Eduardo contro Lauro per «Questi fantasmi»
La realizzazione di un film per le strade di Napoli ha spinto un'intera folla a richiedere un risarcimento finanziario per i rumori sopportati. Anche un mendicante ha preteso il rimborso delle cinquemila lire giornaliere che guadagnava chiedendo la carità.
Napoli, agosto
L'inquadratura n. 642 di Questi fantasmi, tratto dalla commedia omonima di Eduardo De Filippo, resterà nella storia del cinema come una eccezione più unica che rara, come l'esempio della cocciutaggine di un regista e della difficoltà di girare un film in esterni a Napoli. L’inquadratura in questione, una carrellata su Rascel con l'intervento di Maria Frau e di un paio di altri attori di secondo piano, durerà a film ultimato sì e no due minuti primi, ma nulla faceva prevedere, per la sua realizzazione, tante difficoltà, una tale perdita di tempo e di denaro. Perché nessuno supponeva che prima di raggiungere la perfezione si sarebbe dovuta girare questa inquadratura sessantasette volte di seguito.
La carrellata, girata in una delle vie più chiassose e strette di Napoli, avrebbe dovuto essere completata, secondo il piano di lavorazione, in un paio di ore serali. Alle cinque del mattino, invece, mentre i primi albori facevano imbestialire il tecnico delle luci che aveva sistemato i riflettori per lavorare in piena notte. Eduardo De Filippo, più che mai deciso a ottenere tutti gli effetti desiderati secondo l’ordine prestabilito, dava il via all’ennesimo tentativo.
Per le sessantasette riprese, interrotte di volta in volta per colpa di tutti - una papera di Rascel, il cappello storto della Frau, lo strappo di un vestito, il mancato funzionamento del sonoro, le grida del pubblico, la rottura di un riflettore, il guasto del carrello, nuove papere, la fine della pellicola in macchina, il nervosismo del regista, le liti con la gente che rideva divertita, l'improvviso arrivo di un'auto a fari accesi non bloccata a tempo dalla forza pubblica, eccetera - sono stati consumati complessivamente due chilometri e mezzo di pellicola (il metraggio di un film normale) mentre tutta la troupe, a forza di andare su e giù dietro agli attori e alla macchina da presa, aveva percorso alla fine qualcosa come dieci chilometri di strada. Per la cronaca aggiungeremo che, superato un certo numero di ripetizioni, il ciackista si trovò in difficoltà perché gli mancavano i numeri alti e lo stesso De Filippo, convinto di sconfiggere la sfortuna di quella notte, ordinò di ricominciare la numerazione apponendo una «A» alla nuova serie di inquadrature.
A prescindere da questo caso limite, girare film in esterni a Napoli è per il regista, il produttore, gli attori e l’intera troupe un lavoro snervante che richiede' molta pazienza, nervi a posto e soprattutto la capacità di sapersi concentrare in un bailamme di sconosciuti che vociano. «beccano». gridano e non danno pace fino a che l'ultimo elettricista non si è allontanato. A parte le richieste di autografi che rappresentano, in fondo, il male di ogni paese, i buoni napoletani vogliono infatti partecipare vivamente alle riprese di un film, a maggior ragione quando il film è di De Filippo. tratto da una delle sue commedie di maggior successo. E allorché non possono ottenere un posto di comparsa, restano ugualmente attorno alla troupe per consigliare, commentare e motteggiare a ogni ripresa.
Poiché certi monologhi di Rascel che fa il caffè sono stati girati, anziché in teatro, su un balcone vero di uh vero caseggiato, l’attore ha dovuto recitare tra una fioritura di teste alle finestre circostanti che non esitavano a sghignazzare alle sue mosse, rimbeccandolo appena una battuta ne dava il motivo. Altri drammatici incontri all'aperto della Frau con Emo Crisa sono stati girati in una gazzarra da mercato, mentre appariranno nel film di una tensione e di una drammaticità impressionante.
Ma a parte questo sforzo continuo cui sono sottoposti attori, regista, operatori e tecnici durante ogni ripresa, la parte del direttore di produzione non è stata meno difficile. I buoni napoletani, infatti, hanno cercato di sfruttare nel migliore dei modi il fugace passaggio di una macchina dorata come quella del cinema. Non sono mancate cosi le associazioni di commercianti di Via dei Tribunali che hanno protestato per la «confusione provocata dal film» chiedendo un risarcimento di danni per la controllata diminuzione dei loro incassi; altri hanno permesso il passaggio di un cavo elettrico da una loro finestra solo dietro adeguato compenso; altri ancora hanno rapidamente inventato famiglie di ammalati per dimostrare che il rumore dei gruppi elettrogeni dava loro un tremendo fastidio valutabile in moneta sonante. Altrove il riverbero dei riflettori nelle camere da letto, nelle ore notturne, avrebbe impedito a sani lavoratori di dormire il giusto sonno e quindi di poter tornare a guadagnarsi la vita la mattina successiva. E perfino un mendicante, abituato a chiedere l'elemosina all'angolo di una via scelta per le riprese non ha abbandonato il suo posto fino a che non gli hanno pagato l’affìtto di quell’angolo sulla base del suo guadagno medio: cinquemila lire al giorno.
