Discorso con Petrolini sull'attor comico
L’abbiamo fatto, questo discorso sull’attor comico, «nel suo camerino» direte subito voi. Neanche per sogno. Nel suo camerino un attore (illustre, perchè un attore non illustre nel suo camerino non va mai a trovarlo nessuno) non ha nè tempo nè voglia di fare dei discorsi. Prima della rappresentazione ha da vestirsi e da truccarsi; e dopo il successo deve con una mano asciugarsi la faccia e con l'altra fare l'affabile colla «folla» di amici critici e cacciatori di autografi e con le signore che, soprattutto a Londra, sono curiose di vedere di che colore è la veste da camera di un grande attore. Questo discorso ce lo siamo fatto comodamente seduti nella veranda del Savoy Hotel, in quella siesta che più d’ogni altra ora è propizia al dare verbo ai pensieri asprigni sommormorati con negligenza. Negli specchi di faccia a noi si rifletteva uno scorcio di Tamigi, che è di prammatica chiamare romantico.
Avendo dunque preso alto che il successo di Petrolini al Little Theatre era stato immediato, siamo discesi alle ragioni del medesimo (chissà perchè la gente dice sempre «risalire alle cause di una cosa», e se bisogna invece cercarle sottoterra?). La ragione del trionfo era stata che Petrolini si era rivelato di colpo uno di quegli eccezionalissimi attori che diffondono un fluido mesmerico anche tra un uditorio che non ne capisce la lingua, un mimo così grande come al mondo non ne nasce uno ogni cent’anni; e pochi popoli sentono come gli inglesi la sublime universalità del-l’attor comico.
E sull’attor comico Petrolini mi ha fatto allora una leggiadrissima girandola d’aforismi e paradossi, che lui sapeva benissimo che io vi avrei «rivelato», perchè altrimenti non vi sarebbe stata alcuna ragione di farla. (Le interviste sono di tre categorie: gli uomini politici ve la mandano a casa, tutta pronta e scritta a macchina, domande che l’uomo di stato si è fatto da sè, risposte che non interessano alcuno, non c’è che da passare lo scartabello in tipografia; le donne celebri non vi dicono niente e potete scrivere tutto quello che vi pare; e quando, infine, vi trovate con un artista, non commettete la sciocchezza, come usano i giornalisti americani, di domandargli che cosa pensi della metropoli o della conferenza mondiale, perché il solo argomento che un artista conosce bene è se stesso: e, modestia a parte, direbbe Petrolini, un artista è sempre più interessante dei nove decimi della umanità. Chiusa la parentesi).
Perche l'attor comico Petrolini ha avuto a Londra un successo strabiliante? Per una ragione eterna e universale: perchè il comico è più vicino all'animo umano che il tragico. Al tragico romanità è abituata. La vita è tragica, dal mattino che ti svegli: ospedali, bambini abbandonali, miseria. L'umanità ha sotto gli ocelli il tragico tutto il giorno. Quindi, quando romanità vede il comico, lo sente.
L'umanità tendo al comico non soltanto per il bisogno di bilanciare il gravame della sua miseria quotidiana, ma perchè nel comico trova quel senso del fantastico clic essa non sa crearsi da se. Chi è povero di fantasia non può inventare il comico. Infatti, provati un po' a inventare qualcosa di comico!
Tutto è fatale, in serie. Ma l'umorismo bisogna inventarlo; occorre la fantasia. Naturalmente, anche il comico deriva dal tragico. Perchè vi è sempre un senso comico nelle tragedie altrui (questo lo aveva già detto Oscar Wilde, il quale, essendo per istinto un umorista, voleva a tutti i costi sembrar tragico). Un uomo cammina dietro un funerale e non s'avvede che si fa gocciolare la candela sulle scarpe. Quel l'uomo è buffissimo; eppure per lui il funerale può essere una tragedia. P uno qualunque può domandare: «dii è morto?». «Il signore che è nella prima vettura...». La cronaca triste che diventa commedia. Un tale si addolora enormemente leggendo sul giornale la lista dei morti: «Vedi un po' quanta gente muore!». Ma un amico lo consola dicendogli: «Non vedi, brutto scemo, che appresso vien la lista dei nati?».
Ancora un esempio? Due «tifosi» si incontrano in Galleria (o iu Piazza Castello o da Aragno) dopo vent'anni, nel 1933. «Dimmi un po’, si domandano, a te piace di più Zacconi negli Spettri o nella Morte Civile?». Non sembra una domanda comica? Eppure sotto vi è tutta la tragedia della crisi del teatro... Ma non parliamo male di Maometto.
Domanda inevitabile: elio cosa occorre per diventare un attor comico? Saper guardare le piccole cose delia nostra vita. Essere osservatori. C’è tanta gente che crede di saper osservare la vita! Per scrivere una (poesia basta saper sentire poeticamente. Per scrivere un romanzo basta narrare con semplicità. Per essere un attor comico basta saper mettere in uso quel dono di natura elle è la comunicatività del l’arte. E' semplicissimo.
Semprechè natura ve l'abbia donata.
«Il Dramma», 15 agosto 1933 - Disegni di Umberto Onorato
«Il Dramma», 15 agosto 1933 - Disegni di Umberto Onorato |