In casa De Filippo trattato di pace
Spesso durante le loro tournées nelle varie città d’Italia, i tre fratelli si incontravano. Si salutavano: «Buongiorno», «Buonasera» e niente «cchiù». Quasi per caso capitò a Peppino d’invitare a cena Eduardo e Titina. Da quel giorno ripresero i rapporti. Ora stanno girando insieme un film.
Abbiamo voglia di avviarci a essere i cinquanta milioni, nella sua struttura sentimentale l’Italia resterà ancora per chissà quanto, grazie a Dio, un villaggiotto: dove non si distingue bene tra i fatti propri e i fatti degli altri perché, stretti o alla lontana, tutti un poco parenti siamo. Non ai tratta soltanto di meschina curiosità provinciale, di gusto del pettegolezzo: bensì di sincera partecipazione umana, di genuino sentimento della comunità domestica; o addirittura di legami più misteriosi, più profondi che rimontano, vorrei dire, al clan primitivo.
Da anni immemorabili ci sono a Roma (alla Capitale, abbiamo detto) due bottegucce che si fronteggiano, in una strada del centro: da sei metri di distanza, come dalle opposte rive d’un fiume di secolare corruccio, i due negozianti si scambiano tutto il giorno occhiate di fuoco attraverso le vetrine. Entrambe le vetrine espongono penne stilografiche. Il medesimo cognome, ahimè, campeggia sui rispettivi stigli. Perché sì, quei commercianti sono d’una stessa prosapia; eppur si fanno, nei modesti limiti dei loro interessi, e perfin sui giornali, una concorrenza che più a coltello non è quella fra Standard e Shell.
Caso per sé infimo, come si vede, di ruggine familiare, di oscure e minime beghe casalinghe; né varrebbe la pena di soffermarcisi se a codesta povera, intignata e diremmo medievale lotta tra consanguinei non partecipassero unanimi col cuore, e dall’origine, i sovrapopolatissimi Sette Colli. Non c’è persona nell’Urbe che ignori la deplorevole rivalità tra Oliviero e Corrado e non ne segua palpitando le microscopiche vicissitudini attraverso il lento scorrere del tempo; non c'è romano di nascita o d’importazione che nel profondo dell’anima, nel subcosciente freudiano, non auspichi fervidamente la pace tra i due stilografisti, troppo tenaci, diciamolo pure, nei loro rancori.
Ben altrimenti importante, ma sostanzialmente uguale quanto ai suoi riflessi nella coscienza degli italiani tutti, il caso dei De Filippo. Una storia sgradevole, di quelle che ti mantengono in un perenne stato d’inquietudine e malumore; magari credi di non pensarci, ma dentro ti rode; un po’ come succedeva, prima della Conciliazione, con la questione romana, se vi ricordate. Qualcosa nel nostro intimo, come l’ora esatta dei telefoni, non faceva che ripetere monotonamente: E piantatela, via; E piantatela, via. Questa voce talvolta la si sentiva talvolta no; essa continuava in ogni caso a risuonare come un fatto meccanico, estraneo alla nostra volontà, e i tre interessati come potevano, alla lunga, non sentirla anche loro? Non restarne commossi?
Quanto rilievo abbiano «i De Filippo» nella vita italiana affettiva si vede da due segni infallibili. Primo. Si arrabatti pur Eduardo a proclamare che lui «Eduardo» si chiama, lo stampi pur grande così, in rosso acceso, sui manifesti: sempre la gente continua come nulla fosse a chiamarlo in tutte lettere Eduardo De Filippo, o De Filippo tout court: uno e trino, senza rimedio. Sarebbe come se Ricciotti avesse preteso che così lo chiamassero, senza la giunta del Garibaldi. Che siamo matti?
Il secondo segno è questo, che in un paese come il nostro dove le notizie vanno piano, malazzate e contraddittorie, dove le cognizioni comuni sono di regola sbagliate e la pigrizia mentale fa il resto, in questo paese non un abitante ignora i dissapori dei De Filippo, e magari il perché e il percome (ambizioni, interessi in contrasto?); non uno che non se ne rammarichi sospirando, che non senta codesta faccenda come una macchiolina in cielo, come un’ombra in cuore, che non dica «Peccato» non soltanto pensando all’arte, al teatro, ma perché proprio è un dolore per tutti se Eduardo, Titina e Peppino non si vogliono bene.
Chi non ricorda come andò questa triste cosa? Avevano lavorato insieme, fianco a fianco, solidalmente, per dodici anni, insieme salendo di gradino in gradino dalla gloriuzza locale alla gloria nazionale: trinomio memorabile, nella storia del teatro italiano. Le commedie di Eduardo erano, in certa misura, anche di Peppino: quelle di Peppino, in certa misura, erano anche di Eduardo. Dove incominciava, dove finiva quella collaborazione? Essi si completavano, combaciavano come le due metà di un’arancia. E quale affiatamento poi, in palcoscenico,, tra i due formidabili attori! Più surrealista e «intellettuale» pareva Peppino, più verista e sentimentale Eduardo. E s’è visto quando si lasciarono che non era vero: era casomai più vero il contrario; ma il fatto è che dividendosi avevano spezzato un equilibrio organico, rotto un’omogeneità; non tornavan più i conti. In mezzo a loro, tutta spontaneità e cuore e umana esperienza, Titina. Che terzetto in gamba: simpatici, intelligenti, vivi come nessuno: attori, commediografi, poeti, registi del cinema... e - ora s’è visto con Titina - perfin pittori. Il pubblico andava in estasi, erano i suoi beniamini quei fratelli, se li adorava. E d’un tratto, senza nessuna ragione apparente, alla fine d’una stagione al «Diana» che era stata, non c’è neanche da dire, tra le più fortunate della loro carriera fortunatissima, trac, decisero lì per lì di separarsi. Era il 1944, la caotica Napoli del dopoguerra. Ed Eduardo e Titina vanno da una parte, Peppino, solo, dall’altra. Fanno la loro strada; continuano a farla, anzi Edoardo per suo conto sale ancora, se possibile, nella stima del pubblico, e tuttavia «non è più la stessa cosa». Non diciamo capidopera come Natale in casa Cupiello dove l’assenza di Peppino si avverte quasi come uno strappo fisico, come una mutilazione del ricordo. Ma in tutti i lavori dell’uno e dell’altro resta da allora come un vuoto, un disagio, il «posto libero» a tavola dell’ospite in ritardo, la nostalgia del personaggio assente, necessario al nostro piacere : d’ambo le parti è la commedia di Pulcinella senza Pulcinella, nulla può sostituirne la carenza, far dimenticare che lui sta lì, dietro le quinte, col broncio; e non vuol farsi innanzi, Achille in maschera, alla ribalta.
