Dapporto Carlo

Carlo Dapporto 100 bio

(Sanremo, 26 giugno 1911 – Roma, 1º ottobre 1989) è stato un attore italiano.

Carriera teatrale

Nacque a Sanremo il 26 giugno del 1911 da Giuseppe, di professione calzolaio, e da Olimpia Cavallito, una casalinga originaria di Asti, che gli trasmise il suo accento dalla tipica inflessione piemontese. Fin dall'età di quindici anni iniziò a lavorare, prima come fattorino in una drogheria, poi come fabbro, tappezziere, aiutante in una farmacia, barista in un caffè, addetto agli ascensori al Tea Room Daetwyller, e infine, nel 1928, come cameriere al Moulin Rouge di Alassio.

Fu proprio nella cittadina della Riviera delle Palme che iniziò la sua carriera di cabarettista e intrattenitore, divertendo il pubblico con battute ironiche e divertenti gag tramite la caratterizzazione del suo personaggio più celebre, il “Maliardo”, con cui sarebbe stato in seguito sempre identificato. Tornato a Sanremo nel 1934, esordì al famoso Caffè Venezuela con le sue prime barzellette, riscuotendo un notevole successo. Resosi però conto che la sua città natale non gli avrebbe consentito di emergere a livello nazionale, maturò la decisione di trasferirsi a Milano, dove iniziò ad esibirsi in numerosi locali. Nell'estate del 1935 avvenne l'incontro decisivo con la nota star del varietà Vivienne D'Arys, che lo notò al Teatro Savioli di Riccione mentre imitava Stan Laurel e lo scritturò nella sua compagnia di avanspettacolo, in cui già si esibivano celebri attori comici come Carlo Campanini ed Eugenio Testa.

Il 10 ottobre 1935 debuttò al Teatro Storchi di Modena esibendosi in coppia con Carlo Campanini in una riuscita imitazione di Stanlio e Ollio. Negli anni successivi continuò a recitare nella compagnia della D'Arys, perfezionando la sua tecnica grazie anche all'esempio di grandi attori professionisti come Campanini e Testa. Dopo un breve periodo trascorso come ballerino nella compagnia di Anna Fougez, dove faceva da spalla al comico Dante Maggio insieme a René Thano nel Bolero di Ravel, nel 1940 allestì insieme a Umberto Franzi il suo primo spettacolo di rivista, che rappresentò la vera svolta nella sua vita di attore. Nel 1941 arrivò l'occasione che tanto aveva atteso: nel corso di uno spettacolo al Supercinema di Milano, venne notato dalla famosa soubrette Wanda Osiris, che lo scritturò come comico per il suo nuovo spettacolo teatrale, consentendogli così di fare il gran salto dal mondo dell'avanspettacolo a quello della rivista.

Il debutto avvenne con la rivista di Nelli e Mangini Sogniamo insieme, andata in scena al Teatro Alfieri di Torino con musiche di Giuseppe Anepeta e la partecipazione del Trio Lescano. Nella stagione 1942-43 fu invece la volta dell'esordio al Teatro Quattro Fontane di Roma nelle vesti del “Maliardo” con la rivista Sognate con me, sempre in coppia con la Osiris. In questi anni conobbe anche Augusta, una ballerina dello spettacolo, che in seguito avrebbe sposato e da cui ebbe i figli Massimo nel 1945 e Dario nel 1952. Dopo il successo ottenuto con la rivista Che succede a Copa Cabana (andato in scena nella stagione 1943-44 con coreografie di Dino Solari), nell'ottobre del 1944 debuttò con Marisa Maresca nella rivista Ohilalà di Marcello Marchesi, presentata al Mediolanum di Milano, mentre l'anno successivo ritornò a lavorare con la Osiris nell'Isola delle Sirene di Bracchi e Bracci-Dansi. Nel 1945 iniziò anche la carriera cinematografica partecipando al film La signora è servita in coppia con Antonio Gandusio, per la regia di Giannini.

Dal 1945 in poi si susseguirono i successi fino ad arrivare alla costituzione della Compagnia Carlo Dapporto che lo ha seguito in tutto il suo percorso artistico, insieme a una serie di altre compagnie via via costituite con le più grandi vedette dell'epoca, tra le quali la Compagnia Dapporto-Masiero, quella con Marisa Del Frate, la Compagnia Dapporto-Fabrizi e la Dapporto-Pavone. Da segnalare in particolare lo spettacolo Riviera follies nella stagione 1946-47 per il rilancio della città nell'immediato dopoguerra. Tra le altre riviste Chicchiricchì di Gelich-Bracchi e D'Anzi, andata in scena nella stagione 1947-48, e il grande successo di Giove in doppiopetto di Garinei e Giovannini, con Delia Scala, rappresentata nella stagione 1954-55, che segnò la nascita della commedia musicale e venne in seguito proposta anche in versione cinematografica nell'omonimo film.

In coppia con Lauretta Masiero varò invece, nella stagione 1956-57, la commedia musicale di Garinei e Giovannini Carlo non farlo, ambientata nella sua Sanremo. Nella stagione successiva tornò ad esibirsi con Delia Scala nella commedia musicale L'adorabile Giulio, sempre di Garinei e Giovannini, con musiche di Gorni Kramer. Il 21 settembre 1965 presentò la divertente commedia musicale di Scarnicci e Tarabusi L'onorevole, in coppia con Miranda Martino nei panni di una chanteuse anni Venti. Nel 1966-67 mise in scena insieme a Aldo Fabrizi e Grazia Maria Spina, la rivista Yo, Yo, Je, Je di Dino Verde e Bruno Broccoli, mentre nel 1969 festeggiò le sue nozze d'argento con il teatro, interpretando con Marisa del Frate lo spettacolo Hellzap happening di Castaldo, Faele e Torti per la regia di Edmo Fenoglio.

Dopo un periodo di inattività dovuto a problemi di salute, tornò sulle scene per partecipare a una serie di commedie brillanti, tra le quali Mi è cascata una ragazza nel piatto, dell'inglese Terence Frisby, per la regia di William Franklin (1969-70); Il visone viaggiatore di Ray Cooney e John Chapman; Un babà per sette, commedia di Faele e Castaldo (1972-73) ed altre ancora.

Nei primi anni Settanta riprese con successo anche il repertorio dialettale di Gilberto Govi con la regia di Vito Elio Petrucci. Complessivamente furono trentotto le riviste e le commedie musicali, senza contare gli spettacoli di prosa, nelle quali egli recitò nella sua carriera teatrale, alternata peraltro a numerosi spettacoli di beneficenza in orfanotrofi, carceri, sanatori, fabbriche, ospedali militari, per la Croce Rossa e per le Forze armate.

I suoi personaggi stupiscono il pubblico con un infinito repertorio di doppi sensi, incentrati sul comune senso del pudore. I più famosi sono stati essenzialmente due: quello del "Maliardo", raffigurazione grottesca del viveur dannunziano impomatato e in frac con l'occhio sempre rivolto a Montecarlo, e quello della macchietta regional popolare: l'ingenuo "Agostino", che parla e storpia in piemontese, personaggio che, oltre ad aver portato con successo in teatro, rese protagonista di alcuni spot televisivi per la trasmissione televisiva Carosello.

L'8 agosto del 1945 nasce Massimo, il figlio che seguirà le orme paterne nel mondo dello spettacolo dedicandosi soprattutto al teatro e agli sceneggiati televisivi. Avrà altri due figli, Dario e Giancarla.

Il cinema

Durante la sua lunga carriera ha avuto modo di lavorare accanto ai più importanti partner dell'epoca, tra cui ricordiamo Isa Barzizza, sua giovane concittadina sanremese; Carlo Campanini, Walter Chiari, Dario Fo, Cosetta Greco, Sophia Loren, Lauretta Masiero, Piero Mazzarella, Sandra Mondaini, Amedeo Nazzari, Ave Ninchi, Silvana Pampanini, Nilla Pizzi, Franca Rame, Renato Rascel, Mario Riva, Delia Scala, Tino Scotti, Nino Taranto, Ugo Tognazzi, Totò, Bice Valori, Raimondo Vianello, Alberto Sordi. Anche nel cinema la carriera di Carlo Dapporto è stata intensa e ricca di successi, soprattutto negli anni cinquanta, quando Carlo era al culmine del successo. Nel cinema Dapporto ha interpretato trentotto film dal 1943 al 1987.

