Giusti Elena

Elena giusti

(La Valletta, 7 febbraio 1917 – Milano, 21 gennaio 2009) è stata un'attrice, cantante e soubrette italiana.

Biografia

Nasce nell'isola di Malta alla Valletta, per puro caso (i genitori si trovavano in tournée nell'isola); a Roma frequenta il Conservatorio di Santa Cecilia, dove si diploma nel 1938 in pianoforte, studiando contemporaneamente anche canto lirico.
Scritturata per cantare accanto ad Alberto Rabagliati, debutta nel teatro di rivista insieme a Odoardo Spadaro, nella Compagnia di riviste di Totò nel 1943, in "Aria nuova" , ricoprendo il ruolo di soubrette anche per gli anni successivi.
Nei primi anni 50 è con Ugo Tognazzi, in una serie di spettacoli di varietà, nel 1959, si trasferisce per una lunga tournée, negli USA, per poi tornare in Italia e dopo aver abbandonato qualsiasi forma di spettacolo si occupa di commercio a Milano.

Il teatro di rivista

Fantasia musicale, con Natalino Otto, il Trio Lescano, Elena Giusti, (1941)
Aria nuova, con Totò, Elena Giusti, Lucia Mannucci, Eduardo Passarelli, Quartetto Cetra, Mario Riva, Fausto Tommei, musica di Armando Fragna, prima al Teatro Galleria di Roma 9 ottobre 1943.
Che ti sei messo in testa?, Testo e regia di Michele Galdieri, con Totò, Anna Magnani, Mario Castellani, Elena Giusti, Gianni Agus, Olga Gentili, Adriana Serra, Mario Riva, Diana Dei, Nico Pepe, prima al Teatro Valle di Roma il 5 febbraio 1944.
Ridiamoci sopra, con Tino Scotti, Elena Giusti (1944)
Ma dov'è questo amore?, con Vittorio De Sica, Elsa Merlini, Elena Giusti, (1944)
Con un palmo di naso, Testo e regia di Michele Galdieri , con Totò, Anna Magnani, Oreste Bilancia, Elena Giusti, Marisa Merlini, prima la Teatro Valle di Roma, il 26 giugno 1944.
Hello... signorina!, di Rizzo, Visco, D'Orsara, con Fanfulla ed Elena Giusti, prima al Teatro Manzoni di Roma, il 4 agosto 1944.
Cappello sulle 23, di Riccardo Morbelli, con Odoardo Spadaro, Elena Giusti, Enrico Viarisio, regia di Camillo Mastrocinque (1945)
Polvere di Broadway, testi e regia di Rossaldo , con Ugo Tognazzi, Elena Giusti, Lotte Menas, (1946).
Ma se ci toccano nel nostro debole... , di Garinei e Giovannini, Nelli e Mangini, con Totò, Elena Giusti, Mario Castellani, Roberto Villa, regia di Mario Mangini, prima al Teatro Valle il 15 aprile 1947.
C'era una volta il mondo, Testo e regia di Michele Galdieri, con Totò, Elena Giusti, Isa Barzizza, Giacomo Rondinella, Mario Castellani, spettacoli Remigio Paone, prima al Teatro Valle il 21 dicembre 1947.
Bada che ti mangio!, di Michele Galdieri e Totò, regia di Galdieri, con Totò, Elena Giusti, Isa Barzizza, Diana Dei, Mario Riva, Peppino De Martino, prima al Teatro Nuovo di Milano il 3 marzo 1949.
Dove vai se il cavallo non c'è l'hai? , di Giulio Scarnicci e Renzo Tarabusi, con Ugo Tognazzi, Elena Giusti, Anna Campori, Raimondo Vianello, Salvo Libassi, regia di Scarnicci e Tarabusi, prima al Teatro Nuovo di Milani il 5 dicembre 1951.
Ciao fantasma!, testi e regia di Scarnicci e Tarabusi, con Ugo Tognazzi, Elena Giusti, Raimondo Vianello, Leo Gavero, prima al Teatro Lirico di Milano il 2 ottobre 1952.
Barbanera bel tempo si spera, testi e regia Scarnicci e Tarabusi, con Ugo Tognazzi, Elena Giusti, Raimondo Vianello, Antonio La Raina, Paolo Gozlino, musiche di Lelio Luttazzi, prima al Teatro Sistina di Roma il 11 ottobre 1953.


Soubrette e dive

Sono figlia d’arte, mio padre era cantante lirico. Io mi sono diplomata in pianoforte, ma per me il palcoscenico è stato sempre un fatto naturale, anche perché ho fatto una lunga gavetta in compagnie diverse, dove non c’era un grande insegnamento: queste compagnie il più delle volte cercavano delle soubrettine che dovevano essere soprattutto belle, delle bambole di pezza. Sono stata con la Totò-Magnani che metteva in scena lavori di Galdieri, con Garinei e Giovannini in Che ti sei messo in testa e nel dopoguerra con Remigio Paone in Bada che ti mangio. Le compagnie di rivista avevano una gerarchia molto delineata: avevi un ruolo preciso che dovevi rispettare in tutto, dall’assegnazione del camerino al posto da occupare in scena. Gli attori man mano che crescevano andavano avanti a tappe. Le compagnie erano numerosissime e poi la rivista usava molto la scenografia che con il passare degli anni si arricchiva sempre di più; era una impresa costosissima, se non erro Bada che ti mangio è costata duecento milioni.