In quei sette anni non è che i tre fratelli non si siano incontrati mai. Anzi si sono incontrati spesso, come portavano le tournées, qualche volta a Milano, qualche volta a Roma: «Buongiorno», «Buonasera». E niente cchiù. Uno strazio. Un mal di denti morale, per gli italiani. Figurarsi se son mancati gli amici benintenzionati, i tentativi di promuovere un incontro, di far sciogliere il ghiaccio: ma solo un anno fa, quasi per caso, è capitato a Peppino d’invitare a cena Eduardo e Titina. Da quel giorno data una ripresa di rapporti sempre più cordiale; e anche se per ora non si parla (ma è poi sicuro?) di ritorno insieme sul palcoscenico, eccoli finalmente riuniti nei fotogrammi di un film.
Cameriera bella presenza offresi..., che a giudicar dal titolo dovrebb’essere una produzione francamente comica, rischia invece di diventare (e non per difetto o merito del suo regista Pastina, ma per gli inevitabili contraccolpi sentimentali sul pubblico) il più commovente film degli ultimi anni. Esso ha segnato infatti, traverso cerimonie da strappar le lagrime ai sassi, la riconciliazione della brava Elsa Merlini con la disciplina dell’arte, dopo lungo divorzio per incompatibilità di carattere. Poi è stata, nel medesimo film, la volta dei De Filippo : quando esso sarà programmato, le nostre platee avranno la grande soddisfazione di ritrovarli finalmente tutti insieme, d’amore e d’accordo, Peppino( nella parte d’un marito tradito e irresoluto), Titina (una ex-cantante esigente e bigotta) ed Eduardo (un professore di matematica maniaco di yoga e di spiritismo). Il cronista è tutto contento, guarda che sciocco, di aver potuto scrivere queste righe, dare questa notizia.
Ma c'è una giunta delicatissima a tale derrata. Dovete sapere che, finita la cameriera bella presenza, Eduardo s'è buttato subito alla riduzione filmistica della celeberrima Filumena Marturano: egli ne è, come di solito, autore, regista, interprete e comproduttore. Tra gli altri attori - oltre naturalmente a Titina, protagonista obbligata - figura un tal Gigino De Filippo, che è poi, nonostante il diminutivo, il figliolone di Peppino: un ragazzo dall’aria aperta e buona, sempre a bocca aperta ad ascoltare lo «zio Eduardo». Con la scusa del figliuolo debuttante, Peppino (che ha appena terminato di girare con Fabrizi nel film di Zampa) lo si vede spesso e volentieri nei teatri al Quadraro del Centro Sperimentale: dove si mangia con gli occhi Gigino, com’è naturale, ma soprattutto, badando bene a non farsene accorgere, Eduardo.
Non è colpa nostra se diamo un po’ nel deamicisiano; nella commozione facile. Non ci mettiamo né sale né pepe. Ma non è finita. Un’altra persona, donna stavolta, si sta mangiando con gli occhi, di sottecchi, un bel giovanotto indaffarato: Augusto Cartoni, l’aiuto regista. Forse voi non sapete che Titina di suo cognome per l’appunto Cartoni si chiama, e che Augusto è il frutto delle sue viscere...
Filumena, non ti stancherai dunque mai di far miracoli, di seminare il bene e il sorriso sul tuo cammino? Il primo miracolo l’hai fatto con te stessa, con la tua carriera trionfale: dal ’46 quando debuttasti al «Politeama» napoletano, ti capitò d’essere recitata davanti al Papa, e in tutte le città d’Italia e in un mucchio di teatri stranieri, Spagna, Portogallo, Grecia, Romania, Cecoslovacchia, Argentina (Tita Merello protagonista, con oltre 1000 repliche!), Cile, Brasile... E tra poco ti conosceranno a Parigi, a Berlino, a Londra. E frattanto sei diventata un film. (Da queste fotografie -stupefacenti - di «interni» ricostruiti, si dovrebbe credere che Eduardo vi ha superato se stesso.) E come nella ben nota vicenda riesci non solo a farti sposare, brava Filumena, dall’uomo che voleva abbandonarti, ma anche a fargli riconoscere e ad amare imparzialmente i tre rampolli non tutti suoi, (perché, dice benissimo Donato, «i figli son figli»...), così nella vita, brava Titina, tu, Eduardo e Peppino potete ormai dire, parafrasando: i fratelli sono fratelli!
E tutto lo Stivale, coi lucciconi, liberato da questo pensiero, annuisce con sollievo, ed applaude. Corrado, Oliviero, prendete esempio.
Corrado Pavolini, «Epoca», anno II, n.52, 6 ottobre 1951
Corrado Pavolini, «Epoca», anno II, n.52, 6 ottobre 1951 |