Quindi una carriera cinematografica di tutto rispetto, confortata anche da un ottimo successo di pubblico, che dimostrò di apprezzarlo molto anche sul grande schermo. Nel cinema leggero degli anni cinquanta e degli anni sessanta, Dapporto fu uno dei protagonisti, tra i suoi titoli più importanti La presidentessa (1952) di Pietro Germi; La signora è servita (1945), di Nino Giannini, tratto da una sua idea e suo primo film da protagonista; Il vedovo allegro (1949) di Mario Mattoli; Ci troviamo in galleria (1953) di Mauro Bolognini, in cui Dapporto descrive con nostalgia la vita dei poveri guitti, che girano l'Italia in cerca di una scrittura e della gloria.

Altri titoli degni di nota sono Giove in doppiopetto, trasposizione cinematografica dell'omonima commedia di successo, Finalmente libero, Scandali al mare, Undici uomini e un pallone e L'adorabile Giulio. Da segnalare, infine, anche due sortite di Dapporto, nel cinema cosiddetto "impegnato", con Fortunella (1957), diretto da Eduardo De Filippo e con "La famiglia" (1987) di Ettore Scola, dove accanto a Vittorio Gassman e al figlio Massimo, dimostra una grande incisività drammatica, in quella che è forse l'interpretazione più riuscita della sua carriera.

Frequenti anche le sue apparizioni in televisione, dove partecipò tra l'altro a vari caroselli, nelle vesti di uno dei suoi personaggi più caratteristici (Agostino), negli sketch di Durban's Pasta del Capitano. Sui canali della Rai andarono in onda pure numerosi suoi programmi, quali Il Rotocarlo con Miranda Martino, Monsieur Landrù, Crazy Boat, interventi ai varietà Studio Uno e Senza rete, e adattamenti televisivi di suoi lavori teatrali come L'adorabile Giulio. Tre anni dopo la sua ultima interpretazione nel film di Scola, morì nella sua casa di Roma il 1º ottobre 1989. Riposa al Cimitero di Prima Porta.

Massone, Carlo Dapporto fu membro della Gran Loggia d'Italia.


Guerra e coprifuoco

Indimenticabili i trionfi del tempo di guerra, dal 1941 in poi, con delle riviste ricche, meravigliose, quando Wanda diventò la Wandissima (fui io, credo, a chiamarla cosi per la prima volta). Come ripeto, erano riviste bellissime, fastose, colossali. Io facevo il Maliardo, Wanda era la Divina.

Ricordo quegli anni con tanta nostalgia. Ero giovanissimo... C'erano i balletti tedeschi. Prima della guerra avevo in compagnia un balletto inglese. Sidet era la compagnia, impegnata in quella tournée, che dovette sospendere le recite quando ci fu la rottura tra Italia e Inghilterra, e, per questo, il balletto inglese, le Baronett Girls dovettero ripartire per il proprio Paese. Andammo alla stazione ad accompagnarle. Fu un addio davvero commovente. Abbracci e baci a quelle nostre compagne di lavoro, a quelle care girls che, con noi, piangevano. Non mancarono il darling... good bye... love... Il giorno dopo, in sostituzione delle adorabili girls, arrivava la RAF!!!

C'era la guerra. In platea c’erano i tedeschi, la milizia, i repubblichini. La Wanda furoreggiava, io, malgrado i bombardamenti, cercavo di far ridere, e ci riuscivo. Raccontavo decine di barzellette e, sempre a tu per tu con il pubblico, recitavo il monologo del Maliardo. Ricordo che quando esclamavo “et voilà, son qua, sono il Maliardo!” aprendo il mantello, e alludendo alla fodera, aggiungendo: “Seta!”, dall’alto gridavano in coro: “Rayon! !!”... Poi suonavano le sirene d’allarme, e addio risate. Sciolta la Compagnia Osiris, feci una breve stagione, nel 1944, con Marisa Maresca, splendida soubrette che, dopo me, formò binomio con Walter Chiari. Tornai con la Wandissima, ma prima, nel 1945, negli ultimi tempi della guerra, partecipai a uno spettacolo che aveva per titolo Ba-bi-bò.

In una pensione in piazza Duomo, al terzo piano, muore uno dei De Rege, il più vecchio, la spalla. La spalla muore, e io sto vicino a questo mio compagno, Ciccio, il comico. Mi ricordo che il prete ritardava a venire per benedire la salma e, malgrado la triste circostanza, Ciccio mi sussurrò: “Sono come le soubrettes, si fanno aspettare anche loro”. Sono cose che andrebbero vissute, è difficile spiegarle. Era il dramma di due comici. Ricordo che andavo su in camera a trovare il De Rege, e vedevo il malato seduto sul letto di morte, gli ultimi giorni, e l’altro li, con le sue smorfie, cercava di farlo ridere. E poi mori... [...] Al funerale, dall'autobus che portava i parenti al cimitero io guardavo giù e vedevo tutti quei volti, di quegli attori, di quei giocolieri, di quei saltatori, di quei comici dell'avanspettacolo. In mezzo c’era Gino Franzi, il grande cliseur, commosso, con un’espressione che non dimenticherò. E intorno tutti quei volti, duri, tesi a guardare il loro amico al quale era morto il fratello. La coppia era spezzata... Non riuscii a frenare le lacrime. Arrivammo al cimitero. Mentre il povero Guido veniva sepolto dalle palate di terra dei becchini, Ciccio e io gettavamo fiori sulla bara che andava scomparendo. Poi ce n’andammo, prendemmo il tram per ritornare in centro. E allora, giuro, sembrerà un paradosso, ci mettemmo a raccontare barzellette, a scambiarci battute. Era forse una reazione al grande dolore. Io facevo della filosofia spicciola, dicevo a Ciccio: “Cosa vuoi, siamo di passaggio... tuo fratello ti ha lasciato solo. Non ha fatto che precederti. Aveva una malattia che si guarisce solo morendo”. Ma il De Rege non si dava pace, non osava più andare in scena. Molti gli avevano fatto la proposta di tornare in palcoscenico. Ma non osava. Era cosi gentile, cosi modesto, cosi buono (quando nacque mio figlio Massimo, disegnò una vignetta, come sapeva disegnarle lui, con un’automobile Augusta — mia moglie si chiama Augusta —, il cofano aperto, e il pediatra che tirava fuori il bambino dal motore). Rimase solo. Lo invitai a casa mia e gli dissi: “Senti, ti faccio da spalla io, ma tu devi ritornare davanti al pubblico”. Un impresario organizzò lo spettacolo: Ba-bi-bò, in uno dei soliti teatri della periferia milanese (Ars, oggi Salone Pier Lombardo), il De Rege accettò. Io avevo finito la stagione con Wanda Osiris al Lirico e il pubblico vedeva scritto sui giornali: De Rege-Dapporto, e la gente che andava al Lirico, venne in questo teatro di periferia; c'erano file di macchine. Cosi debuttai come spalla di De Rege. Io facevo un direttore di teatro, e lui era un pianista che non aveva mai dato un concerto, gli parlavo e lui: “Sc-sc-sc-sc-sc”... non so, era tutta una risata. Mi sono difeso ridendo. La mia prosa non avrebbe mai fatto ridere vicino a lui, era assurdo che io tentassi di far ridere. Era bravo, fatto di nulla, ti guardava e ridevi; aveva un naso di cartone legato con lo spago. Era irresistibile!

Facemmo per una settimana Ba-bi-bò.

