Parvo Elli (Gobbo Elvira)

Elli Parvo Bio

All'anagrafe Elvira Gobbo (Milano, 17 ottobre 1914 – Roma, 19 febbraio 2010), è stata un'attrice italiana.

Biografia

Di madre berlinese e padre friulano. Educata in una scuola svizzera nella città nativa. Debutta diciannovenne nel cinema con il film Teresa Confalonieri (1934) di Guido Brignone.
Nel dopoguerra esce il film Desiderio, iniziato da Roberto Rossellini nel 1943 e portato a termine da Marcello Pagliero nel 1946: Elli Parvo vi interpreta il ruolo di una donna senza scrupoli. Sempre nel 1946 interpreta un altro ruolo negativo nel film Il sole sorge ancora, di Aldo Vergano. Nella metà degli anni cinquanta la sua carriera è in declino, unica partecipazione di rilievo è quella al fianco di Totò in Totò terzo uomo (1951), di Mario Mattoli.
Nel 1960, dopo aver interpretato un ruolo in Madri pericolose, abbandona per sempre la carriera cinematografica.
È scomparsa nel 2010 all'età di 95 anni[1].


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

1939 11 04 Il Piccolo della Sera Elli Parvo intro

Quando ho appreso che ero nata in un 17 ottobre - mi dice Elli Pardo — non mi sono affatto impressionata. Affermano che il «17» non porti fortuna: ma questa legge scaramantica funziona solamente per undici mesi dell'anno e non già per ottobre. Infatti quelli che vedon la luce in tale periodo possono affrontare a cuor leggero gli influssi del «17», del «13», del venerdì, dell’opale e simili. E confermo questa eccezione alla regola per esperienza personale.

Dunque, tornando a noi, son nata un 17 ottobre, da padre italiano e da mamma tedesca, a Milano. Ed a Milano son vissuta, fino a che non, ho... spiccato il volo. Ho frequentato la Scuola svizzera dove ho avuto i primi contatti con ...la musa Talia, (recita di collegio, s’intende). Ma la mia vita cinematografica doveva iniziarsi solamente quando Attila Camisa mi presentò (avevo fino a quel giorno frequentato « cincguf ambrosiano) a Brignone che girava «Teresa Gonfalonieri». E fui una «dama» di quel film.

Dopo quel primo saggio delle mie qualità, Brignone mi voleva a Roma per continuare, ma i miei genitori furono irremovibili e misero il veto. Che dovevo fare? Rinunciare? Nemmen per sogno: e, diventata maggiorenne, varcai il Rubicone e partii per Roma, piena di grandi speranze. Dall'epoca del mio inurbamento capitolino ho girato «Il feroce Saladino», «Gatta ci cova», «Lasciate ogni speranza», «Partire», «Mia moglie si diverte», «Il marchese di Ruvolito», «La notte delle beffe» e, finalmente come protagonista, «Arditi civili». Sicché, come vedete, da «signorina di famiglia» son passata al cinema senza soluzione di continuità. E adoro la «settima arte» anche se durante la lavorazione di «Arditi civili» ho corso il rischio di rimetterci la pelle. Come e quando ve lo racconto subito.

Si era a Terni: doveva — ero un’acrobata da circo — cadere da un trapezio alto 18 metri, ma... per finta, perchè, all’ultimo momento, una scala m’avrebbe permesso di scendere in basso senza pericolo. Invece, la scala, per un tiro barbino di Gambino, non arrivò ed io precipitai, a testa in giù, nella rete. Molta paura, un po’ di «choc», ma nessun danno. Ed eccomi qua sempre sognante un bel ruolo, il ruolo cioè di una ragazza moderna, vivace, piena di vita e di umanità. Ho molto lavoro, ma son felice di aver poco tempo libero perchè non ho altro scopo che questo «lavoro». E spero di poter fare sempre meglio. Conosco tedesco, italiano, francese e inglese: so suonare il piano e so ballare: credo che anche questi siano elementi positivi per proseguire pel cammino da me intrapreso.

