Silvana Pampanini: «Gary o Totò? Meglio sola»

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Silvana Pampanini ricorda gli anni di gloria. Da bambina di buona famiglia a Miss Italia, stella del cinema. Tutti la corteggiavano ma anche a Hollywood lei disse di no.

«A dodici anni io ero già donna, più o meno come quando ne avevo venti, e mi accingevo a interpretare il mio primo film. Ero cresciuta molto in fretta. Frequentavo i corsi di canto e di pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia c le magistrali a Piazza Mazzini. Mi venivano tutti dietro...».

Gli uomini seguivano le donne lungo le strade come oggi?

«Molto più di oggi, anche perché le donne non erano così accessibili come ora».

A dodici anni le facevano già la corte?

«Sì. a partire dai dodici anni, cd in seguito sempre di più. Ero una delle migliori allieve del Conservatorio, dove mi aveva notata anche il maestro Mannino. La mia insegnante di canto era Maria Teresa Pediconi e di solfeggio Barbara Giuranna, ma studiavo anche danza con la Battagi».

Come e quando debuttò nel cinema?

«Avrei dovuto debuttare come cantante lirica, con la Boheme. sulle orme di mia zia Rosetta Pampanini, che era stata allieva di Toscanini. Ma i produttori di cinema mi avevano preso di mira. Li avevo sempre alle calcagna. Al Conservatorio dicevano: "Prima o poi il cinema ce la ruberà". I miei genitori non volevano che io facessi il cinema. Abitavamo allora in fondo alla via Flaminia e veniva da noi anche Aldo Fabrizi, il quale diceva a mio padre: "Francé, er cinema se po fa’ anche seriamente". Poi vennero da noi i dirigenti della "20th Century Fox" e ci decidemmo. Debuttai come protagonista assoluta nel Segreto Don vanni, il film diretto da Camillo Mastrocinque. Il mio partner era Gino Bechi, che era molto bello. Girammo al Teatro dell’Opera e alla Scalerà. Le colonne sonore erano mie, le registrammo alla Fono Roma. Il film ebbe un grande successo. Nel giro di un mese ero celebre».

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Non fu il concorso di Miss Italia, che vinse ex aequo con Rossana Martini, a portarla al cinema?

«Sì. ma i produttori mi stavano dietro da molto tempo, sin da quando ero adolescente».

E’ vero che, quando incominciò a fare il cinema, girava sempre con la mamma dietro, come in seguito la Loren, la Schiaffino e altre attrici?

«Sì, è vero. Io avevo fatto le elementari dalle suore della Mater Dolorosa sulla Cassia alta. Vestivo come una educanda, calzini d’estate e calzettoni d’inverno. Ero la Deanna Durbin italiana. Anche se fisicamente ero già matura, ero una ragazza a modo. Tenni anche un concerto nella Sala Pio VI, dietro il Pantheon. Fui ricevuta fra l'altro in udienza privata da Pio XII, che mi trattenne per circa venti minuti nella sala della biblioteca. Ricordo che mi regalò un rosario di perle e oro».

Gli storici del cinema parlano di lei come di una delle prime pin-up girls e delle prime misses del cinema italiano

«Io ho fatto, da Il segreto di Don Giovanni a Il tassinaro, ben 77 film. Molti di questi film erano sexy, ma non sono andata mai oltre un certo limite. Anche oggi, modestamente, potrei dar le mele a parecchie delle attrici in voga. Se non lavoro più come prima, è per mia scelta. Non mi piace di fare le cose che mi offrono».

Silvana Pampanini è reduce da Parigi, dove è stata ospite d'onore della trasmissione televisiva condotta da Frédéric Mitterrand, nel corso della quale ha ripercorso le tappe della sua carriera, inframmezzate da brani dei tanti film da lei interpretati, specialmente di quelli francesi e italo-francesi, come La tour de Nesle e La loi des rues. Parlava in francese, speditamente (Jean Cocteau, con la consueta galanteria, le aveva attribuito un accento da parigina). Il nipote del presidente della repubblica si è detto stupito della popolarità di cui l'attrice italiana gode ancora presso il pubblico d'oltralpe, ed ha ricordato il trionfo che ottenne all'ultimo Festival di Cannes, quando arrivò al Palazzo del Cinema con Pedro Almodovar su una vettura di gran lusso. «Fu un arrivo spettacolare», ricorda lei a sua volta. «Io indossavo un abito rosso, Almodovar uno smoking verde, la macchina era bianca: sembrava la festa nazionale italiana».

