Le ambizioni sbagliate di Eduardo De Filippo

Eduardo De Filippo


Eduardo de Filippo doveva rappresentare una sua nuova commedia in tre atti, Mia famiglia. La commedia era quasi finita, ma all'ultimo momento non se ne fece nulla. Eduardo, impegnato col cinema, rinunziò a far compagnia e per tutto l’inverno rimase lontano dal palcoscenico. Di questo distacco egli deve essere stato il primo a patire, se sul finire della stagione ha consentito ai giovani attori che già avevano recitato La bella Rombière di allestire nel Ridotto dell'Eliseo tre sue commedie in un atto.

Consenso non soltanto formale. Eduardo non recitava ma dei suoi tre atti si era assunta la regia; Titina De Filippo aveva dipinto i bozzetti delle scene; e a Bice Valori, a Tino Buazzelli, al Panelli e al Manfredi, attori in lingua, si erano aggiunti alcuni attori della compagnia di Eduardo: tra gli altri la Crispo e la Pisano, il Musi e il Luciani. Tutto questo aveva lasciato supporre ad alcuni spettatori non abituati a leggere attentamente i manifesti che la partecipazione di Eduardo e della stessa Titina, in quello spettacolo, fosse più concreta. Una lettera spedita da Eduardo al capocomico Enrico Glori, e letta alla ribalta prima che si alzasse il sipario, tolse l’ultima illusione. L’attore era presente nella sua opera, cosa indubbiamente vera.

Ma le sue commedie non le avrebbe recitate lui. Quando Glori finì di leggere la lettera mancavano pochi minuti alle ventitré. La compagnia che recita al Ridotto conosce la poca puntualità del pubblico romano. E poiché ogni spettacolo indetto per le ventuno non ha mai inizio prima delle ventuno e trenta, ha addirittura pensato di inaugurare un « Teatro delle ore 22 ». Con ciò, mentre la pazienza degli spettatori educati è sottoposta a una prova più dura, nessuna puntualità viene ristabilita dai ritardatari abituali. Essi arriveranno sempre mezz’ora dopo, non possono farne a meno; e i direttori di teatro e i capocomici fanno male ad attenderli.

Comunque il primo spettacolo del «Teatro delle ore 22», iniziato verso le ventitré, era finito poco dopo la mezzanotte. Già la sua brevità può in qualche modo servire a dare una idea della qualità dei tratti che lo compongono. Eduardo, nella sua lettera, ha lasciato intendere che i tre atti unici, nati ognuno per proprio conto, non sono indipendenti uno dall’altro e anzi formano una specie di trittico ideale. Per qualunque scrittore, anche meno fervido di Eduardo e meno attaccato alle proprie pagine, sarebbe facile convincersi della giustezza di simili argomenti.

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Ma in realtà le tre commediole di Eduardo hanno in comune soltanto il gusto dell'abbozzo, e il legame che le unisce può essere unicamente occasionale. La prima, che si intitola Amicizia, prospetta il caso interessante di un tal Califano venuto a visitare un amico agonizzante. Più di là che di qua. il moribondo non vuol saperne di ricevere il visitatore e invece sollecita bisbeticamente un ultimo incontro con una zia Matilde, già morta da tempo, con un amico carabiniere e con un vecchio notaio. Pregato dalla sorella dell’ agonizzante, Califano si presta a « sembrare » di volta in volta ognuno di tali personaggi e alla fine riceve da) morituro un pacchetto di lettere da restituire a una sua antica amante: la moglie, appunto, di Califano.

Come la conclusione lascia intendere, si tratta di una farsa « non aggiornata » che rammenta alcuni modi del primo teatro dei De Filippo. Più vicina all’Eduardo dell’ultima maniera, è la seconda commedia I morti non fanno paura. Descrive il disagio di un viaggiatore di commercio che, ritornato febbricitante nella casa in cui è a pigione, dovrebbe coricarsi in una stanza dove fino a un’ora prima è stato un cadavere.

Ripugnanza e superstizione tormentano da principio il brav'uomo. Ma poi il colloquio con un medico di buon senso, e subito dopo la eco di una rissa al piano di sotto, lo convincono che i vivi sono più temibili dei morti. L'ultimo atto, Il successo del giorno, è un breve quadro caricaturale ambientato in una stazione radiofonica durante l'incisione della canzone «Papaveri e papere», il cui motivo ricorda agli interpreti quello di una vecchissima canzonetta partenopea. Scoperta non sufficiente a conferire al quadro una sua precisa autonomia comica, né un disegno ben definito.

Questa è del resto l’impressione suscitata dall’intiero spettacolo, il quale può far rimpiangere la presenza di Eduardo attore ma non aggiunge nulla a Eduardo commediografo. Anzi, non è senza malinconia che dopo un anno di silenzio si ascoltano questi suoi tre atti ognuno dei quali può avere soprattutto il valore di una annotazione personale non sviluppata o non conclusa. Cose il cui interesse, quando esiste, rimane circoscritto al campo biografico. Portate sulla scena o si spengono nel frammento o possono sembrare più ambiziose di quanto la loro sostanza giustifichi.

Raoul Radice, «L'Europeo», anno VIII, n.22, 24 maggio 1952


Europeo
Raoul Radice, «L'Europeo», anno VIII, n.22, 24 maggio 1952