Franciolini Gianni (Gio Batta)
Biografia
Di Gio Batta Franciolini detto Gianni si ricordano soprattutto i due lungometraggi Racconti romani (1955) e Racconti d'estate (1958), adattamenti meno aspri e più bonari dei quadri e dei personaggi di Moravia, inseriti in quel cinema di ambiente romanesco e di taglio novellistico che lo stesso Franciolini aveva praticato anni prima con Villa Borghese e Le signorine dello 04. Franciolini era partito da tutt'altra formazione: non ancora ventenne è in Francia per seguire il movimento sperimentale di Eugène Deslaw, poi è aiuto di Georges Lacombe (il regista di La zone, Bluff, Jeunesse). Tornato in Italia, realizza un interessante tentativo di giallo italiano con la sua opera prima, L'ispettore Vargas (1940), intricata storia poliziesca a forti emozioni basata su una commedia di Vincenzo Tieri; mentre alla scuola verista francese sono da ricondurre le atmosfere drammatiche di Fari nella nebbia (1942), dove si illustra la crisi del matrimonio tra un camionista e una donna insoddisfatta. Dalla commedia di Puget è tratto Giorni felici (1942), grande successo di pubblico con la coppia Amedeo Nazzari-Lilia Silvi. Nel dopoguerra Franciolini rimane estraneo al movimento neorealista, ma ne recupera alcuni esiti "leggeri" con i due film sceneggiati da Zavattini: La sposa non può attendere (1950), racconto "rosa" sulla traccia di Quattro passi fra le nuvole; e il favolistico Buongiorno, elefante! (1952, o Sabù principe ladro), dove un maestro elementare si vede arrivare un elefantino in dono da un principe indiano. La felice vocazione romanzesca di Franciolini è testimoniata dal suo ultimo film, Ferdinando I re di Napoli (1959), cronaca delle avventure "proletarie" del sovrano parteneopeo fuggito alla notizia dell'arrivo di Napoleone.
Gianni Franciolini (nome d'arte di Giovanni Battista Franciolini; Firenze, 1º giugno 1910 – Roma, 10 maggio 1960) è stato un regista e sceneggiatore italiano.
Iniziò a occuparsi di cinema in età giovanile. Nel 1930 si recò a Parigi dove frequentò ambienti di avanguardia e fu aiuto regista di Eugène Deslaw e di Georges Lacombe. Ritornò in Italia nel 1938: collaborò al film L'orologio a cucù di Camillo Mastrocinque (1938), e a La principessa Tarakanova e La signora di Montecarlo di Mario Soldati. Esordì nella regia nel 1939 realizzando tre documentari: uno su Firenze in collaborazione con Ubaldo Magnaghi, uno su Roma e un terzo intitolato Vérités sur l'Italie.
Galleria fotografica e stampa dell'epoca
A Franciolini interessa il problema del matrimonio: col prossimo film, « Anselmo ha fretta », egli ritorna al suo tema preferito.Nel 1944 le domande di separazione coniugale presentate alla Cancelleria del Tribunale di Roma furono 642. Nel 1945 passarono a 1093. nel 1946 a 1268. nel 1947 a 1254, nel 1948 a 1256. Quest’anno, per il solo mese di gennaio, siamo già a 145.
E questo ci ha detto Franciolini mostrandoci un giornale che riportava la statistica — questo senza contare le separazioni di fatto e i delitti fra coniugi di cui sono piene le cronache. Ho dunque torto se considero il problema del matrimonio uno de.i più acuti e importanti dell'epoca che viviamo?
Gianni Franciolini è come affascinato da questo problema. E non da oggi soltanto. Nel 1942 scrisse un soggetto. Viviamo, che già indicava tale suo orientamento; ma in quel soggetto che fu tre volte sul punto di essere realizzato e tre volte rinchiuso in un cassetto, il problema era visto dall'esterno, quasi come conseguenza di un destino che rende impossibile a due esseri la felicità del vivere in comune.