Io non credo di essere stato pagato, non avevamo nessun contratto. Comunque ridiedi al caro Ciccio il coraggio del teatro. E De Rege ricominciò a girare. Dopo un anno, al Reposi di Torino, morì. Morì di crepacuore, di solitudine, di un dolore intimo suo, va’ un po’ a sapere di cosa è morto. E ho accompagnato al cimitero pure lui. Li ho accompagnati tutti e due. Adesso divertiranno gli angeli. Questa è la storia dei fratelli De Rege negli ultimi momenti della loro vita.

Intanto stava per finire la guerra... Bombardamenti, treni in ritardo, tedeschi. Una volta dovevamo andare a Roma, da Firenze o Milano, non ricordo; l’amministratore doveva essersi sbagliato a far agganciare i vagoni, e noi rimanemmo trenta ore in treno, su un binario morto, tutta la compagnia, con le girls disfatte, tutti smunti. Poi c’erano i militari... Una volta a Milano, “invitati” dal Comando tedesco, capitammo in una villa di San Siro, a cena. C’era Renzo Ricci, c’era Èva Magni, e poi Marisa Maresca, mi pare, e Wanda Osiris, e altri attori. Tutto a un tratto ci furono degli spari. I partigiani avevano circondato la villa, e si erano messi a sparare. E i tedeschi — heinz zwei schnell — a rispondere... e noi giù, tutti accucciati sotto i tavoli. All’alba ci riaccompagnarono a casa, in centro. Questo succedeva a Milano durante la guerra. E poi i bombardamenti. Suonavano le sirene, io magari ero in scena e dicevo al pubblico: “Signori, vogliamo rimanere qui o continuiamo poi il numero quando siamo lassù?...” “Nooo, resta qui!” E io rimanevo li, mentre bombardavano Milano, a fare il Maliardo. “O qui o là, se la ven giò...” E rimanevamo li. Di notte, altri bombardamenti. Abitavo in una pensione e tutte le notti c’erano i bombardamenti.

Il rifugio si riempiva di famiglie, io portavo giù la bombetta di Stan Laurel per far divertire i bambini. Me la mettevo e imitavo Stanlio, volevo distrarli. I bambini stavano li a guardarmi. Non ridevano.

Carlo Dapporto


Dapporto, il signore della rivista

Prima di arrivare al teatro, Carlo Dapporto ha fatto il garzone droghiere, il garzone di farmacia, il barman, il cantante di tabarin. Cantava, in spagnolo, un’infinita serie di « tanghi ». Una sera, mentre filava, accompagnandola con un gesto melodrammatico, l’ultima nota di un languorosissimo criollo, un signore spagnolo, che lo aveva ascoltato molto attentamente, si alzava dal suo tavolo e andava in cerca del proprietario del locale...

— Scusate, amici, — ci interrompe a questo punto il nostro protagonista — mi permettete di continuare in prima persona?
— Ma figùrati, Carlo.
— Grazie. Dunque... Donc... Dicevamo: il signore spagnolo va in cerca del proprietario del locale e gli chiede, con un sorriso: «Scusi, in che lingua canta il suo cantante?»; e quello invece di venire da me a esigere precise spiegazioni, risponde: «In norvegese», e salva me, se stesso e la reputazione del locale. Che cos’è mai la vita! Al tavolo di fianco a quello del subdolo individuo siede una seducente soubrette che ha una sua Compagnia di Varietà: Vivien D’Arys; io faccio un’imitazione di Stan Laurei e quella si alza dal tavolo per dirmi: « Vuol venire nella mia Compagnia? ». « Ma con gioia frenetica, signora », rispondo. In Compagnia c’è un altro comico ancora ignoto, ma che promette bene, un certo Carlo Campanini, il futuro divo cinematografico, e fra tut-t’e due combiniamo un duetto di Stanlio e Ollio che manda la gente in visibilio e ci permette di rimpinzarci di aragoste e di passare il tempo in bagordi e in passeggiate in macchina, en auto', guadagnamo infatti ventisette lire e cinquanta al giorno: un capitale. Nessuno mi tiene più: eccomi in un’altra Compagnia con Lia Rainer; eccomi nel «Trio del Bolero» con Anna Fougez e Réné Thano (lire settantacinque); eccomi in avanspettacolo nella prima compagniuccia rionale di un giovane comico che stimo moltissimo: Carlo Dappor-to (qualche foglio da cento). Poi, di colpo, un salto enorme, inimmaginabile, che darebbe la vertigine a chiunque: eccomi a fianco di Wanda Osiris in Sognamo insieme, e poi in Che succede a Capocabana? ; dopo un intermezzo con Ma-risa Maresca in Oliilalà, ritorno con la Osiris nell’/soia delle sirene e finalmente inauguro la mia « ditta » personale. Galdieri scrive per me quattro riviste, e...

— Scusa, Carlo, permetti che continuiamo noi?
— Ma figuratevi.
— Grazie. Dunque: Dapporto non identifica la sua comicità in una « maschera » fissa e immutabile perchè preferisce creare sulla scena le figure che più gli garbano. Il suo « Mister Chips », il suo « Monsieur Verdoux », il suo piemontese di mezza età, con grossi baffi, dalla parlata e dal passo ugualmente strascicati, che ora fa l’idraulico, ora il cameriere, ora l’illusionista, ora il libraio, e che ha finito per costituire un autentico personaggio, nato da un arguto spirito d’osservazione, recano l’impronta di un talento personale quanto versatile. Dapporto indossa il frak come lo indossa Anthony Eden e racconta barzellette alla ribalta con l’autorità di chi « tiene in mano » il pubblico, dalla prima fila di poltronissime ai posti in piedi di galleria. Ha quarant’anni. È nato a Sanremo (« Per caso, — dice — lo stesso caso che fa nascere ima pianta d’albicocche là dove un viaggiatore aveva gettato, un giorno, dal finestrino del treno, un nòcciolo d’albicocca »).

C’è poi un Dapporto noto a pochi intimi: Il Dapporto padre di famiglia, il Dapporto poeta che adora il suo bambino e che ha scritto per lui, fra parecchie altre, questa delicata poesia:

MIO FIGLIO

Ho un figlio che si chiama Massimino: è nato l'otto agosto di quest’anno, è vispo, intelligente, è un bel bambino, è un angelo che tutti baceranno.
Lo baceranno con il mio permesso, con quello della mamma che è gelosa, però, senza permesso fa lo stesso: baciare un bimbo è cogliere una rosa.
Non sono stato mai così felice:
Augusta, la mammina, è come me;
Iddio ci guarda e poi ci benedice perchè siamo bambini tutti e tre.

Non c’è che dire: è davvero una bella cosa. Peccato: se fosse stata una brutta cosa avrebbe potuto vincere un « Premio Viareggio » per la Poesia.

Dino Falconi e Angelo Frattini


 

Galleria fotografica e rassegna stampa

Carlo Dapporto, rassegna stampa

Cinema, teatro, costume e società 1171 Roberto De Monticelli, «Epoca», anno IV, n.148, 2 agosto 1953

La signora dalle piume di struzzo

La signora dalle piume di struzzo La rivista entra nella storia dello spettacolo rivendicando, con Aristofane, le sue radici classiche. Dunque, dietro i lustrini e le «paillettes», dietro le piume di struzzo i «puntini» e gli strascichi c’è una…

«Tempo», 1952


1989 10 02 La Stampa Carlo Dapporto morte intro


La morte ieri pomeriggio in ospedale dove era ricoverato da qualche giorno: aveva 78 anni

Dapporto, il gentleman della risata

Uno scettico blu venuto da Sanremo negli anni 30

ROMA. Carlo Dapporto è morto nel pomeriggio di ieri nella clinica Mater Dei dov'era ricoverato da alcuni giorni. Nato a Sanremo il 26 giugno 1911 e attivo nello spettacolo per oltre mezzo secolo, aveva conseguilo al termine della carriera un commovente Nastro d'Argento recitando accanto al tiglio Massimo ne «La famiglia» dì Scola.

In «Polvere di stelle», un film sui pochi splendori e le molte miserie dell'avanspettacolo, il poveraccio Alberto Sordi millanta credilo di fronte alla poveraccia Monica Vitti indicandole in Galleria la fatidica presenza di Carlo Dapporto. Un cenno del divo al guitto e la conoscenza rimane campata in aria.