Come se ciò non bastasse ci si è messo anche il sindaco della città, comandante Achille Lauro, a rendere la vita difficile a De Filippo. Eduardo sostiene che, ideando e scrivendo Questi fantasmi, egli pensò a un attore come Rasce] e a un palazzo secentesco come quello di proprietà del sindaco, in via Costantinopoli, ora occupato dagli uffici della Camera del Lavoro: tutto ciò può essere artisticamente vero, ma certo puzza lontano un miglio di «gioco pericoloso». Che un sindaco monarchico ospiti nella sua casa i dirigenti della Camera del Lavoro è già un anacronismo tutto napoletano, ma che un uomo come De Filippo, notoriamente di idee tutt’altro che monarchiche. vada a «sfruculiare» il comandante mettendo in piazza queste situazioni imbarazzanti, può sembrare una sfida. Si aggiunga che Lauro non stima troppo i napoletani come De Filippo e Marotta (che ha preso parte alla sceneggiatura) proprio perché presentano un volto di Napoli che lui vorrebbe nascondere il più possibile, e il gioco sarà fatto.
La guerra fredda, insomma, è in pieno svolgimento a Napoli. Dopo aver negato il permesso di girare la maggior parte del film nel suo palazzo. Lauro si è lasciato convincere ad accontentare De Filippo dall'intervento di alcuni amici. Ma il regista-attore non si è nemmeno fatto vivo con un biglietto o una telefonata di ringraziamento, e sembra che il comandante ci sia rimasto male. In più, i giornali di sinistra lo hanno attaccato, dicendo che aveva ceduto l'appartamento solo dopo aver saputo che, per le ultime scene, la casa gli sarebbe stata rimessa completamente a nuovo. Irritato da queste chiacchiere Lauro avrebbe così ignorato un ordine di sfratto intimato alla troupe nei giorni scorsi, ordine che indurrebbe Eduardo a una resa condizionata e a un colloquio di tregua.
Mentre l’intera città segue così l'amabile tenzone dei suoi due più popolari esponenti, il regista-attore continua senza soste la lavorazione del film, la cui maggiore novità consiste proprio nel cast degli attori. Per un film napoletano, ideato e diretto da un napoletano, De Filippo ha scelto infatti attori delle più diverse regioni d’Italia e, affidato il ruolo principale a Rascel che è romano, gli ha messo accanto una Maria Frau sarda, un Erno Crisa siciliano, una Franca Valeri bolognese. Unico vero napoletano, e unico attore della compagnia teatrale di Eduardo, è Ugo D'Alessio, che rivedremo nel divertente ruolo del portiere.
La mancanza di napoletani in un film di De Filippo non va considerata comunque soltanto come una curiosità perché il regista tende ormai a rivolgersi a un pubblico sempre più vasto, italianizzando con mutamenti e tagli alcune delle sue opere più celebri. Il dialetto, che Eduardo ha usato e usa ancora oggi nelle sue commedie, esprime insomma una limitazione sempre più tenue, e di volta in volta la storia, i personaggi, la «trovata» della vicenda prendono il sopravvento.
«'U Vesuvio», come lo chiama scherzosamente Rascel per la sua straordinaria forza poetica e la prolificità della sua produzione, alterna la lavorazione del film a fugaci gite in barca al suo isolotto di fronte a Positano, dove non trovando il tempo per scrivere intere commedie e sceneggiature, egli versa sulla carta il succo essenziale di nuove vicende, di originali storie moderne, di soggetti che farebbero gola a molti produttori di Hollywood. In questi continui ritorni alla pace dopo il clamore di Napoli, lo accompagna spesso Rascel, che De Filippo vorrebbe vedere domani sui teatri di prosa interprete dei personaggi che egli continuerebbe invece soltanto a inventare e a dirigere. E anche questo ci sembra un sintomo abbastanza chiaro della lenta metamorfosi del teatro di Eduardo verso una spontanea riduzione in lingua.
Giorgio Salvioni, «Epoca», anno V, n.202, 15 agosto 1954
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Giorgio Salvioni, «Epoca», anno V, n.202, 15 agosto 1954 |