Fu con Amanti senza nome (1947) che Franciolini affrontò decisamente il tema del matrimonio. Com'è noto, la storia di quel film era derivata da La sonata a Kreutzer di Tolstoi e. in sostanza, voleva significare che certi matrimoni finiscono tragicamente perché nascono dall'equivoco del l'attrazione sessuale scambiata per amore. E senza amore non si può vivere insieme, ogni più futile motivo di dissidio diventa causa di una sempre crescente e insuperabile divisione. (Amanti senza amore non ha avuto molta fortuna, né con il pubblico né con la critica. « Avrò sbagliato — dice Franciolini.
ma perché nessuno ha rilevato l'importanza del tema? Sono sempre convinto che Amanti senza amore meritava di più. Comunque, è stata, purtroppo, una battaglia del film psicologico perduta »).
Anselmo ha fretta — il soggetto di Zavattini che Franciolini sta sceneggiando con Steno. Monicelli. Pietrangeli e lo stesso Zavattini — ci ripropone, su un piano non più drammatico ma divertente, la questione del matrimonio Anselmo ha fretta di sposarsi. E' una leggerezza sposarsi in fretta: c Anselmo se ne accorge subito, la mattina stessa del matrimonio Una serie di incidenti mettono immediatamente a nudo le già esistenti ma ignote ragioni di contrasto. Le mettono a nudo e le risolvono, dopo aver provocato addirittura la separazione E' solo allora, quando Anseimo e sua moglie hanno sanato le punte di disaccordo e si ricongiungono, che la vita matrimoniale ha il suo vero inizio. In questo caso, dunque, a differenza che in Amanti senza amore, c'è una risoluzione positiva del problema, un'evoluzione ottimistica, se vogliamo; ma, d'altra parte, fossero due o diecimila le separazioni coniugali, ci sono anche centinaia di migliaia di sposi che non si separano o che non sciolgono tragicamente il loro legame. Ma io dico: è di questi che dobbiamo occuparci o di quegli altri, siano pure poche migliaia, che per una ragione o per l'altra non riescono a fondersi e ad essere felici? Il mio non è moralismo ma è interesse per l’uomo, per le sofferenze dell'uomo. Un giorno vennero da me dei produttori a propormi un film musicale sulla vita di un grande musicista di cui non nn dissero il nome. Io risposi che non avevo niente in contrario a fare un film musicale, purché quel grande musicista fosse un essere con una sua sofferenza umana, con un suo travaglio, e non un semplice collezionista di successi. Sarebbe stato un film facile e non accettai perché il film facile non m'interessa E se oggi io sono attratto dal problema del matrimonio è perché sento quest'ansia degli uomini di vivere insieme e questa pena, fatta di errori, di incomprensioni. di leggerezze, di diffidenze, di sbandamenti. che li separa e tuttavia li spinge a cercare l'amore.
Anselmo ha fretta, che sarà prodotto da Baccio Randini per la Lux. e interpretato da Gino Cervi, avrà inizio a maggio. Ma già Franciolini scorazza per il Lazio alla ricerca del paese in cui dovranno vivere Anseimo e la sua sposa.
Non si capisce bene se le discussioni provocate da Anni difficili facciano, a Luigi Zampa. piacere o dispiacere. Genericamente egli si limita a lamentarsi che l'esame del contenuto politico di quel film abbia preso a volte il sopravvento su quello del contenuto artistico e che, nella maggior parte dei casi, lo abbiano osannato o crocifisso secondo una visuale di opportunismo politico. Si. una certa reazione in questo senso Zampa se l'aspettava mentre lavorava al film: che si scomodassero le direzioni dei partiti politici e che si facesse un'interpellanza al Senato non l'aveva mai pensato.
Ma la spina di Zampa non è questa: altre opere polemiche prima della sua hanno avuto, in altri Paesi, sorte non dissimile. La spina di Zampa é la critica italiana, o meglio quella parte della critica italiana che giudica e manda senza motivare i suoi giudizi. Del pubblico è soddisfatto, il pubblico lo segue, i suoi Alni incassano; ma questo a Zampa non basta La nostra critica, in genere, non gli è favorevole Ai suoi giudizi negativi e a volte acri, egli contrappone i giudizi della critica straniera positivi, ampi e cordiali.
