Alberto Sordi: «cerco da anni una moglie tranquilla»
"Voglio sposarmi e avere una famiglia", ci ha confidato Alberto Sordi in questo colloquio divertente e patetico. "Ho quarant'anni e il mio desiderio più grande è quello di avere un figlio"
Roma, gennaio
Nel locale notturno l'orchestra suonava forsennatamente I ragazzi del Pireo. Coppie di giovanissimi affollavano la pista, mentre ai tavoli erano per lo più persone anziane. GII sguardi di tutti, anziani e ragazzi, si appuntavano spesso sul giovanotto serissimo e impeccabile che mi sedeva accanto: Alberto Sordi.
«Vede», disse Alberto, con il suo accento romanesco un poco strascicato, mentre il suo viso assumeva un’espressione contrita «vede com'è la nostra vita? E poi ci invidiano, anche. Locali notturni, belle donne tutto corpo e niente spirito, pranzi luculliani, inviti nelle case delle migliori famiglie, soggiorni in alberghi di lusso: futilità. Noia e futilità. Vanità e impoverimento dell’anima». Sospirò e si versò della vodka. Guardò la bottiglia con disgusto. chiuse gli occhi e tracannò. «Eh», riprese, sospirando di nuovo» lo non sono proprio adatto a questa vita. La subisco, la sopporto. E' una conseguenza del mio lavoro. Ma guardi un po'
questi bestioni; li osservi bene».
Al nostro tavolo erano sedute una quindicina di persone convenute per una cena offerta da un noto organizzatore cinematografico. Costui ricordava straordinariamente il produttore che nella Dolce vita scorta Anita Ekberg: alto, magro, brizzolato, elegantissimo, sorridente, con un'espressione che faceva pensare a un rapace. «Guardi un po' l'anfitrione», disse sottovoce Alberto, indicandomelo con un cenno del capo.» S'è messo tra una bella donna e quel grassone calvo col quale sta per concludere un affare. Questa è tutta la sua vita. E’ fiero di sé. Dice che lui è un uomo con due C: contratti e conquiste. Ed è vero: pensi lo strazio. Non lascia passare un giorno senza concludere un affare, né una serata senza conquistare una donna. Se no, si sente infelice, menomato»,
L’organizzatore si voltò e ci sorrise con tutti I suoi denti. Agitò anche la mano in segno di saluto, e Sordi, estratto il fazzoletto dal taschino lo sventolò verso di lui mormorando: «Che vuole, bisogna tenerseli buoni, questi tangheri». L’organizzatore aveva ripreso a parlare con li suo vicino, ma spesso si girava rapidamente verso la donna: le diceva qualche parola con un’occhiata assassina, poi, di scatto si rifaceva serio e si voltava verso l'uomo di affari. E continuava cosi come se avesse una macchinetta nel collo.
Roma. Alberto Sordi con le sorelle Savina (a sinistra) e Amelia nel giardino della splendida villa in cui abitano nella zona archeologica, di fronte alle Terme di Caracalla. Nell’immagine compaiono anche i tre cani dei fratelli Sordi: da sinistra il belga groenlandese Kansas, Lady Coetanee (parzialmente visibile tra le gambe dell'attore), e il pastore maremmano City. Sordi è affezionatissimo alle sorelle ed ha sempre vissuto con loro. Savina e Amelia, di professione insegnanti, conoscono i gusti e il carattere dell'attore, che solo quando è in casa si sente interamente a proprio agio. A quarant’anni, Sordi è al vertice della carriera: interpreta una media di cinque film all’anno.
"SONO TROPPO PIGRO"
Disse Sordi: «Lo vede? Lo vede? Vuol sapere che dice? Dice così, ora all'uno ora all'altra, senza interruzioni: "Eh. sì, commendatore, perchè, vede, per il mio prossimo film è assicurata la distribuzione della United Artista. Allora, colombella, non farti pregare. Sai, a Roma ci ho tutte le donne che voglio. Eh sì, nel cast ci sarà probabilmente anche Charlton Heston. non sono sicuro, ma è quasi deciso. Allora, ti sei deeisaf Va che a me 'ale lungaggini non mi piacciono. Quanto mi piaci, angelo. No. commendatore, parlavo con la signora. No, no, Rizzoli non c’entra. E' una cosa tra noi: con una decina di milioni... Allora, che aspetti? Ti dò il mio indirizzo, si capisce. Corner Ma certo che sei perbene. Io delle altre non m’interesso".
