La seconda vita di Filumena Marturano
Senza curarsi delle polemiche suscitate da “Napoli milionaria” Eduardo ha rielaborato per il cinematografo quest’altra commedia
ROMA, settembre
Eduardo de Filippo, chiudendo a Roma la casa di Domenico Soriano, al momento di partire per Napoli disse: «Voglio riprendere una Napoli inesplorata. Tipica. Ma tutta cercata nei suoi aspetti più dignitosi, più puliti e monumentali». Tra Napoli ed Eduardo, negli ultimi tempi non sempre è corso buon sangue. Ancora un passo, e la situazione avrebbe potuto diventare simile a quella creatasi nel secolo scorso tra Alfonso Daudet e gli abitanti di Tarascona. Del resto qualcosa del genere, una ventina d’anni or sono, era accaduto in Francia tra Marcel Pagnol e i marsigliesi. I caratteri osservati al vivo sulle banchine e nelle bettole del porto di Marsiglia avevano urtato la suscettibilità locale. Le due commedie di Pagnol, «Marius» e «Fanny». potevano piacere a tutti. Non ai suoi concittadini. Sfuggiva alla loro attenzione la 'parte pittoresca, ad osservarsi non ricevevano diletto, e invece si sentivano diffamati.
Non c’è da stupirsi che il film «Napoli milionaria», sul principio, non abbia incontrato il gusto dei napoletani e alcuni di essi non si siano fatti scrupolo di nascondere la loro irritazione. Napoli era già stata protagonista di un precedente clamoroso, all’epoca in cui Curzio Malaparte pubblicò «La pelle». Le ire, le indignazioni e le invettive suscitate dal racconto di Malaparte erano finite al Consiglio comunale. Si tentò una specie di processo ideologico che mirava ad appioppare allo scrittore un marchio di indegnità o di infamia. Poi le acque si calmarono. La passione civica (forse rinfocolata, come accade un po’ dovunque, dallo spirito regionale) si ridusse a proporzioni più ragionevoli.
Il caso di «Napoli milionaria» era diverso. Prima di tutto Eduardo è napoletano. Amato nella sua città, è amatissimo dai suoi concittadini sparsi nella penisola. I quali sono molti e, dovunque egli arrivi, gli fanno attorno una piccola massoneria. Lo sa l’editore Gaspare Casella che in essi ha trovato altrettanti propagandisti della raccolta di versi «Il paese di Pulcinella» (annunziata da tempo, Eduardo l’ha pubblicata soltanto adesso). Poi in «Napoli milionaria» non si ritrovano le violenze della «Pelle».
Ma insomma quel vicolo miserabile, la rappresentazione di quel periodo così facile al compromesso, le astuzie truffaldine, lo scadimento spinto al margine della prostituzione, erano tali da dare ombra agli schizzinosi. Vero che Eduardo, del suo popolo, non aveva inteso fare un ritratto permanente. Si trattava anzi di un periodo ben definito: da una parte la sconfitta, dall’altra l’occupazione alleata. Tuttavia il luogo era sempre Napoli, e gli accorgimenti messi in atto dai napoletani per uscire d’impaccio molti avrebbero preferito dimenticarli. Sapevano che il film sarebbe andato all’estero e non ne avevano piacere. «Basta» dissero alcuni: «nessuno sa denigrarci meglio di noi». Nel nome Eduardo, che è lirico e sentimentale, fu riaccesa la polemica sul neorealismo. Fu messo insieme a Rossellini, a De Sica, a Zampa e a De Santis, e le proteste trovarono eco nel «Tempo» di Roma, giornale diretto da Renato Angiolillo, napoletano.
A dissipare le nubi ha provveduto il giudizio di Parigi. «Napoli milionaria» fu proiettata al cinema «Le Paris» nei primi giorni di luglio ed Eduardo, che al Centro sperimentale di Roma stava lavorando al nuovo film «Filumena Marturano», interruppe le sue fatiche dì interprete e di regista per andare ad assistere alla proiezione. Il successo è stato assai vivo e i giornali francesi, dal «Figaro» a «Nouvelles Litteraires», a «Paris Presse», a «Combat», gli hanno dedicato molto spazio. Il critico Charenso], domandandosi quale scandalo susciterebbero in Francia situazioni riprodotte con tanta crudezza, spezza una lancia in favore del cinema italiano: «i suoi personaggi», dice alludendo alla cinematografia francese, «hanno il merito d’essere uomini».