Le paghe naturalmente dipendevano dal ruolo e dall’importanza dell’attore, nel Quaranta Totò prendeva cinquemila lire al giorno, la Magnani duemila, io che allora ero prima soubrette cinquecento lire. Le riviste degli anni Quaranta erano molto a contenuto polemico, Galdieri era tra i più grandi autori e anche il più aggressivo. La trasformazione con gli anni Cinquanta si è avuta specialmente nella messa in scena, negli effetti scenici: sono arrivati perfino a fare in teatro il cielo con le nuvole.

Negli anni Cinquanta c’era quasi una gara tra le compagnie e le dive, sono stata sempre amica della Wanda Osiris, ma la stampa e i fans hanno messo su questa storia della competitività dicendo che cercavamo sempre di superarci vicendevolmente nella cura dei costumi e nei gioielli che mettevamo in scena.

Ho terminato con Tognazzi nel '54 e ho fatto della televisione. Inizialmente mi divertiva. In televisione ho fatto delle operette. Poi nel '57 sono andata in America: giravo con uno show di un’ora dove si cantava, si dialogava con il pubblico, non si cambiava né vestito né testo, che era unico sia per i teatri sia per i night. L’arte del palcoscenico è una cosa che si acquisisce poco alla volta, vedendo gli altri lavorare e lavorando, facendo di tutto. Nella prepazione di un testo non c’era improvvisazione, per nessuno, mentre poi in scena ognuno difendeva il proprio ruolo e il proprio spazio. Ma allora c’era il tempo per provare e per costruire lo spettacolo, oggi invece i tempi di lavorazione sono molto stretti.

Negli anni Cinquanta la rivista ha raggiunto il suo maggiore splendore: le riviste erano molto ricche e affascinavano il pubblico. Ogni compagnia aveva i suoi sarti e le sue costumiste: c’era la Boetti e c’era anche una lotta tra loro per fare i costumi alle dive e alle soubrette. Ricordo che in Votate per Venere avevo un mantello di visone bianco, l’idea l’avevo presa da Marlene Dietrich, che mi era costato cinque milioni.

Elena Giusti


Elena Giusti, la soubrette assoluta

L'«elegantissima» Elena, è nata, si può dire, in teatro: suo padre e sua madre recitavano con Petrolini. Giovanetta, conquistava il diploma di pianoforte all’Accademia di Santa Cecilia, e ben presto esordiva come cantante al microfono insieme ad un «asso» quale Alberto Rabagliati. Era nel 1944 che tentava i suoi primi approcci con la Rivista, apparendo per la prima volta sul palcoscenico, a Roma, a fianco — nientemeno — di Totò e di Anna Magnani in Che ti sei messo in testa, di Galdieri. La giovanissima attrice sapeva tagliarsi una confortevole fetta nella grossa torta del successo della rivista; altri battimani, e altre lodi dalla critica, le venivano poi in occasione di un secondo spettacolo, che vedeva accoppiati sul manifesto i nomi di Spadaro e di Dina Galli.

La bionda maliziosa Elena, che guardava lontano, sognava ormai un’affermazione in qualità di «soubrette» assoluta : e otteneva anche questa, nel Cappello sulle ventitré, di Morbelli. A guerra finita, ella passa da Roma a Milano: eccola al «Lirico» ne Il cielo si coprì di stelle, di Rubens, una rivista la cui splendente messinscena le fa da preziosa cornice (in quella rivista, figura anche Antonio Gandusio: il grande attore, costretto persino ad accennare un passo di danza che non ha nulla in comune con quello dei suoi compagni, vi appare spaesato come un esquimese che si trovi d’improvviso al Congo, e la sua accigliata maschera corsaresca si complica di preoccupatissime rughe. Poi, il gran salto: per tre stagioni consecutive, il nome di Elena Giusti è il più vistoso sui cartelloni, dopo quello di Totò; un anno con Dapporto, un anno con Macario, e infine due anni, gli ultimi, con se stessa e con Ugo Tognazzi. I manifesti recano infatti: «Compagnia di Elena Giusti ed Ugo Tognazzi» : vale a dire, siamo al capo-comicato. Un bel cammino, in soli otto anni, indubbiamente.

