Pappagone, perchè piace, perchè non piace

1967 Peppino De Filippo jk88

1967 Noi donne Peppino De Filippo f0La sera di Natale in casa del signor Pennacchioni c'è stata una baruffa. Ma come, direte voi, proprio la sera di Natale?! Dovevano avere ben gravi motivi per arrivare alla baruffa in una solennità simile. In realtà... Ma aspettate che vi racconto come è andata. Alle 21, la figlia mezzana del signor Pennacchioni — anni 16, studentessa di magistrali — ha acceso il televisore e l'ha sistemato sul primo canale. Dopo qualche attimo di ronzio ecco levarsi, prima timide poi più decise, le note della sigla di «Scala reale». Intanto, sparecchiata la tavola dai resti della cena, la signora Pennacchioni vi rimetteva su il tappeto damascato e, tirate fuori le carte da gioco, le disponeva sul tappeto. Il signor Pennacchioni si rinfilava la giacca che s'era tolto pranzando, proprio mentre il campanello della porta d'ingresso trillava.

Entrano due coppie d'amici con relativi figli (tre). Saluti, scherzi, motteggi, rumore di' sedie smosse, il classico: «Vi porto subito il caffè!» della signora Pennacchioni e infine la famiglia al completo (padre e madre Pennacchioni, figlio maggiore, figlia mezzana, figlio piccolo, nonno e nonna) più le famiglie ospiti si sistemano intorno al tavolo.

Il sette e mezzo natalizio incomincia. Le fortune del banco sono, conte sempre, alterne. Ben presto c’è penuria di monete da cinquanta e cento lire e anche di quelle da dieci — è un gioco in famiglia —, l’ambiente si riscalda. Dall’angolo della stanza dove è acceso il televisore, giungono — soverchiando a tratti le grida dei giocatori, — le voci di Bobby Solo e di Giannino Morandi. E quella di Gassman.

Un tentativo della figlia del signor Pennacchioni di alzare un po’ il volume (per sentire Morandi) è prestamente rintuzzato. Il gioco procede. La fortuna ha definitivamente abbandonato il padrone di casa, che da qualche giro ha pure perso il banco.

Un po' di tensione, poi ecco: un sette e mezzo reale e, con un urlo di gioia, il signor Pennacchioni si getta sul mazzo di carte: il banco è di nuovo suo. Ma, proprio in quel momento, ecco arrivare la prima battuta dello sketch di Pappagone: «Buonasera e buon Natale a tutti, a chi mi vuole bene e a chi mi vuole male...» etcetera etcetera. All'unisono nove delle quattordici sedie disposte intorno al tavolo grattano il pavimento scorrendo all’indietro, mentre i nove occupanti balzano in piedi come un sol uomo al grido di «C'è Pappagone, c’è Pappagone!». La signora Pennacchioni. seguita dalla suocera e dal suocero, dalla figlia, da Pierino, da una coppia d'amici e dai loro due figli si precipita verso il televisore.

Gli altri cinque restano con le carte in mano e un sorriso a metà stampato sulla faccia. Anzi, gli altri quattro, perchè il signor Pennacchioni non sorride affatto. Con gli occhi burrascosi e voce stentorea grida: «Eh, no. Adesso non mi rovinerete il gioco per vedere quel cretino di Pappagone. lo ho il banco e non mi lascio buscherare così! E' uno sconcio!» grida il bravuomo. «Come è possibile che delle persone adulte si perdano dietro a simili idiozie! Ma come si fa. come si fa!».

I quattro al tavolo siedono imbarazzati. L'ospite propone di riprendere il gioco, ma il signor Pennacchioni non è d'accordo. Considera un insulto personale quella diserzione, giunta proprio nel momento in cui lui rimetteva mano al banco.

E di nuovo scoppia rivolto alla moglie: «Fino a che Pierino si diverte con Pappagone, passi pure, ma tu, madre di famiglia! Per questo da noi le cose vanno storte! E tua figlia, guardala, quella cretina: sedici anni, secondo magistrale e sta a vedere questa macchietta da quattro soldi, e nemmeno si vergogna».

Attaccata contemporaneamente su due punti deboli (quello di amministratrice della famiglia e quello di madre) la signora Pennacchioni reagisce: «Eh, già senti chi parla: tu che quando c'erano le Kessler a "Studio uno" non ti sei perso una trasmissione!».