L'episodio indica come la gente di spettacolo considerasse Dapporto: un talento arrivato ai vertici della rivisto, un comico che s’imponeva di stile rinunciando alla volgarità, il solo rivale di Macario e Taranto che avevano alcuni anni in più e si erano imposti fin dall'ante-guerra.

I suoi inizi erano stati mutevoli, affascinanti forse solo nel ricordo: ballerino, fine dicitore, doppiatore (in coppia con Campanini per fare Stanlio e Olilo). Non erano tempi facili i primi Anni Quaranta. Nei teatri in genere si recitava di primo pomeriggio perché con le 8 scattavo il coprifuoco: la gente si concedeva fantasie di poche ore e rientrava inquieta mentre il capofabbricato rinserrava palchi e ribolle sotto decine di socchi di sabbia por prevenire gl'incendi che le bombe potevano causare.

In tanta quotidiana paura a nessuno pareva grave sognare dietro i lustrini delle ballerine e ridere con i lazzi dei comici. Ebbene a queste illusioni strappate con i denti alla mediocrità Dapporto conferiva una sua grazia felicissima. I titoli delle riviste proponevano un’illusione dopo l'altra («Copacabana» e «L'isola dello sirene» con Wanda Osiris) e Dapporto si arrampicava su ogni singola illusione.

Il carovita, la borsa nera, lo sfollamento alla Pampurio, la grande avventura sentimentale che non arrivavo mai... Dapporto recitava, cantava con un filo di voce, soprattutto conversava con il suo pubblico. Con la fine della guerra si era diffusa l'abitudine opposta cioè la gioia di fare tardi. Sulla passerella, quando già lo souorettes si st iucca vano, il comico raccontava barzelletto a raffica.

Erano strane, talora surreali, infallibili negli affetti. Ecco un fidanzato che in Alaska aspetta la fidanzata abituala a fare tardi negli appuntamenti. Si dispera, si carica c si scarica Infine dice risoluto: «L'aspetto ancora un po', fino a meno 20 o poi me ne vado». Cosi strafacendo, la sala non si vuotava e gli spettatori perdevano — felici — l'ultimo tram. Galdieri. Giovannini e Garinei gli offersero occasioni fantastiche.

Con «Giove in doppiopetto» fattore poco più che quarantenne campeggiò infallibile negli effetti. Il re degli dei era diventato un maliardo, uno scettico blu, un fatuo dongiovanni. Le sue macchiette e le sue caratterizzazioni confluivano tutte su quelle nuvole di tela c su quei troni di cartapesta. Un contrasto ideale con la scatenata Delia Scala.

Televisione e pubblicità se lo contendevano. Gostino fotografo piemontese andava di pari passo con la citazione del pericoloso Charlie Chaplin di «Monsieur Verdoux». Riportava lutto alla sua misura, non c'erano registi in grado di controllarlo. Piuttosto si piegava a esigenze opposte, soprattutto nel cinema dove sapeva essere cavalleresco: come capitano La Gaffe nei confronti della ragazza Sophia Loren ne «Il paese dei campanelli» e come fine dicitore nei confronti del rivale Ugo Tognazzi per un film di barzellette: «Ridere, ridere, ridere».

Più vecchio, in memoria di Gilberto Govi, aveva ripreso il repertorio dialettale ligure. Si concedeva qualche pausa, dottata dall'età o piuttosto dall’estro. Divagava, si faceva serio: «Un macchinista piange... che sconforto / Singhiozza e prega, quel binario è morto».

Piero Perona


Il mio amico Carlo...

Walter Chiari possiede la prerogativa dell'autenticità. Il suo dolore per la morte di Dapporto è rabbioso. «Ma santamadonna, un altro buono che se ne va!». E si butta in una serie di ricordi con quel suo modo di procedere per sensazioni. «Fa rabbia davvero. Se n'è andato un altro importante. Era stato, ultimamente, ingiustamente dimenticato dalla televisione. E uno come lui ne aveva di cose da raccontare. Amabile in scena. Dolcissimo fuori. Era il 1943.

Mi ero esibito di fronte a lui per una serata del dilettante. Mi scrivevo come adesso i miei monologhi. Aveva ascoltato attentamente e aveva parlato con grande partecipazione a mia madre: "Signora, questo ragazzo se lo tenga nella bambagia" mentre mi guardava con fare carezzevole. Nessuno, dico nessuno, potrà mai dire qualcosa contro Carlo. Un animale atipico per la scena. Nessuno come lui sapeva stimolare la simpatia ed è strano che l'abbiano scordato. Ricordo che avevo parlato con Arbore e lui l'aveva chiamato. Era stato un successo incredibile. Non solo fra gli appassionati della grande rivista, ma anche fra i giovani. Tanta era la comunicativa. Direi che era un Bob Hope più colto e immaginifico. E poi tanti incontri.

Anche quando abbiamo portato la bara del povero Campanini era presente. Se ne stava lì impietrito nel dolore e signorile. Durante un altro incontro a Chianciano doveva stare in scena tre minuti: tenne banco per diciotto e il pubblico lo voleva di continuo. Posso assicurare che le sue storie evanescenti, permeate di professionalità, erano quanto di meglio abbia prodotto il teatro leggero. Non si chiedeva mai se quanto stava preparando potesse essergli utile: la professionalità avanti tutto. E' stato un grande in scena e un grande nella vita...». Che cosa significa? «Ad esempio un padre, un grande padre. Un modello per tutti». Franco Interlenghi l'aveva incontrato un po' di tempo fa mentre passeggiava ai Parioli: «Ci salutavamo da sempre anche se non ho mai lavorato con lui. Ma chi poteva dire di non conoscere Carlo Dapporto? Le sue riviste hanno fatto epoca.

E poi nell'ambiente si diceva spesso che uno come lui la vita l'aveva saputa vivere bene, nel verso giusto, con l'ironia calibrata di chi sa affrontare i problemi quotidiani, impegnato in una grande battaglia contro le banalità di tutti i giorni. Mai uno sfinimento o una depressione». Anche Gina Lollobrigida è dello stesso parere. «Un uomo squisito che ha tracciato una mappa sulle tavole del palcoscenico per tutti quelli che son venuti dopo. Non sono mai stata amica sua, ma ci conoscevamo. Non aveva fatto tanto cinema, chissà perché. Ma le sue riviste annegate nello sfarzo e condite di sarcasmo erano una specie di toccasana». Ma è Walter Chiari che subisce di più l'impatto della morte. Come dire che il dolore che possiede un preciso percorso fra i meandri del cuore, emerge anche nel ricordo allegro. «Vi sono alcuni ambasciatori di vita che riescono a portarla in ogni regione del mondo. Carlo era fra questi. E quando muore uno come Carlo, anche avesse avuto cent'anni, vien fatto di pensare: ma come, così? Improvvisamente?».

Nevio Boni


Il re della rivista - Una vita tra le soubrettes

Era il gentleman della barzelletta, un signore che faceva ridere mantenendo un contegno che oscillava tra quello di un maggiordomo alla Woodhouse e l'atteggiamente altero di un colonnello di cavalleria. A Torino era una star accolta trionfalmente al Teatro Alfieri, il tempio del varietà. Prima dello spettacolo, lo si vedeva passeggiare per via Cernaia avvolto nel suo cappotto di cammello: ecco il commendatore. I suoi concorrenti erano Macario, le compagnie di Walter Chiari, quelle di Totò.

Sapeva sempre dire la sua da maestro. In quegli Anni Cinquanta (l'era del suo massimo successo), la commedia musicale viveva fragilmente sulla battuta del capocomico, e su trame che mostravano presto la corda. Il commendator Dapporto, gran dicitore di barzellette (sempre con qualche parolina in francese subito tradotta per sottolineare con ironia quanto fosse internazionale il suo repertorio), ha portato la gioia a mille platee per tre decenni passando dal teatro al cinema e infine alla televisione, persino la tv dei Caroselli con il suo patetico ma indimenticabile «Zio 'Ngilino». Una lunga carriera dunque che si era iniziata per caso. Prima faceva il bagnino.

