959)
Lui, lei e il nonno, regia di Anton Giulio Majano (1959)
Le sorprese dell'amore, regia di Luigi Comencini (1959)
I baccanali di Tiberio, regia di Giorgio Simonelli (1960)
Un dollaro di fifa, regia di Giorgio Simonelli (1960)
Caccia al marito, regia di Marino Girolami (1960)
Femmine di lusso, noto anche come Intrigo a Taormina, regia di Giorgio Bianchi (1960)
Vacanze in Argentina, regia di Guido Leoni (1960)
Un mandarino per Teo, regia di Mario Mattoli (1960)
Ferragosto in bikini, regia di Marino Girolami (1960)
La moglie di mio marito, regia di Tony Roman (1961)
La ragazza sotto il lenzuolo, regia di Marino Girolami (1961)
Walter e i suoi cugini, regia di Marino Girolami (1961)
Bellezze sulla spiaggia, regia di Romolo Girolami (1961)
Mariti a congresso, regia di Luigi Filippo D'Amico (1961)
I magnifici tre, regia di Giorgio Simonelli (1961)
Copacabana Palace, regia di Steno (1962)
I motorizzati, regia di Camillo Mastrocinque (1962)
Due contro tutti, regia di Antonio Momplet (1962)
Gli italiani e le donne, regia di Marino Girolami (1962)
Il giorno più corto, regia di Sergio Corbucci (1963)
La donna degli altri è sempre più bella, regia di Marino Girolami (1963)
L'attico, regia di Gianni Puccini (1962)
La rimpatriata, regia di Damiano Damiani (1963)
Obiettivo ragazze, regia di Mario Mattoli (1963)
Le motorizzate, regia di Marino Girolami (1963)
Gli imbroglioni, regia di Lucio Fulci (1963)
Gli onorevoli, regia di Sergio Corbucci (1963)
Follie d'estate, regia di Carlo Infascelli ed Edoardo Anton (1963)
Gli eroi del West, regia di Steno (1963)
Il giovedì, regia di Dino Risi (1964)
Le tardone, regia di Marino Girolami (1964)
Se permettete parliamo di donne, regia di Ettore Scola (1964)
I maniaci, regia di Lucio Fulci (1964)
Risate all'italiana, registi vari (1964)
I gemelli del Texas, regia di Steno (1964)
Veneri al sole, regia di Marino Girolami (1964)
Här kommer bärsärkarna, regia di Arne Mattsson (1965)
Colpo grosso ma non troppo, regia di Gérard Oury (1965)
Thrilling - episodio "Sadik", regia di Gian Luigi Polidoro (1965)
Made in Italy, regia di Nanni Loy (1965)
Falstaff, regia di Orson Welles (1965)
Due oriundi per Cesare, regia di Paolo Bianchini (1965)
Amore all'italiana, regia di Steno (1966)
Io, io, io... e gli altri, regia di Alessandro Blasetti (1966)
Ischia operazione amore, regia di Marino Girolami (1966)
Sono strana gente (They're A Weird Mob), regia di Michael Powell (1966)
La più bella coppia del mondo, regia di Camillo Mastrocinque (1967)
Capriccio all'italiana - episodio "La gelosia", regia di Mauro Bolognini (1968)
Quei temerari sulle loro pazze, scatenate, scalcinate carriole, regia di Ken Annakin (1969)
Squeeze a Flower, regia di Marc Daniels (1970)
Joe Valachi... I segreti di Cosa Nostra, regia di Terence Young (1972)
Amore mio, non farmi male, regia di Vittorio Sindoni (1974)
Due prostitute a Pigalle, regia di László Szabó (1975)
Son tornate a fiorire le rose, regia di Vittorio Sindoni (1975)
La banca di Monate, regia di Francesco Massaro (1976)
Come ti rapisco il pupo, regia di Lucio De Caro (1976)
Per amore di Cesarina, regia di Vittorio Sindoni (1976)
Passi furtivi in una notte boia, regia di Vincenzo Rigo (1976)
La bidonata, regia di Luciano Ercoli (1977)
Ride bene... chi ride ultimo - episodio "Prete per forza", regia di Walter Chiari (1977)
Tanto va la gatta al lardo..., regia di Marco Aleandri (1978)
Ridendo e scherzando, regia di Marco Aleandri (1978)
Belli e brutti ridono tutti, regia di Domenico Paolella (1979)
Tre sotto il lenzuolo - episodio "No, non è per gelosia", regia di Paolo Dominici (1979)
Romance, regia di Massimo Mazzucco (1986)
Kafka la colonia penale, regia di Giuliano Betti (1988)
Tracce di vita amorosa, regia di Peter Del Monte (1990)
Capitan Cosmo, regia di Carlo Carlei (1991)
Documentari
D-Day - noi italiani c'eravamo - all'interno il racconto di Walter Chiari e la sua partecipazione ai combattimenti.