Le polemiche suscitate da «Anni difficili» fanno o no piacere a Zampa? Comunque il regista dichiara che la sua "spina è la critica". Il prossimo film di Zampa sarà «Guardie e ladri»
- Per alcuni nostri critici - egli ha detto sono press'a poco un pallone gonfiato; per i critici stranieri sono un grande regista, uno degli esponenti del nuovo cinema. Ma passi: questo può dipendere da particolari condizioni psicologiche che portano, per lo stesso motivo. a reazioni diverse. Non posso invece accettare certi giudizi sbrigativi di cui sono gratificato. Io ho molto rispetto per la critica, la considero collaboratrice necessaria al nostro lavoro di registi, utile a segnalarci difetti o ad incoraggiarci là dove meritiamo. Ma quando si è lavorato un anno intorno a un film si ha il diritto di essere giudicati con attenzione e. quando si è sbagliato, di sapere « perché » si è sbagliato.
Zampa, difatti, non fa più di un film all'anno. Dal 1945 ha realizzato Un americano in vacanza, Vivere in pace. L'onorevole Angelina, Anni difficili. Ora sta completando il montaggio delle versioni italiana e inglese del suo ultimo film. Campane a martello, mentre sceneggia con Vitaliano Brancati ed Ennio Flajano Guardie e ladri, un soggetto di Piero Teliini. (A un certo momento si era parlato di un film Anni facili, sèguito di Anni difficili, ma Zampa ha preferito abbandonare il progetto).
— Guardie e ladri — ci ha spiegato Zampa è la storia d'una guardia e della sua famiglia e d'un ladro e della sua famiglia. La guardia si lascia scappare il ladro e deve ritrovarlo. altrimenti Anisce sul lastrico. La suà famiglia lo aiuta e, durante la ricerca, viene a contatto con la famiglia del ladro. Una storia attuale, di sapore critico, risolta sul piano umano. quello, per intenderci, di Vivere in pace. per esaminare, al di là della maschera costituita da una professione, il contenuto intimo degli uomini che lottano per la vita. In fondo, sono queste le storie che mi piacciono e mi interessano di più.
Per gli interpreti. Zampa pensa alla Magnani per la parte della moglie della guardia e a Peppino De Filippo per la parte della guardia Peppino De Filippo è considerato preferibilmente attore farsesco; ma in Guardie e ladri non dovrà essere tale. Intendo sfruttare la sua capacità di rendere un personaggio vero, con sfumature che non interessano il farsesco ma il satirico e all'occasione il comico.
— Come appare chiaro, continua Zampa, non si tratterà di un film neorealista. Io sono stato a torto giudicato da taluno un neorealista. Oltre tutto, nego al realismo propriamente detto, come fotografia della realtà, ogni contenuto artistico. Arte è trasposizione e il realismo manca di trasposizione. Come tra fotografia e pittura questa sola ha le caratteristiche dell'arte.
Dom., «Cinema», anno XXI, n.43, 28 febbraio 1949
Tre domande a Gianni Franciolini
«Cinema Nuovo», 1 novembre 1957
Il regista del film “Ferdinando re di Napoli" racconta, in questo articolo scritto per “Tempo”, come è stata inserita in un vasto affresco cinematografico, spettacolare e divertentissimo, la figura del più discusso sovrano borbonico
Napoli, ottobre
«Pensa a sóreta e a tuo cognato, che hanno fatto una cosi brutta fine». "Sóreta” era Maria Antonietta: la sorella di Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV; e chi le diceva questo era proprio lui. Ferdinando. che aveva sempre pronta la battuta di spirito anche se spesso un po’ greve. In generale gli aneddoti che si attribuiscono a Franceschiello (che sarebbe poi l’ultimo re di Napoli, quello della sconfitta di Gaeta e della perdita del trono), sono quasi tutti di Ferdinando IV, il "re Nasone”, il "re Lazzarone”, chiamato da un autore tedesco ”Der Gott der Lazzaronis", da Benedetto Croce "re Pulcinella”, da altri "re di Cuccagna”. Per il re Nasone va bene: la definizione era confidenziale e peggiorativa. Anche oggi a Napoli si dice a chi commette qualcosa di poco apprezzato: «Sei peggio di re Nasone». Per il ”re Lazzarone”. o "Der Gott der Lazzaronis”. la cosa non vuol proprio significare quello che oggi crediamo.