Ed ora, per finire, le «mie misure». altezza 1,65; peso 58; guanto 6 e mezzo, piede 37; vita 65; busto 87; testa 55; fianchi 90; caviglie 20; braccio 30; collo 33. Non credo che siano quelle della Venere di Milo ma mi accontento ugualmente.

«Il Piccolo della Sera», 4 novembre 1939


1940 07 27 Film Elli Parvo intro

Non faccio per dire, ma «Film» ce l'ha già il suo cantore patentato, addetto all'unzione dello stelle fisse, delle comete, degli asteroidi di Cinelandia: «Film» dispone di un poeta coi controfiocchi, Diego Calcagno, che prodiga incensi a tutte le brave ragazze che gli capitano sotto, improvvisando strambotti curiosi e sgangherati che mi fanno ricordare la nostra musa veterana di zona di guerra.

Era una notte placida:
la luna sorgea silente
e a me faceva male un dente.
Un'ombra si staccò dal muro.
Oh, ciel, che veggo!

(E all'aspirantino novizio, al quale imponevamo di declamare questo pezzo, i «veci» — forse presentendo un attacco aereo — gridavano in coro, profeticamente; — Stukas!). Dunque, vista l’inopportunità di mettermi anch'io, come brillante secondo, sotto il verone col liuto ad armacollo, mi sono dovuto scegliere un altro ruolo: e mi sono permesso di scherzare con le dive che sono scese indegnamente fino a me. Mal me ne incolse. Mentre quel furbo di Calcagno, ci scommetto, riesce a scroccarsi degli incerti con le .sue faticho pindariche, io non mi sono fin qui buscato che un supremo disprezzo. Dio mio, che mi è mai uscito dalla penna?

Fatto sta che, dopo avermi sorriso, a pubblicazione avvenuta dell'articolo, tante illustri attrici non mi hanno nemmeno degnato di una semplice telefonata: e poiché è da escludersi che questo voltafaccia sia da attribuirsi — ohibò — a difetto di educazione, bisogna dedurre ch'io riesco sempre a dispiacere a questo benedette donne. Sta scritto lassù. Venuta la volta di Elli Parvo, ho pensato se non fosse meglio sfornare, anziché un pezzo burlesco e sfottitorio, una bella poesia scalcagnata. Non é poi tanto difficile:

Elli Parvo, sapore di caffellatte
s'infila le ciabatte
dal Kadirè
a sale sul canapè
così,
come sale la luna in tassì.

(L'importante è che non ci si capisca un accidente). Ma è più forte di me: con la poesia e con la galanteria, io non ce la faccio. E anche questa malcapitata Elli Parvo deve prendermi come sono. Prevedo che, uno di questi giorni, con quegli occhi all'acido nitrico e quella bocca aggressiva, ella mi attenderà sul portone di casa.

Elli Parvo si presenta decisa col passo cesareo della sua prepotente femminilità. Indossa un abito torrido come la sua natura: blu, cromato sul petto da una larga fettuccia di seta vermiglia, che le conferisco un’apparenza di crocerossina di compagnia della morte. Siede con l’aria di non trovarsi a suo agio in una vasta e accogliente poltrona: preferirebbe forse la groppa di un tarpano tartaro. Sorrido: e il volto si sdoppia, giacché il largo sorriso non supera i pomelli e gli occhi conservano quel piglio estatico e grifagno di feticcio indù : i denti serrati hanno pur sempre una voglia di mordere. Dà il senso di una forza elementare, di un prodotto di cava, di uno energia tellurica. Giro con prudenza l'interruttore per stabilire il contatto, quasi col more di una scarica elettrica.

— Che mi dite della cartiera cinematografica?

— Bella carriera! Piena di delusioni...

— Come! Se proprio in questi tempi siete stata assunta tra le stelle di prima grandezza!

Elli accenna una smorfia.