«Ecco», concluse Sordi: «tutto il giorno così. E tutta la vita così. Ma come si fa, mi domando. Io per questo gli voglio tanto bene, a quello lì. Come non si può volere bene a uno tanto disgraziato? Eh, no, lo sono un tipo ben diverso, lei mi offende. Se mi ritrovo una ragazza tra le braccia, be’, chiudo le braccia, non dico di no. Ma essere sempre in caccia, farsi prendere dalla frenesia, proprio no. Ho altro da pensare, e poi ho un temperamento diverso. Non sono effervescente, sono troppo pigro. Le parrà strano, ma se lei mi ha osservato stasera se ne sarà accorto: io sono tutto il contrario del tipo che brilla in società.
"MI ISPIRO ALLA VITA"
«Anche da ragazzo sono sempre stato solitario, e quando mi trovavo in mezzo a una compagnia rumorosa apparivo subito il più silenzioso e triste. Ho sempre provato molta invidia (e anche un po’ di disprezzo) per l’uomo che brilla In società, per il tipo gaio, quello che racconta le storielle, fa i complimenti alle signore. organizza gli scherzi. Quando mi trovo tra la gente, la mia tendenza è di starmene in disparte e osservare. Guardarmi i vari tipi, ascoltarli, ingomma studiarli. E' così, del resto, che riesco a costruire i miei personaggi, i miei famosi tipi presi dalla vita. Perchè, lei lo saprà, certamente, lo col labore personalmente a tutte le sceneggiature dei miei film. Quasi sempre anzi i miei personaggi sono ispirati originariamente da me. e con il mio aiuto gli sceneggiatori e li regista li mettono a fuoco. Io ho bisogno di sentirli, i miei personaggi. di sentirmeli nel sangue».
L’orchestra suonava così clamorosamente che dovevamo gridarci nelle orecchie. Domandai a Sordi se fosse soddisfatto del suo lavoro.' «Sono abbastanza contento». disse lui «ma so che mi rosta ancora molto da fare. Ho molta vitalità, un istinto sicuro, ma devo affinare le mie doti. Conosco i miei limiti e il mio rischio, che è quello di cadere nella macchietta. D'altra parte sono troppo istintivo per costruire a freddo; ed è questo il motivo per cui non mi sono ancora deciso a fare del teatro, che pure mi piacerebbe tanto. I miei amici insistono tanto: Molière, per esempio, dicono che è fatto apposta per me. Ma io non me la sento. Sono cose troppo importanti; non sono all'altezza. E poi, non sono capace dì recitare roba scritta da altri. Ma si figuri: "Essere o non essere. questo è il problema". Vada un po’ a dirglielo a quello là», disse indicando l’organizzatore.
«Oggi si vive in un mondo diverso, e per lui il solo problema è questo: la conquisto o non la conquisto?».
"VOGLIO FARE IL BUE"
«Eppure», dissi io «il suo amico Gassman ha avuto il coraggio di rappresentare l'Adelchi; e gli è andata anche bene». «Ah, Vittorio. Ma Vittorio non può essere messo a confronto con noi. Lui è un Maestro, un grande. Io mi prostro ai suoi piedi e bacio la terra dove lui cammina. Vittorio, poveretto, ha cominciato così: l’hanno rovinato fin da piccolo. Io, invece, ho cominciato ascoltando Petrolini. Da piccolo me ne andavo nella bottega di un famoso antiquario e ci stavo tutto il giorno, in un angolo, osservando i più famosi personaggi che venivano: Petrolini era tra questi».
«E così». dissi io «niente Shakespeare». «Ma sentilo, il tentatore. Le ho detto che non sono degno. Io guardi, posseggo tutto il teatro: tutto, dico, di tutto il mondo. Non c’è opera teatrale che io non abbia. E le ho anche lette tutte, sa. Ma come faccio io, Alberto Sordi, il seduttore, il vigile, il vedovo, il magliaro, quello che storce la bocca, quello che canta Nonnetta? Ma lei mi considera un presuntuoso, un folle». Era diventato rosso e tutt’a un tratto menò un gran pugno sul tavolo gridando: «Altro che Shakespeare. Il bue. Ecco quello che voglio fare io: il bue. Le mie famose imitazioni: il bue, la gallina, l’asino e...». «Alberto», gemette l’organizzatore sgomento, guardando me con occhi feroci.
«Che vuol tu?», disse Alberto, fissandolo, freddissimo. «Si stava parlando di un progetto. Questo giovanotto e io stavamo discutendo di un film su Macbeth».