Ora l'attrice è nel salotto della sua casa sulla Flaminia. Non veste di rosso, ma di rosa, in perfetta sintonia con l'ambiente, dominato dal rosa. Rosa e oro, la vie en rose. Ma perché ama tanto il rosa? Nostalgia forse di quelle nozze tante volte sognate e mai realizzate? Come che sia, l'adolescente esplosiva degli anni Trenta è, in qualche modo, vittima della sua leggenda. La leggenda del cinema proietta cose c persone molto indietro nel tempo, in un’atmosfera remota, vaga e nebulosa, mentre la Pampanini è ancora giovane, ancora in gran forma.

«Io sono stata tre volte a Hollywood, ma non ho mai voluto restarvi. Avevo dietro di me l'esperienza delle attrici italiane che mi avevano preceduta, come Alida Valli, Anna Maria Ferrerò, Valentina Cortese e Anna Magnani. Valentina mi diceva: "Ti danno il successo, ma ti rubano la vita. E’ una macchina che stritola". Ho conosciuto però lutti i grandi divi e le grandi dive dell’epoca, da William Holden a Joan Crawford, da Rock Hudson a Frank Sinatra, da Charlie Chaplin a Gary Cooper. Superfluo dire che ero molto corteggiata. Gary Cooper lo rincontrai a Monaco di Baviera, dove ottenni un premio per Un marito per Anna Zaccheo, il film di Giuseppe De Santis. Mi fece una corte spietata, lo gli dissi: "Ma lei è sposato, ha moglie e figli”. Facemmo anche un ballo. Ma era così alto che quando tornai al tavolo mi doleva il gargarozzo. Se non mi sono sposata, l’ho fatto di mia volontà».

E' vero che anche Totò voleva sposarla?

«Certo. Incominciò a corteggiarmi quando facemmo Topi d'albergo il film diretto da Mario Mattoli e che girammo a Milano. Trovavo sempre nel mio camerino fiori e cioccolatini. Era molto generoso con le donne, ma io non accettavo nulla. Mi diceva: "Ma non pensi a sposarti?". Gli rispondevo: "Per sposarmi io debbo essere innamorata". Poi, quando nel 1950 girammo 47: morto che parla, con regia di Carlo Ludovico Bragaglia, venne a parlare con mio padre, nella casa dei Parioli in cui vivevamo allora. Mio padre gli disse che io ero troppo giovane, che non pensavo a sposarmi. Avevo allora venticinque anni, mentre lui ne aveva cinquantadue. Io gli dissi a mia voltò, un po’ scorte-semente, ma senza ren-derme conto: "Totò, io ti voglio bene, ma come a un padre". Ma lui non si arrendeva. "Pensaci, pensaci", mi diceva».

Lei sapeva che Totò era sposato?

«Io sapevo che era separato. Mi aveva detto: "Mia moglie mi ha lasciato, non merita il mio amore"».

La moglie, Diana Rogliani, lo lasciò nel 1951, mentre «47: morto che parla» fu girato nel 1950.

«Si, ma Totò mi diceva che era separato».

E’ vero che le diceva che la moglie era brutta e gobba? Lo ha riferito Carlo Ludovico Bragaglia.

«No, questo non me lo ha mai detto».

Diana Rogliani dice che Totò era un bell'uomo. Lei come lo vedeva?

«Aveva la parte sinistra del viso molto lunga, forse per effetto degli esercizi mimici che faceva, ma nel complesso era un bell'uomo. Era un fifone, aveva paura di tutto. Una volta, quando giravamo 47: morto che parla, andammo insieme a Napoli, io, lui e mio padre. Guidava mio padre. Lo costrinse ad andare così piano che impiegammo dicci ore per raggiungere Napoli. "Ma chi me lo ha fatto fare?", diceva mio padre».

«Malafemmina» per chi l'ha scritta, per la moglie o per lei?

«Non so rispondere a questa domanda. Si dice che l’abbia scritta per me, ma forse non è vero. Lo deduco da quanto un giorno mi riferì Franca Faldini. La Faldini gli chiese: "Ma come potevi dare della malafemmina ad una donna come la Pampanini?". Totò le rispose: "Silvana era una creatura solare”. Non posso dire altro al riguardo. Vorrei però aggiungere due cose. La prima è che nessuno ricorda mai che per La strada lunga un anno, il film di Giuseppe De Santis, ottenemmo la nomination all’Oscar. La seconda è che ora ho perso tutti i miei amori, i miei genitori e gli uomini che ho amato».

Costanzo Costantini, «Il Messaggero», 19 novembre 1989


Il Messaggero
Costanzo Costantini, «Il Messaggero», 19 novembre 1989