Nino Taranto, Peppino De Filippo e Vittorio De Sica in una scena del film "Ferdinando, re di Napoli", attualmente in lavorazione a Caserta. La scena riproduce il celebre aneddoto di Ferdinando IV che va a presiedere il Consiglio del Ministri col più piccolo dei figli, al quale dice: «Qui ti divertirai più che a teatro». Siamo intorno al 1805, ossia dopo la spietata repressione dei patrioti napoletani e la seconda cacciata del "Re Nasone" per opera delle truppe francesi.
Ferdinando IV era denominato ”re dei Lazzaroni” in quanto era l’idolo dei lazzaroni. Sulla forca, durante il suo regno, ci andavano un po’ tutti, ma soprattutto ci andarono, dopo la Repubblica Partenopea, i nobili e gli intellettuali. La storia delle repressioni del 1799 è piena di nomi come Domenico Cirillo, Mario Pagano. Eleonora Pimentel. i fratelli Pignatelli, ecc. Su 350 mila abitanti (tanti ne contava allora Napoli), trenta o quarantamila erano lazzaroni. Dormivano agli angoli delle strade e si cibavano per la maggior parte di maccheroni. Il re era il loro protettore e ne era protetto a sua volta. Costoro facevano I tremare il Governo, non la Corona: perchè la Corona aveva protezioni presso gli inglesi e gli austriaci e non si muoveva che col fragor delle armi e soprattutto coi cambiamenti' geografici che imponeva Napoleone all’Europa intera.
Ferdinando amava la caccia e la pesca. Travestito da pescatore passava intere giornate sulla scogliera di Castel dell'Ovo e poi sciorinava la pesca sotto gli occhi dei passanti e mercanteggiava i prezzi. Questi metodi popolareschi conciliavano sempre più il popolo col suo re. Ascoltava paziente-mente i lazzaroni che lo interpellavano per le strade e quando veniva a conoscere i loro bisogni ordinava una distribuzione speciale di derrate, in particolar modo di maccheroni, che lo rendevano ancor più popolare.
Anche Renato Rascel, che qui vediamo con re Ferdinando, impersonato da Peppino De Filippo, ha il suo posto nel vasto e scanzonato affresco storico. A destra: Jacqueline Sassard è una delle "prime donne" del film; eccola, in questa immagine, in una scena di massa, girata davanti allo scenario autentico del Maschio Angioino
Aveva una sua concezione del timor di Dio che ricorda un po’ quella di Samuel Pepys: peccava con facilità e ricercava poi l’assoluzione del* confessore personale per mettere in pace la coscienza.
Trovandosi a caccia nella tenuta di Persano e avendo avuto notizia che il fratello, l’esule re di Spagna Carlo IV, era moribondo a Napoli, ordinava di non fargli pervenire più nessun messaggio e continuava a cacciare con i suoi invitati. Avvisato delle estreme condizioni del fratello, si scusava dicendo: «Se muore non posso essergli di alcuno aiuto, se vive sarà contento che abbia continuato la caccia perchè anche lui è un appassionato cacciatore». Inseguito dalle truppe di Champiónnet. risvegliatosi nella sua qarrozza chiese al duca di Ascoli, suo Primo Ministro: «Avanzammo?». «No, sterno fuendo Maestà». fu la risposta. Allora, preso dalla paura di essere raggiunto e riconosciuto dai giacobini volle cambiar di abito con quello di Ascoli e rideva dicendo: «Così se ci trovano ti prendono per u' re e impiccano te».
