La parte più difficile per Silvana Pampanini
L’attrice ha accettato di provare il modello che un sarto romano ha ideato per la ritorna degli abiti monacali e che si aggiunge ai figurini già pubblicati da "Tempo".
Le donne sono sempre più moderne e coraggiose degli uomini, anche se servono il Signore. Così, come il nostro giornale a suo tempo pubblicò, alcuni ordini ecclesiastici femminili, dopo avere per lungo tempo sentita la necessità di rendere più comodo il loro abito, hanno affrontato con franchezza il problema. I più grandi sarti romani si sono subito dati da fare.
Si trattava di inventare una linea moderna e svelta, adatta però ad abiti che non possono rinunciare alla castigatezza e alla decorosa umiltà. Difficile, inoltre, vedere subito accettato un progetto, quando l’occhio dei fedeli da lunghi secoli si è assuefatto ad altre fogge. I primi tentativi risentirono delle uniformi da «hostess». da crocerossina, da governante. Si videro progettati per le monache certi graziosi cappellini tondi, con un’alettina esile, e sotto un corto velo che cadrebbe sulle spalle, come avevano le signore del primo Novecento quando sfidavano la velocità con gli audaci pionieri dell’automobilismo. I tempi sono maturi per la riforma: non si è ancora forse trovato, però, il momento d’ispirazione rivoluzionaria.
Il modello che «Tempo» presenta oggi ai suoi lettori è stato ideato da uno dei personaggi più interessanti del mondo della «haute couture». Roberto Capucci. il «sarto bambino». L’eccezionale indossatrice è Silvana Pampanini. Siccome l’indossatrice è notissima, parliamo dell’ideatore. Roberto Capucci ha 22 anni, e ha un suo atelier da due. Quando apri sartoria era ancora minorenne, e ottenne a fatica dalla madre la necessaria emancipazione. Nel luglio del 1951. dopo tre mesi di attività ufficiale, aveva già preparato un’intera collezione; ma i colleghi non gli consentirono di fare sfilare le sue indossatrici, perchè «non sono cose da bambini». Ha sempre avuto la passione per la sartoria, e. Pur di vedere realizzati quei modelli che disegnava senza avere i mezzi per tradurli in tessuto.
Lavorò per sei mesi come figurinista volontario presso un noto sarto romano. Oggi il suo nome è di moda, specie in America. Una grande cooperativa americana. l’Organizzazione Stanley Rubinstein. lo ha per così dire preso in affitto per dieci anni. La Stanley Rubinstein paga tutte le spese dell’atelier di Roma, e riceve in cambio dal «sarto bambino» la rappresentazione esclusiva dei suoi modelli per l’America. Laggiù ogni modello viene ripetuto all’infinito. Sulle vendite, il sessanta per cento spetta al sarto. A suo onore sta il fatto che solo tre sarti europei sono stati «affittati»: lui., Jacques Fath e Hubert de Givenchy.
Fotoservizio di Federico Patellani, «Tempo», anno XV, n.17, 25 aprile 1953
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Fotoservizio di Federico Patellani, «Tempo», anno XV, n.17, 25 aprile 1953 |