Approfondimenti e rassegna stampa - Anna Magnani
Anna Magnani, raccolta di articoli di stampa
L'asse Totò-Magnani
Ben Gazzara supera la Magnani nel crudo linguaggio romanesco
Anna Magnani è nata in Egitto da madre romana come mostrano i suoi magnanimi lombi, e da genitore arabo, ciò che si vede nei suoi stinchi. E’ carattere fierissimo e debole, aggressivo e dolcissimo, avaro e dissipatore (come me). Viziata dalla rivista l’insuccesso l’annienta, il successo le fa peggio perchè la «monta», facendola più autocratica che autocritica. Va a caccia di collaboratori pecorelle da dominare, ma le capita il fatto di tecnici che si danno malati per non servirla, di gente che si squaglia da Roma per rifiutare, di amici che non le fanno visita per non aver a che fare col suo umore eventuale. Sembra che gli applausi la mettano di traverso perchè quanto più ne riscuote, tanto più diventa tirannica e intrattabile. Chi conosce la Merlini ne descrive il caratteraccio infame, ma afferma che Anna la stravince. (Ora saranno soddisfatte tutt’e due).
La indipendenza fa correre brutti rischi alle sue qualità, che sono indubbiamente eccezionali. Fuori delle sue cupe insofferenze e scatti furiosi, oltre al suo avido egoismo, Anna possiede un’anima così densa e pensosa e sensibile, con tutti i caratteri del vero artista da costituire uno strumento raro per il teatro e il cinema. L’antica ammirazione che ho per lei vorrebbe che questo strumento ella non lo sciupasse giacché, nelle sue, è in mani imprudenti.
Anna Magnani è, certo, fra le più umane attrici di temperamento forte. Potrebbe diventare' la maggiore se sapesse rinunciar alle distrazioni della mondanità, a certi puntigli vani, alle eccessive tendenze commerciali, per dedicarsi umilmente all’arte. Oggi essa guadagna molti milioni ogni anno: sarebbe bello che ne sacrificasse qualcuno (senza andare in escandescenze).
Anton G. Bragaglia, «Cinelandia», 1 marzo 1946
Una strada di Roma aperta e dolorante come il ventre di una giovane madre, un marciapiede liso dalle scarpe degli uomini, urta macchina militare che corre e che urla nel triste pomerìggio invernale, un vento marcio che viene dal Tevere ed eroicamente chiara una popolana quasi chiusa in un tragico scialle nero. Nella gola della popolana battono forte, picchiano le lacrime già diventate carne da un grido l'improrogabile angoscia. L'angoscia cosi alta della donna ha il volto della maternità, di quella maternità che ha bisogno di gridare per definirsi e per darsi un peso, urta dimensione. In fondo alla strada le lunghe sagome delle SS danno l umino colpo di maglio alla tragedia: gli uomini ed i ragazzi razziati sono i protagonisti, tetri e tristi: le madri invece, correndo dinamizzano con il calore della disperazione tutto il dramma. Dramma di un inverno indimenticabile: Roma 1944, neve, fame, Via Tasso, Fosse Ardeatine. Sembrano i fogli bianchi di un un diario oscuro e chiuso in un cassetto e sono ferite e sangue vivo, parole e carne della storia.
Quella popolana, quello scialle, quelle lacrime sono state il lievito di una scattante personalità alla quale, oggi, il pubblico cinemaotografico guarda con umana e penetrante simpatia. Anna Magnani si è così guadagnata il saluto del pubblico popolare. Questo saluto è nato proprio nel momento in cui Anna, la popolana di « Roma città aperta» correva lungo la strada, correva conte tante madri italiane, ferite e devastate, correva come il dolore italiano del 1944.
