Eduardo vorrebbe un tram Milano-Posillipo
Col suo film l'attore e regista napoletano ha spezzato una lancia per la fratellanza e la comprensione fra Nord e Sud. Al Festival di Venezia, intanto, la partecipazione americana da “fredda” si è trasformata in “tiepida” mentre i Russi puntano su "Sadko"
Venezia, agosto
I giapponesi camminano in punta di piedi, o ne danno l'impressione. Sembra che abbiano paura di disturbare. Al Palazzo del Cinema o nei saloni degli alberghi può esservi folla e vocio, tramestio e chiasso, ma essi arrivano quieti e riservati, scivolano inavvertiti fra la gente. Sono sette, arrivano e ripartono in sette, ora nei fioriti costumi del loro paese, ora in abiti europei. Gli uomini non sorridono mai, sorridono solo le donne, cortesemente, due piccole donne minute che si chiamano Aiko Kawaguchi e Kinuyo Tanaka. Quest’ultima è la principale interprete femminile di «Ugetsu Monogatari» «La storia di Ugetsu»), uno dei due film presentati dal Giappone; il regista è Kenji Mizoguchi che l’anno scorso si affermò con «O’ Haru» ed è qui anche lui, fra i sette piccoli e silenziosi giapponesi.
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Vi sono le attrici giapponesi, le russe Medvedeva e Gritzenko, interprete di «Rimsky Korsakov», Tania Weber, Elena Giusti, Flora Lillo, Teddy Reno, Anna Maria Ferrero, Bruce Cabot, Mery Martin, la fiammeggiante Franca Marzi. Una breve apparizione hanno fatto Antonella Lualdi impegnata in due film, Saro Urzì, Miriam Bru. A buon punto è arrivato De Filippo per la protezione di «Napoletani a Milano».
Con questo film, Eduardo ha voluto spezzare una lancia per la fratellanza e la comprensione fra Nord e Sud. La vicenda parte da Napoli, da un suo quartiere periferico dove, fra le macerie delle case bombardate, in improvvisate e sconnesse catapecchie, vive una folla di poveracci che campano alla giornata. Una grande Società milanese ottiene di sfrattarli per costruire sull’area uno stabilimento industriale. Come i "barboni" di «Miracolo a Milano», essi cercano di opporsi allo sfratto; alla fine debbono cedere. Cinque uomini decidono di barricarsi in casa e la casa, già pericolante, gli crolla addosso, li schiaccia sotto le macerie. Una disgrazia, di cui i napoletani traggono profitto. Don Salvatore (Eduardo) raggruppa gli sfrattati che portano lo stesso cognome dei morti (a Napoli ci sono cognomi molto comuni), li promuove a loro parenti e li guida a Milano per chiedere il risarcimento dei danni. Pur di mettere le cose a tacere, gli industriali sono disposti a pagare, ma l’avvocato Nocera propone di offrire, invece di soldi, lavoro.
L’avvocato Nocera è un napoletano trasferito a Milano da 18 anni, è diventato più milanese dei milanesi. Conoscendo i suoi concittadini, è sicuro che essi rifiuteranno. Invece don Salvatore gli dà scacco: i napoletani accettano di lavorare; soltanto si lamentano del freddo, rimpiangono il sole della loro città. Lavorando, i napoletani si fanno stimare; anzi, sono loro che in un momento di crisi salvano lo stabilimento dalla chiusura. Il film è divertente e piacerà, ma è fresco e ispirato solo per un terzo, la prima parte, fino all’arrivo a Milano. Da questo momento esso cala di tono, ravvivato solo qua e là da qualche situazione o da qualche battuta. Il piglio scanzonato della prima parte s’affievolisce nell’intento polemico e nella dimostrazione della tesi che sta a cuore a Eduardo: fra Nord e Sud non ci sono differenze sostanziali, non si nasce a Nord con la voglia di lavorare e a Sud con la vocazione dell’ozio. «La colpa è dei treni. Se invece dei treni ci fossero i tram, non sentiremmo più le distanze - tram con la scritta, per esempio. Piazza del Duomo-Posillipo. Poiché la città è una. solo le strade sono tante.»
Se discutibili possono essere certi suoi punti di vista, indiscutibile d’Eduardo è l’amore che porta alla sua città.
Domenico Meccoli, «Epoca», anno IV, n.152, 30 agosto 1953
Domenico Meccoli, «Epoca», anno IV, n.152, 30 agosto 1953 |