Intanto I due figli Pennacchioni, la ragazza e il fratello maggiore che spalleggia il padre, sono intervenuti nel dibattito: «Eccola» dice il primogenito «la cretina di casa. Un buon libro non lo legge mai, ma le canzonette le sa tutte a memoria! «..Subito rimbeccato da lei:» Perchè, tu saresti l'intellettuale della famiglia? Ma se quando c'è la partita di calcio qui dentro non si può nemmeno fiatare, per non farti perdere lo spettacolo!».

Naturalmente, Pierino strilla: «Statevene zitti» seguito dai due figli della coppia amica che ha preferito Pappagone al sette e mezzo, i quali pestano i piedi sul pavimento. Nonno e nonna gridano, la baruffa è generale.

Il signor Pennacchioni fa un atto di forza: va e spegne il televisore. E qui succede il dramma.

Insomma, corrono parole grosse e anche uno schiaffo (del signor Pennacchioni a Pierino che fa l'inferno) e la serata si conclude con lacrime e recriminazioni sulle quali nulla può neppure il richiamo pappagonesco di sapore polemico e natalizio: insomma, siamo vincoli o sparpagliati?

Be', che esagerazione — direte voi. Ci sono tante cose più importanti nella vita... per cui litigare. Ma siete sicuri che il vostro giudizio non pecchi di superficialità? Sì, insomma, siete certi che il motivo Pappagone sia irrisorio?

La nostra domanda, un po' provocatoria, nasce da questa constatazione: che sul caso Pappagone. l'Italia (e scusate l'espressione retorica) è divisa. Chi è pro, chi è contro.

Pro, indistintamente, tutti i bambini. Varie insegnanti elementari e di scuola media ci hanno confermato che, da due mesi a questa parte, nelle loro classi nessuno dice più: perchè ma "pirichè", e una di loro, maestra di quarta elementare in una classe un po' turbolenta, ha confessato che. per ottenere un certo seguito fra i ragazzi ha dovuto dire, per intimare ai più spavaldi di non suggerire: e guai a voi se mettete lingua. Risate e pronta obbedienza.

Ma prò non solo i bambini. Le espressioni lanciate dal personaggio di Peppino De Filippo sono ormai di casa in ogni famiglia italiana, nei locali pubblici, nelle assemblee.

Un deputato, di cui non abbiamo ragione di dubitare, ci ha raccontato di avere sentito I’"ecque quà" nel Transatlantico di Montecitorio; mentre ci risulta che in una rivista culturale la redazione (fatta poi non di nomi troppo piccoli) ha passato una buona mezza mattina a discutere di Pappagone. Dulcis in fundo. pare che ad una qualificata riunione politica, ci sia chi abbia detto, per un invito all'accordo, «ma siamo vincoli o sparpagliati?». Ci pare che basti.

Le ragioni di tanta popolarità? Abbiamo condotto una nostra piccola inchiesta. A parte le insegnanti di cui sopra, abbiamo interrogato alcuni bigliettai dell'azienda del tram, alcuni bottegai, le clienti di un negozio di parrucchiere, il personale di un ufficio privato romano. Complessivamente cinquanta persone. Risultato: trentacinque contro e quindici prò.

Ed ecco alcune risposte dei pro. «Mi piace perchè è di una comicità immediata, elementare». «Siamo alle torte in faccia di Stanno ed Ollio: saranno vecchie, ma fanno ridere». - L'equivoco suscitato da parole male usate è sempre comico: basti pensare alle parole storpiate dei bambini. In questo caso, le stroppiature di Pappagone sono simpatiche anche perchè prive di ogni volgarità». «E' divertente non solo per quello che dice, ma per le situazioni che provoca. A casa mia, quando c era "Scala reale” i figli e il marito stavano a casa, non prendevano mai impegni». «Non mi piace il personaggio che è troppo caricaturale, ma gli avvenimenti di cui è protagonista». «E' indovinato, mi ricorda i pagliacci dei circhi della mia infanzia». «Le sue espressioni sono divertenti perchè strambe, fuori della logica». «Il dialetto napoletano è sempre comunicativo, e la figura del "servo sciocco" che ci viene dritta dritta dalla commedia dell'Arte, ha sempre una sua comicità». Infine: «Mi piace perchè mi fa passare cinque minuti spensierati». «Mentre altri comici fanno pensare perchè la loro ironia è rivolta a fatti e personaggi politici, Pappagone mi piace proprio perchè non mi fa pensare a niente».