La Magnani da quel giorno è entrata vittoriosa nella nostra memoria anche se questa è ancora legata ad un gusto complicato e raffinato di impasti intellettualistici (Greta Garbo, Ingrid Bergman, Doroty Mc Guire, Bette Davis, Michèle Morgan). Ebbene Anna Magnani sintetizzando splendidamente virtù e vizi della donna italiana, ha saputo riportarsi alla schiettezza, alla drammaticità, alla mutevolezza, alfa malinconia ed anche alla superficialità di «un personaggio».
Concediamo pure a questo personaggio un forte rivolo di vernacolismo e se volete di «provinciale», ammettiamo anche che Anna Magnani scivoli frequentemente sul «va a’mmorì ammazzato» oppure su di un travolgente florile-
gio di esplosività cacofonica, ma tutto questo non cancella per nulla la vibrante violenza esprcsssiva della nostra Attrice.
Essa non potrà mai essere una duchessa con i telefoni bianchi perchè il posto, la voce ed il cuore della Magnani sono oltre l'uscio, proprio dentro il negozio della farinotta, della bisagnina o accanto all'acqua sporca dei lavatoi. Ecco quale è l'itinerario genuino di Anna Magnani.
E quando vedrete il suo penultimo film (l'ultimo è Assunta Spina) «L'onorevole Angelina» valuterete bene la invettiva carica di sarcasmo e di nausea indirizzala alle cosiddette signorine e signorini di buona famiglia (quelli che fanno l'elemosina quando sanno di essere «osservati»).
Anna Magnani ha solo un atroce cruccio intimo: il suo bambino non può giocare a mosca cieca con i suoi piccoli compagni perchè i colpito
da paralisi infantile. Questa volta è il concreto e corposo dolore che abita la casa di Anna Magnani. Ed il nostro pubblico così generoso e gentile, ora che sa, augura all'Attrice tanta forza e tanta speranza.
Tullio Cicciarelli, «Il Lavoro», 14 gennaio 1948
Nell’isola di Vulcano, quando si girava il film Vulcano, i pescatori che approdavano ogni mattina per rifornire la mensa dei cinematografisti chiedevano se si poteva vedere Maddalena. Unn’è Maddalena? domandavano. Maddalena era il personaggio del film, e il personaggio aveva sopraffatto Anna, una signora bruna che era giunta da Roma con un cane lupo al guinzaglio. A Maddalena, nel film, il destino aveva imposto quasi la stessa vicenda delle genti dell’arcipelago Eolie, la vicenda delle maree: partire e tornare dai continenti più lontani; partire per vivere, tornare per morire. E nel personaggio di Maddalena, la donna disperata che torna all’isola natia dopo tanti anni di assenza la gente dell’isola ritrovava un poco se stessa.
In questo film, passioni umane primordiali ed essenziali trovano una sorta di giustificazione e un movente nell’ambiente naturale, aspro, inquieto, e quasi minaccioso dell’isola vulcanica. La natura, dovendo sempre prevalere e quasi intonare l’azione cinematografica aveva bisogno di una interprete che le andasse incontro di continuo e la tollerasse ogni sua manifestazione. Questa, interprete non poteva essere che Anna Magnani.
La potente originalità di Anna Magnani comincia dal suo viso, e al suo viso finisce. E’ in quegli occhi spietati al primo aspetto, mentre sono umanissimi non appena ne discenda uno sguardo; è in quella bocca che parrebbe violenta, e invece si schiude in una piega di tenerezza; è in quel profilo diritto e severo che però si. anima e si rivela solo nelle espressioni di bontà. L’aspetto d’una Magnani ridanciana e popolaresca è il più convenzionale; oltre questo volto esiste infatti una personalità artistica i cui caratteri sono tanto lievi e profondi da rendere ardua una definizione anche approssimativa. Vi è un altro pregio nell’arte della Magnani, che più profondamente colpì Dieterle, un regista tutt’altro che disposto a fare concessioni di genere estetico ed artistico, e cioè il suo sapere in un sol tempo aderire all’ambiente in cui il dramma si svolge e alle esigenze di una interpretazione destinata al pubblico di tutto il mondo. Vulcano nacque giorno per giorno, ora per ora, dalla intesa artistica, veramente istintiva, fra Anna Magnani e William Dieterle. Chi ha assistito alle riprese fin dal primo colpo di ciack, può dire coni e non una sola volta sia capitato che i punti di vista fra Anna e Dieterle divergessero tanto da non poter essere subito conciliati. Dieterle esprimeva l’opinione che tale scena doveva ripetersi, ed Anna era dello stesso avviso, proprio per gli stessi motivi; Anna Magnani preferiva che l’intonazione di una battuta fosse una invece di un’altra, e Dieterle doveva riconoscere che era giusto.