Poi il cantante di tango nei night club. E qui scoprì di potere stabilire un rapporto con il pubblico e vincere. Lavorava al Savioli di Riccione quando scoccò la sua ora fortunata. Tra il pubblico c'era Vivienne d'Arys, una soubrette che andava per la maggiore, lui, Dapporto, decise di improvvisare una imitazione dei due comici per eccellenza in quegli Anni Trenta (Stan Laurei e Oliver Hardy) fu un successone e l'inizio di una nuova carriera. Nel '35 inizia una fortuna con la commedia «Sogniamo insieme» accanto alla Wandissima Osiris, un lancio in piena regola che pone Dapporto tra i più invidiati attori del teatro leggero. Con la Osiris nel '41 guadagnava 300 lire al giorno, erano i tempi della canzone «Mille lire al mese». Poi Dapporto lasciò la Osiris per fare «ditta» con Marisa Maresca («Ohilalà), la nuova star del musical all'italiana. Lo vediamo anche a Sanremo come enterteiner e come importatore del primo gruppo di Bluebell dall'Inghilterra. Il suo lungo cammino nel mondo della rivista ebbe una serie di straordinari successi.

Ecco i più importanti: «Chicchirici» di Galdieri con Delia Lodi '47-'48), «Buon appetito» 48-49 , «Snob (con Minnie Gerard (5051), «La piazza» con Giacomo Rondinella e Linda White, una breve pausa e si arriva al capolavoro «Giove in doppiopetto»; poi «L'adorabile Giulio» con Delia Scala. L'eleganza nella parola e nel vestire erano il suo fiore all'occhiello: era l'ultimo «scettico blu». Con gli anni aveva abbandonato il varietà ma non le scena e con eleganza raccontava le sue barzellette con la nonchalance («naturalezza») dell'artista consumato, colto, raffinato. Un vero viveur, un uomo che faceva della galanteria il proprio vanto: «Certo, le donne ne hanno bisogno; l'esigenza di essere conquistate è nella loro natura».

Franco Mondini

«Stampa Sera», 2 ottobre 1989


1989 10 02 Corriere della Sera Carlo Dapporto morte intro 1

ROMA — L'attore Carlo Dapporto è morto Ieri pomeriggio per un Infarto nella cllnica Mater Del dove era ricoverato da qualche giorno. Era nato a Sanremo il 26 giugno 1911. Considerato il re delle barzellette, aveva cominciato nel 1927 come fantasista in un circo. Otto anni dopo debuttò nella rivista: lavorò con Wanda Osiris e lanciò come soubrettes Della Scala e Lauretta Masiero. Poi, commedie musicali, radio e Tv, cinema: l’ultimo film è stato «La famiglia», di Scola. I funerali al svolgeranno domani alle 10 nella chiesa di San Luigi Gonzaga.

Dapporto, signore della rivista in frac

Aveva cominciato nel ’27 come fantasista in un circo, diventando poi cantante di tanghi - Il successo arrivò quando Wanda Osiris lo scelse come partner Ha lanciato una miriade di soubrette: tra esse Delia Scala con cui recitò nel fortunatissimo musical «Giove in doppiopetto» di Garinei e Giovannini

ROMA — Stroncato da Infarto, Carlo Dapporto è morto ieri pomeriggio nella clinica Mater Dei. I funerali si svolgeranno domani alle 10 nella chiesa di San Luigi Gonzaga in via di Villa Emiliani. La salma sarà tumulata nel cimitero di Prima-porta. Dapporto era nato il 26 giugno 1911 a Sanremo, lascia la moglie e due figli, Dario e Massimo, quest'ultimo anche lui apprezzato attore.

Negli ultimi tempi soleva dire che di tutto il suo mondo, quello magico della rivista, gli era rimasto solo il frac: dall'inizio della carriera non lo aveva mai abbandonato. Sul palcoscenico, del resto, Carlo Dapporto è sempre stato un gran signore, un maestro di eleganza e ironia. Alla storia passerà probabilmente come il re della barzelletta, fine dicitore di un umorismo che per primo osò i doppi sensi. utilizzandoli però sempre in punta di fioretto.

Un titolo più che rispettabile ma indubbiamente riduttivo. In cinquant’anni di carriera Carlo Dapporto ha attraversato, lasciando ovunque un segno particolare, ogni forma di spettacolo leggero, dal burlesque all'avanspettacolo, dalla rivista al musical. Si è inventato un tipo di comicità che, pur traendo spunto dalla tradizione popolare, diede vita a personaggi surreali, stilizzati, sempre lontani dal mac-chiettismo.

Lanciato da una divina della rivista. Wanda Osiris, fu a sua volta impareggiabile talent scout di una sfilza di soubrette. Lo chiamavano il maliardo, sempre con quell’aria da viveur, i capelli nerissimi impomatati, lo spirito di chi, ammaliato dalla bellezza femminile, sa come far cedere le donne.

E irresistibile sin da dilettante. Figlio di un modesto calzolaio («Ero di famiglia malestante», diceva lui), fa una lunga serie di lavoretti, da fabbro a fattorino, a barista. Impiegato come lift (quello che aiuta i clienti a sfilare e indossare i cappotti) in una notissima pasticceria di Sanremo, diventa presto attrazione del locale per le barzellette e per l’imitazione di Charlot. Una macchietta che ripete sotto il tendone di un circo equestre, dove viene arruolato nel '27 come fantasista.

Agli inizi degli anni Trenta Dapporto è invece al Savioli di Riccione. Si fa chiamare Pedro, è cantante di tanghi argentini. È l’epoca in cui furoreggiano Stanilo e Ollio e a fine serata regala al pubblico la perfetta imitazione di Stanlio. Lo vede Viviane D’Ary, bella donna e famo

sa soubrette del regime. Gli propone di entrare nella sua compagnia d'avanspettacolo D’Ary-Campanini. E con Carlo Campanini si ricrea la coppia Laurel-Hardy versione made in Italy.

Con gli anni della guerra Dapporto dimentica i tanghi e lascia ogni tanto le scene per tornare ai suoi lavoretti saltuari. Poi, nel '41, al Supercinema di Milano entra in sala Wanda Osiris mentre lui si esibisce. La Divina s’è appena separata da Macario e in quel distinto giovanotto in frac con l’aria da maliardo vede il suo partner ideale.

«Sognare insieme» fu la  prima rivista del nuovo «duo», cui seguono, tra le altre, «Sognate con me», «Che succede a Copacabana», «L’isola delle sirene». Della Osiris, Dapporto ricordava l'eccezionale fascino e il proibitivo profumo «Arpège» («Quando glielo regalavo mi costava settemila lire di allora la bottiglietta») con cui Wanda usava inzuppare le rose prima di lanciarle al pubblico.

Nel '50 Dapporto sforna il suo personaggio più popolare: Agostino. Succede per caso durante la rivista «Buondì zia Margherita» di Galdieri, il suo autore preferito, in cui l'attore lancia la prima delle «sue» donne, Elena Giusti. «A un certo punto — raccontava spesso con gusto — dovevo entrare in scena con un paio di baffi smisurati che mi impedivano di parlare normalmente. Così una sera improvvisai una parlata piemontese che avevo ereditato da mia madre...».

Agostino, figura popolaresca che storpia le parole, è l’altra faccia di quell'ironico dansuer mondain preso in giro con garbo, la parlata francese sempre pronta e gli occhi e la mente rivolti a Montecarlo.

Nel ’53 è la volta di «Baracche e burattini» con Lauretta Masiero, poi nel '54 il suo titolo più fortunato. «Giove in doppiopetto». firmato Garinei e Giovannini: ecco in Italia il musical che avrà in Dapporto e Rascel le colonne portanti. Un successo enorme, il primo spettacolo che viene ripetuto per una seconda stagione e ha anche una versione cinematografica.

