Osvaldo Valenti e Luisa Ferida abbattuti dai mitra

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LE DRAMMATICHE VICENDE DI DUE FOSCHI ATTORI

Proprio vivi Valenti e la Ferida?

Osvaldo: milioni scialacquati in donne, cani e cocaina - Luisa: una ragazza passionale, aggressiva e prepotente, creatura selvaggia che il convento non aveva potuto domare - Un patto d'amore e di fedeltà fino alla morte

Il 30 aprile 1946, all'indomani della insurrezione liberatrice, i giornali pubblicarono: «Ieri, a Milano, presto San Siro, sono caduti insieme, giustiziati da raffiche di mitra dei partigiani della Divietane «Pasubio», Osvaldo Valenti e Luisa Ferida». Recentemente agenzie Internazionali hanno affermato che l'attore sarebbe ancora vivo e cosi pure la Ferida, l'uno a Saigon e l'altra a Hong Kong, Una diligente indagine condotta con ogni scrupolo da Guido Roncada. e mirante a fare luce definitiva .-lilla complessa e oscura vicenda cella coppia criminale, ha fatto scaturire circostanze, fatti e concomitanze di cui non sì sarebbe immaginata l'esistenza.

Anche prima del 25 luglio 1943, Osvaldo Valenti era sulla bocca di tutti, per la sua vita piena di dissolutezza, di contraddizioni, di collere, di donne, di cani, di denaro scialacquato e di cocaina. Nato il n febbraio 1906 a Costantinopoli, da padre italiano e da madre greca, gli era stato facile imporre, dentro e fuori Cinecittà, la sua personalità tra il Casanova e il Cagliostro.

L'incontro con Osvaldo

Luisa era figlia di un possidente di Castel San Pietro di Romagna, un tipo dai lussi bizzarri e dalle originalità clamorose. Era venuta su come una piccola selvaggia, sana e forte, prepotente e senza paura, abbandonata dal padre alle leggi della natura. Rimasta orfana, i parenti la chiusero in collegio e visse tra le suore fino all'età di 17 anni. Ma la quasi clausura non ne mutò il carattere. Conquistata più tardi dal teatro, debuttò giovanissima a Bologna nella compagnia diretta da Ruggeri. Due anni dopo, Corrado D'Errico, che stava allestendo il film «La freccia d'oro», ne notò la bellezza e l'espressività: un corpo pieno di fascino, anche se un po' troppo robuste le gambe e legnose le caviglie. La invitò, e da allora Luisa Ferida fu attrice cinematografica. Passionale per temperamento, numerose furono le sue avventure, ma su tutte dominò l'incontro d'amore con Osvaldo Valenti, che divenne indissolubile untone. A Roma, anzi, nel 19S9, durante una sfarzosa serata danzante, nel corso della quale lui aveva brillato più del solito, per spirito e arguzia, ballando con lei quasi tutta la notte, strinsero un patto reciproco di fedeltà fino alla morte. La vita in comune dei due attori può essere divisa in tre periodai.- il primo, che va fino al settembre del 1943; il secondo, quello dell'occupazione tedesca; il terzo, dagli inizi dell'aprile 191/5 fino alla sparizione misteriosa. Vissero e lavorarono insieme per quattro anni. Molti film di quel tempo li ebbero protagonisti. Luisa accettò Osvaldo tutt'intero, coi suoi vizi e le sue impulsività. In breve i loro caratteri acquistarono una certa affinità. Guadagnarono assieme e assieme impiegarono i loro denari, abitarono in vari alberghi romani e gli appartamenti di loro proprietà. Si abbandonarono a serate di gaudio sfrenato, e anche lei soggiacque al veleno della diabolica polvere bianca. Lui fu amico intimo di Galeazzo Ciano e di Ettore Muti. Quest'ultimo per un certo periodo, abitò un appartamento confinante con quello di Osvaldo e Luisa, tn via Severano, 35. Muti e Valenti si vedevano quasi ogni giorno, Osvaldo gli narrava le barzellette politiche più in voga contro Mussolini ed i gerarchi del fascismo, e Muti ne rideva.

