Addio a Silvana Pampanini la prima diva del dopoguerra

Silvana Pampanini

L’attrice romana è morta a 90 anni, fu la pioniera delle maggiorate Totò si invaghì di lei. Così nacque la leggenda di «Malafemmena»

Nini Pampan non c'è più. La prima vera diva del nostro dopoguerra, la prima «maggiorata» capace di far dimenticare agli italiani la fame e le miserie della guerra si è spenta ieri a 90 anni Era stata operata al Gemelli di Roma a fine ottobre per un problema addominale e da subito le sue condizioni erano apparse preoccupanti tanto che era stato necessario un secondo intervento. Poi, a causa di diverse complicanze, da allora non era più uscita dalla terapia intensiva.

Aveva caparbiamente inseguito per tutta la vita, anche quando l’età aveva fatto appassire la sua rigogliosa bellezza, il mito della donna che tutti vogliono e che nessuno può davvero possedere. Non era lei la «malafemmena» cantata da Totò, che pure chiese invano la sua mano mentre giravano insieme 47 morto che parla (1950), eppure in qualche modo ne accreditò la leggenda per civetteria e innato senso dell'autopromozione.

Silvana Pampanini era nata a Roma il 25 settembre 1925, figlia di un tipografo e nipote della celebre cantante lirica Rosetta Pampanini. La fama è arrivata grazie a Miss Italia: aveva partecipato al concorso nel 1946, senza vincerlo anche se per tutto il pubblico la fascia spettava a lei. Miss Italia le aveva comunque aperto le porte del cinema, facendola una delle dive simbolo degli anni Cinquanta. Aveva recitato, tra gli altri, al fianco di Mastroianni, De Sica, Totò e, tra gli stranieri, Gabin,Vidale e Keaton. Mai sposata (amava definirsi, anche di recente, «signorina»), Totò chiese invano la sua mano, cosi come il produttore Moris Ergas

Così come lasciò che sul suo conto corressero voci di svariati «fidanzamenti», dal re Faruk d'Egitto a William Holden, dal dittatore dominicano Trujillo a Omar Sharif pur rivendicando orgogliosamente, anche in anni recenti, il desiderio di essere chiamata «signorina».

Silvana Pampanini era nata a Roma il 25 settembre 1925, figlia di un tipografo e nipote della celebre cantante lirica Rosetta Pampanini. Per questo, mentre frequenta le magistrali studia canto e pianoforte al conservatorio di Santa Cecilia ma, a sentire i suoi ricordi pubblicati nel volume Scandalosamente Perbene (Gremese, 1996), sin da ragazza sogna il cinema.

2016 01 07 Corriere della Sera Silvana Pampanini F1Da sinistra Sophia Loren, Silvana Pampanini e Lea Massari in una foto del 1955: le attrici italiane erano amate in tutto il mondo

2016 01 07 Corriere della Sera Silvana Pampanini F2Silvana Pampanini con Totò (1898 - 1967) in un momento di «47 morto che parla» (1950) di Bragaglia.

L'occasione le sì propone nel 1946, quando la maestra di canto manda a sua insaputa una foto della Pampanini al rinato concorso di Miss Italia, a Stresa.

La giuria sceglie Rossana Martini, ma il pubblico è tutto per la Pampanini, inscenando manifestazioni che solo i carabinieri riescono a frenare e costringendo la giuria a rimangiarsi il verdetto e assegnare il titolo ex aequo.

Bella, sfrontata, dotatadi un corpo «collinare, arrotondato e pieno di curve» (così la descriveva il periodico Stelle d’Italia) e che lei usa abilmente per stuzzicare i desideri del pubblico, diventa da subito l'idolo di un Paese che vuole sensuale, anche giocando abilmente su allusioni e doppi sensi: nell'antologia del teatro di rivista I pompieri di Viggiù (1949). compare nel numero Censura e bikini, indossando un audacissimo — per l'epoca — costume a pois, nell’Inafferrabile 12 (1950) usa i capelli e le mani per coprire il corpo nudo, in Bellezze in bicicletta (1951) si offre in una delle prime scene sotto la doccia dei cinema italiano (sapientemente castigata dall'inquadratura), in O.K. Nerone (1951) è Poppea che si bagna nel latte di capra (coperta da una calzamaglia rosata).