A chi gli proponeva dei castighi più severi contro i detrattori del regno di Napoli rispondeva che il primo detrattore era lui stesso e che avrebbe dovuto mettere a capo della lista il suo nome per primo; al granduca di Toscana suo cognato, che gli faceva presente le condizioni pietose dei territori da lui amministrati, disse che, sì, in Toscana le cose andavano certo meglio che nel regno di Napoli, però in Toscana erano tutti severi, tristi, mentre a Napoli la popolazione era allegra e amava cantare e divertirsi. All’ambasciatore d’Inghilterra. che gli faceva presente, a nome del suo re. che il regno di Napoli assomigliava sempre più a un regno africano, rispondeva: «Ma l’Africa comincia da qui».
Questo è in poche parole il Ferdinando IV che ha dato spunto al nostro film, quel Ferdinando IV, terzo per la Sicilia, primo dopo il congresso di Vienna, che fece dire al popolo: Eri quarto e poi terzero:
Ora sei primo in questo gioco Bada bene, che a poco poco finirai per esser zero.
Gianni Franciolini, regista del film, accenna nell’articolo scritto per noi ai problemi che sorgono dal dover dirigere un così grande numero di attori celebri: questa sua immagine, scattata durante la ripresa d’una scena di "Ferdinando re di Napoli", sembra illustrare l’impegno richiesto.
Per parecchi mesi, con gli autori del soggetto e della sceneggiatura, Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa, abbiamo fatto un corso accelerato di storia intorno al nostro personaggio. Abbiamo consultato il Colletta, il Cuoco, Carlo De Nicola, Palmieri De Micciché, il Gorani, il De Cesare e Luigi Cortese. Salvatore di Giacomo, Benedetto Croce, e avuto conversazioni con due storici quali Carlo Zaghi dell’università di Napoli e Gino Doria. A Doria in particolare, con la riedizione che curò alcuni anni fa del ”Corricolo” di Alessandro Dumas, siamo debitori di averci introdotto e di averci fatto appassionare a questo sconcertante personaggio. Fatto un bagno nella storia, abbiamo però dovuto, per un momento, accantonare tutto: perchè, pur volendo rimaner fedeli a un personaggio, non era nostra intenzione fare un film biografico (a che scopo parlare nel 1959 di un Borbone? male, non sarebbe generoso; bene, non sarebbe possibile, perchè il giudizio della storia è giustamente molto severo con Ferdinando IV), ma era nel nostro programma e soprattutto nel programma degli autori di fare un film spettacolare. divertente, in certi punti liberamente comico. Ferdinando IV con tutti i suoi aneddoti ci è venuto incontro con abbondanza. Certi particolari che possono avere un sapore farsesco hanno le carte in regola con la storia: gli scherzi, le beffe che il popolo ha fatto a questo re non sono stati che arricchiti dalla fantasia degli autori; alla base c’è sempre quel tanto di verità che vive in ogni aneddoto.
Eduardo De Filippo e Marcello Mastrojanni impersonano nel film l’opposizione clandestina dei napoletani onesti al malgoverno di Ferdinando. Eduardo è Pulcinella: le sue satire popolaresche irritano e affascinano insieme il re borbonico, che si reca travestito alle rappresentazioni, anche per corteggiare la figlia di Pulcinella (è Rosanna Schiaffino). La ragazza ama però Mastrojanni, avvocatuccio ribelle, il quale riesce a introdurre a Corte i teatranti per organizzare un attentato al re. L’attentato fallirà, ma il tirannello borbonico sarà ricondotto, almeno in parte, alla ragione.
Rosanna Schiaffino, durante la "pulcinellata”, con Eduardo-Pulcinella. Lo spettacolo non ci offrirà soltanto uno "spogliarello", ma anche una canzone ("O’ falcone e a palomma”) eseguita dalla Schiaffino, che debutta per la prima volta come cantante.