— La strada è ripida, piena di svolte e d'imboscate. Non sono sempre le qualità che contano no i criteri artistici che prevalgono. Intorno all'osso di una parte, si accaniscono sempre dieci concorrenti. La prescelta è troppo spesso la prediletta. Le necessità del film, l'amore all’opera da creare, passano in secondo piano...

L'avevo udita altre volte questa storia che il film serve, prima di tutto, al regista o al produttore per coltivare certi nepotismi. Ricordando alcuni recenti polpettoni, penso se essi non siano stati insaccati per offrire una parte importante alla pupilla esigente. Ognuno ha il proprio cavallo di battaglia che viene portato regolarmente ai nastri qualunque sia il genere della corsa. Ci sono, é vero, le cosiddette esigenze artistiche: ma chi si cura di queste quisquilie? Gli afferri sono affari, anche se di cuore.

— Come vi é venuta questa matta idea di darvi al cinema?

— La prospettiva di figurare in una parte, agli occhi di tanto pubblico, lusinga sempre la vanità femminile. Si pensa di andare per il mondo sulle ali della fama, di far echeggiare il proprio nome ai quattro angoli dell’universo, di coniare la nostra immagine nella memoria dell'umanità. La prospettiva esalta e seduce. Un giorno, mi si propone di interpretare una parte, al Cine Guf. Lo spiraglio socchiuso mi si prospetta come uri grande varco spalancato in uno sbarramento. Greta Garbo, Marléne Dietrich, Myrna Loy, sono fritte. Mi sento in grado di Interpretare parti michelangiolesche. Giro il mio primo film con la persuasione di aver posto una pietra miliare nel cinematografo. Alla prima visione in pubblico, sona invitati tutti gli amici e conoscenti: mi metto in prima fila a giudicare me stessa. Doccia fredda. Io, che rite-nevo di aver monopolizzato l'obbiettlvo. mi ritrovo in un piccolo scorcio, semplice comparsa. Rimango mortificatissima e giuro che, come Roma non ebbe quelle di Scipione, il Cinema non avrà le mie ossa. Ma quel primo modesto esperimento ha sortito l'effetto di felini qualificare fotogenica dagli esperti. Altre proposte più ragguardevoli mi vengono offèrte. Chi resiste in tal momento? Comincia cosi il film della mia vita cinematografica, che si sgrana da «Gli uomini, che mascalzoni)» attraverso «Arditi civili» (Il primo film in cui figuro come protagonista) fino a «La donna perduta»...

— Siete finita male. E... quale parte preferite?

— Ciò non ha importanza. Ha solo importanza la classifica in cui il regista inamida il nostro tipo. Io sono stata decretata «tipo di donna fatale»: e se non c'è una parte di donna fatale non se ne parla.

Io mi sono sempre rappresentato questo tipo di mammifero nella donna dalla bocca a purgativo, dalle palpebre a mezz'asta sugli occhi semispenti dall'andatura spossata, dalla voco d'oltre tomba. Invece, capperi, questa Elli Parvo é un pezzo di ragazza fiorente e ridente come un papavero, piglio spedito, senza imballaggio, tira che non c'è papà. Mi viene il dubbio che questi mascalzoni di registri me la confezionino per lo schermo in tutt altro modo. Il cinema è un diabolico laboratorio in cui lì ricavano una sirena dalla donna cannone o un'otèra da un girarrosto.

— Voi, donna fatale? — mi scappa detto.

Elli Parvo considera il mio stupore come un'opinione di inefficienza e mi spara addosso un'occhiata bruciante. Mi rialzo prima del limite e cambio precipitosamente argomento.

— Che progetti avete per l'avvenire? Elli Parvo nasconde senza dubbio, nel settore cinematografico, delle ambizionii superbe. Infatti rimbecca senza esitare:

— Ho rintenzione di prendere marito e di mettere al mondo venti figli. Ecco il mio sogno.

(Bisogna ricordare che nel film «Gatta ci cova» Elli Parvo sosteneva strenuamente che era stata resa madre di due gemelli da un semplice bacio. Capirete che, per lei, venti figli sono una miseria).

— Ma questo non è un sogno: è un incubol — protesto.