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La "baita dell'attesa"

Il 25 luglio sorprese Osvaldo e Luisa a Roma, alloggiati all'Albergo degli Ambasciatori. Cominciarono a fioccare sull'attore telefonate e lettere. Si esprimevano tutte, più o.meno, sullo stesso tono: «Avrai finito di fare il fascista!». Decise allora di rifugiarsi per qualche tempo in una borgata del mezzogiorno, Roseto degli Abruzzi partendo ai primi di agosto con Luisa, la sorella Nelly, il cognato Luciani, un amico di Milano (Maurizio Vitali) e un secondo amico. Rientrarono tutti a Roma sul finire di agosto, per il doppiaggio dell'«Enrico IV» ma trovarono che era già stato doppiato da altri. In quell'occasione Valenti ebbe un dissidio piuttosto vivace con Luigi Freddi, allora Presidente di Cinecittà. Si giunse cosi all'8 settembre. Sbandamento dell'esercito, scaramucce contro i tedeschi, arresti, perplessità. Si tentava di difendere Roma, si sparava per le strade. E ricominciarono le telefonate, che fecero maturare in Osvaldo la decisione di ripartire per qualche località più sicura. ' Ha inizio cosi un periodo più nebuloso, quasi ignoto ai più, anche perchè Valenti visse, per un certo tempo, lontano dal consesso umano. Dove andò dopo l'È settembre t Ecco. Egli scelse un paesino sperduto dell'Umbria, Fienile, posto a. metà strada tra Città della Pieve ed Orvieto. Per 40 giorni vissero nel castello di Mario Focardi. Poi Osvaldo e Luisa adocchiarono una casupola rustica, quasi in fondo valle, in località Terrina. L'affittarono e i due attori vi si trasferirono assieme all'amico Vitali ed ai loro cani. Sull'ingresso Osvaldo, di sua mano, scrisse in stampatello: «Baita dell'attesa» Trascorreva il tempo noi boschi, perloppiù a cavallo e munito di una doppietta con la quale si divertiva a sparacchiare qua e là ai volatili che gli capitavano a tiro. Luisa amava pure passeggiare, ma meno. Era piuttosto magra e un po' debole; portava i capelli tagliati «alla maschietta», molto corti. Sferruzzava talvolta, e- le piaceva ascoltare le voci dei contadini, il canto degli uccèlli, lo stormire delle fronde. Poco prima di partire da Roma vera accorta d'essere incinta. Osvaldo era fuori di sé dalla gioia, e l'avvenimento aveva contribuito a deciderlo a ritirarsi con lei in campagna. A questo punto c'è da chiedersi come mai la sua «attesa» sia stata cosi breve e, invece di prolungarsi fino all'arrivo degli eserciti alleati, si sia interrotta bruscamente trasformandolo in ufficiale della X Mas, in rastrellatore e seviziatore di martiri, agganciato alla banda Koch.

A quanto ci è stato riferito, affrontando un viaggio disastroso e irto di pericoli, era giunto da Milano il signor Michele Cimati, in arte «Miscel», ex-cantante di varietà, per proporre 'i costituzione di una compagnia di prosa, la quale, imperniata sui loro due nomi, avrebbe dovuto agire nella metropoli lombarda. Li per li la visita del Cimati non ottenne risultati concreti. Ma dopo.qualche giorno la coppia si decideva a partire per il Nord, anche perchè Valenti .vantava un credito dell'«Enic»*, che diceva ascendere a circa un milione di lire. Era il gennaio del 1944. La prima città nella quale i due attori si fermarono fu Bologna. Là Luisa potè riabbracciare sua madre e Osvaldo riprendere i contatti col mondo. Ma per rientrare nel cuore del loro ambiente bisognava raggiungere Venezia, dove nel frattempo si era andata formando una specie di succursale di Cinecittà, si erano trasferiti gli uffici relativi e si stava «girando» negli stabilimenti di S. Elena. Cosi fecero, e a Venezia affittarono un appartamento a S. Angelo, in piazza Alzerà.