Essi hanno immaginato che. in un periodo intorno al 1805, nel regno di Napoli, dopo che con la forca era stata annullata l’opposizione dei giacobini. allontanatisi gli inglesi con Nelson e Acton, invecchiata Maria Carolina, la fronda fosse rappresentata da gruppi clandestini, quelli che allora si chiamavano ”Calderari”, che erano i fratelli maggiori dei "Carbonari", e che si difendevano come potevano, con le uniche armi che erano rimaste: la satira, le beffe, le barzellette, le canzoni, come è successo in un recente periodo in Italia. L’anima di queste beffe è Pulcinella, il Pulcinella che è un po’ l’anima del popolo ed è un po’ la sua voce. E’ lui che organizza la beffa del "pitale” posto sulla testa di Ferdinando nel monumento che lo riproduce vestito da antico romano come Ma^co Aurelio; è lui che darà vita alla beffa della falsa costituzione, che scriverà le parole di una canzone che colpirà a sangue il tiranno e lo costringerà sempre più alla lotta fino a che... Ma sono .contrario a raccontare la trama di un film, specie se questa è talmente viva, che in ogni momento dà la stura a nuove trovate e a nuove situazioni.
Chi è Ferdinando? Peppino De Filippo; chi è il Pulcinella? Eduardo De Filippo; e che fa Titina De Filippo? Una vecchia amante del re che gli è rimasta fedele fin da quando era bella e "friccicarella". Totò, Rascel. Mastroianni, Fabrizi, De Sica, Taranto, Rosanna Schiaffino, la Sassard, sono gli attori che non mi fanno dormire la notte. Molti possono credere che un film che ha un cast così importante, sia per un regista un film facile: «Grazie, con tutti quegli attori!...». E invece, è come dirigere un concerto di grandi violini: ognuno va diretto e il tutto deve far nascere, da un’orchestra di assi, un ottimo concerto.
Spero che ci si divertirà a questa gaia commedia che in più ha tanti riferimenti con la vita di oggi, con le nostre vicende di oggi e di ieri; un despota, un tiranno e tanti uomini che da secoli lottano perchè, come dice Pulcinella:
«...in tutti i posti della terra i popoli vogliono esser liberi, felici, sazi...».
E al re che risponde: «Tutti quelli che si ribellano verranno impiccati», Pulcinella replica: «Impiccate, impiccate, maestà: ma fino a quando? Fino a quando ve lo permette la gente? Ogni popolo tiene il re che si merita. La colpa non è vostra, la colpa è nostra”,' maestà».
Gianni Franciolini, «Tempo», anno XXI, n.43, 27 ottobre 1959
Questo diceva Gianni Franciolini agli amici, ma in realtà i suoi film nascevano da una profonda maturazione. E' scomparso alla vigilia della realizzazione di un’opera alla quale pensava da anni
Roma, maggio
Gianni Franciolini lo ricordo chino non sulla macchina da presa ma su un ordigno che avrebbe dovuto produrre fumo e che si rifiutava di farlo. Eravamo a Valle dell’Inferno. la depressione fra il Colle Vaticano e Monte Mario, oggi ingoiata dalla città ma allora — diciassette anni fa — ancora in piena campagna. In quei giorni dirigeva le riprese di "Addio amore!”, una storia romantica e densa, tratta da due romanzi di Matilde Serao. Si girava la scena conclusiva, un duello in cui il protagonista, impersonato da Roldano Lupi, doveva trovare la morte volontariamente, gettandosi sulla spada di Leonardo Cortese. Era quasi mezzogiorno e il sole era alto; per rendere la atmosfera del mattino nebbioso erano state messe in funzione appunto quelle macchinette ribelli ad ogni ordine. E Franciolini lavorava accanto a un macchinista per farle funzionare. Pochi minuti dopo funzionavano tanto bene che ci costrinsero a sloggiare per non essere soffocati.
Franciolini era meticoloso nella preparazione dei suoi film, minuzioso nella realizzazione. attento nei particolari così come era composto e lindo nella persona. Sul set non si era mai compiaciuto di quegli abbigliamenti policromi e fantasiosi tanto cari a molti registi. Vestiva sempre con una certa eleganza e portava i capelli accuratamente pettinati ed incollati alla testa. Era sempre vivo, attento e un po' ironico. Sarebbe potuto sembrare uno sfaccendato elegante ed era invece un poeta.
Frequentava allora quella via Veneto che non esiste più e che era veramente un salotto per pochi intimi. Si fermava volentieri a parlare e a discutere. Difficilmente raccontava di sè e del suo lavoro. I suoi film nascevano da una lunga preparazione e da una profonda maturazione. Quando cominciò "Fari nella nebbia”, il film che gli dette nel 1942 una concreta notorietà, sapeva tutto sulla via Aurelia e sui camionisti che la percorrevano quotidianamente.