— Leggete il «Messaggero» voi?

— Ahimè, sì.

— Ebbene, presto leggerete nel «Messaggero» questo annuncio: «Diva con piccola dote cerca signore stimabile scopo matrimonio».

— Se non aveste tante esigenze, mi offrirei io. Io sarei il tipo del marito modello.

— Voi!

— Quello del marito modello è un vizio atavico della mia famiglia. Pensate cho un mio antenato, a novant'annl, adempiva ancora i propri doveri verso sua moglie.

— Eh, via!

— Eh la tradiva. Ma ditemi una cosa di nessuna importanza: a quanto ammonterebbe questa dote?

— Indovinate.

— Così così?

— Di più!

— Il doppio?

— Oh, allora é troppo! Facciamo cinquantamila.

— Si tratterebbe forse di franchi?

— Oh, no. Di lire.

Poiché non riusciamo a metterci d'accordo su questa dote, cambio un'altra volta registro.

— Non avete nessun altro film da fare, presentemente?

— Sono in trattative. Forse farò anche, tra breve, un film in lingua tedesca.

— Brava: e la lingua, chi ce la mette?

— Io. Parlo la lingua tedesca come l'Italiana. Ho già fatto «Mia moglie si diverte» nelle due versioni.

— Siete dunque a doppio uso, come le ex-stoffe inglesi: una specie di asse cinematografico Roma-Berlino.

Chiacchierando con una bella figliola, non è mai male tentare un piccolo sondaggio nelle acque strettamente territoriali:

— Il cinema pare non vi lusinghi più: qual è allora la vostra attuale passione? — insinuo.

Elli Parvo si accende di una luce nostalgica e patetica: esita a sfornare questa confidenza: alla fine, a bassa voce, si lascia indurre. Via, non lo dirò a nessuno.

— La mia attuale passione — mormora — è rappresentata dal gioco dal calcio.

— Tò.

— Giustappunto. Ma anche il lì le cose non vanno.

— Ahimè!

— Perchè, per esempio, i portieri delle due squadre avversarie hanno entrambi la stessa maglia nera? Ciò provoca spiacevoli equivoci. Vi racconto un fatto. Io sono tifosa della «Roma». Mi recai ad assistere ad una partita infuocata. Uno dei due portieri, da me giudicato quello della squadra ospitata, incassò due magnifici palloni. Io mi sgolavo, entusiasta, ad applaudire. Non capivo perchè il pubblico mi guardasse in cagnesco. Cercai d'informarmi. Perdinci, quel portiere che aveva lasciato passare con olimpionica disinvoltura quei due superbi palloni nella propria rete, era invece proprio quello della «Roma». Ma come potevo distinguere, se i due guardiani non avevano alcuno speciale contrassegno?

— Avete ragione da vendere. Pare impossibile che, finora, nessuno ci abbia pensato. (I portieri, che mascalzoni)

L'intervista è bruscamente interrotta da un tragico incidente. Elli Parvo scopre d’un tratto che furtivamente, senza alcun preavviso, una calza si sta sfilando: ella balza in piedi inviperita e starnazza qua e là per la stanza con l’aria di cercale un'arma. No, cerca solamente il pentolino della colla per impone un ferrmo a quella emorragia serica. Nel parapiglia, quella gamba infinitamente spirituale trova modo di mettersi in luce. C è sempre chi ci pensa.

— Lasciatemi scappare, primi che questo guaio diventi irreparabile. Ve la immaginate una diva con una calza sfilata?

— Mi fate pensare a quel maresciallo di Francia al quale, nell'atto di balzare sul palafreno dinanzi all'esercito schierato, scoppiarono in pieno i pantoloni.

La potenza del raffronto la mette decisamente in fuga.

— Arrivederci!

Senonchè, il giorno seguente, Elli Parvo fece nuovamente capolino, d’improvviso, nel mio ufficio:

— Scusatemi. Ho un pentimento.

— Voi? Impossibile.