Elena Giusti ha saputo mettere dalla sua parte un elemento di successo straordinariamente importante: il Bel Sesso. Le sue simili la ammirano per molte ragioni: e non soltanto per la squisita, aristocraticissima eleganza, ma per la finezza che ella sa portare nel canto, nella recitazione, nella danza. Elena può cantare un couplet spericolato, ballare una «rumba» vorticosa, buttarsi a capofitto nella buffoneria di uno sketch, e restare la perfetta signora di ogni momento: la signora che ad ogni sua comparsa in scena sembra aver abbandonato per pochi momenti un salotto «intellettuale» dove si parlava di Kierkegaard o di Dufy, dopo essersi scusati: «Qualche minuto appena: torno subito». La sua figura ricorda quelle disegnate da maestri del croquis, come Erte o Martin, e le copertine di Harper’s Bazar. Indossa costumi «di sogno», — come dicono appunto le sue ammiratrici — veri capolavori che recano le firme più celebrate, e porta gioielli che non sono «da teatro», ma assolutamente veri. Tanto splendidi, è vero anche questo, che si dura fatica a credere che si possano portare a passeggio sul palcoscenico con la sua suprema indifferenza.

A proposito: un giorno Elena, che spesso e volentieri pecca di distrazione (forse soltanto Amilcare Ponchielli, il più leggendario distratto d’Europa, riusciva a superarla) dimenticava in una portineria, dove aveva sostato brevissimamente, una borsetta contenente trenta milioni di diamanti, e se ne accorgeva soltanto due giorni dopo. Calmissima, faceva ritorno sul posto e subito vedeva muoverle incontro il portiere: «Signora, l’altro ieri ha dimenticato qui questa borsetta: io non sapevo proprio dove recapitargliela, e...

— Ma le pare? Mille grazie.
— Prego.

Il portiere non l’aveva aperta neppure per cercarvi un biglietto da visita. E si domanda ancora oggi perchè mai la bionda signora sconosciuta, quel giorno, andandosene in fretta, gli abbia messo fra le mani parecchi biglietti da diecimila lire. Dopo tutto, quella borsetta, sebbene bellissima, non doveva valere tanto.

Dino Falconi e Angelo Frattini


L’ingresso di Elena Giusti avvenne in una cornice che meritò nutriti applausi a scena aperta. Si ebbe anzitutto il perfetto decollo di un grosso velivolo (con tante congratulazioni ai macchinisti), dopo di che furono accese tutte le luci su uno scenario vagamente interplanetario (o cosmico, che fosse), in cui soubrettine e boys facevano da costellazioni.

Sullo sfondo nuvole in movimento in un “cielo” splendidamente azzurro. Al centro, la via lattea, ossia una larga scala, lungo la quale scendeva una pigra cascata di schiuma. Infine, lungo la stessa scala (ma, naturalmente, ben lontano dalla schiuma, ossia dalla saponata) scese Elena Giusti. Cantò Desiderio d’amore e fu ammiratissima in un lucido abito argentato che aveva tutte le carte in regola per essere considerato un gioiello. Apparve ulteriormente, Elena Giusti, a cantare, e ballare, e recitare; si presentò anche in bikini giamaicano; e creò la stessa atmosfera di suggestione del quadri del suo ingresso, in sede di finale del primo tempo, con un — come si dice? — vaporosissimo abito bianco.

S. G. Biamonte


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

Elena Giusti, la bellissima «soubrette» della compagnia di Totò, il noto comico, e le altre attrici della compagnia, sono state prese di mira da una banda di abili truffatori. Anzi, si può dire che tutta la compagnia che recita all’«Adriano» ne è stata vittima. La banda era capeggiata da un tipo dall’aspetto molto signorile, il quale ha iniziato la propria attività contemporaneamente alle recita della compagnia di Totò. La sua prima vittima è stata una coreografa, Gisa Geert, alla quale aveva proposto addirittura di sposarla, facendole balenare la possibilità di trasferirsi con lui in Spagna.

Una sera però la Geert si accorse che le era scomparso un bracciale d’oro di valore rilevante e il tizio, di cui si ignora ancora il nome, il giorno seguente le promise di donarle un altro bracciale. Naturalmente tutto questo rimase allo stato di promessa. Contemporaneamente, per non perdere tempo, il truffatore, facendosi passare per un ricco ar gentino corteggiava le altre ballerine della compagnia, promettendo ad ognuna di esse scritture ad Hollywood. Invitandole a cena, le derubava del poco che possedevano.

Quasi contemporaneamente perveniva alla «soubrette» della compagnia, la signorina Elena Giusti, una telefonata da parte della casa di mode Antonelli, che sollecitava la signorina a ritirare il ricco corredo che era stato per lei ordinato da un suo incaricato e che ammontava al valore di circa un milione. La signorina Giusti, naturalmente cadeva dalle nuvole, poiché non aveva ordinato nulla.

Apprendeva cosi che un signore elegante sempre lo stesso truffatore, aveva ordinato alla casa di mode gli abiti per la Giusti, esibendo un assegno di un milione di lire per il pagamento, guardandosi bene dal consegnarlo, ma cogliendo anzi l’occasione per chiedere, con la scusa di non avere altro denaro spicciolo, un prestito di ventimila lire, da conteggiarsi nel conto complessivo dell’ordinazione.

«Gazzetta del Popolo», 13 maggio 1949


Le ballerine di Totò perseguitate da un furfante

Roma, venerdì sera.

