Eduardo e Peppino De Filippo senza equivoci
Ad ogni inizio di Anno teatrale, mentre circolano le più impensate notizie riguardo le formazioni delle Compagnie, più alte e più variopinte delle altre svolazzano le «voci» inforno ai fratelli De Filippo. Sono, in genere, i portavoce bene informati — i pissi pissi bao bao dell'ambiente teatrale — che le portano sulle loro grosse labbra fatte a imbuto, e le soffiano qua e là, con accorta distribuzione. Si comincia, generalmente, con una prima notizia sensazionale; quest’anno i De Filippo non «formano» : Edoardo e Peppino si sono divisi, addio ditta, addio Compagnia, addio fama dei due grandi attori partenopei. Poi seguono, in tono non meno veritiero, i particolari della scissione; Edoardo vuol essere capocomico assoluto, Peppino pure, di qui liti tremende, rottura artistica e familiare. Oppure: i due attori sono rovinati, non hanno più un soldo, hanno perduto tutto col cinema, non possono «riformare». E ancora : sono senza repertorio, non sanno nemmeno con quale commedia debuttare, il pubblico li ha abbandonati, i due astri sono tramontati. E su questa solfa, i bene informati continuano le loro necroforiche dicerie, stralunando gli occhi, mettendosi una mano mi petto frer garantire plasticamente la veridicità delle loro informazioni, compiendo gesti di commiserazione e di sconforto.
Mentre, si capisce, la verità è tutt'altra. La verità è che ogni anno i De Filippo — più fratelli che mai — tornano tranquillamente e fattivamente col loro lavoro, e presentano novità che infilano strabilianti serie di repliche, e che, senza voler far loro i conti in tasca, i quattrini vanno alle loro casse come le acque corrono al mare. Poi, accanto a questa, c’è un’altra verità che ci preme di mettere in rilievo. Questa. I fratelli De Filippo sono artisti autentici, e, come tali, sono mossi nelle loro azioni da quella sacrosanta e bellissima inquietudine che rende dura e tormentata esistenza dei veri artisti, dei comici di razza, degli attori della grande tradizione. Appartenendo a questa classe di eletti, i due fratelli non si sono adagiati, dopo i primi successi, sul comodo tettuccio rii piume delle posizioni conquistate, ma si sono invece inoltrati nel campo minato delle difficili esperienze, delle rinunzie alle facili vittorie, ilei sacrifici finanziarii. Una strada comoda, larga, facile già era sotto i lord passi. Bastava seguirla senza troppa fatica, per arrivare, tra i continui incitamenti del pubblico, alla ricchezza materiale e al benessere artistico. Bastava continuare il cammino iniziato, limitarsi alla produzione schiettamente dialettale, senza tentare voli, senza lasciarsi attrarre dal richiamo della grande Arte. E invece i De Filippo hanno scantonato.
Si sono buttati, loro già vittoriosi, alla conquista di nuove posizioni. Hanno interpretato L'abito nuovo, il difficilissimo «canovaccio» pirandelliano, hanno accolto nel loro repertorio lavori di autori battaglieri, sono arrivati fino alla commedia classica, si sono fatti istrumento di tentativi audaci e di prove pericolose. Ed anche nel campo del cinema, dopo aver «prodotto» per gli altri, cioè senza rischio, si sono fatti a loro volta produttori, per seguire una direttiva personale, per non assoggettarsi ai voleri degli altri. Col risultato, questa volta, di giocarsi in placida confidenza e la supina arrendevolezza di quel pubblico che non ama i sobbalzi, che considera le poltrone dei teatri alla stessa stregua dei semicupi sedativi, che nelle sale di pubblico spettacolo vuol compiere le serene e laboriose digestioni di Taddeo e Veneranda. E anche la cieca e affaristica fiducia degli industriali spettacolari, nei riguardi dei De Filippo, è stata scossa, specie in questi ultimi tempi, a causa della insofferenza artistica dei due fratelli, e più di una voce si è levata qua e là, facendosi interprete delle angoscie dei dirigenti e dei proprietari di quei locali fatti teatro — è la parola — delle audaci gesta defilippiane.
Noi diciamo: Bravissimi De Filippo! La vostra insofferenza, i tentativi, le ricerche, sono indici fermi e sicuri della vostra nobilissima statura artistica. E maggiormente siete ammirevoli, in quanto avete lasciato, per innalzarvi artisticamente, una comoda e facile vita di onori e di ricchezze grandi. Senza chiedervi nulla di più di quanto ci avete dato, noi siamo qui a battervi le mani, anche quando sbagliate, anche quando perdete la battaglia. E a questa benedetta ansia che vi anima e vi aizza, il vostro nome resta affidato; e sarà nome durevole. In quanto alle notizie catastrofiche, ai «si dice», ai pissi pissi bao bao lasciateli pure circolare liberamente: voi due, da buoni napoletani, non mancate certo di accreditati scongiuri e di blindati amuleti.
Peppino De Filippo ha scritto, come suo fratello Eduardo, numerose commedie in tre atti e in un atto. I successi di Eduardo e Peppino come autori sono pari all'eccezionalità degli interpreti, e alcuni atti unici sono veri gioielli.
Enrico Bassano, «Il Dramma», febbraio 1941
Enrico Bassano, «Il Dramma», febbraio 1941 |