Vulcano è, prima di tutto, un perfetto esempio di collaborazione internazionale. E’ la prima volta che un regista straniero della levatura di Dieterle dirige, in Italia, un film interpretato da un’attrice celebre in, tutto il mondo come la Magnani, da un attore popolarissimo da noi e in forte ascesa negli Stati Uniti, Rossano Brazn e da una giovane americana a anch’essa già celebre, Geraldine Brooks. Ma l’importanza di Vulcano non sta tutta qui. Nato dalla accorta combinazione di grandi talenti artistici e di provate capacità tecniche, prodotto con capitali interamente italiani, ambientato nella culla della latinità, il Mediterraneo, Vulcano e è stato reclamato, ancor prima che fosse dato un solo giro di manovella, da tutti i mercati americani, del Nord e del Sud America; conteso da tutti i distributori europei, accettato in partenza, in tutto il mondo, come il più grande film che sia stato mai messo in cantiere. Il successo di questo film sarà il successo di un gruppo di artisti e di industriali. Ma significherà anche preminenza, in tutto il mondo, di un modo di sentire, di lavorare, di creare; accettazione di una maniera di pensare, di vivere, di amare.
(Artisti Associati Distrib.)
«Il Piccolo di Trieste», 17 febbraio 1950
«Bellissima», l’ultimo film di Luchino Visconti che tanto successo sta avendo in tutta Italia, è un'opera di altissimo valore artistico ed umano. In esso è narrala una storia — quella che seguirete attraverso questi fotogrammi — amara e piena di significato. Non vale cercare la felicità in un mondo equivoco, cinico e falso: la felicità è nella vita concreta, reale, pulita e onesta, nell'amore delle persone che ci sono intorno. Anna Magnani è la mamma: una mamma appassionata, tenace impulsiva, una donna romana piena di slancio e di amore. Walter Chiari è Alberto Annovazzi, uno di quei cinici giovanottelli che vivono ai margini del cinema, ed ha interpretato da ottimo attore il suo personaggio. L'operaio Gastone Renzelli è il padre della «bellissima» bimba, la piccola Tina Apicella.
«Noi donne», anno VII, n.3, 20 gennaio 1952
45 domande ad Anna Magnani
Anna Magnani è nata in Egitto, al Cairo, da genitori italiani, ed è cresciuta, a Roma. Esordì in teatro nel ’32 con la compagnia di A. G. Bragagtia, e nello stesso anno conobbe il regista Alessandrini che doveva sposare qualche tempo dopo. Film: ”La cieca di Sorrento”; "Cavalleria”; ”Teresa Venerdì”; "Roma città aperta”; "Vulcano”; "Bellissima"; "L’onorevole Angelina”, che le valse un premio a Venezia per la migliore interpretazione femminile e la "La rosa tatuata", non ancora proiettata. Ha un figlio. Luca. Vive in una villa al Circeo.
Domanda. - Quale reazione le provoca la richiesta di un autografo?
Risposta. - Dio mio!
