Ritratti: Angelo Musco
Signori mei, è innegabile che questo nome non ha più bisogno del prenome per essere individuato. Gli artisti, quando hanno raggiunto la notorietà e conquistato l'amore del pubblico, hanno il trattamento degli eroi e dei grandi : si dice Novelli, come Ferravilla; Raffaello (senta! me faccia un favore!) come Musco. Non che vi siano dei punti di contatto : ma è così. Questo privilegio non si dà a caso : bisogna aver dietro di sè una fama incontrastabile. E Angelo Musco che non ha vinto ad Austerliz, che non ha inventato la pila e non ha dipinto lo Sposalizio della Vergine, se ne è fatta, ancor giovane, una solidissima di popolarità e di potenza singolari.
Attore comico di istinto magnifico, irruente, dilagante, egli ci tiene e ci riesce anche, squisitamente, ad essere pure attore drammatico e tragico, avendo in comune con quasi tutti i veramente grandi artisti della scena, questa pascione di superare si stessi, fino all’assurdo, nei due diversissimi generi. La difficoltà, già enorme, raddoppia se si pensa al carattere dialettale dell’arte e del teatro di Musco, siciliano, cioè costretto al l'idioma che per sua natura, per struttura verbale e per stravaganza di pronuncia è fra i meno faimigliari alle platee del bel Paese. Vero è, in parte, che Musco corrompe di molti vocaboli italiani 'la sua pura parlata catanese : ma si può dire che egli potrebbe risparmiarsi questa concessione alla comprensibilità, tanto sa, coi lampi dello sguardo, colle smorfie del viso, colle risorse del gesto, coJl’espressione indefinibile di tutti i suoi sensi in movimento multanime, fosforescente e irradiante, illuminare del suo valore palese, del suo significato e della sua importanza, anche i vocaboli più ostrogoti e le frasi di origine... saracena.
Molti si chiedano come si sia spiegata ed affermata questa straordinaria personalità. Qualcuno a Milano — pochi, e pochissimi di quel ceto che oggi lo esalta di ovazioni nei teatri signorili — lo ricorda, se ha la memoria capace di indietreggiare di tre lustri buoni — al popolarissimo teatro di Porta Ticinese, il Verdi, primo attor comico, anzi buffo — come lo qualificava il cartellone — nella compagnia di Giovanni Grasso. Quel San Giovanni decollato di Nino Martoglio, che ormai id Musco ha recitato oltre mille volte, ovunque a teatri esauriti, e che è stata la sua grande rivelazione e la fortuna dell'Autóre, non era ancora comparso quando laggiù fra le risate sonore e le grida del lubbione, fra gli incensi aromatici delle buccie d’arancia e gli scoppiettìi delle gasose — un omino smilzo, indiavolato, dalla maschera aperta color di rame, dagli zigomi asiatici, dagli occhi di fama buona, dalle membra sature di elettricità incostringibile, dalle chiome fitte, lanose, corvine, dalla voce un po’ fessa, gutturale, funambolica, saettava l'umorismo più sfrenato in certi scherzi comici, quasi sempre improvvisati dalla più bizzarra estemporaneità. Giovanni. Grasso, capocomico, se ne serviva a meraviglia per far dimenticare o scusare al pubblico le coltellate dei suoi Mafiosi o le epilessie della Morte Civile. Ma la gente, poco dopo, non andava più tanto al Verdi per be-versi la sua dose di terrore; bensì per imparare l’oblio della vita nelle pazze risate che l’omino le strappava, con una confidenzialità, una prodigalità, una malterìa non mai vista e tutta meridionale.
A Musco bastavano sovente una chitarra a corde ridotte o un bastone, un cappello moscio dall’ala di martire martirizzato (quanti cappelli son passati fra le sue mani nervose e sapienti?) o un fazzoletto, o una sedia... : e la risata pioveva dalle gallerie, convulsa, invincibile, trionfale.
Una sera chiamati dall’eco delle voci popolari, parecchi signori, e qualcuno della critica che non era usa degnare il Verdi della sua austera presenza, vi si diedero convegno. Faccie annoiate, diffidenti, severe. Poco a poco si spianarono; ogni dignitoso governo dell’impressione scomparve insieme ad ogni ostentato cipiglio; la comicità straripante dell’omino costringeva a risa clamorose anche i più annosi salici piangenti della ridata. Uscendo dail teatro, un illustre censore del cui giudizio hanno tremato i più illustri attori della scena — il rimpianto Giovanni Pozza — troncandosi sulle labbra una risata che involontariamente insisteva, si fa serio d’improvviso, si ferma, e rivolto agli amici : «Basta col ridere, signori mei. Noi abbiamo conosciuto un grande artista !»