La Compagnia di riviste di Totò è stata presa di mira da una banda di abili truffatori. Il capobanda, un individuo dall'aspetto signorile, aveva cominciato la sua attività, contemporaneamente alle recite della compagnia di Totò. Aveva cominciato cioè avvicinando la coreografi Glsa Geert, alla quale aveva proposto nientemeno che le nozze. L'abile lestofante aveva fatto balenare alla signorina la possibilità di trasferirsi con lui in Spagna, polche il tipo si faceva passare per gentiluomo spagnolo.

Una sera però la Geert si accorse che le era scomparso un bracciale d'oro di valore rilevante. Il tizio, di cui si ignora il nome, il giorno seguente le promise di donarle un bracciale di gran lunga superiore come bellezza e come valore. Naturalmente, tutto questo rimase allo stato di promessa.

Contemporaneamente, per non perdere tempo, il falso nobile spagnolo, facendosi questa volta passare per un ricco argentino, corteggiava altre ballerine della compagnia promettendo ad ogauna di esse scritture a Hollywood. Regolarmente le invitava a cena e le derubava del poco che possedevano.

Allarmata per la ripetizione dei furti, una delle giovani finiva per telefonare all'Hotel Flora dove il tipo asseriva di abitare Ma all'Hotel Flora nessuno lo aveva mai visto nè conosciuto. Quasi contemporaneamente perveniva alla «soubrette della Compagnia, Elena Giusti, una telefonata da parte della casa di mode Antonella La casa sollecitava la signorina a ritirare il ricco corredo che era stato per lei ordinato da un suo inviato e che ammontava al valore di oltre un milione.

La signorina Giusti, naturalmente, cadeva dalle nuvole: lei non aveva mai ordinato niente a nessuno e non capiva cosa mal volesse la casa di mode. Si apprendeva allora che lo stesso tizio o qualcuno da lui Inviato si era recato alla casa Antonelli e aveva ordinato vestiti per la signorina esibendo un assegno di un milione di lire per il pagamento. Naturalmente l'individuo ai guardava bene dal consegnare l'assegno, anzi, colta l'occasione, chiedeva, con la scusa di non avere denaro spicciolo, un prestito di 20 mila lire, da conteggiarsi nel conto complessivo dell'ordinazione. Dopo di che si eclissava. Da quel giorno l'argentino-spagnolo è latitante e la polizia lo ricerca.

«Stampa Sera», 13 maggio 1949



Quanto guadagnano e spendono le "soubrettes" della rivista

Wanda Osiris, Elena Giusti, Dorian Gray e Delia Scala, vincendo la paura del fisco e dei colleghi invidiosi, ci parlano del loro brillante ma complicato bilancio

Quella di chiedere ad un asso della rivista a quanto ammonti il suo reddito annuo — sia pure con una certa approssimazione — è indiscrezione tale da far raggelare l'interessato, che si rinchiude in se stesso, fa una smorfia, poi esclama: «Ma vuol proprio rovinarmi. Se parlassi, addio alla pace mia!». Se tutto va bene, all'insegna della prudenza ci sono orecchie indiscrete dappertutto) si limita a mezze ammissioni smentendo le voci che gli attribuiscono guadagni favolosi, replicando che l'attivo assai spesso è polverizzato dal passivo. A tappare la bocca c'è anche lo spettro del fisco sempre pronto a gettarsi sulla preda, E in più una ragione di opportunità sconsiglia di fomentare gelosie di compagni d’arte e di mettere in difficoltà gli impresari, soggetti all’assalto del cosiddetti «sacrificati».

Una soubrette dal nome famoso ricevette tempo fa la visita di un funzionario delle imposte incaricato di compiere un accertamento. Fu inesorabile. Il funzionario, naturalmente. Insensibile del tutto alle grazie di una donna, alla quale basta presentarsi in scena per mettere in effervescenza l'esercito degli aficionados. Per lui, era chiaro non c'erano nè astri nè stelle: la sua missione consisteva nel far pagare le tasse. Di altro non si interessava.

E. quando si trattò di fare il rapporto, dimostrò di possedere una mano decisamente pesante. Un uomo tutto d’un pezzo: un autentico pilastro della pubblica amministrazione.

Rivelazioni compromettenti, come si è accennato, possono creare un autentico vespaio nelle compagnie. La gente di teatro è molto sensibile alla «graduatoria». alle valutazioni della «borsa valori» : una quotazione avventata. o ritenuta tale, determina la cosiddetta guerra fredda, la non collaborazione. se non addirittura una defezione, come è in uso oggi. Con le conseguenze che è facile immaginare.

Fisco c opportunità impongono perciò ai grossi nomi della rivista una estrema riservatezza. Se interrogati, quasi tutti gli «assi» si sottraggono alla domanda trabocchetto rispondendo che nemmeno loro sanno quanto guadagnano e che. comunque, a chiusura della stagione si ritrovano in tasca soltanto gli spiccioli. E' difficile avere informazioni anche generiche, anche soltanto indicative. Inevitabilmente si urta contro il muro del silenzio. Nè i cosiddetti «bene informati» possono essere considerati attendibili.

