I registi: Vittorio De Sica

Vittorio De Sica


1949 01 30 Cinema Vittorio De Sica intro

Se avessi un certo capitale lo investirei nella fabbricatone in serie di piccoli De Sica in gesso o in terracotta da vendere a modicissimo prezzo come soprammobili scacciapensieri o portafortuna. Avere un De Sica nel proprio salotto o nell'ingresso diventerebbe presto indispensabile in ogni famiglia, in sostituzione del troppo antiquato ferro di cavallo con spighe di grano o dei standardizzati fantocci di Disney.

1949 01 30 Cinema Vittorio De Sica f1De Sica mentre girava «Ladri di biciclette»

Infatti, volendo definire da un punto di vista critico la personalità artistica di De Sica, la prima parola che viene in mente è una parola che non contiene in apparenza un giudizio critico ma significa avvicinamento umano e cioè «simpatia». Eppure, per coloro che non credono all’arte per l'arte ma all'arte per l'uomo, anche la simpatia entra nel giudizio critico, perché in realtà è conseguenza di una sanità morale, di una istintiva offerta di se stessi, di una immediatezza e universalità di linguaggio che sono gli elementi costitutivi di un vero artista. Guardate Strobeim, per esempio, caso tipico data l’impostazione del personaggio come «antipatico» per eccellenza, Tutti i giovani cineasti hanno coltivato la speranza di vincere alla lotteria per potersi comprare Stroheim. Comunque, la simpatia di De Sica è una simpatia tremendamente attuale e italiana e, coincidendo con il fatto che il suo proprietario ha sfornato negli ultimi anni alcuni dei più bei film della produzione mondiale, merita un esame approfondito. Il punto di partenza può essere questo: come ha fatto quest'uomo che tutti ricordiamo pochi anni fa attore non eccezionale e che molti ricordano «chansonnier» meridionale, un po' gagà e piuttosto fatuo, a diventare un poeta dello schermo ed un poeta rivoluzionario, per giunta, della pattuglia di testa di una nuova scuola della cultura moderna?

Nella sua vita privata non si trovano episodi di anche minimo interesse. Non è discendente di un famoso pirata, non ha fatto il torero o il commesso in un negozio di scarpe, non ha pescato perle in qualche isola del Sud e non si ha notizia di donne che si siano suicidate per lui. Proveniente da una famiglia della media borghesia, egli ha fatto semplicemente l'attore. La prima scrittura fu con la Pavlova, la seconda con Luigi Almirante. Poi incontrò Tofano e la Rissone. Fece parte di uno sfortunato complesso diretto animosamente da Guido Salvini e nel quale, oltre la Rissone, vi erano la Chellini e Melnati. Infine, con gli stessi, entrò nella Za-Bum. Qui. oltre a recitare e cantare si pigliava anche la paga. Egli ottenne il suo primo, vero successo di pubblico interpretando la macchietta del soldato Esposito nella mista di Falconi e Biancoli, Navigliana. Fino ad ora non si può certo parlare di una scuola d'arte e nemmeno di gusto, sì e no di una scuola di vita.

1949 01 30 Cinema Vittorio De Sica f2Una inquadratura di «Sciuscià» (1946), il film che pose De Sica sul piano internazionale.

Intanto, nel 1929, aveva avuto il primo contatto col cinema. Questo si era concluso con la patema raccomandazione da parte di Stefano Pittaluga di cambiar mestiere, per via del naso che, in effetti, a quell'epoca soprattutto, era di dimensioni piuttosto preoccupanti. Il primo film in cui apparve fu nientemmeno che Zaganella, nel quale egli ebbe modo di distinguersi cantando il noto ritornello «zagané, zaga-né». II secondo film fu La vecchia signora, prodotto nel '31 dalla Caesar, di Giuseppe Barattolo. Il regista era il povero Palermi e gli altri attori Emma Gramatica e Maurizio D'Ancora. Ma ecco, infine la prima tappa veramente importante: rincontro con Camerini Costui cercava il protagonista per un film che avrebbe dovuto chiamarsi Taxi. Il primo provino fu orrendo, il secondo onestamente mediocre. Ma Camerini ebbe buon fiuto e poi c'era la famosa faccenda della simpatia. Sembra che in sala di proiezione egli abbia esclamato «Ti prendo, De Sica, anche se sei brutto». Il film uscì poi con il nome di Gli uomini, che mascalzoni! (1932), ed ebbe un notevole successo. La sceneggiatura era di De Benedetti e Soldati e gli altri interpreti furono Lia Franca e Cesare Zoppetti. Da allora ebbe inizio il secondo periodo della carriera di De Sica. In teatro formò compagnia solitamente con la Rissone e Melnati, interpretando centinaia di commedie borghesi, vuote e leggere come, in fondo, la sua recitazione.