«Su che?».
«Macbeth o er pasticciaccio der castello de Dunsinnane. Se t’interessa, lo facciamo insieme. Lo ambientiamo ai Castelli, così gli esterni ti costano poco».
«E’ un soggetto suo?» mi domandò cortesemente l’organizzatore.
«No», disse Sordi. «E* di un suo amico, un inglese».
«Dov’è?», domandò l’organizzatore. «Chiamiamolo, mettiamoci d’accordo. Può sceneggiarlo Moravia».
«Meglio Pasolini», suggerii io.
«Ma dov’è questo inglese?», gridò l’organizzatore. «Non è qui?».
«No», disse Sordi con accento deluso «è già andato via».
«Via? Prima che finisca la mia cena? E dov’è andato? Con chi?».
Alberto lo fissò un attimo e gonfiò il torace: «Con Dante Alighieri», urlò con voce cavernosa.
Seguì una gran confusione: si udirono risate, urli, gli insulti dell’organizzatore. Accorsero camerieri. Alla fine mi ritrovai con Alberto che quasi mi piangeva su una spalla. «Ha visto?» gemette «ha visto, lei? Non me lo lasciano fare Shakespeare, a me, non me lo lasciano fare. Ih, Ih». Cercai di calmarlo, e lui di colpo si rassettò sorridendo e riprese il suo posto. «Che vuole, ogni tanto devo pur dare spettacolo. Ma se sapesse che tristezza. Io non vado mal da nessuna parte: mai nel locali notturni, alle feste, in via Veneto. Non solo perchè mi annoio, ma anche perchè non sopporto di dover sempre recitare. Io sono l'attore comico per eccellenza, e la gente vorrebbe sempre che lo dicessi spiritosaggini. che facessi ridere. Nella vita privata. Invece, pur non essendo tetro e neppure melanconico, sono sostanzialmente serio. In verità sono anche un po’ matto», aggiunse toccandosi la fronte «il che non guasta. Ma per tornare al discorso di prima, e parlando seriamente, non vorrei che lei avesse frainteso la storia di Shakespeare e del bue. Io sento che il mio primo dovere è quello di interessare il pubblico. E ho bisogno di interessare il pubblico in modo immediato, di percepire questo interesse. Tremerei se dovessi andare alla ribalta a recitare tre atti, con la gente U sotto. Invece un'Imitazione, una scenetta è una cosa fatta da me, di cui sono interamente responsabile, senza mediazioni; e che raggiunge subito lo spettatore senza che lui debba meditarci sopra».
«Se le cose stanno cosi», osservai «la televisione è la ribalta ideale per lei». «Infatti ricevo ogni giorno proposte. Ma lei alla televisione mi ha visto pochissimo. E poco mi vedrà. Sa perchè? Perchè non voglio essere lo schiavo negro del pubblico. Figurarsi. Quella gente bella grassa seduta a tavola, sbracata, con i bambini che gridano, il marito e la moglie che parlano dei fatti loro. Ogni tanto guardano il video, si fanno una risata, poi se non gli vai girano un bottone e ti mandano a quel paese Eh, no. cari signori. Un po' di rispetto per gli artisti. Voi vi alzate, vi vestite, venite al cinema o al teatro, vi sedete tranquilli, zitti zitti, e mi ascoltate religiosamente. E guai al primo che parla, perchè c'è subito un vicino che lo zittisce. E cosi che si educa il popolo ,al rispetto per la Bellezza e lo Spirito».
Roma, 1937. Alberto Sordi durante uno spettacolo di varietà. Nel 1937, allorché fu scattata quest'immagine. Sordi non aveva ancora diciott'anni e stava «facendosi le ossa» sui palcoscenici di second'ordine della capitale. Attore nato, Sordi ebbe per maestro Petrolini, ispirandosi al quale ha interpretato di recente il film «Gastone».
Roma. 1940. Alberto Sordi suona il clarinetto nella caserma deli’81° Fanteria, il reggimento in cui entrò allo scoppio della guerra. Sordi entrò nella banda dell'81° come suonatore di piatti: di tanto in tanto, però, con gran divertimento dei commilitoni, si cimentava con altri strumenti. L’8 settembre, Sordi sfuggi per caso alla deportazione.