Una vita turbinosa

Da questo momento, per circa un anno, la vita dei due attori si fa movimentata. Essi ricaddero fra le spire del loro vizio terribile: la «coca». Sarebbe questa — secondo alcuni — la causa non ultima del parto prematuro di Luisa. Accadde a Bologna negli ultimi giomi di marzo. Una mattina, inaspettatamente, Luisa accusò le doglie. Venne chiamato subito un ostetrico. Nacque un settimino di sesso maschile, debolissimo, che fu messo in una incubatrice. Prima però, Osvaldo, disperato, lo volle fotografare. Anche la incubatrice fu impotente e il neonato di lì a poco spirò.

Da quel momento Osvaldo Valenti ne portò sempre nella propria tasca la fotografia assieme ad una sua scarpina di lana bianca, orlata di celeste. Quella fotografia e quella scarpina divennero una specie ai mania per lui. Le faceva vedere a,tutti, anche a coloro che conosceva appena. Persino ai partigiani che più tardi lo ebbero prigioniero. Tornarono a Venezia. Poco dopo egli entrò a far parte dei ranghi della «X Mas». Strana appare questa decisione, quando si pensi che Valenti detestava cordialmente le persone con le quali aveva da fare. In seguito ebbe intimi contatti coi tedeschi, eppure diceva di odiare anche loro. In Osvaldo Valenti, Salò vide un elemento utilizzabilissimo. Fu nominato Commissario nazionale dello Spettacolo. La sua vita, in questo periodo, ai sposta turbinosamente in quasi tutte le città, del Nord. Nell'agosto Osvaldo e Luisa si trasferirono a Milano, dove stabilirono la loro residenza fissa. Li raggiunse da Bologna la madre di Luisa, sig.ra Mantrini che da quel momento rimarrà loro accanto. Presero alloggio prima al Grande Albergo Milano, in via Manzoni; poi al vicino Continentale.

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A servizio della "Koch"

Non sempre in questo scorcio di tempo, Osvaldo si trovò in condizioni finanziarie floride. Spendeva moltissimo, e c'era la «coca» che costava l'iradiddio: ma non riusciva assolutamente a privarsene. Aveva venduto ormai U suo appartamento di Roma, ricavandone due milioni che erano già sfumati, aveva aperto una ipoteca di 400 mila lire sul podere di Castel San Pietro, che era di Luisa, e da ultimo aveva venduto anche una pelliccia e dei gioielli pure di Luisa. Ai primissimi dell'agosto 1944 Osvaldo ritrovò, a Milano, il suo antico compagno di avventure giovanili, conte Guido Stampa.