Libri
Walter Chiari, Quando spunta la luna a Walterchiari, semiromanzo quasibiografico, Ed. Sipiel, Milano, 1974
Discografia
Album
Il teatrino di Walter Chiari vol. 1 (RCA - Edizioni Letterarie, 30 L - 509, LP)
1973 - In compagnia di Walter Chiari 1 (Spark, SRLP 262, LP)
1973 - In compagnia di Walter Chiari 2 (Spark, SRLP 263, LP)
1974 - In compagnia di Walter Chiari 3 (Spark, SRLP 266, LP)
1978 - Il Walter più (Orange, RGLP 4004, LP)
Premi e riconoscimenti
1947 - Nastro d'argento miglior attore (Vanità)
1986 - Premio Pasinetti miglior attore 43ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia - (Romance)
Riferimenti e bibliografie:
- Walter Chiari, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
- (EN) Walter Chiari, su Discogs, Zink Media
- (EN) Walter Chiari, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation
- Walter Chiari, su CineDataBase, Rivista del cinematografo
- (EN) Walter Chiari, su Internet Movie Database, IMDb.com
- (EN) Walter Chiari, su AllMovie, All Media Network
- (EN) Walter Chiari, su Internet Broadway Database, The Broadway League
- Roberto Buffagni, Il sarchiapone e altre strane storie, Mondadori, Milano, 2000
- Michele Sancisi, Walter Chiari, un animale da palcoscenico, Ed. Mediane, Milano, 2011
- Simone Annicchiarico, Walter e io. Ricordi di un figlio, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2012
- Silvia Tisano (a cura di), Attori milanesi in scena. Milly, Tino Scotti e Walter Chiari, Mimesis, 2016
- "Guida alla rivista e all'operetta" (Dino Falconi - Angelo Frattini), Casa Editrice Accademia, 1953
- "Sentimental, la rivista delle riviste", Rita Cirio e Pietro Favari, Bompiani, Milano, 1975
- "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980
- Walter Chiari, «Tempo», anno XVII, n.9, 3 marzo 1955
- Giorgio Berti, «Settimana Incom Illustrata», 10 marzo 1951
- Dino Falconi, «Epoca», anno VII, n.321, 25 novembre 1956
- Guido Cerosa, «Epoca», anno XIII, n.633, 11 novembre 1962
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Settimanale «Epoca», dicembre 1950 - "Gildo", rivista di Walter Chiari
- Walter Chiari, attore e capocomico «Epoca», 1951
- «Noi donne», anno VII, n.5, 2 febbraio 1952
- «Epoca», 1953 - Walter Chiari e Carlo Campanini
- «Noi donne», 12 luglio 1953 - Antonella Lualdi e Walter Chiari
- «Epoca», 1956 - Recensioni riviste di Macario e Walter Chiari
- R.D.M., «Epoca», 1954
- SIM, «Il Piccolo di Trieste», 17 maggio 1955
- Enrico Roda, «Tempo», 1956
- «Epoca», 1960
- R. De Angelis - W. Chiari, «Domenica del Corriere», 30 giugno 1963
- «La Domenica del Corriere», 19 giugno 1966
- «Noi donne», 7 gennaio 1969 - Walter Chiari
- «Noi donne», 27 settembre 1969 - Walter Chiari
- Giovanni Raboni, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1991
- Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1991
- Giuseppina Manin, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1991
- Tullio Kezich, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1991
- «La Stampa», 21 dicembre 1991
- «L'Unità», 21 dicembre 1991