— Impossibile, ma vero. Vi prego di non parlare, nel vostro articolo, di quei venti figli; sono troppi.

— Ma voi li fate a colpo d'occhio! E poi, bisogna aderire in qualche modo alla campagna demografica.

— Allora, facciamo dodici. Una piccola dozzina.

— Bè, facciamo pure.

— Mi raccomando, non scherzale troppo su questo argomento. Non sia come sempre, imperdonabile!

— Riferirò tutto con una misura accademica. Vi tratterò con tutto l'incenso dovuto ad una stella di prima grandezza. Parola d'onore.

Ora, se non mi richiamano d urgenza sotto le armi, arrischio di giocarmi la pelle. Il meno che mi possa capitare è che Elli Parvo non mi saluti più e che, come le sue colleghe, parlando di me, mi collochi tra i più illustri malfattori vissuti dall’epoca delle palafitte ai nostri giorni. Che farci? Maktub! Sta scritto.

Carlo Salsa, «Film», 27 luglio 1940


1942 12 31 Tempo Elli Parvo intro

1942 11 01 Il Mattino Illustrato Elli Parvo f1Elli ed io slamo vecchi amici: e questa amicizia si stabili ira noi sin da quando ci vedemmo la prima volta. Mi ricordo che quando — alcuni anni fa — la bella Elli che muoveva ancora i primi passi incerti, giunta appena allora nel mondo della pellicola sali fino alla redazione del giornale in cui lavoravo, per un errore degli uscieri, non mi fu annunciata. Poiché l'appuntamento era stato fissato per le 10, alle 10,30 riordinai le mie carte, chiusi il cassetto del mio tavolo, m'infllai la giacca e scesi le molte scale che mi separavano dall’uscita, deciso ad andarmene. 

Passando innanzi alla saletta d'aspetto, per caso vi gettai un'occhiata: vidi una bella figliuola — io non conoscevo personalmente Elli — che, seduta In un canto, stava in paziente attesa Che cosa mi disse ohe quella ragazza paziente era Elli Parvo? Non so: certo è che le andai incontro sicuro di non sbagliare. 

Era infatti la giovanissima attrice, venuta per chiedermi il favore della pubblicazione d'una sua foto. 

Poi, per molto tempo non la rividi; ma ogni volta che ci siamo incontrati, i nostri colloqui sono stati sempre improntati a quel cameratismo schietto del primo giorno: quel cameratismo che permette di dirsi quello che si pensa, liberamente, senza ricorrere a sottintesi od a frasi velate. 

L'ultima volta che ci slamo visti è stato a Venezia: Elli, insieme con la giovanissima e pur tanto brava Luisella Beghi, passava le sue giornate al Lido, dove faceva più bruna la sua bruna epidermide. 

E una sera, mentre in fretta uscivo dall’ascensore, m’imbattei in Elli che rientrava. Io dovevo andare non rammento più dove: Elll era stanca d’una giornata trascorsa all’aria aperta: eppure di comune accordo rimandammo io il mio appuntamento, e lei il suo riposo. E nell’accogliente salotto dell’albergo, facemmo le quattro chiacchiere diventate la consuetudine di ogni nostro incontro. 

Era il 13 settembre: una delle giornate «favorevoli» per chi, come Elli, è nato il 17 ottobre. Voi forse non sapete che la legge scaramantica, che vuole infausti il «13» ed il «17», funziona solamente per undici mesi: dell’anno e non per ottobre. Infatti quelli che vedono la luce in tale periodo dell'anno possono affrontare a cuor leggero gli influssi del «17», del «13», del venerdì, dell’opale e simili. Ed Elll, che è nata a Milano — da babbo italiano e da mamma germanica — può confermare per personale esperienza questa eccezione alla regola. 

Ma voi di Elli non conoscete che i film e non sapete che, nata, come v’ho detto, a Milano il 17 ottobre, in quella città è vissuta fino a quando non ha... spiccato il volo. Dopo aver frequentato una scuola svizzera — una scuola dove ebbe i primi contatti con la Musa Tali» (lecite di collegio, s’intende!) — fece un incontro che doveva radicalmente mutare la sua vita. Al Cineguf ambrosiano conobbe (era un 13 o un 17, Elli?) Attila Camisa, che la presentò a Brignone il quale stava girando «Teresa Confalonleri». E fu una «dama» di quel film. 