Franciolini veniva da Firenze e da Parigi. A Firenze era nato ed aveva studiato fino alla licenza media, poi se ne era andato a Parigi dove aveva frequentato l’Ecole de Journalisme e aveva fatto i primi passi nel cinema come assistente alla regia di Lacombe e Desi a\v. Divenuto documentarista, aveva realizzato un "Vérités sur l’Italie" che non fu mai proiettato sui nostri schermi. Aveva esordito con un film mediocre ma subito dopo era riuscito a dare con "Fari nella nebbia" la misura dei suoi mezzi.
Nato al cinema alla scuola francese sentiva l’immagine alla maniera dei francesi. Negli autotreni che attraversavano con ritmo serrato ed angoscioso i piccoli paesi della Liguria c’era un chiaro ricordo dei treni di Renoir in "La bète humaine”. Nel piatto conformismo di temi e di immagini del cinema di allora quel che Franciolini riuscì a dire sembrò, e fu. una rivelazione. C’era in lui una fede e c’era una volontà di accostarsi ad una verità spoglia di retorica, c’era una misura che non traboccava mai. Certe scene intime di quel film anticipavano chiaramente il neorealismo come lo anticipò Visconti, un altro allievo del cinema francese.
Come molti toscani Gianni Franciolini aveva l’ironia facile ma la ritorceva volentieri su se stesso. Aveva molte oneste ambizioni ma non era un ambizioso. Meditava a lungo i suoi film, anche quelli che gli piacevano meno. Ho detto che era un poeta. Portava infatti in sè un mondo di personaggi in chiave polemica che non era mai riuscito a esprimere. In una società esasperata e teatrale come quella che avvolge il cinematografo le persone come Franciolini si trovano sempre un po’ a disagio: non sapeva mettersi in mostra e non pretendeva nulla per sè.
Non ha avuto una carriera fortunata. Sempre alla ricerca di quello che intendeva esprimere poco si curava di farsi largo a colpi di gomito. D’altra parte era un uomo pacato e garbato che preferiva la solitudine ai trionfi mondani, le buone letture alle amicizie insincere. Non beveva, non fumava, non mangiava molto e disse una volta che il suo "hobby" era fare dei film. Non era avido di denaro e quindi non perseguiva il successo ad ogni costo.
Proprio del successo parlammo a lungo, qualche anno fa, seduti ai margini dell’ Appia Antica, durante le riprese di "Buongiorno, elefante!". Dopo avermi raccontato dettagliatamente la trama del film — era un narratore impareggiabile e straordinariamente conciso — mi chiese: c Credi che questa storia piacerà al pubblico?» e senza attendere risposta continuò: «Io penso di no. Più vado avanti nella realizzazione e più mi accorgo che si tratta di una storia che non è popolare. Ma io la sento cosi». Era la storia di un modesto professore, sempre in lotta con lo stipendio insufficiente, che un giorno riceve in dono un elefantino e che decide di tenerlo con sè. per la gioia sua e dei suoi figli che nulla hanno mai avuto. Era una affermazione polemica, sia pure in chiave sorridente, del diritto alla felicità che dovrebbe trovar posto nella Costituzione. E aggiunse allora Franciolini: «Solo una cosa mi dispiace, che il film viva tanto poco da non lasciar quasi più traccia dietro di noi. Del successo come successo non mi importa».
Nel dopoguerra Franciolini non aveva battuto la strada del neorealismo, che pure aveva anticipata, e aveva invece cercato di trovare una diversa formula per esprimere i sentimenti più ottimistici che erano alle basi del suo mondo. Tentò con ”La sposa non può attendere” e tentò con "Buongiorno, elefante!”. Approfondi la ricerca in "Villa Borghese”, con "Le signorine, dello 04", l’episodio che rivelò Giovanna Ralli. Gli ultimi suoi film erano stati due successi anche di cassetta, soprattutto "Racconti d’estate" in cui aveva potuto dare, con l’episodio della ladra e del poliziotto — la Morgan e Mastroianni — una indicazione su una vena di inconsueta ed autentica commozione. L’ultima sua opera, Ferdinando I re di Napoli” sta percorrendo gli schermi con grande successo.