I fans della rivista giurano che i loro beniamini conducono vita da nababbi. Parlano di remunerazioni da capogiro. manipolano i milioni con la stessa indifferenza delle lirette. E naturalmente esagerano. Non per cattiveria. ma per amore del mito. La verità, come al solito, sta nel mezzo. Nè nababbi, nè poveri diavoli. I re e le regine della rivista: piuttosto agiati signori o signore che si permettono un «treno di vita» alquanto sostenuto grazie unicamente al loro lavoro.

Che non è un lavoro leggero. Occorre pazienza, e molta, e anche resistenza fisica, quando si pensa che le prove di una rivista durano in media due mesi, con un ritmo di otto-dieci oro di palcoscenico ni giorno. E’ il rovescio della medaglia, è il lato negativo di un mondo che non è fatto soltanto di riflettori e penne di struzzo. ma anche di fatica c di orari, e di multe ai ritardatari.

Ecco, è però necessario distinguere fra vedette e gregario. Come in ciclismo, c’è fra i due la stessa differenza che separa il capitano-desposta e il faticone, colui che si ferma alle fontane a riempire borracce. Bisogna inoltro osservare che. in rivista, il periodo di lavoro retribuito dura generalmente sei mesi, e otto in casi eccezionali: che la vita nomade comporta un bilancio giornaliero che può definirsi pesante. Una «diva» guadagna. al giorno, dalle cinquanta alle centomila lire. Non risulta che sia mai stata superata quota centomila. L’attrice, quasi sempre, ha però a carico gli abiti di scena. Deve cioè pagare le toi-lettes. i conti astronomici degli ateliers che, per tradizione. non praticano sconti a nessuno. Una «diva» non può, durante le peregrinazioni, scendere in un albergo, poniamo, di seconda categoria. Per lei c’è soltanto la categoria «lusso». Soltanto per albergo, se ne vanno ogni giorno dalle sei alle ottomila lire, «extra» esclusi.

Può dunque capitare a fine stagione di essere in difficoltà, se difetta un'oculata amministrazione. «Quanto guadagna e quanto spende?» : la domanda è stata rivolta a quattro soubrettes che monopolizzano attualmente i favori del pubblico.

Wanda Osiris: spende sempre secondo le sue possibilità, e mai cifre favolose. E' la meglio retribuita delle «soubrettes».

Ecco le risposte di WANDA OSIRIS, che nella graduatoria della rivista occupa il primo posto.

Lavorando sei mesi l'anno — dice — il guadagno giornaliero è relativo. Devo aggiungere che la rivisti! è la mia unica fonte di guadagno».

Domanda : Ritiene di guadagnare a sufficienza relativamente alle esigenze di una grande soubrette?

Risposta: Faccio sempre il passo secondo le mie possibilità.

D: Quanto spende, ogni stagione, per gli abiti di scena?

R.: Gli abiti sono a carico dell'impresa. Nella vita privata non spendo cifre favolose.

D.: Che cosa prova quando riceve il conto della sartoria?

R.: Nessuna emozione. Sono già preparata. Perciò, niente sorprese.

Wanda Osiris accenna poi al costume della presentazione che indossa nella rivista Festival: un abito che costa quanto un'automobile utilitaria. Seicentomila lire. In profumi spende fellissimo : riceve molti omaggi dalle case produttrici nazionali ed estere.

Elena Giusti: ha un reddito annuo di 20 milioni.

Fa qualche confidenza. Forse sincera, chissà. «Fra rivista, televisione e recite straordinarie calcolo di guadagnare qualcosa come venti milioni l'anno. La mia paga giornaliera di soubrette è di ottantamila lire. Gli abiti sono a mio carico con una spesa di quattro-cinque milioni per stagione. Per vestirmi spendo meno in inverno, e più in estate quando ci si alleggerisce. L’abito da sposa che indosserò nel finale della commedia musicale Baratin mi costa un patrimonio: mezzo milione. Ho deciso di cercare marito, dopo, per utilizzarlo il più a lungo possibile. Ho sempre pagato i conti dei sarto. Una volta che ho tentato di non pagarne uno, che pareva veramente eccessivo, ci ho rimesso anche gli interessi. Perchè ho perduto la causa.

I profumi me li mandano gratis: case produttrici e ammiratori. Ho molti ammiratori, forse anche troppi.

II mio telefono squilla continuamente: ne sa qualcosa la mia segretaria».

Dorian Gray: spende più di quanto guadagna.

