Un regista che difende il matrimonio
E’ Antonio Pietrangeli che nel suo nuovo film “Lo scapolo" ha preso posizione contro il celibato scegliendo, come tipico esponente di esso, un Alberto Sordi inedito
Roma, dicembre
Da quando, con il ritorno della libertà, non hanno più l’obbligo di pagare una tassa, gli scapoli in Italia come nel resto del mondo sono perseguitati soltanto dalle loro manie. Si narrano a questo proposito, nel mondo letterario romano che è notoriamente pettegolo, divertenti aneddoti. Accadde per esempio una volta che uno scrittore, non più giovane e tuttavia prestante, partecipasse a un pranzo tra amici in una osteria di Trastevere. Ottima forchetta, non stette a lesinare con i cibi, i quali d’altronde erano consistenti e appetitosi; nè col vino; fatto sta che a un certo momento, fra lo stupore dei presenti, egli si afflosciò svenuto sulla sedia con il boccone a metà.
E’ LA TIPICA "SERATA DELLO SCAPOLO" quella che Paolo (Alberto Sordi) trascorre in un "night club”, dove l’ha condotto un suo amico: uno di quelli che sanno vivere, che hanno magnifiche fuoriserie e conoscono molte belle donne. L’amico ha promesso a Paolo di presentargli Abbe Lane, e così accade. Ma dopo che Paolo ha ballato con la bellissima Abbe, arriva il marito di costei (che, anche nel film, è impersonato da Cugat) e i sogni dello scapolo sfumano d’un colpo. La serata è - come al solito - finita nel modo più squallido; Paolo torna a casa solo, abbandonato dall’amico che se n’è andato per conto suo con una donna.
Poiché aveva goduto fino a quel momento di un’ottima salute, il suo svenimento gettò i commensali nella più viva costernazione. Venne chiamato un medico. Qualcuno telefonò a un ospedale. Ma l'allarme fu di breve durata. Avendo infatti provveduto, com’è buona norma in simili casi, a slacciargli il colletto e ad allentargli la cintura, si scoperse che la colpa del momentaneo malore andava attribuita a un ferreo busto di cui l’insigne letterato, scapolo e ormai sulla cinquantina, si stringeva i fianchi per snellire la figura e per perpetuare in questo modo una illusione di gioventù.
Basterebbe indagare nella vita di ogni scapolo che abbia superato i quarant’anni per scoprire che ognuno ha le proprie debolezze, più o meno innocue, le proprie ubbie, le proprie fissazioni. L’ordine, la pulizia, la macchinetta per stirare i pantaloni, sono per esempio le imprescindibili esigenze di un famoso regista; un serissimo critico teatrale invece non potrebbe far colazione la mattina senza una certa sfogliatella che egli metodicamente acquista ogni sera prima di rincasare; e via dicendo. Prima tuttavia di giungere a questo stadio, che è anche lo stadio delle pillole digestive, delle preoccupazioni igieniche e salutiste, gli scapoli attraversano un periodo intermedio nel quale, mentre dicono di gioire di una sconfinata libertà, sono insidiaci da una serie di difficoltà di ordine pratico. Nel frattempo irridono alla schiavitù del matrimonio e annegano il più delle volte nella più sconsolata solitudine.
IL PERSONAGGIO DEL "SEDUTTORE" riaffiora nel finale del film. Paolo ha capitolato e si è sposato. Ma la prima volta che lascia la moglie per mettersi in viaggio, incontra in treno una giovane donna. « Signorina? », le chiede Paolo; e alla risposta affermativa, rapidamente fa sparire la fede.
MADELEINE FISCHER, una ex-indossatrice passata al cinema (ha debuttato in "Le amiche” di Antonioni), è nel film Carla, la donna della quale Paolo finirà con l’innamorarsi e che sposerà. "Lo scapolo”, del quale è regista e soggettista Antonio Pietrangeli, è stato sceneggiato dallo stesso Pietrangeli, da Maccari, da Scola e da Continenza. Operatore è Gianni Di Venanzio. Nel film, Xavier Cugat e Abbe Lane presentano il nuovo ballo: il "Cha-cha-cha”.
E’ appunto questo periodo di vita degli scapoli che il regista Antonio Pietrangeli ha preso di mira nel suo nuovo film. Lo scapolo, con il preciso intento di debellare un luogo comune: che cioè vi sia maggior libertà nel rimanere celibi. Pietrangeli con questo è al suo secondo film. Il primo, che risale a circa due anni fa; e che raccontava la storia di una donna di servizio in una grande città — si chiamava originariamente: Il sole negli occhi, poi Celestina — ricevette un’ottima accoglienza dalla critica; e sollevò gli entusiastici consensi dei pubblici domenicali. Decine e decine di donne di servizio, che nella protagonista avevano identificato se stesse, scrissero al regista rozze frasi di simpatia e di ammirazione. Ma il più vivace e commovente omaggio egli lo ricevette dalla propria donna di servizio. Tornata, rossa in volto ed eccitata, dallo spettacolo, la ragazza entrò nel suo studio a congratularsi, quindi ne uscì; ma un attimo dopo eccola spalancare la porta e in fretta in fretta esclamare: «Dotto’, come non potremmo essere d’accordo con lei, se lei è dalla nostra parte?». E scappò via.