In cinema, invece, la collaborazione con Camerini si rivelò molto proficua. Il regista era bravo e dette a De Sica il senso dei cinema. Ma Camerini non era solo un buon tecnico ma anche un uomo di gusto, con un mondo proprio ed attento alla realtà circostante. Questo, soprattutto. Egli aveva (ed ha, naturalmente) un particolarissimo senso di osservazione. Cosi divenne presto lo «chanteur des gestes» della piccola borghesia Italiana, con le sue miserie, le sue ingenue aspirazioni, le sue molte delusioni. Un mondo, insomma, visto un po' superficialmente ma con una sua validità poetica e realistica, tenuto conto della situazione politica e culturale dell'epoca. De Sica, con Camerini, imparò a recitare sul serio ma soprattutto riuscì a fare quello che pochissimi attori italiani avevano fatto: creare cioè un per sonaglio vivo, che avesse nella realtà le sue origini. Alida era la ragazza media, figlia dell'industriale milanese, sartina torinese o studentessa di lettere romana. Era la più popolare, quindi, soprattutto fra le ragazze, quelle che cominciavano presto a fumare, si fidanzavano con il professionista di buona famiglia, coltivavano nel cuore una malcelata simpatia per Bob Taylor e sognavano l'America. Logicamente, dopo la guerra. Alida in America si è trasferita, personificando anche con questo viaggio i sogno di migliaia e migliaia di ragazzette spostate. La Del Poggio, invece, era la «pariolina» precisa precisa, di quelle che dopo la guerra hanno avuto «la crisi e si sono messe a parlare di proletariato. Ora, infatti, fa film popolari. Nazzari era un po' «l'uomo del regime», venuto su per il suo fare autoritario, con uno spaventoso gusto nel vestire e i riccioletti sul collo, ma con molto «fegato», pronto a seguire Graziani in Africa e abituato a salutare le ragazze con voce sotterranea : «Ciao, piccola».

1949 01 30 Cinema Vittorio De Sica f3A sin.: «Un garibaldino in convento» (1943). A destra Adriana Benedetti in «Teresa Venerdì»

Anche lui coerentemente, dopo la guerra, fa «Il bandito» o cerca fortuna in Argentina. Anche Giachetti era un uomo del regime, ma di quelli che erano convinti di farlo «per la patria», con una possibilità di salvataggio, insomma. De Sica, invece, con il regime non ha avuto niente a che spartire. Niente vocione, niente Graziani, niente industriali corporativistici. Lui era il Travet '35 o '39, in lotta quotidiana per la liretta, con una certa disposizione a far fesso il prossimo per procurarsela, con il sogno tormentoso di passare albi classe superiore, a Via Veneto o a Capri, con la Lancia fuori serie e l'amante ai Parioli. Ma era anche, forse soprattutto, Napoli, «'o core», «te voglio bene», «se non canto moro», tutto quell'insieme di sentimento falso e vero, di cristianesimo pagano, di superstizione, di continuo sorriso e di intima, secolare tristezza, di povertà innata e di innata signorilità, che costituisce l'italiano meridionale. Era insomma un personaggio poetico e «simpatico», non ancora interamente realizzato, però. Intanto durante questo secondo periodo, avvennero due cose importanti: il numero di brutti film interpretati da De Sica superò il livello sopportabile.