— Ma dopo quel primo saggio delie mie qualità — è Elli stessa che racconta — Brignone mi voleva a Roma per continuare. Il mio entusiasmo era al cólmo, ma giunse immediatamente una gelida doccia: i miei genitori posero il veto. 

Che dovevo fare? Rinunciare? Nemmeno per sogno: e, diventata maggiorenne, varcai il Rubicone e partii per Roma, piena di grandi speranze. Speranze che, fino ad oggi, non sono andate deluse. Infatti da quell'epoca ho girato «un sacco» di film, tra cui «Il feroce Saladino», «Gatta cl cova», «Lasciate ogni speranza», «Partire», «Mia moglie si diserte», «Il marchese di Ruvoilto», «La notte delle beffe», come protagonista «Arditi civili» ed ancora «Beatrice Cenci», «Il re si diverte». «Un uomo venuto dal mare», «I due Eoscarl» 

— E adesso? 

— Adesso mi riposo, prima di partire per Parigi dove sarò «Musetta» in una nuova edizione della «Boheme». Poi si vedrà: ori le proposte non mi mancano e non è escluso — voi sapete che io parlo correntemente francese, inglese e tedesco, oltre la madre lingua — che vada in Germania per interpretare un palo di film. 

1942 11 01 Il Mattino Illustrato Elli Parvo f2

E la conversazione continua come s'è iniziata. E si passa a parlare degù episodi più curiosi della vita artistica di Elli, 

— Il più drammatico — è ancora Elli che parla — è stato senza dubbio quello che mi capitò a Terni, mentre si girava «Arditi civili». Dovevo — vi ricordate che in quel film ero un’acrobata da circo equestre — cadere da un trapezio allo cica 12 metri: ma... per finta, perché all’ultimo momento una scala provvidenziale m’avrebbe permesso di scendere In basso senza alcun pericolo. Invece la scala, per un tiro barbino del regista Cambino, non arrivò: ed io precipitai a testa in giù, nella rete. Molta paura, mai nessun danno. E di quella paurosa avventura, che poteva aver serie conseguenze, non m è rimasto che il ricordo... 

Ma ormai s’è fatto tardi: sto per superare il limite massimo, entro cui posso ancora presentarmi, senza parere troppo maleducato, alla persona che m attende: ed Elll è proprio stanca. Sicché dopo un’occhiata di muta intesa ci separiamo. 

— Arrivederci, Cineasta con gli occhiali...

— Arrivederci a presto, Elli... E quando ci incontreremo di nuovo? Il 13 o il 17 d’uno dei prossimi mesi?

Il cineasta con gli occhiali, «Tribuna Illustrata», 1 novembre 1942


1942 12 31 Tempo Elli Parvo intro

Elli Parvo ha fatto una strana carriera. Ha un certo nome, senza che mai le siano state affidate parti di rilievo, parti — si potrebbe anche dire — adatte al suo temperamento, che è notevole e tipico. Da qualche tempo, poi, legata da un contratto a una delle nostre maggiori Case produttrici, la si vede apparire in brevi scene che ne giustificano la presenza solo per le sue caratteristiche fisiche di bellezza popolare e provocante e non per particolari esigenze di interpretazione. Sembra quasi che la Casa produttrice, avendola in contratto, l'impieghi comunque per non lasciarla inoperosa, in modo da far fruttare il compenso pagato. Cosi è apparsa in «Don Giovanni» (dove si è vista Carla Candiani in una parte ancora minore di quella della Parvo), anche se il suo nome è stato fatto risaltare, pubblicità del film, in grande e staccato come se si trattasse di una gentile e incalcolabile concessione; cosi apparirà in «Carmen», nella parte di una sigaraia.

