I ragazzi terribili di casa De Filippo
E' incredibile la capacità di moltiplicarsi che hanno i figli di Eduardo De Filippo: sono soltanto due, eppure a chi entri nella casa dell'attore sembrano una decina. Ma anche quel continuo terremoto, per Eduardo "è silenzio"
Roma, febbraio
Eduardo De Filippo non ama vivere in città e ha costruito, perciò, la sua casa romana molto fuori delle mura, al limite della campagna, in un angolo appartato nel quale arrivano soltanto, a seconda delle stagioni, frinire di cicale, canto di grilli e cori di uccelli. Della miseria passata e allegramente vissuta, del tempo lontano in cui Eduardo divideva la camera con il fratello e un amico, della lotta per svegliarsi in tempo il mattino, per poter impossessarsi dell’unico paio di scarpe agguerrito contro la pioggia, a questo grande artista è rimasto un ricordo dolcissimo unito, tuttavia, a un desiderio spasmodico di solitudine. La casa che si è costruito appaga ad un tempo sia questo desiderio che la leggera indolenza che accompagna alcune sue ore romane.
Se decidete di andare a trovare Eduardo nella sua villa dell’ Appia Antica, siccome è cordiale e vi riceve volentieri, è lui stesso che ha cura d’indicarvene la strada con gesti larghi da metropolitano stanco e malinconico: «Dopo la tomba di Cecilia Metella entri nel viale dei cipressi. Giri alla prima strada a sinistra, poi a destra, poi ancora a sinistra. La casa è lì».
LA SCALATA DEI MOBILI è uno dei passatempi più apprezzati dai piccoli De Filippo: Luisella e Luca. Luca ha nove anni, somiglia molto al padre e dimostra un moderato interesse per il teatro; Luisella, che ha sette anni, non sogna altro.
Tutto sembra facile in teoria, ma all’atto pratico l’automobile deve avanzare e retrocedere molto spesso nel dedalo delle stradine nascoste, abbandonandosi a numerosi passi di minuetto prima di arrestarsi davanti al "Casale dei Quattro”, dove Eduardo vive con sua moglie, Tea Prandi, e con i due figli, Luca e Luisella. «E’ questo il Casale dei Quattro?», urlo io sotto un cipresso, accompagnando le mie grida con un suono discordante di clackson.
«I quattro siamo noi». La voce di Eduardo viene fuori dalle tenebre della sera come da dietro le quinte del palco-scenico. E poco dopo ”i quattro”, assolutamente indifferenti a quanto sono venuta a fare, siedono intorno a me in una sala di soggiorno nella quale tra oggetti di rara bellezza si mescolano buffi giocattoli.
Eduardo si avvia verso un mobile bar, che un tempo doveva essere un prezioso scrigno di vesti femminili, e prepara cocktails che dispongono gli espiti alla confidenza mentre Tea si rincantuccia accanto a una lampada bassa, mostrando soltanto la metà del volto come in una medaglia, e Luca e Luisella si moltiplicano a vista d’occhio, come negli specchi di un barbiere, volando dappertutto, sui mobili, sotto le poltrone, ovunque, insomma, i loro piccoli corpi possono penetrare.
Tento, naturalmente, di fare alcune domande ad Eduardo, ma i bambini s’inseriscono nella conversazione incrinandone la serietà, e prima di raggiungere qualche risultato con il padre debbo occuparmi del fucile di Luca e dei nastri rosa che spartiscono i capelli di Lui-sella alla moda dei cagnolini maltesi.
«Questa è nata parlante», mi dice Eduardo indicandomi la figlia, «ha sette anni e parla da sette anni. Ha una cicala in corpo. Vuole recitare, ha proprio una passione per il teatro». «E tu la assecondi?».
«Certamente», dice Eduardo, «chi di noi De Filippo non è nato e vissuto nel teatro? I miei figli, quando non studiano, passano il tempo dietro le quinte del palcoscenico e nei camerini degli attori. Debbono incominciare a quest’età a frequentare il teatro se un giorno vogliono conoscerlo e amarlo veramente. Prendi me, per esempio: io ho cinquantasei anni e sono cinquantadue che vivo sulle scene. Ho incominciato a recitare quando ancora non mi reggevo sulle gambe e a quattro anni ho avuto il mio primo grande successo. Luca e Luisella sono già vecchi: lui ha nove anni e lei ne ha sette».
Mentre Eduardo parla, i vecchi” gli si arrampicano lungo il corpo, creando una soddisfacente imitazione della statua del "Nilo e i suoi affluenti" che si può ammirare nei Musei Vaticani. Tuttavia niente sembra soffoca re Eduardo ora che si è abbandonato ai ricordi che rievoca con la voce bassa nella quale risuona Napoli con tutte le sue lusinghe. Parla come recita, semplicemente, senza gesti. e la luce delle lampade basse crea giochi di luce e d'ombra sulla maschera del suo volto.
«Ho divertito quattro generazioni», dice Eduardo, «A quattordici anni ero già secondo attore brillante e mi capitava di dover recitare parti di uomo. Me la cavavo benissimo, però. Recitare è facile», dice con sicurezza, come se questo fosse vero, «e io mi sono sempre divertito a farlo. Ci accompagnava la miseria più nera, ma recitare era una gioia, uno svago. Ho fatto con piacere anche il generico e perfino la comparsa. Come no? Ho fatto anche la comparsa, ma soltanto poche volte perchè non ne ho il temperamento. Comparsa si nasce. Conosco persone che la fanno da cinquantanni e ogni volta che le vedevo ero certo che sarebbero rimaste tali per tutta la vita. La comparsa ha un fisico speciale, inequivocabile. Ma che ti stavo dicendo?». Eduardo si distrae con facilità, un pensiero diverso l'afferra e dovete inseguirlo per riportarlo tra voi. In casa sua, specialmente, la sua attenzione si concentra sui figli, educati alla maniera moderna della confidenza e della discussione.