«Avrò 50 mila lire al giorno quest'anno, ma in ventiquattro ore riesco a spenderne anche centotmila. Non faccio mai conti, non sono affatto economa. Per gli abiti, che sono a mio carico, ho dovuto stanziare in ottobre cinque milioni. Quello che indosserò nella rivista Doppio Passo, impersonando Mata Hari, non costerà meno di settecentomila lire. Almeno stando ai preventivi. Quando mi mandano i conti, chiudo regolarmente gli occhi: la cifra me la sussurra all’orecchio mia madre. Tutto sommato, sono una buona incassatrice. E’ triste: ma credo di essere la sola soubrette a non avere un conto corrente in banca. Qualche cosa avevo messo da parte fin passato, quando mi davano poco più di quattromila lire al giorno. Mi bastavano e mi avanzavano. E’ incredibile! La stagione passata, in Made in Italy, come seconda soubrette percepivo ventimila lire per sera».

Delia Scala: la sua ambizione è vestir bene.

E' la rivelazione del 1954. Giovanissima, è sicuramente una delle attrici di rivista meglio retribuite. E' piuttosto reticente. «Trinca, il mio impresario. mi ha proibito di rivelare l'ammontare della mia paga. Dice che non vuole avere storie. Posso dire, comunque. che la mia paga supera le cinquantamila lire, di ventimila lire e forse più. Non saprei dire a quanto ammontino i miei introiti come attrice cinematografica. Spendo molto in abiti: almeno la metà del mio guadagno. La mia unica ambizione è di vestire bene. A Roma, possiedo un palazzo. Ma è cosi difficile riscuotere gii affitti! Non investirò mai più del capitale in immobili. Per noi soubrettes il denaro non basta mai. Pago i conti delle sartorie con impressionante regolarità, anche se sono quasi sempre conti-capestro. In genere, indosso un abito tre-quattro volte. Poi lo regalo a mia sorella o a qualche amica. Sono una buona cliente delle profumerie: uso da anni lo stesso profumo.

Luigi Barbara, «Corriere dell'Informazione», 18 novembre 1954


Elena Giusti ha firmalo il contratto per una esibizione straordinaria dinanzi alle telecamere: dopo varie incertezze, la nota “soubrette” ha accettalo di interpretare la parte principale della operetta di Kelman «La principessa della Czardas» che andrà in onda sabato sera. Questa operetta, che ha esattamente quarantanni. segnò la conferma della felice capacità inventiva del suo giovane autore, che, dopo essersi fatto conoscere con «Il piccolo re» e con «Il capo degli tzigani», ottenne un clamoroso successo con questa sua vivace composizione, che, benché nata durante la prima guerra mondiale, non incontrò ostacoli alla sua avanzata fortunata su tutti i palcoscenici del mondo.

Kelman, compositore musicale di talento, ma anche e soprattutto accorto uomo d’affari, seppe sfruttare il successo, e prosegui per questa strada per altri 15 anni, dopo di che si ritirò dall’arte e si diede al commercio, affermandosi come agente di borsa di chiare vedute. Elena Giusti quasi certamente interpreterà la figura della protagonista anche nella prossima operetta che verrà realizzata televisivamente «Scugnizza»: nella foto, mentre sta truccandosi per la prova generale dell’operetta che la vedrà in veste di principessa.

«Tempo», 1955


Elegantissima Elena Giusti in vacanza. I modelli sono creazione di Mariuccia Crema.

1957 08 03 Le Ore aV n221 Elena Giusti f1 2

Nei pressi di Piazza S. Babila sorse, a Milano, è ormai un anno, un teatrino di capienza esigua e dal nome classico, di cui si parlò molto in quei giorni. Elena Giusti si era data al teatro. Per lei era sorto il teatrino e per lei venivano scritti gli atti unici che vi furono dati e le canzoni che cantò. Ma forse il pubblico milanese non riuscì a credere nel valore delle tremilalire a poltrona: la Elena apparve così sugli schermi televisivi a pri ma vera e ci allietò a casa molte sere nel suo «vero» ruolo di «sciantosa» primo novecento.

Tommaso Ferrara, «Le Ore», anno V, n.221, 3 agosto 1957


Elena Giusti: l’eleganza fatta soubrette

AMARCORD LA RIVISTA Lasciò il palcoscenico ancora giovane nel 1959. Oggi vive a Milano, tra ricordi bellissimi che accendono le serale con gli amici. «Non ero una rovinafamiglie, solo flirt disimpegnati come con Jack Lemmon e il nipote di Mussolini» - Nel suo curriculum il gotha del varietà da Totò a Dapporto da Macario a Tognazzi. «Scoprii io quel ragazzo di Cremona, che colpo quando mi lasciò per Dorian Gray» - «A volte il teatro era impegno stressante con l'optional di qualche coltellata alle spalle». «Decisi di ritirarmi quando rischiai di partorire sulla scena»

Elena Giusti rappresentava l'eleganza. I Lloyds l’avrcbbero assicurata per come portava i suoi sfarzosi vestiti. C'era la Wanda e poi c'era lei, bionda attrazione fatale. «C'è un segreto anche nell’indossare gli abiti di scena, specie se sono fantastici come quelli di Schubert. Costavano allora, a prezzo scontato, un milione l’uno ed eravamo noi soubrettes a doverli pagare: meno male che io avevo un fidanzato ricco...