Il conte Stampa, pure cocainomane arrabbiato, era affiliato alla banda Koch. Bara poi fucilato nelle giornate della insurrezione, dopo aver scontato alcuni mesi di carcere a S. Vittore, imprigionato dagli stessi agenti della repubblica fascista. Stampa, comprese subito che Osvaldo non nuotava nell'oro, e gli propose di entrare a far parte della Koch come attivo collaboratore. Così avvenne il suo incontro con Pietro Koch. Costui lo incaricò di occuparsi dell'acquisto di materiali per Villa Triste, fissandogli uno stipendio fisso mensile di 30 mila lire. Durante le frequenti operazioni per conto della Koch, Valenti trovò modo, naturalmente, di trafficare anche coi tedeschi e con la Muti. Per qualche tempo comandò un reparto della Decima a Lanzo d'Intelvi, ed ebbe occasione di aiutare il conte Toni De Larderei ricercato dalle B8 tedesche e dalla milizia repubblichina. Il conte De Larderei era un ex-capitano di cavalleria. Era stato questore ausiliario della repubblica di Baiò, ed aveva stretto intima amicizia con Valenti proprio mentre ricopriva quella carica. In seguito ebbe contatti col Servizio Informazioni Militari (S.I.M.). Ma non si fidavano troppo di lui. Attualmente è detenuto nelle carceri di Rovigo per un reato comune. Questo personaggio avrà una fondamentale importanza nella vita successiva di Osvaldo Valenti. Tra De Larderei e Valenti era stato stipulato un accordo di reciproco aiuto. Osvaldo aveva promesso di soccorrerlo in quel delicato momento, De Larderei avrebbe soccorso Osvaldo nel momento in cui si sarebbe trovato in pericolo lui, alla ormai prevedibilissima caduta del governo di Salò. Verso la fine dell'anno Valenti, fedele ai patti, ospitò e mantenne in albergo con sè Ines Lucci, l'amante di Toni De Larderei, che divenne amica indivisibile di Luisa e ne seguì parzialmente, come vedremo, le sorti.

Guido Rosada, «Stampa Sera», 24 ottobre 1947


Valenti e la Ferida fra i partigiani

Rastrellatori, seviziatori, delatori, l'esecutivo clandestino invitato a decidere conferma la sentenza di condanna a morte

A parte i vari servizi resi a Koch, è certo che il Valenti partecipò ad azioni antiparttgiane, dalle quali fu spesso visto tornare con la faccia stanca e il grosso pistolone iti pugno o pendente dalla cintura. Prese parte, a volte, agli atroci interrogatori che gli uomini della Koch facevano a Villa Triste coi noti orrendi attrezzi di tortura. Così pure la Ferida, nei cui confronti c'è la testimonianza del signor Virginio Bozzi, vicedirettore dell'Agenzia di piazza Missori del Banco di Roma e iscritto alla democrazia cristiana. Eccola: «Sono stato catturato dagli- agenti della Koch, che mi esibirono un ordine firmato da Buffarmi Guidi. Trasportato a Villa Triste, in via Paolo Uccello, sono stato introdotto in un salotto piuttosto elegante e lasciato solo. Ad un certo punto entrò nella stanza una donna affascinante avvolta in veli. Abbassò le luci. Sotto i veh era completamente nuda. Effondeva un acuto profumo, dalla bocca zaffate di alcole. Mi si avvicinò carezzevole, sedette sili divano accanto a me, assunse un atteggiamento di abbandono. «— Sai chi sono? — chiese. E senza attendere risposta: — Sono la Ferida — aggiunse. «— L'attrice ? «— Una delle più grandi artiste italiane. «D'improvviso la donna si sbarazzò anche dei veli e rimase nuda come Eva. Alle sue parole adescatrici mescolò alcune frasi irritate, tentando di strapparmi delle informazioni. Tutta la scena aveva un obiettivo preciso: conoscere i nomi degli Istituti bancari, degli industriali e dei finanzieri, specie di quelli israeliti, che sovvenzionavano la lotta partigiana. Mi chiusi nel silenzio. Fremente di odio mal represso; la Ferida trasse allora uno spillo da balia dal casco dei capelli e cominciò a pungermi sadicamente. Mentre la scena era al culmine, la porta si spalancò ed entrò un uomo in divìsa: Osvaldo Valenti. "Andiamo — disse concitatamente all'amante. — Vieni via! Abbiamo fatto un altro colpo grosso ". La Ferida uscì, e fu la mia salvezza, perchè mi si portò in cella, mi si dimenticò e nessun male mi venne più fatto».