Erano veramente troppi e troppo brutti. Ora egli confessa apertamente di avere avuto una forma particolare di abulia che lo lasciava in completo possesso di quella specie di produttori e registi che allora erano calati su Cinecittà come le cavallette sui campi di grano o i Fratelli della Costa su un galeone spagnolo. Responsabilità anche sua, naturalmente. In ogni modo, ad un certo punto, lo spettacolo di scempio artistico e di imperizia tecnica al quale assisteva continuamente gli fecero germogliare nel cervello l'idea di fare il regista. Cosi ne parlò ad Amato che, incuriosito dell'idea, gli concesse di dirigere, insieme a lui stesso, un piccolo film: Rose scarlatte, che usci nel 1940. L’altro avvenimento importante di questo periodo era stata la conoscenza di Zavattini che aveva dato il soggetto per uno dei migliori film della coppia Camerini-De Sica: Darò un milione (1935), Zavattini era sceso da Milano con una gran passione per il cinema ed accarezzò per gualche tempo l'idea dì fare il regista, Nell'attesa cercò qualcuno che fosse in grado di esprimere cinematograficamente le mille idee a seconda che gli nascevano in testa, che fosse il «suo» regista. Sperò di averlo trovato in Camerini ma in seguito fu proprio De Sica il suo uomo. Ma in un primo momento i due non ebbero occasione di lavorare insieme. Il secondo film di De Sica regista fu Maddalena zero in condotta (1941). Questo rientrava nella famigerata serie delle commedie comico-sentimentali che erano la peste bubbonica del nostro cinema, ma presentava una sensazionale novità: era veramente comico e veramente sentimentale. Era fatto bene, era cinema

Aveva poi il merito non indifferente di presentare un gruppo di volti nuovi, la Del Poggio, la Dilian, la Veneroni, che minacciavano persino di saper recitare. Alcuni critici drizzarono le orecchie. Ma con Teresa Venerdì ( 1941) la curiosità divenne certezza: De Sica era un regista. Aveva il senso del cinema e quel qualchecosa che autorizzava a sperare ancora di più. In margine va ricordato che fu in questo film che praticamente debuttò in cinema la Magnani con caratteristiche già sviluppate. Dopo venne Un garibaldino ai convento (1943). Sì ebbe modo di constatare allora, che ogni nuovo film era un regolare passo in avanti segnava un ampiamente del suo mondo ed un approfondimento. L'ultimo lavoro, prima dell'armistizio e crisi seguente fu I bambini ci guardano (1943). Qui i passi avanti erano per lo meno una mezza dozzina. Non si trattava più di commedie comico-sentimentali fatte bene, si trattava di un dramma veramente sociale col quale il suo autore non si limitava a raccontare un fatto ma esprimeva delle idee. Questo film fu, insieme ad Ossessione (1943) il più interessante del periodo. Esso segnò, fra l'altro, il passaggio dalla serie «signorinette» a quella «bambini». De Sica aveva trovato nell'infanzia il suo vero mondo poetico.

1949 01 30 Cinema Vittorio De Sica f4Il film «I bambini ci guardano» (1943) è la prefazione di «Sciuscià» e a «Ladri di biciclette»

Ma la fortuna di De Sica fu anche che il suo sviluppo artistico avvenne negli ultimi anni del fascismo, quando ormai nella società italiana si andavano precisando sempre più apertamente i contrasti e la frattura fra il popolo ed il regime. Si formavano i fronti e questo significava anche nella cultura il principio di un periodo nuovo, di lotta e quindi di vita. Nel campo più specificatamente cinematografico, poi, si era ormai formato un fronte di battaglia da una parte del quale erano soprattutto i giovani.

Già da qualche anno usciva Cinema, recando un contributo non indifferente alla diffusione di una cultura e di una coscienza cinematografica. Era insomma abbastanza un buon periodo per chi sapesse capirlo. E De Sica fu ben presente. Durante l'occupazione egli diresse La porta del cielo (1944), film disuguale ma interessante che segnò l'inìzio della collaborazione con Zavattini. Questa significò per De Sica un apporto culturale e di fantasia di prim'ordine, tanto che da allora i due sono inseparabili. Sciuscià (1946) fu il primo vero prodotto della ditta e fu anche il vero atto di nascita del poeta nuovo. Dopo due anni, ecco Ladri di biciclette (1948). Qui la parola spetta alla critica.

Sergio Sollima, «Cinema», n.7, 30 gennaio 1949


Cinema
Sergio Sollima, «Cinema», n.7, 30 gennaio 1949