«In "Votate per Venere" con Erminio Macario ne indossavo dieci, davvero uno più bello dell’altro: raramente mi sono permessa il lusso di apparire in "puntino”, anche se ogni tanto mi piaceva scandalizzare un po’.

«Ma guardi qui che roba, anche se le fotografie non sempre rendono giustizia: sinfonie di rasi, perle, piume, tutto in sintonia anche con i gioielli. Questo si chiamava la Zarina ed era proprio la fine del mondo».

Il curriculum di questa bella donna che ha fatto la moglie per un solo anno in «ditta» con il marchese Gerini, poi ha allevato un figlio e una boutique e oggi vive serena in una bella casa nel centro di Milano, comprende il ”gotha” della rivista, da Totò a Carlo Dapporto, da Erminio Macario a Ugo Tognazzi.

E ricorda: «Lo scelsi io quel ragazzo di Cremona, visto al Teatro Smeraldo. Era bravo e moderno, aveva una faccia che mi faceva ridere e spesso in scena mi dovevo girare, perché non riuscivo ad andare avanti.

«Eravamo una bella coppia, ma dopo tre riviste di successo, "’Barbanera bel tempo si spera”, "Dove vai se il cavallo non ce l’hai?” e "Ciao fantasma”, mi diede il benservito, senza preavviso, per mettersi con Dorian Gray. Accusai il colpo, ci rimasi davvero malissimo».

E col principe de Curtis? «Un’altra cosa: era corretto, un po’ severo, non socializzava molto, aveva il temperamento triste tipico dei comici, ed era tutto concentrato su se stesso.

«Ci faceva fare la passerella alla bersagliera, correndo, per sei o sette volte a recita: erano gran sudate ogni sera.

«Il massimo fu la rivista ”Che ti sei messo in testa?” di Galdieri, durante la guerra. Anna Magnani, quando vedeva in sala soldati tedeschi, diceva a Totò: "Guarda, qualcosa galleggia sull’acqua, stasera”, iniziando cosi una gag irresistibile, e alla fine convenivano che erano stronzi. A questo punto i nazisti, che tuttavia qualcosa capivano, s’offendevano, arrivavano sul palco, interrompevano lo show. E si ripeteva lo stesso copione: correvano a calmarli il direttore e l’autore, cercando di mettere le cose a posto, io, defilata, ridevo come una matta».

«Iniziai la carriera — prosegue Elena Giusti — a diciassette anni e quarantasei chili, nel 1938, quando decisi di scappare da casa mia, a Malta, per essere scritturata, alla cifra pazzesca di centotrenta lire al giorno, in uno show d’arte varia in tournée "coloniale” in Africa. Feci un’audizione a Roma, in pessimo inglese e in gonnellina hawaiana, fui scelta e presi anche mille lire di anticipo.

«Ma per poco non svenni quando arrivò in teatro, mentre provavo, mio padre, in ghette e cappello, chiedendomi spiegazioni. Perché lui, poverino, mi aveva fatto studiare sia il piano sia la stenodattilografia, per ogni evenienza: ma non poteva dir niente perché a sua volta era scappato a sedici anni per cantare l’opera. In Africa fu un debutto di successo, girai sette mesi, feci il canale di Suez in cammello, flirtai con Vito Mussolini, nipote del duce, che ebbe per questa ragione "grane” ufficiali e sentimentali».

Perché voi soubrettes allora eravate delle rovina-famiglie... «No, ascolti, eravamo considerale tali, così come la rivista sembrava un ambiente scandaloso, non parliamo dei night, ma allora perfino la pubblicità era sospetta: io rischiai la carriera per cinquecentomila lire con le calze Omsa.

«Le assicuro che mi sono molto divertita senza aver rovinato famiglie, frequentando sempre uomini liberi come l’aria. qualcuno ancora molto noto, non facciamo nomi per carità, perfino un flirt con Jack Lemmon, incontrato su una nave.

1949 03 31 8Otto F03 L

«L'unica volta che scopersi di essere caduta in trappola, lasciai alla moglie rivale in arrivo un messaggio in bagno, scritto sul lavabo: "Welcome home, Elena Giusti”. Mi vendicavo bene, se era il caso».

Quella Elena Giusti che aveva cominciato come «voce di cristallo» all’Eiar (la prima Rai) aveva imparato le doti dallo chansonnier Odoardo Spadaro, si era svezzata in teatro con lo show «I divi del microfono», poi era passata con «quel gran compagnone di Dapporto ("Buondì zia Margherita”), con cui si tirava l’alba» e infine passò da Macario, «che era il massimo sogno, perché valorizzava molto la soubrette».

«Io non ero tagliata per la famiglia, mi piaceva la vita un po' raminga del teatro, nel 1957 accettai da vera incosciente una scrittura al Roxy di New York, una sala di cinquemila posti, dove cantavo, tra ottanta orchestrali e cinquanta ballerini, otto canzoni napoletane e internazionali per quattro spettacoli al giorno, catturando la platea.