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Tre convegni

Da tempo pendeva sul capo dei due attori la condanna a morte decretata dai comandi della Resistenza: € Ogni partigiano ha il dovere militare di fucilare a vista Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, rastrellatori, seviziatori, delatori». L'ora della resa dei conti si avvicinava, e il conte De Larderei, questore repubblichino e informatore del B.I.M., si ricordò dell'amico. Un giorno al quarto piano dello stabile segnato con numero 100-A di corso Sempione, una specie di quartier generale delle Brigate Matteotti, si presentava al comandante Nino Pulejo, un partigiano che era stato autista del conte. Oli disse che una «personalità» della repubblica fascista desiderava parlargli. Si trattava del doppiogiochista De Larderei, che veniva a intercedere in favore di Valenti. «Sta bene, gli rispose il Pulejo, mandatemelo». Fu fissato un primo appuntamento sotto il portone centrale della Allocchio Bacchini. Osvaldo parlò a lungo, cercando di giustificarsi, assicurando che a torto l'opinione pubblica riteneva lui e la Ferida crudeli e sanguinari, e negando di aver commesso sevizie contro i prigionieri della Koch.' Inventò infine che Luisa era in stato interessante e promise un memoriale sulla propria vita, da fare tenere al più presto al Comando della X Brigata Matteotti. Due giorni dopo nuovo appuntamento nello stesso luogo. Valenti portò il memoriale promesso, dichiarando esplicitamente che era venuto nella determinazione di collaborare con gli elementi della Resistenza, convinto ormai che i fascisti di Salò erano dei delinquenti. Fu fissato un terzo convegno. Nel frattempo il Pulejo si recava a una riunione dell'esecutivo del P.S.I.U.P., in un alloggio di Viale Romagna 6, presenti Corrado Bonfantini e Sandro Pertini. Diede relazione dei suoi incontri col Valenti, consegnò :-l memoriale e chiese istruzioni. Gli si disse che a giorni gli sarebbe stata data risposta. Al terzo appuntamento il Valenti fece proposte concrete, dicendosi pronto a ritirarsi in montagna, con tutti gli uomini del proprio reparto, pei quali si faceva garante. n Pulejo lasciò la decisione ancora in sospeso, in attesa di ordini superiori, ma raccomandò di tenere i contatti. Alla fine gli ordini vennero, e furono di conferma della condanna a morte: il Pulejo doveva «fucilare il Valenti dove e come avesse creduto opportuno». Da Milano l'attore s'era nel mentre portato a Piacenza. Il Pulejo mandò alcuni uomini in quella città, dove il Valenti fu «fermato». Non oppose resistenza. Trasportato con un mezzo cutivo clandestino in di condanna a morte rapido a Milano, fu condotto nell'appartamento di corso Seminone 100-A. Erano gli ultimi di marzo. Contemporaneamente il Pulejo si metteva in contatto con elementi della «Pasubio» coi quali concertò di mandare Osvaldo a Colozza, nei pressi di Baveno, dove c'erano la r».',.a Brigata Matteotti e un distaccamento Cella stessa «Pasubio».

«Segui questo tenente»