Non so se la Parvo è contenta di una valutazione tanto superficiale delle sue capacità artistiche. Non dovrebbe esserlo. Un'attrice sogna sempre qualche cosa di più. Ma forse sono i produttori e i registi che non hanno saputo orizzontarsi sulle sue possibilità, cosa questa che capita per molti attori e molte attrici, i quali spesso sono impiegati a caso, con notevole danno del film.

Se questo non fosse e se le Case produttrici studiassero a fondo i loro programmi anche in rapporto agli attori che hanno in contratto, non si avrebbero tanti film di sconcertante complesso; non si troverebbe Nazzari in una parte più adatta a Cervi, o la Ferida in una parte più adatta alla Lotti, o — per tornare all’argomento — la Parvo in una parte che magari avrebbe potuto essere affidata a un'attrice principiante cui si sarebbe data la possibilità di mettersi in luce. (Ahimè! La questione dei nuovi elementi per il nostro cinema è sempre in piedi. Tutti predicano che bisogna tirar fuori questi nuovi elementi, si fanno magari provini — che non servono a nulla perchè realizzati affrettatamente e senza sincero amore, tanto che si finisce, nove volte su dieci, col ripiegare su elementi conosciuti anche se inadatti alla parte in discussione).



Sono cinque anni che la Parvo ha messo piede nel cinema ma nessuno si è preoccupato di utilizzarla appropriatamente. Fin dal principio è stata l'oggetto di un valutazione approssimativa. Certamente si è detto; «Ecco un bel tipo di ragazza del popolo» — e come tale è stata tenuta presente in quei film grossolani, come «Gatta ci cova» e «Lasciate ogni speranza».

Da questa valutazione, in fondo, non si è più liberata e continua a sopportarne il peso anche se è stata modificata. Infatti oggi si direbbe: «È un bel tipo di ragazza del popolo procace e provocante». Ora, è evidente die non c'è nessun progresso, che la Parvo, come interprete, è rimasta quella di cinque anni fa, se si toglie quel po’ di esperienza che ha ricavato dal lavoro.

In effetti la Parvo può fare molto di più. Bisogna studiarne il tipo, saper valorizzare il suo viso non bello e irregolare ma attraente per un'ambigua carnalità che promana dallo sguardo e dalla risata. I personaggi che le si adattano non mancano, se non ci sono si creano. E’ mia opinione che continuare ad impiegarla come è stato fatto finora non giova nè al film nè a lei.