L’ho incontrato l’ultima volta qualche mese fa. Era sempre vivo, attento, pronto alla battuta. Gli dissi che avevo veduto "Ferdinando" e ribattè: «Ti è piaciuto? Ma guarda!». Aveva quasi l’aria di volersi far perdonare un film che stava ottenendo un successo di incassi. Mi accennò a "Le svedesi", una idea che stava coltivando da molto tempo e che sperava di realizzare nel ’61. Non mi parlò invece delle "Ragazze miliardo” che avrebbe dovuto realizzare nella prossima estate ambientandolo a Forte dei Marmi, Saint Tropez, Portofino, il Lido. Non sembrava affatto stanco e neppure minato nella salute. Parlammo più di libri che di cinema. Mi disse di un recente romanzo francese, mi sembra di Sikorska, da cui forse si poteva trarre un film di ambfénte romano con personaggi veri, presi tra quelli che avevamo conosciuti durante la lunga consuetudine con Roma e con i naufraghi che spesso vi approdano. Accennò, di sfuggita, agli anni che stavano passando. Ne parlò senza rimpianto e senza presentimento di esser ormai tanto vicino alla conclusione. Fino alla fine è stato contento di esser vivo.
Umberto de Franciscis, «Tempo», 21 maggio 1960
Dopo il lungometraggio, L'ispettore Vargas, un film giallo tratto da una commedia di Vincenzo Tieri (1940), nel 1942 Franciolini diresse Fari nella nebbia, una delle sue opere più riuscite, nella quale «Franciolini confermò la propria abilità nella creazione di atmosfere sensuali e cupe, riconducibili a evidenti influenze della scuola verista francese (dei registi Jean Renoir e Marcel Carné in particolare) [...] da considerarsi tra i film che aprirono la strada al neorealismo».
Nel dopoguerra Franciolini girò altri melodrammi tratti ancora da testi teatrali (per es., I pescatori di Viviani per Notte di tempesta) o letterari (per es., Sonata a Kreutzer di Tolstoj per Amanti senza amore). Importante fu l'incontro con Cesare Zavattini, sceneggiatore fra altri nel 1950 di Anselmo ha fretta col quale Franciolini si inserì nel filone rosa del neorealismo. A metà degli anni cinquanta Franciolini si dedicò alla realizzazione di film a episodi.
A giudizio di Simone Emiliani, Franciolini, «pressoché dimenticato nel corso degli anni, nei suoi film mostra invece fine sensibilità nella costruzione di ritratti femminili che, per certi versi, risultano anticipare il cinema di Antonio Pietrangeli, mentre appare ben riconoscibile un particolare stile visivo, evidente nell'alternanza delle luci e delle ombre, di derivazione quasi espressionista».
Muore il 10 maggio 1960 in seguito a un intervento chirurgico.
Filmografia
Vérité sur l'Italie (1939)
L'ispettore Vargas, (1940)
Fari nella nebbia, (1942)
Giorni felici, (1942)
Addio, amore!, (1944)
Notte di tempesta, (1946)
Amanti senza amore, (1947)
La sposa non può attendere, (1949)
Ultimo incontro, (1951)
Buongiorno, elefante!, (1952)
Siamo donne, (1953)
Il mondo le condanna, (1953)
Villa Borghese, (1953)
Il letto, (Secrets d'alcove) (Episodio: Il divorzio) (1954)
Racconti romani, (1955)
Le signorine dello 04, (1955)
Peccato di castità, (1956)
Racconti d'estate, (1958)
Ferdinando I° re di Napoli, (1959)
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Dom., «Cinema», anno XXI, n.43, 28 febbraio 1949
- «Cinema Nuovo», 1 novembre 1957
- Gianni Franciolini, «Tempo», anno XXI, n.43, 27 ottobre 1959
- Umberto de Franciscis, «Tempo», 21 maggio 1960