Pensaci, Giacomino! di Angelo Musco

Angelo Musco


Pensaci, Giacomino! è l'ultimo film, in ordine di tempo, della produzione cinematografica tratta dall’opera teatrale di Luigi Pirandello: ma non sarà certo il minore, nè come successo, nè come significazione. La figura del vecchio prof. Toti, dell'idealista bonario, sentimentale e comico, appunto perchè non cura affatto tutto quello che possa renderlo tale, vi campeggia come una delle più sicure parvenze di protagonista che il genio di Pirandello abbia creato. Angelo Musco, se è lecito dirlo, ha 'tornato ricreare’ per lo schermo, la figura che già creò per il teatro. E questa creazione è quasi ex-novo, dal momento che discende da un’esperienza maggiore d’un ventennio, esperienza che ha il suo valore anche per un artista quale il Musco. Non solo, ma l’ha tornata a creare compiendo un vero ed autentico sforzo di rinnovazione che il pubblico apprezzerà. Infatti non è più, nel Pensaci, Giacomino! il Musco tutto comico, tutto ridanciano, tutto, 'da ridere' come, leggermente del resto, si è abituati a considerarlo.

1936 12 25 Cinema Angelo Musco Liborio Capitani f1

È un Musco vivo ed umano come non mai. che si commuove e commuove, a tratti, con felicissimi contrasti, macchie di colore efficacissime sul tono gaio e spigliato del quadro; che trae, alla fine della vicenda, una conclusione indimenticabile da una lezione della vita, per la gioia degli spettatori — una lezione che è sempre quella, immortale e sicura : fare il bene, farlo ad ogni costo, contro tutti e soprattutto 'contro' se stessi — per chiudere gli occhi su tutte le brutte cose che ci circondano...

E Angelo Musco non solo ha reso mirabilmente tutto questo, ma ha fissato per sempre, nel tipo fisico del professor Toti — il protagonista di pensaci, giacomino! — i tratti fisionomici della indimenticabile figura di Luigi Pirandello, con la sua aria di trasognato, di uomo che guardava oltre la vita quale appare, per coglierla nei suoi aspetti essenziali e in quelli che la sua grande arte ha reso immortali...

La trama è riassumibile in poche parole. Un vecchio professor Toti, che insegna scienze naturali in un liceo di provincia, è assillato dal pensiero dell’inutilità della sua vita di scapolo impenitente: nessuno godrà dell'unico frutto del suo lavoro indefesso: la pensione. Ed ecco che egli scopre come la figlia del bidello sia stata resa madre da un giovanotto del paese — Giacomino — che non può sposarla a causa di differenze di nascita. Ed egli, Toti, la sposa e riconosce per suo il bimbo che nasce. Negli stessi giorni un'eredità piovutagli da un fratello morto all’estero, gli fa vedere l’abisso in cui è caduto ed ha fatto cadere la fanciulla per la troppa precipitazione: col danaro avrebbe potuto soltanto adottare la ragazza invece di sposarla e toglierle così la possibilità di sposare Giacomino! Ma non si piega, nel suo indefesso proposito di fare del bene. Ottiene di far impiegare Giacomino nella banca locale di cui egli, Toti, è diventato il maggior azionista : ma deve far felice la ragazza — sua moglie solo putativa — ed amare il bimbo. Invano: più implacabilmente d’ognuno don Landolino, lo zio prete di Giacomino, non vuole ascoltare il prof. Toti, in nessun modo, neanche in confessione. Lo fa finalmente ma lascia al vecchio professore la cura di risolversi e di risolvere il caso. Toti fugge lontano. Riprende, per poco — lo spera! — la sua vita solitaria, fredda, inconcludente. Unico conforto gli è un ritratto di Nini, che egli bacia tra le ‘lagrime, mentre il bimbo gli sorride come se gli fosse accanto. Intanto don Landolino è riuscito a far annullare il matrimonio fra Toti e la ragazza. La stanza solitaria del vecchio è invasa da quelli che ama: la bontà del vecchio ha trionfato, vincendo tutti gli ostacoli. Nonno, supposto ma felice, Toti aspetta, sorridendo, la grande ora...

Fulcro dei problemi del cinematografo, quello dei 'soggetti’. È il caso d’invitare i giovani, soprattutto i giovani, a riflettere su pensaci, Giacomino! come ad uno dei 'soggetti' più tipicamente italiani e cinematografici del nostro schermo. A riflettere su di esso per cercare non nella imitazione di altre psicologie che non siano la nostra, sotto altri cieli ed in altri ambienti che i nostri non siano, ma nella profonda e semplice anima italiana le ragioni dell'arte nostra che solo così potrà non essere seconda (come non fu mai) ad alcuna, anche nel campo del cinematografo.

«Cinema», 25 dicembre 1936


Cinema
«Cinema», 25 dicembre 1936