I fratelli De Filippo

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Quando Eduardo e Peppino de Filippo recitano a Napoli sono insolitamente innervositi, li diresti turbati come debuttanti; il pubblico napoletano, che pure affluisce numerosissimo al loro richiamo, li mette in uno stato di vero orgasmo.

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Non mi sono reso conto mai con chiarezza di questo strano fatto; pure, a ripensarci. ho cercato di spiegarmi la cosa paragonando il loro imbarazzo a quello che coglie in pittore, per esempio, al cospetto di un paesaggio dipinto con passione ma che rende un particolare stato d'animo e non, mai, la totalità di un complesso amore.

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Infatti la piccola borghesia napoletana, che è il loro iniziale modello, si reca ad ascoltare i de Filippo come colui che si guarda allo specchio in un abito nuovo: si vorrebbe voler bene, vorrebbe vedersi più simpatico ed affascinante invece il vestito nuovo lo rende goffo, lo ridicolizza crudelmente, rivela le spalle strette e cadenti, la dilatazione allo stomaco e, insomma lo disillude amaramente sulla propria bellezza.

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I de Filippo hanno puntato il loro spietato cannocchiale proprio nel cuore della piccola borghesia e la scoperta continua della malinconia, della limitatezza e della civetteria di questa classe ha formato il nucleo essenziale del loro teatro.

Cominciarono con l'adattare alla propria curiosità espressiva vecchi schemi da San Carlino prima e scarpettiani poi; ma i personaggi ci stavano dentro con pena poiché mentre Scarpetta commentava bonariamente e senza malizia la vita della borghesia ottocentesca sicura e felice e alla quale lo Scarpetta stesso credeva, i de Filippo la investono con crudezza ironica. dolorosa ma senza bontà. Così superarono Scarpetta e Perito e scopersero prima Viviani e il suo teatro denso di morale e di programmi popolari, in seguito Charlot e la comicità stupefatta degli americani e, finalmente, i de Filippo.

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Questa scoperta costò loro molta fatica. Io ricordo Eduardo de Filippo fermo all'angolo di piazza S. Ferdinando a Napoli, assistere apparentemente innocente, alla sfilata interminabile di questa strana popolazione; osservarne attentamente i gesti e le parole più casuali, più semplici e, dopo essere stato in osservazione ore intere, tornarsene a casa a braccetto di qualche amico e rifare, quasi come a ripassarsi una lezione da mandare a me moria, i gesti e le parole e, soprattutto, il suono di esse, la cadenza musicale, la loro intima espressività psicologica.

Nel camerino, prima d'andare in iscena o durante gli intervalli, con gli amici che vanno a salutarli. Peppino ed Eduardo continuano a parlare delle cose della loro giornata con la stessa voce dei personaggi delle loro commedie. E se tu fai notare la cosa essi si meravigliano che tu non faccia altrettanto e si chiudono in profondissima malinconia come se li avessi offesi e non parlano più: ritoccano il trucco, si guardano allo specchio intensamente e sospirano inesplicabili.

Credono, e molti credono con essi, che questo teatro abbia una morale: niente di più falso: le loro commedie sono pretesti perchè risalti e venga svolto un giuoco senza forma, senza regola. Le cose più belle dei de Filippo sono quelle che non hanno nè inizio nè fine; il velario si apre su una realtà preesistente e si chiude su una realtà che continua.

In ciò risiede la loro più grande originalità. Ho sempre pensato che potrebbero abolire le scene e tutti i pretesti per chiudere in quadri le parole; potrebbero parlare da fermi in iscena poiché l'unica necessità è il suono dei loro discorsi.

Ricordate la loro abitudine, recitando, di ripetere una frasi più volte sempre cambiando tono? Ripeterla fino a deformarla, a renderla incomprensibile quasi come un balbettio bestiale come capita a chi parli dormendo?

Alle volte vien fuori qualche cosa alla Joice ed è questa la loro scoperta. In palcoscenico Eduardo ama recitare seduto e, spessissimo con le spalle verso il pubblico godendo intimamente delle strane parole pronunciate con lentezza gustandone a una a una le sillabe, le pause i suoni indipendentemente da ogni preoccupazione contenutistica.

Dopo lo spettacolo tornano a casa silenziosi e malinconici, evitano di parlarsi e ruminano strani progetti vendicativi contro quelli che sono rimasti affascinati da questa pazzia intuitiva co me i serpenti dalla musica del fachiro. Ogni sera si amareggiano i de Filippo è una vita d'inferno la loro.

P. R., «Tempo», anno V, n.107, 12-19 giugno 1941


Tempo
P. R., «Tempo», anno V, n.107, 12-19 giugno 1941