D. - Se potesse scegliere il suo regista, su chi cadrebbe la sua scelta?
R. - Non sempre si può scegliere il proprio regista come si sceglie il proprio sarto. Purtroppo!
D. - Che cosa pensa di se stessa?
R. - Un gran bene.
D. - Qual è secondo lei la differenza fra Roma e Milano?
R. - Roma è mia. E’ come se mi chiedessero che differenza passa fra mia madre e mia zia.
D. - Fatta astrazione delle necessità di carattere pratico, ritiene che un uomo (o una donna) possa vivere solo, essere insomma sufficiente a se stesso?
R. - Purtroppo... no! Nemmeno i geni sanno star soli!
D. - Ritiene che l’orgoglio sia un fattore negativo o alla lunga positivo ai Ani del successo di una persona?
R. - Non sempre. Ma a volte può determinare il successo se lo si ha al momento giusto.
D. - Vuol dirmi qual è secondo lei il segreto per riuscire nella vita?
R. - Essere incoscienti. Essere belli. Campare di prepotenza.
D. - E questo vale anche per il suo caso particolare?
R. - No. lo ho solo creduto in quello che facevo. Il resto non sta a me dirlo.
D. - Qual è la testimonianza di simpatia e di ammirazione che durante la sua carriera l’ha toccata più profondamente?
R. - Fu subito dopo la liberazione di Roma. Recitavo in una Rivista al Cinema Reale. Il giro nei teatri secondari era sempre abbastanza movimentato e burrascoso. I grossi teatri li avevamo fatti tutti. Bisognava lavorare. Il fatto di andare in tutti i quartieri di Roma ci incuriosiva e ci commoveva. Ma quella sera al Reale la gazzarra fu grande. Cominciò qualcuno a protestare perchè si erano tagliati due quadri. Dalla Galleria una voce che non ammetteva replica, urlò: « A Nannaré, so’ tre vorte che vengo a vede’ la rivista, ce mancheno du’ quadri, li devi da rimétte ». Cominciò il putiferio. Volò una poltrona in palcoscenico, uno spettatore fu colto da attacco epilettico, tutta l'atmosfera si arroventò di colpo, ruppero tutte le vetrate dell'ingresso, e alla fine io feci calare il sipario. Feci sapere loro, che se non si comportavano correttamente, lo spettacolo sarebbe stato sospeso, soprattutto perchè « la signora Magnani ha paura... ». Bastò questo. « A Nannaré, a te chi te tocca, ma magari ce proveno, ecc. ». Morale al colmo dell’entusiasmo, alla fine del primo tempo io e i miei compagni fra i quali Carlo Ninchi, Aroldo Tieri, Olga Villi, Ave Ninchi, e gli altri, fummo obbligati, tutti in fila, a cantare la ”Leggenda del Piave”. Venne giù il teatro. Uno non so da dove, cacciò fuori una bandiera, montò in palcoscenico e mi ci avvolse tutta. Dopo di che bis del "Piave”! Rientrando in camerino l’amministratore venne da me dicendo che una delegazione da parte del pubblico voleva parlarmi, e chiedermi scusa. Vennero su. Erano fruttivendoli, operai, ecc. Vennero con un quintale di patate dentro un sacco. « Lei ce scuserà, sa, stasera avemo esagerato, ma lei pe’ noi è... che je dovemo di’, lei è sempre... ». Non sapevano più che dire. « Accetti questo omaggio, senio in guerra, non se trovano ». E scaricarono patate e bandiera insieme nel mio camerino. Erano commossi. Fu il più bell’omaggio di tutta la mia carriera di attrice.
D. - Recentemente un fotografo ha avuto l’idea di fotografare, passaggio per passaggio, tutte le varie ”pose” della vestizione di un’attrice per recarsi ad uno spettacolo, ossia dal momento in cui questa usciva dal bagno fino all’ultimo ritocco di trucco. Queste fotografìe, pubblicate mi hanno fatto pensare alla documentazione e trasposizione moderna del "lever du roi” (o de la reine) di secentesca memoria. Accettando questo fenomeno come un dato di fatto ormai acquisito, come lo giudica lei personalmente?