Dapporto veste i panni di Zeus che, invaghitosi di una fanciulla, vorrebbe mandare in fumo il legame di questa col suo fidanzato. Ma interviene la gelosa Giunone (Lucy D’Albert e poi Lia Zoppelli) a ostaco

lare i suoi piani... I fidanzatini sono Gianni Agus e Delia Scala che qui battezza la sua carriera. Delia rimarrà sempre la partner ideale di Dapporto: «Tenace, sgobbona, una vera professionista».

Fra le riviste di Dapporto più applaudite bisogna anche ricordare «Snob», «La piazza» e tra i musical «Carlo non farlo» (ancora con la Masiero), «L’adorabile Giulio» (con Delia Scala) e «L’onorevole» (con Marisa Del Frate). Lancia anche Claudia Mori e sfodera la sua galanteria pure nella prosa lavorando con Paola Quattrini, Liana Orfei, Milla Sannoner.

In tv è a fianco di Rita Pavone. Poi negli anni Settanta mette momentaneamente da parte il suo mondo e s'impegna a riproporre il teatro di Gilberto Govi, riallestendo uno del cavalli di battaglia del comico genovese, «Pignaverde e Pignasecca».

Dapporto fece anche il cinema. Esordì negli anni Cinquanta e interpretò molte commedie, anche da protagonista, portando sul grande schermo le sue macchiette dal tono rivistaiolo. Tra i film che interpretò, «Canzoni di mezzo secolo», «Ci troviamo in Galleria», «Donne proibite».

Ma la grande affermazione al cinema Carlo Dapporto la ebbe soltanto qualche anno fa sostenendo il ruolo di un vecchio nel film «La famiglia» di Ettore Scola: un’interpretazione che gli valse un «Nastro d’argento».

Non ha avuto probabilmente i riconoscimenti che si meritava ma andava fiero degli apprezzamenti di alcuni «grandi». Bob Hope, dopo averlo visto in uno spettacolo in cui gli faceva il verso, gli mandò una cartolina: «Mi sono visto. Sto bene». E Maurice Chevalier, U suo idolo, se ne andò da Milano dicendo: «Di questa città mi sono piaciuti il Duomo per l’anima, gli spaghetti per lo stomaco e Carlo Dapporto per lo spirito».

Alessandro Cannavò


Forza delle buone maniere

Lo «stile» di Dapporto... A rivederlo oggi (le occasioni non mancano anche se non abbondano: qualche vecchio film, qualche spezzone televisivo), la sua caricatura del «viveur», dell’uomo elegante per professione e più ancora, direi, per vocazione o partito preso, appare soprattutto di una sottile, discreta, malinconica eleganza.

È come se il nottambulo in cilindro e sciarpa bianca, più scarpe di vernice e guanti «glacés», che abitava in tutti i suoi personaggi, si fosse liberato, col passare dei decenni, di qualsiasi cattiveria o forzatura satirica per convertirsi in ciò che probabilmente, all’insaputa dello stesso attore, è sempre stato: un auto-ritratto, in perfetto, amabile equilibrio fra autoironia e autoindulgenza.

Altri tempi, davvero. Nell’imperversare delle pesantezze dialettali e degli intellettualismi d’accatto che fanno da opposti confini alla •nuova» comicità, chi sarebbe in grado, non dico di apprezzare, ma semplicemente di cogliere gli ammicchi mondani di Dapporto, la sua buona pronuncia francese, le sue allusioni a una «belle époque• più immaginaria che attardata?

Non vorrei esagerare, e tanto meno appigliarmi a una nostalgia decisamente troppo futile; ma è difficile sottrarsi al sospetto che se la bonaria, mai sguaiata presa in giro delle buone maniere, di cui Dapporto aveva fatto la cifra e la ragion d’essere della sua comicità, ci sembra oggi così remota, cosi confinata nella misura e nel tempo della memoria, è anche o forse soprattutto perché più nessuno coltiva o pratica o sa cosa siano, appunto, le buone maniere.

Giovanni Raboni

«Corriere della Sera», 2 ottobre 1989


Dapporto, ultimo maliardo

ROMA — L’attore Carlo Dapporto è morto nel pomeriggio di ieri a Roma, nella clinica «Mater Dei», dove era ricoverato da qualche giorno. Nato a Sanremo il 26 giugno 1911, aveva cominciato la sua carriera nel mondo dello spettacolo nel 1927 come fantasista in un circo. Il suo esordio nella rivista è datato 1935. Il successo cominciò a sorridergli negli anni ’40 quando esordì in alcune riviste creando divertenti macchiette, intelligenti e misurate, a fianco di Wanda Osiris (1942-’43). Nel dopoguerra si presentò con sue compagnie e lanciò alcune eleganti soubrettes come Lauretta Masiero e Delia Scala.

Fra le sue riviste più applaudite si ricordano: «Buondì, zia Margherita» (1949-'50), «Snob» (1950-’51), «La piazza» (1952-’53) tutte di Galdieri, ma soprattutto «Giove in doppiopetto» (1954-’56) di Garinei e Giovannini — che rivelò Delia Scala attrice di rivista — della quale fu curata anche la riduzione cinematografica.

Nel cinema esordì negli anni '50 interpretando numerose commedie anche in veste di protagonista. Fra le sue interpretazioni si ricordano quelle dello «scettico» in «Canzoni di mezzo secolo» (1952), dell’attore guitto e fallito in «Ci troviamo in galleria» (1953), mentre un tentativo di umanizzare il suo personaggio in «Donne proibite» (1953) non ebbe fortuna.

Furono quelli gli anni di maggior impegno per Carlo Dapporto che lavorò anche per la radio e la televisione in numerose trasmissioni di varietà. Negli anni successivi segui la trasformazione del varietà in commedia musicale interpretando, fra l’altro, «L’adorabile Giulio» di Garinei e Giovannini e «Il diplomatico» di Scarnicci e Terabusi con Elena Giusti.

La sua grande affermazione nel cinema l’ha avuta recentemente con il film «La famiglia» di Ettore Scola nel quale ha interpretato il ruolo di un vecchio. Per questa interpretazione fu premiato con il «Nastro d'argento». Ma I premi non sono mai mancati a Carlo Dapporto: nella sua carriera, conclusasi nel 1978, quando, a seguito di una malattia ha dovuto lasciare il palcoscenico, ne ha ricevuti tanti, ma quello che considerava il più importante è rappresentato dalle interpretazioni del figlio Massimo nel teatro serio. Quello stesso che a lui era stato negato.

«Ma che cos'è, poi, un frac?... / Un indumento astratto / che certo fu inventato / da un sarto mezzo matto /. Vuol essere un «Cappotto» / e dietro è lungo, austero, / però non ha il coraggio / d’esserlo per intero./ Vuol essere una «giacca» / ma... gliene manca un pezzo, / per cui ha un’aria frivola, / come un pettegolezzo... »/. Così, in quest'aria frivola, vorrei ricordare in un giorno di lutto — che ha visto, non dimentichiamolo, stamane i funerali di Gianni Santuccio, — la scomparsa di Carlo «Cadetto» Dapporto. «I miei amori sono stati tanti — intonava in uno dei suoi celebri "monologhi-cantati" — e inventariarli non m'è mai piaciuto». Carletto ha divertito almeno tre generazioni con sapienza, con intelligenza, con sarcastico humour. E’ stato l'emblema della brillantina e dell'impomatura, ma anche un interprete di classe, di «verve» compassata e godibilissima, di comunicativa schietta, di schietta comicità tutta all'incontrario di quello che imperversa su scene e schermi nostrani, tutt'oggi. Ironia della sorte, era nato in quel caravanserraglio che sarebbe divenuto, negli anni, Sanremo. A diciott'anni era fuggito di casa, abbordando un camion che trasportava fiori e facendosi conoscer? (sembra incredibile) come imitatore di Stan Laurei, che anni dopo portò in coppia con l'Ollio di Campanini, facendo di volta in volta il fantasista da circo equestre, j| ballerino-cantante, il «tuttofare» del «Varietà».