"I MIEI RICORDI DI GUERRA"
La conversazione, sotto l’apparenza paradossale, aveva ormai un tono serio. Dal viso mobilissimo di Sordi era scomparsa ogni traccia di comicità. «Lei lavora molto», osservai «in media cinque film l'anno qualche volta addirittura nove. Guadagna molto, dunque. Tuttavia, molti la tacciano d’avarizia». «Tutte frottole», disse lui incupendosi ¦ tutte calunnie. Certi poveracci di via Veneto si vendicano così per il fatto che lo non sonò "uno di quelli". La verità è che spendo molti soldi, ma non nel loro modo stupida Come piace a me. Per esemplo, ho speso un sacco di quattrini per la casa, che è la mia passione. Ho una grande villa a Roma, nella zona archeologica, di fronte alle Terme di Caracalla. Un sogno. Era in origine di un gerarca, Pavolini, il quale, a coronamento della sua opera al servizio della Patria, si fece costruire la casa in una zona dove era rigorosamente proibito: basta zappare nel giardino perchè vengano alla luce monete e cocci antichi. Be', sarò immodesto, ma la casa è splendida. Io stesso ho curato l'arredamento senza consultare nessuno.
«Una passione molto borghese, vero? Ma lo sono profondamente borghese. La mia formazione è quella di un ragioniere. E tale. In qualche momento, vorrei essere rimasto. Lei avrà sentito dire che vorrei tanto sposarmi, ma non riesca Ed è vero, mi creda, è 11 mio dramma. Come dicevo, sono una persona seria. Perciò una del cinema niente, mai. Almeno lo spero. Voglio una moglie borghese: la figlia di un medica di un funzionario, di un avvocato, una di quelle belle ragazze sane della nostra media borghesia. Invece, quando ne trovo una. manco a dirlo è già sposata. E di altre, chi conosco? All'infuori del cinema, frequento alcune famiglie di nobili romani. Gente in gamba. Ma lei mi vede con una moglie che la mattina si alza e va a galoppare con il palafreniere? Io sono figlio di un musicista, sa, e ho suonato anch’io, durante la guerra. Grazie alle conoscenze di papà, quando scoppiò la guerra fui arruolato nella banda dell'81° reggimento di fanteria. Suonavo i piatti. Fu un reggimento glorioso. Siamo soltanto quattro o cinque i superstiti. I miei commilitoni fecero tutte le campagne, dalla Russia all’Africa. Ogni volta che partivano li accompagnavo alla stazione suonando i piatti.
"NON RIESCO A SPOSARMI"
«L’8 settembre la scampai bella. Ai primi segni di disordine ero andato da una mia zia e mi ero tolto la divisa, ma subito lo scrupolo fu più forte e decisi di fare una capatina in caserma. Appena entrai arrivarono i Tedeschi. C'erano con loro due ufficiali fedeli a Mussolini, che ci accusarono di essere tutti traditori e ci misero in fila contro il muro. Poi arrivarono i carri ferroviari e cominciarono a caricare uomini per la Germania. Io me ne stavo lì tremante quando mi si avvicinò un ufficiale fascista, il maggiore Margherita. Mi guardò con disgusto: ’’E tu che fai? Chi sei?". "Come chi sono", risposi "io sono un soldato". "Un soldato? Ah, carogna. E la divisa?". "E’ da mia zia", dissi io. "Vergognati, smidollato. Vai subito a prendere la divisa e torna qui". "Agli ordini", risposi, e scappai come un razzo. Naturalmente, figurarsi se tornai indietro. Ho sempre cercato quel maggiore, dopa per ringraziarla Mi salvò la vita, quel gran galantuomo.
«Ma tornando alla moglie, dove la trovo ia una brava ragazza qualunque da sposare? Impossibile. Ormai sono troppo noto. Se esco con una ragazza, subito si precipitano i fotografi e i cronisti. Come facciamo a conoscerci? Mettiamo che usciamo per due mesi, e poi ci accorgiamo di non essere fatti per sposarci. Quella poveretta è rovinata: rimane per sempre l' "amica" di Sordi, perchè la gente ha subito da malignare se vede una ragazza con uno di noi. Già, potrei tentare all’estero: una brava ragazza della borghesia straniera. Ma lì c’è il problema delle lingue. Io non sono poliglotta. E allora che ci diciamo? Eppure ormai ho quarant’anni, devo sposarmi. Voglio avere una famiglia, dei figli: vado matto per i bambini. Devo ormai dare uno scopo al mio lavoro, alla mia vita. Ci ho la casa, un lavoro che rende, sono un ragazzo a posta e non mi posso sposare».