Da questo punto la fama aveva allacciato nelle sue braccia fedeli l'attore siciliano. Presto egli si sentì, senza orgoglio mai, senza iattanza, qualche cosa di più di un buffo e di un comico.
Disagi, fatiche, pene, difficoltà, le aveva conosciute ; ricco di attività... fisiche, intuitivo, industrioso, adattabile, di pronto spirito nella buona e nell’avversa fortuna, Musco — da padre oriundo malese — era stato l'ultimo di quattordici fra sorelle e fratelli. Tutti i mestieri lo tentarono : il sarto, il cappellaio, il falegname e l'ebanista, il fornaio e il pasticciere, lo scalpellino, il muratore, il guantaio e il calzolaio (in San Giovanni Decollato la famosa lezione del ciabattino è roba sua) tutta la... maestranza produttiva, imparata o professata con una instabilità sorprendente. Presto si emancipò dalla famiglia, che lo considerava — a dir poco — di strano cervello. Ma è difficile seguire la sua vita semi-zingaresca.
E vedete, nella vita, cosa può contare un incontro fortuito. Un attore della Compagnia Insanguina, sente per caso u ragazzo cantare davanti al teatro Sicilia di Catania.
— Vieni a cantare in teatro ! — gli dice.
Musco va... e vede una schiera di marionette. La farsa, questa recitata da uomini e donne in carne ed ossa, era finita. I pupi erano il secondo numero del programma. Il numero d’intermezzo è stato il Musco, e cantò... la Mosca di sua fabbricazione. E la cantò a modo suo, fra l’entusiasmo del pubblico, lasciandosi lui steso chiamare Mosca, per cento sere.
Il cantorello spiava, intanto, di fra le quinte, la recitazione della Compagnia... sul serio. E’ stato questo il suo ginnasio d'arte. Gli frullava sempre pel capo : ballo? canto? E ballò e cantò, decidendosi a fare tutte e due le cose, a sedici anni, come macchiettista-cantante.
Le sue danze acrobatiche, pazzesche, con scatti elastici da catapulta, ingombre di passi di difficile invenzione, che sembravano fatti apposta per cadere, facevano, come si dice in gergo di palcoscenico, fanatismo. Però si stancò presto... e questa volta si capiva. Visse l'odissea del canzonettista : finché Giovanni Grasso lo scritturò, tenendolo caro, e lungamente con sè. Il più bello di questa... ascensione, sta nel fatto che il Grasso affidò a Musco le parti serie, temendosi lui quelle di genere gaio! Fu il Martoglio che per una rivista da lui ispirata, Don Procopiu, lo rimise sulla strada del buon umore.
Staccatosi dal Grasso — dopo le stagioni al Verdi di Milano citate addietro — andò con Martoglio, per ritornare — sfasciatasi ila nuova Compagnia — ancora col grande e impetuoso attore siciliano. Con lui andò perfino — Dio sa come e quanto compreso — in Russia !
Più tardi — per una di quelle inquietudini che nessuno può intendere se non conosce le ansie e gli impacci che ingombrano il mondo dell’Arte — si uni a quella forte e sfortunata attrice che fu la povera quanto bella e brava Marinella Bragaglia. Finalmente, chiamando a sè quel gruppo di attori ottimi e fedeli che sono ancora con lui, Musco fece da sè. Luigi Capuana e Martoglio gli diedero II Paraninfu e l’Aria del Continente, che con San Giovanni Decollato sono ancora oggi il più sicuro baluardo del suo repertorio. Non troppo lieti, anzi aspri furono gli inizi, nè per poco. Milano — il sogno di Musco attore — doveva, dopo mezza Italia, ripagarlo di tutte le trepidazioni.
Le sue stagioni, qui, a cominciare dal Filodrammatici, furono la base e sono ancora oggi il massimo sostegno e la conferma della fortuna di questo eccezionalissimo, personalissimo, efficacissimo artista che si vede giustamente amato e favorito dal pubblico e dalla critica, corteggiato dagli Autori nuovi che vogliono affidargli le loro commedie, ammirato dai colleghi solitamente invidiosi, insi-' gnito di commende, e perfino benemerito della salute pubblica, tanto che i medici, disperati nel consigliare un paranoico o un sofferente di taedium vitae, gli prescrivono ormai : «Vada a sentire Musco !».
C. F., «Il Secolo Illustrato,», anno IX, n.9, 1 maggio 1923
C. F., «Il Secolo Illustrato,», anno IX, n.9, 1 maggio 1923 |