Il suo sarcasmo era tutt'uno con l'eleganza che, non innata, seppe inventarsi «ad hoc». Vivienne d'Arys fu la sua prima Musa, ma solo a fianco di Wanda Osiris (s’era già in guerra) conobbe il successo in fragorose deliranti macchiette che lo portarono alla superconoscenza dei rivistateli italiani, sino al capo-comicato che gli fece lanciare «soubrettes» come Elena Giusti, Lauretta Masiero, Delia Scala.

Carletto è stato definito «macchietta», «carattere», «attore di classe». E' vero. Fu anche quello che sarebbe potuto essere: ve lo immaginate in un «Mackie Messer» antistrehleriano dell’«Opera da tre soldi»? a Trieste, era stato nel '35, all'altera glorioso «Fenice». Vi conobbe una signorina spiritosa e affascinante, Augusta, e la sposò, portandola in giro per camerini e anfratti teatrali d'Italia.

Nei nostri ricordi affiorano, qua e là i nomi di Totò e di Macario, di Taranto e di Rascel. Ma, senza naturalmente entrare in impossibili raffronti artistici, chi dimenticherà il suo monocolo, il suo papillon bianco, le sue gardenie, i bastoni col pomo d'avorio, un pipistrello gettato con fine negligenza sulle spalle, un cilindro tinto di riflessi che scopriva magicamente riflessi di brillantina? Avanspettacolo? Varietà? Rivista? Commedia musicale? Questo, tutto questo, e molto altro. Tv e cinema, Garinei & Giovannini fino a Ettore Scola («La famiglia»). Uno sguardo tenebroso e due diamanti per gioielli gli bastavano per emozionare e far sorridere quel fine dicitore che amava, con un pizzico di elegante snobismo «conférencier».

Giove in doppiopetto lo consacrò alla storia della nostra rivista, ma di lui ricorderemo a lungo immagini di volpi bianche ed ermellini accanto ai suoi frac, i gioielli che sono oggi al supermarket sotto casa, le uova e i cappuccini fra una «Faccetta nera» e «Donde estas corazon», recitati e mimati con sublime ironia.

Lascia un figlio attore, Massimo, più che una promessa. Lascia, Carletto, un mondo irripetibile carico di rimpianti e nostalgie per chi lo ricorda. Lo ricorderemo, sì, come un «barzellettiere» (certo uno fra i più grandi). Ma erano «mots d’esprit» centellinati. L'unica volta che rincontrai, il suo affettuoso commiato fu un piccolo, delizioso regalo: «Un attore — ma la sa vero? — stava complimentandosi con la primadonna della compagnia, elogiando i suoi meravigliosi gioielli. Splendidi! Brillanti purissimi, signora! Quanta ricchezza! — Questi gioielli, caro collega, me li sono guadagnati tutti con il sudore della fronte... — Che fronte bassa!... ».

Nessuna volgarità, anche in queste barzellette «spinte». Ci lascia un uomo di spirito, raffinato, elegante. Si, Galdieri gliene scriveva qualcuna, di queste barzellette spinte. Ma le più erano sue. Degne di un Karl Valentin, di un Dario Fo, o se preferite di un certo George Bernard Shaw.

Giorgio Polacco


Guerra, lacrime e barzellette

Dal libro «Follie del varietà» edito da Feltrinelli nell'80, proponiamo un «ricordo autografo» di Carlo Dapporto:

«Indimenticabili i trionfi del tempo di guerra, dal 1941 in poi, con delle riviste ricche, meravigliose, quando Wanda diventò Wandissima (fui io, credo, a chiamarla così per la prima volta), lo facevo il Maliardo, Wanda era la Divina. «Ricordo quegli anni con tanta nostalgia. Ero giovanissimo... C’erano i balletti tedeschi. Prima della guerra avevo in compagnia un balletto inglese, che dovette sospendere le recite quando ci fu la rottura tra Italia e Inghilterra. E il giorno dopo la loro partenza, in sostituzione delle adorabili girls, arrivava la RAF!! «C’era la guerra. In platea c'erano i tedeschi, la milizia, i repubblichini. La Wanda furoreggiava, io, malgrado i bombardamenti, cercavo di far ridere, e ci riuscivo. Raccontavo decine di barzellette e, sempre a tu per tu con il pubblico, recitavo il monologo del Maliardo. Ricordo che quando esclamavo "et voi-là, son qua, son il Maliardo!" aprendo il mantello, e alludendo alla fodera, aggiungendo: "Seta!”, dall’alto gridavano in coro: "Rayon!!!”... Poi suonavano le sirene d'allarme, e addio risate. Sciolta la Compagnia Osiris, feci una breve stagione, nel 1944, con Marisa Maresca, splendida soubrette che, dopo me, formò binomio con Walter Chiari. Tornai con la Wandissima, ma prima, nel 1945, negli ultimi tempi della guerra, partecipai a uno spettacolo che aveva per titolo ”Ba-bi-bò”.

«In una pensione in piazza Duomo, al terzo piano, muore uno dei De Rege, il più vecchio, la spalla. La spalla muore, e io sto vicino a questo mio compagno,
Ciccio, il comico. Mi ricordo che il prete ritardava a venire per benedire la salma e, malgrado la triste circostanza, Ciccio mi sussurrò: "Sono come le soubrettes, si fanno aspettare anche loro". Sono cose che andrebbero vissute, è difficile spiegarle. Era il dramma di due comici. Ricordo che andavo su in camera a trovare De Rege, e vedevo il malato seduto sul letto di morte, gli ultimi giorni, e l’altro lì, con le sue smorfie, cercava di farlo ridere. E poi mori... Al funerale, dall’autobus che portava i parenti al cimitero io guardavo giù e vedevo tutti quei volti, di quegli attori, di quei giocolieri, di quei saltatori, di quei comici dell'avanspettacolo. In mezzo c’era Gino Franzi, il grande diseur, commosso, con un’espressione che non dimenticherò. E intorno tutti quei volti, duri, tesi a guardare il loro amico al quale era morto il fratello. La coppia era spezzata...

Non riuscii a frenare le lacrime. Arrivammo al cimitero. Mentre il povero Guido veniva sepolto dalle palate di terra dei becchini, Ciccio e io gettavamo fiori sulla bara che andava scomparendo. Poi ce ne andammo, prendemmo il tram per ritornare in centro. E allora, giuro, sembrerà un paradosso, ci mettemmo a raccontare barzellette, a scambiarci battute... «Questo succedeva a Milano durante la guerra. E poi i bombardamenti. Suonavano le sirene, io magari ero in scena e rimanevo lì, a fare il maliardo. Di notte, altri bombardamenti. Abitavo in una pensione e tutte le notti c’erano i bombardamenti. Il rifugio si riempiva di famiglie, io portavo giù la bombetta di Stan Laurei per far divertire i bambini. Me la mettevo e imitavo Stanilo, volevo distrarli. I bambini stavano iì a guardarmi. Non ridevano».

«Il Piccolo di Trieste», 2 ottobre 1989


Riconoscimenti

Il piazzale antistante il Teatro del Mare a Sanremo è dedicato a Carlo Dapporto.
Esiste una scuola di teatro a lui dedicata e una prova di gran fondo ciclistica che richiama in Riviera oltre mille partecipanti nell'anniversario della scomparsa.
Nel giugno 2011, in occasione del centenario dalla nascita, le Poste Italiane hanno ricordato Dapporto con un francobollo commemorativo in cui viene raffigurato in una tipica espressione: sullo sfondo dell'immagine si staglia un sipario scarlatto, simbolo di quel teatro del quale l'attore è stato protagonista per anni. Il francobollo, del taglio da sessanta centesimi di euro, è stato stampato in due milioni di esemplari.[1]
Nel 1957 Carlo Dapporto vince la prestigiosa "Maschera d'argento" per i suoi successi nella commedia musicale, nella cosiddetta "trilogia del maliardo" diretti da Garinei & Giovannini: "Giove in doppiopetto"(1955), "L'adorabile Giulio"(1956) e "Carlo non farlo"(1957).
Per i suoi meriti artistici fu decorato con numerose onorificenze, tra cui quelle di "Commendatore all'Ordine della Corona d'Italia" e "Commendatore all'Ordine della Repubblica italiana", mentre nel 1965 venne insignito del titolo di "Cittadino benemerito" con la seguente motivazione: «Attore geniale, sorretto da naturale ispirazione e comunicativa fervida e gioconda, ha portato dinanzi alle plaudenti platee d'Italia il nome di Sanremo». Fu inoltre presidente onorario della "Compagnia Stabile Città di Sanremo" sin dalla sua fondazione.