Eduardo è appena rientrato da Parigi dove si è occupato della regia di Questi fantasmi. La famosa commedia di De Filippo sarà recitata da André Guisol.
«Mi fa sempre impressione vedere un altro attore recitare la mia parte in questa commedia», dice Eduardo, «Non ho mai recitato niente con tanto piacere quanto Questi fantasmi. Adesso i miei fantasmi napoletani stanno girando il mondo insieme a Filomena Marturano. Anna Magnani mi chiese una volta il soggetto di Filomena Marturano per poter interpretare questo personaggio in un film. Dovetti dirle di no e me ne dispiacque assai. Questa commedia è stata scritta per mia sorella Titina e nessun’altra attrice, in Italia, potrà mai interpretarla se non lei. Quel personaggio appartiene a mia sorella, la quale, del resto, ne ha fatto un capolavoro. Comunque Anna ha capito e sebbene tenesse molto a girare quel film non mi ha conservato rancore per il mio rifiuto. Adesso Filumena e i Fantasmi stanno girando per il mondo. Sono arrivati perfino in Russia, a Mosca».
Siccome alcune attrici sovietiche a Mosca e a Leningrado , mi avevano parlato con grande entusiasmo di Eduardo De Filippo, gli domando quale sia il destino di Filumena all’ombra della Piazza Rossa.
«Tu me lo chiedi e io non te lo posso dire», rispose Eduardo. «Quanto ti direi potrebbe sembrare un'esagerazione. E’ un successo senza precedenti. Sono stato invitato ad andare nell’Unione Sovietica e non ti nascondo che è un viaggio che mi interesserebbe, sebbene ogni città, per me, finisce per essere il teatro che la rappresenta. Ma come posso fare? Sono sempre pieno di impegni. Sto scrivendo due commedie: Il figlio di Pulcinella e L'arte della Commedia. Anche se non faccio niente per il cinematografo, perchè adesso mi pare proprio che non sia il caso, il mio tempo libero è sempre limitatissimo. Il mio teatro di Napoli, il San Ferdinando, mi tiene ingabbiato. Inoltre adesso incomincio la stagione di primavera all’Eliseo di Roma per passare in seguito a Napoli a dare Il berretto a sonagli nel ventesimo anno celebrativo della morte di Pirandello. Poi arriva l’estate e la estate non conta. Appartiene alla mia famiglia. Andiamo tutti all’Isola della Lisca. Tu lo conosci il mio scoglio? La lisca di pesce, vuol dire. Anticamente si chiamava l’isola della Formicola», continua Eduardo, facendomi con l'unghia il segno di una formica piccolissima, «Sono molto attaccato al mio scoglio e ogni volta che ci vado in quella solitudine sento voci diverse e mi pare di essere il padrone dell’infinito».
Mentre parliamo i bambini scalano i mobili senza che nessuno li rimproveri e Tea protesta vivamente con il fotografo: «Non voglio essere fotografata io, vengo fuori un mostro». «E che te ne importa?», dice quietamente Eduardo, «tutt’al più la brutta figura la faccio io».
L’avversione per le fotografie, anche se questo possa sembrare impossibile, è di famiglia. Eduardo raduna i suoi per fare "il gruppo del nuovo abbonato alla televisione” e si distrae da questa noia parlando di amicizie comuni. «Vedi sempre la Tale? Io no, è superiore alle mie forze. Sono più di trent'anni che racconta le stesse storielle. Ormai le barzellette di quella signora andrebbero raccontate in costume».
Nel suo discorso passano autori teatrali, attori, amici e conoscenti e tutto e tutti godono della sua grande indulgenza. Il suo tono pacato e benevolo mi riporta l’immagine della giuria in una rubrica della televisione "primo applauso" durante la quale Eduardo dette il massimo dei voti a tutti i concorrenti. «Ero davanti all’apparecchio con Anna Magnani e altri amici», gli dico, «e Anna ci disse che avresti dato dieci a tutti, prima ancora che l’esibizione dei concorrenti incominciasse».
Eduardo sorride. «Poveri ragazzi, erano morti di paura. Puoi immaginare tu quanto possa far bene un po’ d’incoraggiamento?». Una telefonata di Titina si innesta nella serata, una telefonata lunga alla quale partecipano tutti i componenti della famiglia che si avvicendano all’apparecchio tra l’arruffio di corpi creato dai bambini. Fuori abbaiano i cani. Tarantella, la lupa, ha una nidiata. Si sente la sua voce lacerare la notte.
«Anche questo è silenzio», dice Eduardo. Poi, desolato, è costretto a rifiutare qualche sua vecchia fotografia. In casa non c’è che una grande immagine nella quale, vestito da scena, Eduardo mostra un volto carico di mestizia. E’ dedicata ai figli. «Non ho niente qui», mi dice, «questa è la mia casa e il teatro non c’entra. Tutto quanto mi riguarda è a Napoli, al San Ferdinando. Qui ricevo gli amici, non i giornalisti. Guai se lasciassimo sempre invadere la nostra intimità». Lui dice che in casa si riposa. E probabilmente è proprio così perchè le grida dei figli e i loro salti mortali attraverso la stanza per Eduardo sono "anche silenzio”
Egle Monti, «Tempo», anno XIX, n.10, 7 marzo 1957
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Egle Monti, «Tempo», anno XIX, n.10, 7 marzo 1957 |