D. M., «Tempo», anno IV, n.187, 31 dicembre 1942




Filmografia

Teresa Confalonieri, regia di Guido Brignone (1934)
Lasciate ogni speranza, regia di Gennaro Righelli (1937)
Il feroce Saladino, regia di Mario Bonnard (1937)
Gatta ci cova, regia di Gennaro Righelli (1937)
Partire, regia di Amleto Palermi (1938)
Voglio vivere con Letizia, regia di Camillo Mastrocinque (1938)
Mia moglie si diverte, regia di Paul Verhoeven (1938)
Il marchese di Ruvolito, regia di Raffaello Matarazzo (1939)
La notte delle beffe, regia di Carlo Campogalliani (1939)
Arditi civili, regia di Domenico Gambino (1940)
Miseria e nobiltà, regia di Corrado D'Errico (1940)
Il ponte dei sospiri, regia di Mario Bonnard (1940)
La donna perduta, regia di Domenico Gambino (1940)
Ridi pagliaccio, regia di Camillo Mastrocinque (1941)
L'allegro fantasma, regia di Amleto Palermi (1941)
Beatrice Cenci, regia di Guido Brignone (1941)
Il re si diverte, regia di Mario Bonnard (1941)
Sieben Jahre Glück, regia di Ernst Marischka (1942)
Sette anni di felicità, regia di Roberto Savarese e Ernst Marischka (1942)
L'uomo venuto dal mare, regia di Belisario Randone (1942)
M.A.S., regia di Romolo Marcellini (1942)
Don Giovanni, regia di Dino Falconi (1942)
I due Foscari, regia di Enrico Fulchignoni (1942)
Il fanciullo del West, regia di Giorgio Ferroni (1942)
Carmen, regia di Christian-Jaque (1943)
La porta del cielo, regia di Vittorio De Sica (1944)
Un americano in vacanza, regia di Luigi Zampa (1945)
Il sole sorge ancora, regia di Aldo Vergano (1946)
Desiderio, regia di Roberto Rossellini e Marcello Pagliero (1946)
I fratelli Karamazoff, regia di Giacomo Gentilomo (1947)
L'urlo, regia di Ferruccio Cerio (1948)
Il cavaliere misterioso, regia di Riccardo Freda (1948)
Vertigine d'amore, regia di Luigi Capuano (1948)
Legge di sangue, regia di Luigi Capuano (1949)
È più facile che un cammello..., regia di Luigi Zampa (1950)
Santo disonore, regia di Guido Brignone (1950)
Totò terzo uomo, regia di Mario Mattoli (1951)
Rosalba, la fanciulla di Pompei, regia di Natale Montillo (1952)
Voto di marinaio, regia di Enzo Di Rosa (1953)
La campana di San Giusto, regia di Mario Amendola e Ruggero Maccari (1954)
La Luciana, regia di Domenico Gambino (1954)
L'arte di arrangiarsi, regia di Luigi Zampa (1954)
L'amante di Paride, regia di Marc Allégret (1954)
L'ultimo amante, regia di Mario Mattoli (1955)
Giuramento d'amore, regia di Roberto Bianchi Montero (1955)
Mi permette, babbo!, regia di Mario Bonnard (1956)
La Venere di Cheronea, regia di Giorgio Rivalta (1957)
Il mondo dei miracoli, regia di Luigi Capuano (1959)
Madri pericolose, regia di Domenico Paolella (1960)

Note

  1. ^ Addio a Elli Parvo, «femme» fatale per Rossellini

Addio a Elli Parvo, splendida attrice fatale. Anticipò la stagione delle maggiorate

La prima «femmina maledetta» del cinema italiano aveva lo sguardo cupo e intrigante, i capelli bruni e gli occhi di fuoco. Era procace, affascinante. Anticipava agli anni Trenta il prototipo di diva altera e burrosa che tanto successo avrebbe avuto nei film del dopoguerra. Adesso lei non c’è più. L’attrice che si faceva chiamare Elli Parvo è morta a Roma il 19 febbraio scorso. Aveva 94 anni. Gli ultimi cinquanta li aveva passati lontana dal grande schermo. La sua storia ha incrociato quella del nostro cinema per una breve stagione.

Elvira Gobbo, questo il suo vero nome, nasce a Milano nel 1915 da padre veneto e madre tedesca. Appena diciannovenne debutta in un film di Guido Brignone, Teresa Confalonieri (1934). L’impatto con la macchina da presa è portentoso. Elli studia al Centro Sperimentale di Roma, registi e produttori la reclamano con insistenza. Cuciranno su di lei una serie di ruoli femminili superbi e magnetici. Soltanto nella seconda metà degli anni Quaranta le verrà concesso di mettere in mostra il suo potenziale drammatico.

Sensuale peccatrice in Desiderio (1946), di Marcello Pagliaro, la Parvo tratteggia con grande efficacia il personaggio di donna Matilde, la ricca proprietaria terriera innamorata di Cesare-Vittorio Duse, nel neorealista Il sole sorge ancora (1946), di Aldo Vergano. Seguono altre partecipazioni a pellicole del filone avventuroso (Il cavaliere misterioso, 1948, di Riccardo Freda), comico (Totò terzo uomo, 1951, di Mario Mattoli e L’arte di arrangiarsi, 1954, di Luigi Zampa) e drammatico (L’amore, 1948, di Roberto Rossellini).

All’inizio degli anni Sessanta, Elli Parvo abbandona le scene. Madri pericolose (1960), di Domenico Paolella, è il suo ultimo film.


Riferimenti e bibliografie: