Ritratto di Petrolini
«Lascia cadere il formaggio del tuo sorriso sui maccheroni del mio amore». La frase non è d'un comico del Seicento; è di Petrolini (e nel suo repertorio ci sarebbe da spulciarne delle altre). Eppure Petrolini se l'ebbe a male una volta, chissà perchè, d’esser riconosciuto per l'autentico erede dei comici dell'arte.
Aveva pubblicato allora allora un libretto, in cui ai giudizi dati su di lui non si sa più da quanti critici e letterati aveva avuto il torto d'aggiungere molte pagine sue, serie, meditabonde, autocritiche, e a volte quasi filosofiche. Eh no, gli disse qualcuno, questo non va. Le delusioni che abbiamo già avuto da tanti attori, i quali dopo averci illuso coi loro sapienti giochi di specchi han mandato tutto a male svelandosi con l'ingenuità delle loro et Memorie», Petrolini non ce le deve dare. Può essere alquanto triste che il grande X o la grandissima Y abbiano scritto l'analisi delle loro «intenzioni», scoprendo al pubblico stupore ch’essi avevan voluto fare tutt’altro da quel che la gente ammirava in loro; ma pazienza; quelli volevano passare per «esteti». Ma Petrolini! Che dire d'un libro autoesegetico di Petrolini? S'è mai pensato al mondo un essere meno cosciente e riflessivo, più greggio e più istintivo ai Petrolini? Cni più di lui somiglia all'immagine che ci siam fatta delle maschere e degli improvvisatori del cinque, del sei e settecento? A chi, più che a Petrolini, possiamo pensare quando si legge dei Martinelli e dei BiancoTelli e dei Viscn-tini e compagni, dei creatori dei lazzi celebri e dei motti di spirito ereditati dall’umanità ?
Anche quelli, come oggi Petrolini, venendo quotidianamente a tu per tu col pubblico, dovevan buttar giù alla brava le loro bottate, sbagliandone magari nove ma imbroccando la decima. Senonchè, quella decima, come imbroccata clamorosamente! E la bellezza sua sta appunto nel fatto d'essere imbroccata, e non premeditata. E solo in grazia di questa incoscienza perdoniamo le altre nove; e abbiamo pazienza, e magari proviamo piacere, nel pescare a lungo tra la scempiaggine di quelle nove, per tirar fuori, trionfante, la decima.
Sappiamo benissimo che, nella realtà, non tutte le improvvisazioni sono improvvisazioni: i comici dell’arte avevano i loro formulari; e Petrolini, per quanto la presenza del pubblico gli susciti estri estemporanei o dii consigli adattamenti subitanei, ha fatto prima le sue prove, ha calcolato gli effetti, e magari il tono della voce. Ma non ce lo dica! Ci lasci nell’illusione; Non mostri di prendersi sul serio, al punto di fare l’anatomia di se stesso! Non ci parli di sintesi e d'analisi, d'oggettivo e di soggettivo! E abbandoni ai critici volenterosi il compito di interpretarlo: certamente quelli diranno (c'hanno già dette) una quantità dì sciocchezze; ma tirando le somme, a forza di mettere un articolo sopra l'altro, Petrolini finirà col trovarsi sotto i piedi uno sgabello, sia pure di carta, che indubbiamente non lo diminuirà di statura. Invece, di tanto in tanto, fra Petrolini e la critica si respira odor di polvere. Ed ecco che qualche settimana fa, per esempio, le notizie grosse arrivaron da Torino: Petrolini ha litigato coi giornali; Petrolini s’è offeso perchè a un cronista teatrale una commedia sua, vedete un po', non è piaciuta; Petrolini ha detto insolenze alla critica; Petrolini però, ripensandoci, ha finito col dichiarare che aveva scherzato, e che ai critici anzi vuole un bene dell’anima.
Dunque falso allarme? Ma diamine. Anche a Roma, pochi mesi avanti, era accaduta la stessa cosa; e una bella sera il pubblico che aveva assistito a una recita.di Petrolini, tornò a casa raccontando che l’attore a un certo punto era uscito alla ribalta, definendo «idiota» la critica e la sua missione. Ma due sere appresso l’ottimo uomo, alla presenza degli indiziati venuti in frotta a riascoltare l'atto d’accusa, tornò fuori e dichiarò che non era vero niente : e non c’è una ragione al mondo per credere che non fosse sincero. Noi non eravamo stati presenti alla sua prima arringa, ma siamo sicuri ch'egli non aveva insultato nessuno; e perchè avrebbe dovuto farlo? Petrolini brontola, come tutti gli artisti di questo mondo, conti o la critica, e magari va ripetendo sul conto di essa i vecchi luoghi comuni, che dunque essendo luoghi comuni non possono esser veri; ma poi della critica tien conto; abbiamo detto che raccoglie e stampa in volume gli articoli dei critici su di lui; e siamo pronti a scommettere che anche quando va a recitare a Busto Àrsizio o a Nocera Inferiore, se il critico dell'Eco di Busto o della Voce di Nocera scrive un articolo sull’arte sua, Petrolini ne compra dodici e le spedisce ai suoi più cari amici (o ci sbagliamo?).