Il compito del trasferimento fu affidato al comandante Vero (commendator Giuseppe Marozin) della «Pasubio». Questi l'accettò, con intenti, almeno immediati, ben diversi. Proprio in quelle ore, cinque suoi partigiani erano stati catturati dai tedeschi ed egli pensava che una volta avuto nelle mani il Valenti avrebbe potuto agevolmente impadronirsi della Ferida, offrendoli poi entrambi alle S.S. in cambio della liberazione dei suoi uomini. Cosi il H aprile, alle 10 del mattino, Marozin si recò in corso Sempione 100-A. Valenti lo accolse con entusiasmo e Marozin lo assecondò, confermandogli che presto lo avrebbe mandato tn montagna. Poi il discorso cadde sulla Ferida e il volto di Osvaldo si oscurò: — Non posso stare senza Luisa. La vorrei con me. — Nulla in contrario, ma come fare? — Le scriverò un biglietto. E' all'Albergo Continental. Verrà. Era presente De Larderei che espresse il desiderio che anche la sua amica, Ines Lucci, fosse portata al sicuro con Luisa. TI compito di «liberare» la Ferida fu dato a Taylor (Gianni Tonon), un veneto robusto e audacissimo che faceva parte della t Pasubio» e girava per Milano indossando una falsa divisa di tenente dell'aviazione repubblichina. Egli avrebbe dovuto condurla in via Guerrazzi H, in casa di Carla Bassi, una giovane che aveva forti vincoli di amicizia con molti elementi della resistenza e dove sarebbe stato condotto anche il Valenti. Il biglietto diceva: «Cara Luisa, segui questo tenente. E' una persona fidata e ti porterà al sicuro presso di me. Tuo Osvaldo». L'albergo Continental era infestato da tedeschi delle S.S. e pezzi grossi repubblichini, ma Taylor non trovò ostacoli. A Marozin la Ferida si affrettò a giustificare l'attività svolta a Villa Triste e a esprimere la sua avversione per i fascisti. Gli eventi intanto precipitavano oltre ogni speranza. L'insurrezione era già nell'aria e tramontato il progettato tentativo di scambio di ostaggi coi tedeschi, i due attori, in compagnia di Ines 'Lucci, furono portati dapprima alla cascina Assiano di Baggio e voi il 10 aprile alla cascina Monzoro, ospiti dei signori Rossi. Il 25 aprile, giorno dell'insurrezione, giunsero sul posto quattro partigiani inviati da Marozin per presidiare la cascina e sorvegliare i due prigionieri. Si avvcinava il momento della decisione nei loro riguardi.

Guido Rosada «Stampa Sera», 25-26 ottobre 1947


L'esecuzione avvenne alle 23,45 del 30 aprile - Lui ebbro di cognac pronunciava frasi sconnesse, lei gridava che non voleva morire - Don Terzoli impartì agli agonizzanti l'assoluzione e le salme furono sepolte una accanto all'altra nel campo n. 10 di Musocco

Alle 20,30 di sabato 28 aprile 1945, Osvaldo e Luisa stavano consumando la cena, quando s'udì il rombo d'una macchina che entrava nel cortile. La luce abbagliante del fari battè nell'interno della stanza e i due si alzarono di scatto, assaliti dalla sensazione di un sinistro presagio. Subito comparvero due partigiani. Comunicarono l'ordine di partenza Immediata per Milano e fu giuocoforza obbedire. A corsa veloce la macchina puntò sulla città, arrestandosi in via Guerrazzi 14, dove il rifugio e l'autorimessa dello stabile erano stati adibiti in quelle giornate a sede del Tribunale del Popolo. Lo Stato Maggiore della Pasubio vi giudicava gli elementi rastrellati, e condanne e assoluzioni si susseguivano di continuo. I due attori trascorsero la giornata di domenica 29 senza chiudere occhio. Avevano rivolto una sequela di domande a Marozin e ad altri, ottenendone risposte evasive. Chiesero alla fine della cocaina. Non l'ebbero, ma riuscirono ad avere sigarette e una bottiglia di cognac. Nel corso delia notte assistettero ad alcuni processi. Il giorno 30 si abbandonarono totalmente al cognac. Quella sera Marozin dette al Valenti il tragico annuncio: «Non c'è più nulla da fare — avvertì. — Siete condannati a morte. Sappiti regolare». Alle 23 uno della «Pasubio» ordinò di prepararsi. «Tra poco bisognerà andare» disse ai due.