«Incisi poi un disco e i giornali scrissero: ”Gina, Sofia, next Elena”: raddoppiai il compenso e le repliche. Eppure, quando mi ritirai dal teatro, ancora giovane, nel 1959, lo stesso anno in cui lasciò anche la Wanda, rischiando di partorire in scena con Dapporto nel "Diplomatico”, non provai rimpianti.

«Forse avevo incominciato troppo presto e spesso il teatro mi era apparso come una grande illusione magari da sessanta o centomila lire al giorno, ma anche come un incubo, una scelta non facile, un impegno stressante con l’optional di qualche coltellata alle spalle.

«Ma con bellissimi ricordi, certo, che sono ancora al centro delle serate milanesi con gli amici. Quei vestiti? Non li ho più: sono distrutti, tarlali, consunti. Sono proprio scomparsi, si sono dissolti. Come le vecchie riviste».

Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 4 agosto 1993


Elena Giusti o l'eleganza

Bella signora in bella veste, ha un bel portamento, occhi turchini, capelli cortissimi biondi “come la parrucca di Geppetto”, un sorriso sicuro e un po’ meccanico. Danza con gentilezza, concedendosi ogni tanto a qualche frenetico ballo di moda - qualche rumba - che esegue con distaccata abilità. Ha “un filo d’oro” di voce, un modo trasognato di cantare. Dice la sua parte con grazia salottiera. Non è la vamp, non è la donna fatale, non è la soubrette “da comprare”. Non è attrice. È la signora bene.

L’eleganza è il suo privilegio. Di famiglia benestante, ha abbandonato occasionalmente il salotto, per concedere se stessa come modello di classe, a colpi di toilettes di Schubert, linea H di Dior, volpi bianche, gioielli veri (assicurati, e magari dimenticati in qualche taxi, come "testimoniano” gli agiografi degli anni cinquanta).

L’imposizione della sua supereleganza è la ragione del suo successo e paradossalmente anche del suo fallimento: i grandi comici diventano popolari perché non esibiscono nessuna laurea. Elena Giusti ostenta la propria superiorità, senza farla diventare iperbolica, quindi mitica. Di qui la sua "antipatia”. È antipatica perché "non ha comunicativa", "fa la passerella con ostentata indifferenza”. È capitata lì, come "per caso”. Non è in vendita.


Filmografia

I pompieri di Viggiù , regia di Mario Mattoli (1949)
I due sergenti , regia di Carlo Alberto Chiesa (1951)
Io, Amleto , regia di Giorgio Simonelli (1952)
Café Chantant , regia di Camillo Mastrocinque (1953)
Sua Altezza ha detto: no! , regia di Maria Basaglia (1954)

Il varietà televisivo RAI

Album personale di Elena Giusti, di Vincenzo Rovi e Dino Falconi, orchestra di Giampiero Boneschi, regia di Vito Molinari, trasmesso l'8 febbraio 1954.
Canzoni da guardare, varietà musicale con Tina De Mola, Elena Giusti, Carlo Dapporto, Rino Salviati, Gianni Bonagura, Paolo Ferrari, Nino Manfredi, Raffaele Pisu, trasmesso in 2 puntate dall'8 marzo 1954 al 19 aprile 1954.
Scugnizza, operetta di Carlo Lombardo musica di Mario Costa, con Elena Giusti, Giacomo Rondinella, Franca Tamantini, Clely Fiamma, Franco Coop, Elvio Calderoni, Arturo Bragaglia, Vittorio Congia, orchestra di Cesare Gallino, regia di Silverio Blasi, 2 aprile 1955
La Belle Epoque, Testi di Angelo Frattini, Italo Terzoli e Orio Vergani, con Nino Besozzi, Elena Giusti, Carlo Campanini, orchestra di Mario Bertolazzi, regia di Eros Macchi, 6 puntate dal 23 marzo 1957 al 4 aprile 1957.

Discografia

33 giri

1957: Una voce nella sera (Pathé, QAT 6014)


Riferimenti e bibliografie:
  • (EN) Elena Giusti, su Internet Movie Database, IMDb.com
  • "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980
  • Elena Giusti, su MYmovies.it, Mo-Net Srl
  • Enrico Lancia, Roberto Poppi, Dizionario del cinema italiano. Le attrici, Gremese, Roma, 2003, p. 166
  • Almanacco Bompiani 1975, il teatro di varietà italiano.
  • Il Radiocorriere, annate varie
  • "Guida alla rivista e all'operetta" (Dino Falconi - Angelo Frattini), Casa Editrice Accademia, 1953

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • «Gazzetta del Popolo», 13 maggio 1949
  • «Stampa Sera», 13 maggio 1949
  • Luigi Barbara, «Corriere dell'Informazione», 18 novembre 1954
  • «Tempo», 1955
  • Tommaso Ferrara, «Le Ore», anno V, n.221, 3 agosto 1957
  • Elena Giusti, «Tempo», anno XX, n.46, 11 novembre 1958 (Fotografie di Franco Piccinini)
  • Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 4 agosto 1993