Due giorni dopo «Il mattino» di Napoli, informando i lettori del successo se ne compiaceva in un commento nel quale tra altro era detto: «L’opera era stata, ritenuta da qualcuno, forse per troppo amore della propria città, diffamatoria di Napoli e giustamente si poteva temere che all’estero essa provocasse i soliti luoghi comuni che da tempo immemorabile si usano dagli stranieri quando si riferiscono al Vesuvio ed alla gente che abita alle sue falde. I fatti hanno disperso tutte le previsioni pessimistiche e il senso umano della vicenda, l’onestà che è in questi personaggi i quali non si abbrutiscono mai e si aggrappano a quella vita per potere incominciarne un’altra migliore, la poesia infine che è in quel vicolo sudicio per necessità di cose ma dove Io squallore è meno squallido di quello dei quartieri popolari di altre metropoli, hanno conquistato il pubblico parigino; e la critica, quella ufficiale, quella più ortodossa, non ha avuto per Napoli che parole di simpatia». In quanto alla conclusione, essa era prevedibile: «Bisogna dunque ritornare su certi giudizi troppo avventati. La diffamazione non c’è, quando non si ha l’intenzione di farla, e in fondo il vicolo di "Napoli milionaria’’ non è tutta Napoli».
Eduardo non ha preso parte alla disputa. Aveva cominciato a girare per l’Arco Film «Filumena Marturano» e, anche se avesse voluto, gli sarebbe mancato il tempo. Se ai primi di agosto, dopo aver ripreso tutte le scene interne lasciò gli studi del Centro sperimentale e partendo per Napoli, dove gli esterni furono girati nella seconda metà di agosto, dichiarò di volere riprodurne gli aspetti più dignitosi e puliti, non vuol dire che con ciò egli intendesse protrarre, sia pure indirettamente, una, polemica municipale.
La decisione è nata da un principio stilistico: la dignità degli esterni deve corrispondere a quella degli interni. Poche volte infatti, forse mai, in uno studio cinematografico si è costruito e allestito un appartamento con tutta la cura impiegata per dar vita alla casa di Domenico Soriano. Soriano, si sa, è l’amante di Filumena. Borghese, ricco, egoista, dissipatore quando gli aggrada, amante dei propri comodi, la sua casa dev’essere un po’ lo specchio del suo carattere. L’ ambiente ha una funzione specifica, appunto perché in esso si è formato il carattere del protagonista. Eduardo ci teneva. E né lui né il produttore De Laurentiis hanno lesinato il tempo e i mezzi necessari a ricostruire salotti, camere da pranzo, stanze da letto, anticamere, tinelli, bagni e cucine, come ancora si possono trovare in qualche palazzo della vecchia borghesia napoletana. Forse è entrata in gioco anche una passione di collezionista, specialmente per quanto riguarda gli arredi e i soprammobili. Alcune poltrone del «salotto bono» sono già pezzi di museo; come il ritratto di Masaniello che occupa una intiera parete; come i diplomi di benemerenza che attestano le velleità sportive del Soriano, o un piccolo quadro del Palizzi che figura a parte sopra un cavalletto. Autentici i quadri religiosi appesi attorno ai letti ed i trofei sotto campana di vetro posati sui cassettoni.
Ma ciò che più ha stupito i visitatori che durante la lavorazione sono stati ammessi ad assistere alla ripresa di qualche scena, è stata proprio la solidità della casa. Tutto vero, secondo un vecchio sogno di Sardou. Vere le doppie porte di castagno massiccio con le maniglie modellate appositamente e le serrature funzionanti, veri i muri, le tappezzerie, le imposte delle finestre. Veri i pavimenti, alcuni in legno, altri a piastrelle fatte arrivare da Napoli. Vera la cucina, con l’armamentario di tutti gli oggetti di cui può disporre la casa di uno scapolo che ha molta servitù e molto danaro; entro le sue pareti, per un paio di settimane, sono arrivati polli, pezzi di manzo, fiaschi d’olio e verdure d’ogni tipo.
In questa casa, ormai demolita, mancavano i soffitti, per lasciar posto ai riflettori. Ma chiunque vi entrasse, al primo momento, riceveva una illusione completa. Forse aveva finito con l’illudersi lo stesso Eduardo; il quale, prima di abbandonarla volle cavarsi il gusto di invitare un paio di dozzine di amici e trattenerli a cena. L’invito diceva: «Domenico Soriano e Filumena Marturano sarebbero onorati di averla a tavola con loro, venerdì alle ore 20, nell’appartamento di Via Tuscolana 832 (Centro sperimentale di Cinematografia)».
Fu proprio un pranzo di famiglia. I De Filippo sono tanti e crescono di numero. Insieme a Eduardo c’era Titina con l’attore Carloni suo marito, un figlio di Titina e un figlio di Peppino, tutti interpreti del film. In mezzo ad essi l’attrice Tamara Lees, non napoletana, faceva uno strano effetto. Qualcosa di mezzo tra l’ospite di maggior riguardo e la figlia adottiva.
Rodolfo Ricci, «Settimo Giorno», anno VI, n.40, 4 ottobre 1951
Rodolfo Ricci, «Settimo Giorno», anno VI, n.40, 4 ottobre 1951 |