Da vent'anni Petrolini campa la gloriosa vita prendendo in giro il prossimo: è quindi naturale che di tanto in tanta prenda in giro anche i critici, e la loro evidentissima fallibilità.
Ma questo non significa ch'egli non ne riconosca, coi fatti che valgon più delle parole, la missione. Petrolini è un artista, e sa che non c'è mai stato teatro senza critica; perchè il teatro vive della comunione dell'attore con lo spettatore, e ogni spettatore è un critico. Meglio, Petrolini fa il critico lui stesso; le parodie che ci va regalando, in pubblico e in privato, di Zacconi e di Ruggeri» della Pavlova e addirittura della Duse, non sono altro che critiche, qualche Volta atroci; bisognerebbe ch'egli fosse matto da legare» per Credere che la Duse si possa criticare e Petrolini no.
Ricordiamocelo, Petrolini venne al teatro dal «Varietà», che la critica di solito non frequenta (e per questo il pubblico s’accorse di lui prima che se n'accorgessero i giornali); mosse cioè, per così dire, dallo sgorbio e dallo scarabocchio. Chi per lui ha sentito il bisogno di citare Aristofane (e Romagnoli Io voleva, per la parte di Lesina nelle Nuvole) ha certamente inteso riferirsi ai grandi «clown» che sono così spesso al centro della commedia aristofanesca, e l'illuminano tutta coi loro fuochi d’artifìcio. Il lazzo di Petrolini, com'egli stesso si diverte a dire in una parodia della Fougez, era ed è spesso e volentieri «scurrile»; e qui bisogna distinguere: la parola significativa anche se sboccata, quando sia detta a proposito e con una scorta di popolaresca innocenza, non saremo noi, lettori incantati del vecchio Belli, a scomunicarla; il guaio è quando il doppio senso ne ha uno solo, quello sconcio, e la sua sconcezza non significa assolutamente nulla, anzi serve da surrogato alla «trovata» che manca e allo spirito che non c’è. Infinite altre volte, invece, il lazzo di Petrolini, raccolto addirittura di mezzo al pubblico e rilanciato in aito con una sorta di rotonda magnificenza, assume una significazione tanto più gustosa quanto più imprecisa, anche e soprattutto (come succede un po' per tutti gli artisti, ma specie pei creatori di comicità) grazie alla multiforme collaborazione del pubblico.
Così Petrolini diventa in qualche modo l'interprete d’un’ora, e magari d’un’epoca. L'essenziale è che poi egli non gravi la mano; che (in questo campo) non si controlli troppo; chc non si lambicchi il cervello. Sarà certamente una forza per lui a* ver fede nella propria onnipotenza, e credersi magari il più grande attore del mondo: ma che non ce lo dica, e che non ci faccia nemmeno saper bene ]e intenzioni esatte che aveva quando buttò là questo o quel gorgheggio; abbandoni agli spettatori il compito di lare il resto, c lavorare ognuno per conto suo, coi ricami della fantasia; sarà tanto di guadagnato per tutti. E questo è, difatti, il Petrolini che il pubblico ama di più: il Petrolini clownesco, illogico, fanta* stico, tutto barbagli, rabeschi e sorprese.
Petrolini, ripetiamolo, ha in comune con pochissimi attori (con Musco, per esempio) la qualità in cui risiede il principal segreto del gusto col quale lo si ascolta sempre, qualunque cosa dica: la gioia di recitare.
E' questa gioia, è questo sentirsi veramente in casa sua soltanto sul palcoscenico, questo avvertire la docilità e anche la servilità degli spettatori, questo sapersi in possesso d'una vena a cui può dare sfogo con una libertà divenuta abitualmente licenza, è questa gioia tranquilla e soddisfatta, che lo rende cosi sicuro; pago dell'intima adesione del suo pubblico che lo adora e gli passa tutto e gli perdona tutto e in tutto e disposto a trovare arguzia, spirito, significati profondi. Sapete bene: come successe a quello zio provinciale, che conosciuto il nipote mattacchione venuto di città, si convinse che questo nipote non parlasse se non per sensi arguti: e quando a mattina dopo il giovinetto gli disse: «Buon giorno, zio, come stai?» lo zio si mise a ridere pensando: «Non la capisco bene, ma anche questa dev'essere spiritosissima...»
Fondato su questa sua sicurezza, beato di questa assenza d’ogni sforzo, Petrolini per manifestarsi non ha che da lasciarsi andare. È di Roma, e calca tranquillo su le note predilette al romano, da Plauto a Belli e a Trilussa: l'apparente indifferenza scettica, l'amore della beffa negatrice, la satira che smonta e sgonfia le bugie della retorica e quelle della vita.