Con La tratta delle bianche di Comencini e poi Processo alla città di Zampa e La presidentessa di Germi (tutti del 1952), anche il cinema d’autore si accorge di lei; e la Pampanini può finalmente uscire dal cliché della donna troppo bella per essere anche pensante. Antonio Leonviola con Noi cannibali (1953) le offre il suo ruolo forse più intenso, quello di una ballerina d’avanspettacolo che cerca di rifarsi la vita con un marginale che si arrangia col contrabbando (è Vincenzo Musolino) e le permette di dimostrare tutto il suo valore nella scena, indimenticabile, del balletto-stupro. E subito dopo Giuseppe De Santis, con Un marito per Anna Zaccheo (1952), ne conferma il valore e la bravura.

2016 01 07 Corriere della Sera Silvana Pampanini F3L'attrice al fiancodi Alberto Sordi (1920-2003) nel film «Il tassinaro» (1983), diretto dallo stesso attore romano

Eppure nonostante non le manchino altre prove convincenti — nel 1955 Racconti romani di Franciolini e La bella di Roma ancora di Comencini, nel 1958 La strada lunga un anno di Giuseppe De Santis— il cinema italiano sembra dimenticarsi di lei, sostituita nell'immaginario collettivo da altre «bellezze» forse più attente nel gestire la propria carriera o nel trovare influenti protettori.

In effetti, sono molti a sostenere che a far terra bruciata intorno alla Pampanini sia stato il produttore Moris Ergas, imbufalito per non essere riuscito a convincere l'attrice a sposarlo dopo tre anni di assiduo corteggiamento (dal 1953 al 1956), ma soprattutto dopo che non era riuscito a farsi restituire, nemmeno portandola in tribunale, i 31 milioni di doni (soprattutto gioielli e pellicce)che le aveva offerto.

Queste vicende giudiziarie, finite regolarmente su giornali e rotocalchi, forse aumentarono la popolarità dell'attrice ma sicuramente non le giovarono sul piano professionale e, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, i film che le vengono offerti sono sempre meno e sempre meno interessanti, se si esclude Il gaucho di Dino Risi (1964) dove però l'attrice interpreta un ruolo «ferocemente autobiografico».

E anche la partecipazione a Il tassinaro di Sordi (1983) non è niente più che un colorito (e un po' volgare) cameo.

Paolo Mereghetti, «Corriere della Sera», 7 gennaio 2016


Proietti: «una vera vamp, ispirò la mia "Presidentessa" a teatro»

«Quand'ero ragazzetto da elementari, la Pampanini era considerata il massimo dell’eros — ricorda Gigi Proietti — Non esisteva nessun'altra attrice paragonabile a lei, era il sogno inarrivabile delle fantasie maschili dell’epoca: una vera e propria vamp del grande schermo. E all'epoca — aggiunge — il cinema era qualcosa di misterioso e chi recitava nel cinema era già considerato un'entità inarrivabile». Il grande attore romano, che anche nei giorni scorsi ha fatto un sold out da stadio all'Auditorium di Roma, non ha mai lavorato con Silvana Pampanini: «Nun so' un ragazzino nemmeno io, ma appartenevamo a generazioni diverse e non ce n'è mai stata l'occasione». Però la Pampanini, assidua frequentatrice delle sale teatrali, è stata spesso seduta in platea per assistere agli spettacoli di Proietti: «Era sempre elegantissima — continua Proietti — con quelle sue acconciature elaborate e quei cappelli vistosi».

Una volta si sono incontrati in un'occasione importante al Quirinale dove, nel 2003, il presidente Ciampi conferì a entrambi l'onorificenza di Grandi Ufficiali: «Ricordo che svolazzava con un abito vaporosissimo. Ormai aveva una certa età, ma nell'immaginario rappresentava ancora la vamp di un tempo, amata dagli spettatori italiani più di una diva americana, n film dove la ricordo di più è Un giorno in pretura, nell’episodio dove impersonava una ex vedette invecchiata e in disgrazia. Il pretore, impersonato da Peppino De Filippo, vedendola si ricordava subito di quando, bella e giovane, cantava per le truppe al fronte».

E Proietti, per mettere in scena dieci anni fa La Presidentessa, con Sabrina Fertili, si ispirò a un film interpretato proprio dalla Pampanini: «È del '52, poco conosciuto, diretto da Germi, ma all'epoca cercavo materiale per lo spettacolo e mi capitò di vederlo. Lei era giustissima nel ruolo, risoluta ed energica, piena di fascino. Soprattutto era un'attrice che sapeva recitare: alla sua epoca appartengono tante belle maggiorate ma, in quanto a recitazione, piuttosto scarse. Lei era brava, per questo è rimasta un'icona incontrastata».

E. Cost., «Corriere della Sera», 7 gennaio 2016


Paolo Mereghetti, «Corriere della Sera», 7 gennaio 2016