I personaggi di Carlo Dapporto

1. Il Maliardo

Caratteristiche fisiche e psicologiche

Capelli neri saldati dalla brillantina. Abbigliamento vistosamente chic (abiti da cerimonia, camice di raso bianche, vestaglie di seta - di rayon in periodi duri -, doppiopetto, foulards, qualche velluto). Denti fosforescenti. Di mezza età, cereo, navigato. Aria annoiata e un po’ perversa, da distaccato e scettico tombeur de fem-mes. Occhi ammiccanti che sottintendono la consapevolezza.

Condizione sociale

Aristocrazia belle époque. Appartenente alla nobile schiatta dei viveurs costantemente à la recherche di uno stile perduto. È libero da impegni di lavoro o svolge professioni chic (arbi-ter elegantiarum, grande attore, bigamo, diplomatico, erede, tiranno, onorevole, uxoricida). Vive in una garsonnière molto sombre, carica di cuscini, tappeti, pelli di tigre, fruste, bruciaprofumi, dove - jardin des supplices - esercita la sua intensa attività erotica, variegata ed eccentrica. Si muove in una Isotta Fraschini o in una Hispano-Suiza, con autista. Si sposta fra Parigi, Montecarlo, Chianciano, dove passa le acque, per disintossicare l’organismo affaticato dalle troppo abbondanti libagioni di champagne rosé e dai raffinati menus a base di pàté de foie gras truffé, aragosta, vol-au-vent, crème Chantilly. Non è sposato, ha miriadi di amanti. Spende un patrimonio forse fantomatico. Ideologia ancien régime. È un europeo di frontiera.

Cultura

Conosce le romanze da salotto fin de siècle, Gino Franzi, lo chemin de fer e la roulette, qualche pochade, la trama di Giulietta e Romeo. Parla con frequenti gallicismi, anche spaesati, e aforismi sulla vita l’amore e la morte (magari di Oscar Wilde), letti sulle cartine dei ciocco-latini e nel segretario galante.

2. Agostino

Caratteristiche fisiche e psicologiche

Grossi baffi, denti serrati, testa e spalle scrollanti, occhi sgranati o socchiusi, furbi, piedi piatti. Gomitate d’intesa, accompagnate da squittii compiaciuti. Abbigliamento da lavoro, paesano, o da contadino che va in città. Spesso col basco; al collo un fazzolettone o due pom-pons testicolari. Goffo e invadente, smanazza l’interlocutore, soprattutto se femmina.

Condizione sociale

Sottoproletario, di origine contadina, recentemente inurbato. Passa da un lavoro all’altro. Mai sindacalizzato, esercita mestieri artigianali e in settori di servizio, legati alle attività terziarie (stagnino, venditore ambulante, cameriere stagionale, imbianchino, illusionista cinese). Non può permettersi una moglie, né una casa. Vive in camere d’affitto. Si muove su una vecchia Bianchi da donna. Si sposta nel triangolo sottoindustriale Tortona-Novi Ligure-Alessandria (dove scende al diurno a lavarsi). Pasteggia in osteria con pane e salame, formaggio con le pere, minestrone, che allunga col barbera. Cuor d’oro, si commuove molto facilmente. Iniziato opportunamente, può votare comunista, se si ricorda che ci sono le elezioni. È un piemontese di frontiera (basso Piemonte-Liguria-Lom-bardia).

Cultura

Ha iniziato con scarso profitto le elementari, o l’avviamento. Conosce il Cuore, il Barbanera, la trama di Giulietta e Romeo, ama le bocce e la cirulla, i campioni del ciclismo e Orietta Berti. Parla con forti inflessioni dialettali, citando perle di saggezza tratte dal calendario di Frate Indovino.

Se per il Maliardo il paese ideale è la Francia, per Agostino è il Canton Ticino, archetipo dell’esotismo ("Ci ho un sio in Svissera”).


Filmografia

In cerca di felicità, regia di Giacomo Gentilomo (1943)
Il processo alle zitelle, regia di Carlo Borghesio (1944)
Scadenza trenta giorni, regia di Luigi Giacosi (1944)
La signora è servita, regia di Nino Giannini (1945)
Il vedovo allegro, regia di Mario Mattoli (1948)
11 uomini e un pallone, regia di Giorgio Simonelli (1948)
I pompieri di Viggiù, regia di Mario Mattoli (1949)
Botta e risposta, regia di Mario Soldati (1950)
La presidentessa, regia di Pietro Germi (1952)
Canzoni di mezzo secolo, regia di Domenico Paolella (1952)
Finalmente libero, regia di Mario Amendola (1953)
Viva la rivista, regia di Enzo Trapani (1953)
Ci troviamo in galleria, regia di Mauro Bolognini (1953)
Donne proibite, regia di Giuseppe Amato (1953)
Via Padova 46, regia di Giorgio Bianchi (1953)
Il paese dei campanelli, regia di Jean Boyer (1954)
Accadde al commissariato, di Giorgio Simonelli (1954)
Ridere! Ridere! Ridere!, regia di Edoardo Anton (1954)
Viva il cinema!, regia di Enzo Trapani (1954)
Giove in doppio petto, regia di Daniele D'Anza (1954)
Baracca e burattini, regia di Sergio Corbucci (1954)
La moglie è uguale per tutti, regia di Giorgio Simonelli (1955)
A sud niente di nuovo, regia di Giorgio Simonelli (1956)
La famiglia Acquaverde, regia di Carlo Dapporto (film tv) (1956)
Primo applauso, regia di Pino Mercanti (1957)
Fortunella, regia di Eduardo De Filippo (1958)
L'adorabile Giulio, regia di Eros Macchi (film tv) (1961)
Le magnifiche 7, regia di Marino Girolami (1961)
Scandali al mare, regia di Marino Girolami (1961)
Canzoni di ieri, canzoni di oggi, canzoni di domani (1962)
I ragazzi dell'Hully Gully, regia di Marcello Giannini (1964)
Tentazioni proibite, regia di Osvaldo Civirani (1965)
Follie d'estate, regia di Edoardo Anton (1966)
Lisa dagli occhi blu, regia di Bruno Corbucci (1969)
Nel giorno del Signore, regia di Bruno Corbucci (1970)
Quelli belli... siamo noi, regia di Giorgio Mariuzzo (1970)
Polvere di stelle, regia di Alberto Sordi (1973)
La famiglia, regia di Ettore Scola (1987)

Programmi radiofonici

Carlo maestro di chic, presenta Carlo Dapporto regia Berto Manti i mercoledì 1961, secondo programma RAI, ore 10.

Note

^ Fonte: Repubblica.it


Riferimenti e bibliografie:

  • "Guida alla rivista e all'operetta" (Dino Falconi - Angelo Frattini), Casa Editrice Accademia, 1953
  • "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980
  • "Sentimental, la rivista delle riviste", Rita Cirio e Pietro Favari, Bompiani, Milano, 1975
  • Raoul Radice, «L'Europeo», anno VIII, n.45, 29 ottobre 1952
  • «Epoca», anno III, n.78, 5 aprile 1952
  • «Epoca», anno VII, n.313, 30 settembre 1956
  • D.A., «Tempo», anno XXII, n.41, 8 ottobre 1960
  • «Tempo», 1952
  • «Stampa Sera», 2 ottobre 1989
  • «Corriere della Sera», 2 ottobre 1989
  • «Il Piccolo di Trieste», 2 ottobre 1989