Pioveva a dirotto. Nella autorimessa erano già stati adunati il colonnello Tamburini, deportatore di partigiani, certo Susa, rastrellatore fascista, e una donna, una spia tedesca. Alle 23,30 precise un grosso camion della «Pasubio» si arrestò davanti al portone di via Guerrazzi. Luisa piangeva; Osvaldo, ebbro di cognac, pareva l'ombra di se stesso. Quattro partigiani presero posto nella cabina del pilota, dalla parte posteriore salirono i condannati, per ultimi il Valenti e la Ferida, Poi montarono su altri quattro partigiani. In una cabriolet 1500 scoperta, presero nosto, invece, Taylor e due della Pasubio. II grosso camion, seguito dalla macchina sboccò rapidamente in corso Sempione e, dopo poche centinaia di metri, deviò a destra, in via Poliziano, arrestandosi di fronte al n. 115, accanto a un muretto che divide lo stabile n. 16 (attualmente sede della Aerea S.P.A.) dal numero 14 (Arti Grafiche Buzzetti). A qualche distanza si fermò la 1500 di Taylor. Con gli altri, furono fatti scendere i due feroci aguzzini di Villa Triste. Lui riusciva ancora a reggersi in piedi, lei era uno straccio. Saltò dal camion il partigiano Corazza, della «Pasubio» che li trascinò con energia, facendo loro attraversare la strada fin presso il marciapiedi del grosso palazzo segnato col n. 15. Osvaldo gesticolava, pronunziando a alta voce frasi sconnesse.

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Luisa invocava perdono e gridava che non voleva morire. Improvvisamente Corazza indietreggiò: — Qui è stato fucilato mio fratello — disse. — Ora sarà vendicato. Abbassò il mitra, premette il grilletto e la raffica parti. I due attori caddero sulle ginocchia. Altri due partigiani, tra cui Marius, impugnarono a loro volta i mitra, sparando altre raffiche contro l'uomo e la donna che si abbatterono riversi, lui sulla destra di chi guarda il palazzo; lei sulla sinistra, entrambi col capo sul bordo del marciapiedi che faceva come da guanciale. Sui loro petti furono collocati due cartelli con scritte in stampatello a matita rossa, preparati in precedenza da Marozin: «I partigiani della "Pasubio" hanno giustiziato Osvaldo Valenti» ; «I partigiani della "Pasubio" hanno giustiziato Luisa Ferida». Al fragore delle detonazioni, i signori Osellame e Castelli, che abitano all'ammezzato del palazzo n. 15, invocavano l'intervento al don Adolfo Terzoli, cappellano che dimorava nello stesso stabile e che, reduce dal campo di concentramento di Mauthausen, dirigeva in quelle giornate, col grado di capitano, un centro di assistenza con ambulanza.

Egli accorse, seguito dal signor Renzo Castelli, che gli faceva luce con una pila. Il corpo del Valenti era scosso dal sussulti dell'agonia. La donna emetteva deboli gemiti e un rivoletto di sangue le usciva da un angolo delle labbra. Le gonne erano sollevate. Don Adolfo gliele abbassò. Lei mori mentre il prete le impartiva l'assoluzione in latino, l'altro spirò proprio quando don Adolfo gli stava facendo sulla fronte il segno della croce. Erano le 23,45 del 30 aprile. Nella stessa notte i cadaveri dei due giustiziati vennero trasportati all'obitorio e poi sepolti al cimitero di Musocco, nel campo n. 10. Il 28 luglio dello stesso anno, la sorella di Osvaldo, signora Nelly Luciani Valenti, assieme alla signorina Veturia Luiselli, ottenuta a mezzo di don Terzoli l'autorizzazione, procedeva ai riconoscimento delle salme che furono esumate. Erano sepolte una accanto all'altra In quella occasione esse provvidero a fare erigere due tumuli, sui quali vennero deposte due pietre col nomi «Osvaldo», «Luisa», assieme al numero: 1381 quello di lui, 1382 quello di lei. In una visita fatta qualche tempo dopo, le due donne constatarono che le pietre tombali erano state distrutte. Di quella di Osvaldo rimanevano ancora visibili due lettere: «AL».

Guido Rosada, «Stampa Sera», 30 ottobre 1947


Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • Guido Rosada, «Stampa Sera», 24 ottobre 1947
  • Guido Rosada «Stampa Sera», 25-26 ottobre 1947
  • Guido Rosada, «Stampa Sera», 30 ottobre 1947