Sotto un tale aspetto sarebbe interessante confrontare l'identità, o per lo meno la gronde somiglianza, fra i mezzi con cui Petrolini fa certe parodie musicali — movendo un passo di più, tenendo una nota qualche secondo di più — e quelli che trent'anni fa già adoperava allo stesso scopo un altro romano: Fregoli. Solo che Petrolini non ha paura di precipitarsi a capofitto nell'inverosimile, nello strampalato, nell'assurdo, e spesso e volentieri anche nell’abbietto. E quelli che credono, oh quanto a torto, all’essenziale scetticismo e al cinismo nichilista del carattere romano, in niente possono immaginarsi di trovarne le riprove più decise e violente come in certe ferocie verbali e mimiche di Petrolini.
Ma Petrolini cerca da un pezzo una forma. E solo da principio s'è contentato di quella che gli offrono certe canzonette e certe macchiette, che spesso s’è composto da sè, e alle volte son cose originali e mirabili: dietro a Gigetto er bullo c'è tutta la malavita romana (mentre dietro ai venti drammi di Monaldi non ci sono che i romanzi d’appendice del «Messaggero»); dietro alle macchiette di Gastone e di Baciami, baciami! c'è tutto il mondo del Cinema e dei Caffè-concento; dietro a Margherita, non sei più tu! c’è tutto un certo teatro lirico; e via dicendo.
Senonchè sarebbe strano che Petrolini, romano e perciò istintivamente architettonico, non sentisse il bisogno di «organizzarsi» entro forme più vaste e composite. Ed ecco infatti che dal ghiribizzo anarchico e dalla macchietta egli passa ad inquadrarsi, dapprima, negli «atti unici». L’abbiezione del suo sordido Mustafà (senza esagerazioni, un minor fratello di Shylock) potrebbe fornire parecchie delle famose riprove ai critici pessimisti; se non gli facessero da abbondante contrappeso la malinconia del cicco del Cortile, e l’accoramento del ciociaro di Lumie di Sicilia, e la semplicità onesta e sana di Cento di questi giorni. Fu per mezzo di questa commediola, e del Garofano di Ojetti, che noi romani troppo delusi da certo sedicente teatro nostro, ritrovammo finalmente l'autentico senso umano, popolano e romano, nell accento greve, nella pacatezza virile, nel vigore calmo, nella con' creta pesantezza di Petrolini interprete, diciamo interprete: disciplinato, misurato, fedele. E vedete cos'è stato di lui quando s'è buttato addirittura alla grande farsa classica: Molière.
Chi ha sentito da Petrolini II medico per forza? È probabile che il nostro Ettore non abbia mai avuto la menoma notizia delle discussioni fatte tempo addietro tra i Francesi, a proposito del modo di recitar la farsa molieriana : disputa fra i tradizionalisti della «Comédie», dove a forza di tramandarsi le intonazioni, i gesti, lo stile e i piccoli soggetti dell’interpretazione primitiva, s’è irrigidita la recitazione in una fedeltà tutta esteriore e archeologica; e i rinnovatori, che a questa fedeltà materiale ne preferiscono una morale, come fece il Copeau nel Vieux Colombier, lanciando i suoi attori a una comicità facile, ricca e buffonesca, da comici, se non proprio improvvisatori, molto vivaci e multo sbrigliali.
Petrolini, che non può non tenere istintivamente pei secondi, se truccato come una marionetta viva, e s’è lasciato andare alla brava tra le vicende e le battute del suo nuovo amico Molière, le scatena, ha trovato la casa di cui andava in cerca per mettere in ordine le cose sue ogni tratto della farsa gli ha offerto dove collocare certe sue tinte accese, ch'egli v‘ha profuso a piene mani; e con che successo! È possibile che non proprio tutte le battute, alcune delle quali celebri, del famoso scherzo, abbiano raggiunto dalla sua dizione la loro piena espressione; l'inconveniente di questa lieta sbrigliatezza è appunto nel pericolo di scorrere e scivolare, qua e là, su effetti di cui l‘esecuzione accademica bada a non fallire il minimo (e intanto, essenzialmente, li fallisce tutti). Ma la grande linea ci fu; e ci fu la gioia.
Adesso Petrolini si studia, di salire anche più su. E si prova, per quanto può con l'ingenuità provinciale dei suoi scenarietti e con gli sforzi della sua minuscola compagnia (i cui componenti non hanno, è chiaro, altro compito se non quello di dargli la replica), a figurare nelle commedie in tre atti. Senonchè, quand'egli deve costruire con una macchietta una un carattere, superare cioè la breve cornice dell'atto unico, non sempre il registro gli regge. Si risente allora, e non più a proposito, il figlio della «Varietà»; e anche quei suoi famosi «slittamenti» fuor del personaggio, a cui non sappiamo perchè mai tenga tanto, finiscon col ricordare, prima che il già citato Aristofane, i buffi dell'operetta.
Sarà lecito dire che, tutto sommato, il gran Petrolini non è questo?
Silvio D'Amico, «Comoedia», anno X, 20 febbraio 1928
Silvio D'Amico, «Comoedia», anno X, 20 febbraio 1928 |