Soggetto
Aristide Tromboni e la sua scalcagnata compagnia d'attori sono a caccia di scritture e soprattutto di cibo. In un paesino di campagna conoscono il professor Molmenti, ansioso di mettere in scena il suo delirante dramma storico, "Il ratto delle Sabine". Tromboni si offre di rappresentare in teatro, a patto che il professore paghi in contanti costumi e scenografi. Molmenti chiede che l'autore del dramma rimanga anonimo, ma quando due attori abbandonano la compagnia accetta di sostituirli salendo sul palco con la sua fedele cameriera, la stolida Rosina. Tra costumi ridicoli e attori inadeguati (il nome del re dei sabini da Tazio diventa "Gaetano") la recita va incontro ad un sonoro fiasco.
Critica e curiosità
Tratto dalla commedia Der Raub der Sabinerinnen di Franz e Paul von Schönthan riadattato da Mario Bonnard (regista e sceneggiatore) e Mario Amendola (sceneggiatore), il film fu realizzato nell'autunno del '45 negli studi Capitani in via degli Avignonesi a Roma, dentro gli stessi ambienti in cui Rossellini aveva girato gli interni di Roma città aperta, poco prima. L’abito, fracchettino e bombetta, è ormai definitivo, gli atteggiamenti più decisi e aggressivi: per vent’anni, salvo piccole eccezioni, il personaggio Totò sarà come nel film di Bonnard, un po’ guitto e un po’ signore, un po’ furbo e un po’ astruso, assillante, rompiscatole, un tantino sadico con chi non merita il suo rispetto, le autorità in prima fila.
La versione originale della pellicola non esiste più. Girato in fretta e con scarsi mezzi in un periodo drammatico per l'Italia, il film fu poi rimontato, rimaneggiando il negativo originale, per preparare una nuova edizione uscita nel '50 col titolo "Il professor Trombone", l'unica esistente oggi. Per la prima volta appare al suo fianco nel grande schermo Mario Castellani, suo partner in rivista dal '27 e da lì a poco la sua più fedele e famosa spalla cinematografica. Da notare fra gli interpreti un allora giovanissimo Giuseppe Rinaldi, più noto quale attivissimo doppiatore di tantissimi attori, hollywoodiani e non.
Così la stampa dell'epoca
«Le clausole dell'armistizio non contemplano, purtroppo, ii divieto d'insistere ancora a "sfruttare" Totò per il cinematografo. È un comico che sarebbe giusto non sottrarre al clima del varietà, al fuoco della ribalta, al contatto diretto coi suo pubblico, alla comunicativa immediata dei suoi lazzi e dei suoi estemporanei cachinni. Pensare a un Totò attore nel senso completo della parola è una delle tante aberrazioni della corrente retorica teatral-cinematografìca. E pensare, in ogni caso, a un Totò capace, con la semplice efficacia della sua maschera, di risollevare le sorti d'uno squallido, volgare, stupido, copione significa voler rendere un cattivo servizio al beniamino delle platee del Valle o del Quattro Fontane. A ogni modo questo Ratto delle Sabine ha indubbiamente diritto al brevetto del più insulso, aberrante film prodotto dalla "cinematografia" italiana postbellica. Una sequela di cretinerie, di sinistri luoghi comuni, per i quali sarebbe stato inutile sprecare non diciamo pellicola ma anche carta igienica. Con siffatta produzione si osa parlare di "rinascita", e i noleggiatori hanno lo stomaco e la responsabilità d'incoraggiare tentativi del genere; quando ci risulta che film improntati a serietà d'intenti artistici e morali incontrano difficoltà d'ogni sorta per avviarsi verso una fase di realizzazione, e da parte di personaggi sul cui conto e sulla cui attività non è detto che non si debba ritornare. In quanto a questo impresentabile Ratto, aggiungeremo che Quartetto pazzo e Cosimiro sono stati vendicati e la loro memoria largamente riabilitata. Ed è quanto dire».
Ta [Vincenzo Talarico], «L'Indipendente», Roma , 7 dicembre 1945
«Un film con Totò rappresenta sempre una garanzia per un'ora di buonumore punto e infatti ieri il pubblico ha riso dal principio alla fine nel veder riprodotta sullo schermo una commedia tanto cara all'indimenticabile Musco. Non mancano le trovate, non mancano gli atteggiamenti propri del comico che riscuote tante e così vive simpatie. la recitazione e scorrevole sono stati ammirati la brava Matania, l'ottimo Campanini, la Gore, il Rinaldi, la Corelli, l'Aliani, il Silvani e tutti gli altri. Molto chiara la fotografia e impeccabile il sonoro.»
«Il Giornale del Mattino», 5 dicembre 1945
«Da anni ripetiamo - e sentiamo ripetere - che, dopo Petrolini, Totò è, tra tutti gli attori italiani, il vero attore, l'autentico attore-creatore. E si citano - a sostegno di questa tesi le più famose pantomime dell' "attore fantasista", alcune macchiette giustamente famose, alcune uscite piene d'estro, la espressività dei suoi gesti essenziali. Dopo aver visto al cinema i cinque o sei film da lui interpretati, e specialmente dopo questo Ratto delle Sabine, è lecito porsi una domanda. Un vero attotre-creatore, un attore cosciente dei suoi mezzi e delle sue capacità espressive, si assoggetterebbe così facilmente ad essere coinvolto nei più squallidi e irresponsabili prodotti del cinema italiano?».
Antonio Pietrangeli, «Star», Roma, 15 dicembre 1945
«La buffa ma in fondo amara parte del capocomico Tromboni ha sedotto anche Totò. Egli non ha fatto dimenticare certo Ermete Novelli nè Antonio Brunorini, ma ha posto tutta la sua caratteristica, ammiccante comicità al servizio della famosa commedia della guitteria adattata allo schermo. tuffandosi da ultimo nella vera e propria farsa. Mario Bonnard deve essere stato felice di lasciarlo fare. Carlo Campanini è un piacevole autore e Clelia Matania disegna con vivacità e sapore un'originale figurina.»
«Corriere della Sera», 30 marzo 1946
«Totò è un personaggio in cerca d’autore, un elemento della natura che aspetta di essere utilizzato.»
Orio Vergani, Il ratto delle Sabine, «Film d’oggi», n. 14, 6 aprile 1946.
«Totò è comico insignificante: ed elevato dalla squisitezza degli esteti a dignità di Maschera.»
E. Ferdinando Palmieri, Sette giorni, «Film», n. 6, 13 aprile 1946.