Allora, eccole le ragioni. Che siate d'accordo o no, dunque, Pappagone piace perchè la sua è una comicità elementare, affidata ossia ad un meccanismo che muove il riso senza sfiorare la ragione. In altre parole piace, o meglio fa ridere (che, badate bene, non è la stessa cosa) esattamente come fa ridere lo scemo del villaggio, o il signore distinto che cade lungo disteso in mezzo alla strada, o il balbuziente che cerca di spiccicar parola. Uno psicologo direbbe che ogni deformazione del comportamento — così come noi lo concepiamo — sia il comportamento umano che quello animale (pensate a quanto fanno ridere gli orsi in bicicletta o le scimmie che ballano!) muove al riso perchè è una rottura della normalità, perchè è qualcosa che, volontariamente, nessuno di noi farebbe.

Il motivo della comicità elementare può suggerire però anche un'altra osservazione: che l'abbandonarsi e provare piacere a questa degradazione dell'uomo (infatti Pappagone è un uomo menomato: perchè parla male, non sa farsi capire, combina guai solo che si muova, è goffo, muore di paura, fa disastri quando vorrebbe far un piacere a qualcuno) è un abbandonarsi alla illogicità, ai tratti infantili che l'età adulta troppo spesso ha solo accantonato in noi senza averli del tutto rimossi. Infatti, pressoché unanimemente, Pappagone piace ai bambini. Occorre aggiungere, che a dar vita al personaggio è un attore come Peppino De Filippo che, per venire dal teatro dialettale napoletano, la gente ha sempre saputo farla ridere.

Tuttavia, le ragioni del successo di Pappagone. o meglio della sua popolarità, non risiedono solo nel desiderio dei grandi di abbandonarsi alla spensieratezza e alla loro sconcertante capacità di ridiventare bambini.

Altre, oggettive e a nostro avviso più degne di considerazione, stanno alla radice del diffuso pappagonismo di queste settimane.

In primo luogo, la forza di persuasione della televisione in quanto tale. Il fatto cioè che, contemporaneamente milioni di persone vivano gli stessi avvenimenti o meglio consumino gli stessi prodotti (Pappagone è. nè più nè meno che le canzonette, un "prodotto" di largo consumo), ingigantisce l'importanza degli stessi e il loro potere di conquista. «Scala reale» è, secondo gli esperti tv, una delle trasmissioni più seguite. Che molti di coloro che sostano davanti al video il sabato sera siano più interessati alle canzoni che agli sketch di De Filippo — poniamo — non toglie che, una volta acceso il video, concordi o no, restino a vedere tutto.

In secondo luogo, la forza dell'abitudine. Repetita juvant, dicevano gli antichi, e lo slogan fatto ormai proprio da ogni centrale pubblicitaria è la chiave per spiegare la popolarità sia dei "detti" di Pappagone che di altri infiniti slogan o sketch pubblicitari. Chi non ricorda il "dadaumpa” della prima edizione di "Studio uno"? O il "credevo che il mio fosse bianco fino a che non ho visto il tuo"? O ancora "chi se ne intende chiede y”?

Nè il "dadaumpa" nè il bianco più bianco nè le altre diavolerie avevano un significato tale da giustificare la loro grande diffusione. Motivi e slogan indovinati, si. ma soprattutto presentati per settimane e settimane alla stessa ora, nella stessa cornice, dagli stessi personaggi. «Scala reale» tiene cartello da più di tre mesi, da tre mesi Pappagone compare puntualmente in scena e se uno skecht è meno indovinato dell'altro, esso costituisce comunque una conferma dell'altro, una sua ripetizione, un martellamento — in definitiva — che non può non aver catturato i telespettatori.

Ci viene in mente un celebre racconto di fantascienza nel quale è descritto come, usando il metodo della persuasione collettiva a mezzo tv. radio e onde magnetiche, una stirpe di dittatori riesca ad impadronirsi della terra col consenso dei suoi abitanti.

Dico, ragazzi, non avranno fatto la prova generale per una simile operazione, usando la carta d'indindirindà, il pirichè, il l'ecque quà, la tefelonata.

Se cosi fosse speriamo che al momento giusto si sia tutti — come già altre volte è accaduto — non sparpagliati ma vincoli nel resistere.

Bruna Bellonzi, «Noi donne», 1967


Noi donne
Bruna Bellonzi, «Noi donne», 1967