«Forse», dissi «lei è anche troppo esigente; gli psicologi dicono che accade ai tipi molto attaccati alla madre». «Sì, io sono sempre stato molto legato a mia madre. Tanto che ho sempre rifiutato di andare ad abitare In una casa diversa, quando lei viveva. Mi dicevano i produttori, contrariati: "Alberto, tu devi mettere su casa per conto tuo, devi essere libero, avere una casa moderna, di rappresentanza". Io questi discorsi non li capivo.
Ero un ragazzo che faceva un lavoro come un altro. La mattina salutavo la mamma, l’abbracciavo, le dicevo: "Ciao mammetta, vado a lavorare". Poi andavo al teatro di posa, mi mettevo i baffi e la barba, mi vestivo da guardia, insomma facevo l'attore. E come avrei potuto lasciare mia madre? Ancora oggi, abito con due sorelle, due mature insegnanti. Io sono molto sensibile al drammi delle persone anziane, alla solitudine. La cosa che più mi rattrista al mondo è lo spettacolo dei vecchi abbandonati negli ospizi. E’ roba che mi manda in bestia, mi fa pensare che viviamo in un mondo di lupi. Quando sono a Roma, mi trovo ogni mattina con un gruppo di vecchiette di un ospizio; andiamo a prendere il caffè insieme. Le conobbi quando si girava il film Piccola posta. Facevo la parte di un sadico che torturava le vecchiette, strappandogli le orecchie e torcendogli le braccia. Gli piaceva sentire il cric, capisce, il cric delle vecchie ossa che si spezzavano. Sapesse quando soffersi io, per quel film. Alla fine ima delle vecchie, per farmi coraggio, mi disse: "Signor Sordi, non si faccia troppi scrupoli perchè ci torce le orecchie. Questo è niente. Nell’ospizio dov'ero prima il direttore ci menava certi pugni nella schiena che ci spezzava le vertebre". Ha capito, amico mio? Pigliava le vecchiette e gli spezzava la spina dorsale. Il direttore dell’ospizio. Quando si dice la fantasia e la realtà. Come si può pensare una porcheria simile? Disgustoso. E invece succede, e proprio a Roma».
"SONO CATTOLICO PRATICANTE"
Mi trattenevo a fatica. Raccontata da lui, che scuoteva i pugni. la storia del direttore criminale diventava esilarante. Alla fine mi misi a ridere. Lui mi guardò con un’espressione sgomenta. «Ride, anche», mormorò. «Lei è un crudele, un sadico», gridò poi. scoppiando a piangere. L'organizzatore balzò su dalla seggiola: «Ma che gli sta facendo?». E Alberto, singhiozzando: «Vuole che vada con lui negli ospizi a spezzare la schiena alle vecchiette con i pugni». Quando le risate si spensero, mi complimentai con Sordi per la sua anima caritatevole. «Io sono cattolico credente e .praticante», mi disse con fierezza. «Ho ricevuto una educazione religiosa molto severa, e il succo è rimasto. Scherzi a parte, è vero. Lascio passare la avventuretta, l’imprecazione, la piccola cattiveria al collega, ma sulle cose importanti non transigo. E’ per questo, che sono così fregato col matrimonio. Il matrimonio è una cosa Importante. Se mi sposassi e l’unione fallisse. sarebbe terribile per me. Io i matrimoni al Messico quelle cose lì non le capisco. No, deve essere una cosa seria, con prete, abito bianca parenti, che piangono: tutto in perfetta regola».
Stavamo ancora parlando quando l’organizzatore si alzò e battè le mani. Disse che, come potevamo vedere guardando il piatto davanti a lui, il conto era già pagato; e che ormai era ora di andare a dormire. A giudicare dall’espressione del suoi due vicini, non aveva perduto la giornata: un affare e una conquista. Alberto mi domandò amabilmente se volevo andare a bere ancora in qualche altro posto, ma rifiutai.
Appena fuori del locale ci salutammo. Gli dissi che se avessi trovato qualche ragazza sul tipo che gli piaceva gllel’avrel segnalata. «Eh, magari», disse agitando le braccia; e s'incammino mesto dietro l'organizzatore, la signora per bene e il grasso uomo d'affari, tirando calci rabbiosi a una scatola di cerini.
Domenico Campana, «Gente», anno V, n.2, 13 gennaio 1961
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Domenico Campana, «Gente», anno V, n.2, 13 gennaio 1961 |