Il bastone da maresciallo di De Sica
Gli eroi vecchi sono molto rari nel teatro, nel romanzo e anche nel cinema. Dal Pelide Achille su su fino ai personaggi di Stendhal, i protagonisti sono tutti giovani e si capisce perché: la giovinezza è di per se poetica e inoltre vuol dire azione, lotta, capacità di illusione e via dicendo. Le poche eccezioni. Don Chisciotte, re Lear, in fondo confermano la regola: si tratta di eroi vecchi soltanto in apparenza, ma con cuori folli e illusi di fanciulli. La singolarità di questo Umberto D. di De Sica sta invece nell'avere affrontato il tema sgradevole del vecchio non soltanto di anni ma anche di animo. Si tratta di un funzionario statale pensionalo, Umberto D. che non ce la fa a vivere con le diciottomila lire della pensione. Il vecchio abita presso un'affittacamere matura e belloccia del tipo classico, almeno a Roma: casa in stile floreale, passione per il bel canto, durezza di cuore, volgarità svenevole e sguaiata, avidità di denaro. L'affittacamere cerca di cacciare il pensionato dalla sua camera in cui non si perita, nelle ore di assenza di lui, di ospitare coppie affettuose; il vecchio non ha al mondo nessuno che lo assista e gli voglia bene: nessuno salvo il cane e la serva dell’ affittacamere, ancor più derelitta di lui se è possibile.
Stizzoso, acre, dignitoso, il vecchio difende le sue posizioni fin che può; ma non essendo in grado di pagare il fìtto, cerca in vari modi di procurarsi il denaro: vendendo libri e oggetti, provando a farsi mantenere in ospedale al fine di risparmiare i soldi del vitto, chiedendolo in prestito a squallidi conoscenti e colleghi del tempo In cui era ancora impiegato, perfino sforzandosi, senza però riuscirci. di mendicare l’elemosina. Finalmente, l’affittacamere, un bel mattino, gli fa trovare gli operai nella stanza e il vecchio è costretto a sloggiare. Egli medita allora il suicidio e dapprima cerca invano di disfarsi dell'amato cagnuolo; poi, con l'egoismo caratteristico dei suicidi, decide di buttarsi sotto un treno insieme con la bestia. Ma il cane presentendo d’istinto la brutta fine che il padrone vuol fargli fare, si svincola e fugge. Il suicidio sfuma, il vecchio rincorre il cane il quale, prima guardingo e spaventato, pian piano si ammansisce e gioca. Inseguendo il cane e giocando con lui, il vecchio si dilegua nell'aria dorata e primaverile dei giardini pubblici.
La storia è lineare quanto una novella di Cecov o di Maupassant e infatti oscilla tra un clima crepuscolare e i modi di un naturalismo sobrio e aggiornato. La famosa bontà di De Sica si rivela in questo bel film per quello che è veramente: un'esperienza non amara ma piuttosto crudele e ironica, perfettamente stagionata, delle piccole umiliazioni, delle minime tragedie, delle meschinità sordide e delle angustie irriverenti del vivere quotidiano. Col suo rifiuto di ogni posizione ideologica. De Sica potrebbe cadere facilmente nel sentimentalismo: ma sì salva su questa china sdrucciolevole per la quale capitombolano tanti suoi imitatori, con un raro senso di misura e un‘ancor più rara consapevolezza dei propri limiti umani e artistici, La sua arte, grazie a questi freni che si esprimono in una sempre presente e alquanto sorniona ironia, evita cosi De Amicis e sfiora invece altri modelli ben più alti del genere verista e intimista. A questi risultati De Sica è arrivato anche senza dubbio per depurazione. attraverso lunghi anni di mestiere. Caso raro nel cinema italiano, nulla vi ha In lui di improvvisato; il suo bastone da maresciallo l’ha conquistalo faticosamente partendo dal grado di semplice soldato.
Rispetto a Ladri di biciclette e tralasciando la parentesi di Miracolo a Milano, Umberto D. sembra essere forse meno ispirato, a prima vista; ma a ben guardare è più solido e più plausibile. Già l'argomento, il dramma del pensionato piccolo borghese, pare essere più familiare a De Sica; inoltre, trattandosi di un’arte il cui fine ultimo è quello del racconto intimista e privo di intreccio, Umberto D. ha il vantaggio su Ladri di biciclette di una maggiore semplicità. La figura del pensionato avrebbe potuto riunire in sé i caratteri acri e stizzosi della senilità e quelli sentimentali della compassione che meritano le sue disavventure. Ma De Sica ha trasferito questa compassione nel personaggio della servetta. uno dei più poetici creati finora nel cinema Italiano. In tal modo il pensionato si completa nei suoi rapporti con la ragazza, e l'uno integra l’altro, Cosi Umberto D. come la serva sono attori Improvvisati. quanto dire che sono complete creazioni di De Sica: in questo senso essi non si distinguono dalle altre immagini del film, se non per la loro maggiore importanza e si fondono in un solo linguaggio senza residui di interpretazioni autonome S‘é già detto del senso di misura di De Sica: tutti i particolari sono perfettamente a fuoco, tutto è detto con precisione, chiarezza e sobrietà. Cosi che. come in ogni arte riuscita, non si può parlare qui tanto di difetti quanto di limiti. I quali sono quelli dell'argomento e di una visione della vita sottomessa al fatto economico e sociale.
Il film, pur sotto un'apparente disinvoltura, è molto teso e rarefatto; la tensione si allenta in certi punti più felici come nella scena cosi bella del risveglio al mattino, con la servetta che macina il caffè, tutta sola nella squallida cucina. Il racconto si svolge nella città di Roma, capitale degli impiegati: e di questa Roma De Sica fa quasi un personaggio muto eppure parlante, con sfondi tra i più comuni ma sempre visti con insolita opportunità. La sceneggiatura di Zavattini è tra le più attente ed epigrammatiche di questo scrittore di cinema. Carlo Battisti e Maria Casilio nelle due parti principali sono gli attori o meglio i visi nuovi di questo film.
Alberto Moravia, «L'Europeo», anno VIII, n.13, 22 marzo 1952
![]() |
Alberto Moravia, «L'Europeo», anno VIII, n.13, 22 marzo 1952 |