Se le ripercussioni pratiche di questo nuovo film non saranno minori di quelle del precedente, è probabile che Pietrangeli riceverà questa volta, assieme alle lettere, numerose partecipazioni di nozze; prendendo posizione contro gli scapoli, egli si è automaticamente schierato a pro del matrimonio. Tale infatti è l’assunto del film, dimostrato attraverso il patetico e grottesco curriculum vitae di uno scapolo impenitente. Abbandonato dall’amico che ha scelto il matrimonio, il rappresentante di una ditta di elettrodomestici deve cominciare la sua vita da capo. Deve cercarsi un alloggio, un barbiere, una lavanderia, una trattoria, nuovi; e a questo primo choc ne seguono altri che lo conducono progressivamente alla consapevolezza della propria infelicità e solitudine. Una volta è un’agognata avventura che finisce in nulla; un'altra, un ritrovarsi solo, nella sua pensione, in preda a una forte colica e alla paura di morire; un’altra volta, infine, è una serata trascorsa in compagnia di un vecchio scapolo, serata tristissima che si trascina da un caffè a un cinema, con l’umiliazione finale di un inequivocabile «alto là» gridato nel buio di un cinematografo da una domestica.
L’AVVENTURA è la costante aspirazione dello scapolo, che vive nell’illusione di poter trarre enormi frutti dalla sua libertà. Ecco (sopra) Alberto Sordi che tenta l’ennesimo approccio stradale, destinato - come nella maggior parte dei casi - a fallire miseramente. Nella foto in basso: Sordi e la signora Tonelli, una popolana di Roma che per la seconda volta lavora in un film.
Ma la vera crisi dello scapolo, che nel film è impersonato da Alberto Sordi, comincia al suo ritorno in città dopo una scappata al paese. Ormai l’idea del matrimonio, anche se rintuzzata, lo possiede ed egli comincia ad avvicinare tutte le donne con questa riposta intenzione. Non c’è nulla di peggio, però, che credere facile una cosa solo perchè si è deciso di averla. Ecco, imprevista difficoltà, i rifiuti e, impedimento non minore, la impossibilità di guardare una donna senza scoprire in lei, con la mentalità alterata del libertino, una quantità di difetti fisici e morali. La psicologia dello scapolo ancora vacillante fra il sì e il no è messa a nudo, in questa parte del film, con una serie di divertenti incidenti; fino a quando, con un improvviso capovolgimento di fronte, egli decide di sposare colei che assomma proprio tutti quelli che egli considerava difetti in una donna. E’ che, sotto la scorza dell’indifferenza, si è finalmente insinuato un sentimento.
Al di là delle battute e delle situazioni amare, grottesche e divertenti, è questo il punto al quale Pietrangeli ha voluto mirare scegliendo come protagonista della storia un tipico rappresentante della piccola borghesia. Secondo Pietrangeli infatti il matrimonio, per gli scapoli piccolo-borghesi, è forse l’unica maniera di aprirsi al mondo degli affetti, a un sentimento di responsabilità sociale: al di qua, nel celibato, c’è soltanto egoismo, aridità affettiva, angustia di interessi. Un uomo che litiga con la propria moglie, che ha le preoccupazioni. della casa e dei bambini, sarebbe insomma più uomo, più vivo, di colui che, come avviene molto spesso, al di fuori del lavoro non ha altri interessi che le donne (almeno come aspirazione), il totocalcio, la buona tavola e, magari, i polli ripieni di prosciutto. E’ una tesi, almeno in questa sua netta contrapposizione, non priva di verità; e comunque è la tesi del film, alla quale Alberto Sordi, appunto per dare forza e autenticità al personaggio, ha sacrificato questa volta le sue gigionerie, la sua mimica esaltata, insomma il corredo del "suo” personaggio.
PAOLO, che viveva con un amico d’infanzia (Armando) in un comodo appartamento, il giorno che Armando si sposa deve lasciare la casa e andare a vivere in pensione; ed è qui che conosce Gabriella, la bella hostess. Alberto Sordi e Sandra Milo appaiono in questa scena insieme alla padrona della pensione.
SANDRA MILO, che è al suo debutto cinematografico, impersona nel film Gabriella, una giovane e bella "hostess” di una Compagnia aerea. Paolo sogna di poter trascorrere con lei delle piacevoli serate; ma tutte si risolvono in delusioni. Gabriella è si una donna assolutamente emancipata, ma come tutte le donne mira anch’ella al matrimonio, con sommo orrore dello scapolo Paolo.
Il solo timore di Pietrangeli, ora che il film è terminato, è proprio questo: che il pubblico quando lo andrà a vedere, si aspetti di ritrovare il solito Sordi e rimanga deluso. Converrà precisare quindi che il primo a essere soddisfatto di questa sua trasformazione è Sordi stesso, il quale, prima di iniziare il film non conosceva Pietrangeli, come Pietrangeli non si era mai incontrato con Sordi; e ora non solo sono diventati amici, ma si stimano reciprocamente, si danno manate sulle spalle, si congratulano l’uno con l’altro ogni volta che si rivedono. Oltre Sordi, il regista ha impiegato nel film alcune attrici nuove e, in parti secondarie, alcuni interpreti del suo primo film: fra gli altri, anche la grassa popolana che impersonò una delle padrone di Celestina. Per rintracciarla, Pietrangeli si è recato alla borgata della Garbateli, dove la donna abita, e la signora Tonelli — così si chiama — non ha avuto un attimo di esitazione: ha abbandonato sur place piatti, pentole e fornelli e ha ricominciato, con l’entusiasmo di una giovane miss, la sua avventura cinematografica. Tanto, hanno commentato i suoi figlioli, non c’è alcun pericolo che si monti la testa.
Stelio Martini, «Tempo», 1955
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Stelio Martini, «Tempo», 1955 |