R. - Pietoso. Difatti in Francia scoppiò la Rivoluzione.
D. - L’interpretazione di un personaggio le ha mai per caso insegnato qualcosa nei confronti della vita pratica. Se sì, in quale occasione?
R. E’ il contrario. E' la vita che mi ha insegnato a creare i miei personaggi.
Ù. - A quale età ritiene di aver lasciato l’infanzia?
R. - L’8 settembre del ’43, quando i tedeschi occuparono Roma!
D. - Se ciò le fosse concesso, ricomincerebbe la sua vita daccapo senza sapere, naturalmente, che cosa l’attende, ma così alla ventura?
R. - Magari!
D. - Nei giochi infantili, quale parte le piaceva riservare per se?
R. - Non credo di aver giocato molto nella mia infanzia. L’unica cosa che mi piaceva veramente, ricordo, era di chiudermi in camera mia a fantasticare.
D. - Qual è il pubblico, in Italia, che sente più vicino a se? R. - Tutto.
D. - Qual è il personaggio (della Storia) che sente più vicino al suo temperamento?
R. - Caterina Sforza.
D. - Se fosse vissuta alla corte del Re Sole, chi avrebbe voluto essere?
R. - Il cane preferito del Re.
D. - Qual è stata la sua prima reazione trovandosi per la prima volta alla presenza di un cadavere?
R. - Non ho mai visto un cadavere. Mi rifiuto di vederli. Ho paura.
D. - Qual è Stata la più violenta emozione della sua vita?
R. - Il giorno che sentii di aver concepito un figlio.
D. - Costretta a vivere in esilio in quale città avrebbe desiderato vivere?
R. - Un bell’esilio a New York o a Parigi, che ne dice lei?
D. - In genere, la sua naturale tendenza, la spinge a cercare amicizie, a circondarsi di persone che sono più o meno intelligenti di lei?
R. - Più intelligenti di me. A volte però i semplici riposano lo spirito, purché siano autentici.
D. - Le è mai accaduto (nella vita naturalmente), di essere costretta a recitare una parte, come sulla scena? Se sì, in quale occasione?
R. - Non ho mai fatto questo sforzo. Una volta, innamorata commisi questo sbaglio. Ma per poco tempo!
D. - C’è nella sua vita una piccola azione che le ha lasciato un grande rimorso?
R. - Tante. E nella sua?
D. - Sarebbe disposta a sacrificare la sua indipendenza per qualcuno o qualcosa?
R. - Per niente al mondo e per nessuno al mondo.
D. - Supponiamo che ad un passaggio di frontiera lei venga trovata sprovvista di documenti e che non venga nemmeno riconosciuta. Invitata, come si usa dire, a "qualificarsi”, che cosa risponderebbe?
R. - Ma che ne so! Sarebbe, in ogni caso, uria bella scocciatura.
D. - Qual è secondo lei il colmo dell’infelicità per un individuo?
R. - Non poter mai innamorarsi.
D. - La prospettiva di rimanere, come si suol dire con una espressione banale, "sola con i propri pensieri” per un prolungato periodo, la spaventa o la seduce? In questo caso in quale cornice naturale vorrebbe che ciò avvenisse?
R. - Mi piace essere sola con i miei pensieri. La cornice che preferisco è il mare, di fronte a casa mia a San Felice Circeo.
D. - Se le rimanesse mezz’ora di vita, come la impiegherebbe?
R. - Chiederei un’udienza al Papa.
D. - Il contatto anonimo con la folla, quale reazione le provoca?
R. - Sgomento.
D. - Preferisce i vinti o i vincitori della vita?
R. - I vinti. A volte vincere è molto facile, è questione di possibilità.
D. - Se le fosse concesso un atto di potenza assoluta che cosa farebbe?
R. - Eliminerei tutti gli imbecilli e tutti gli eccessivamente ambiziosi, sono loro la causa di tutti i guai.
D. - L’eliminazione di un eventuale nemico le provoca piacere, lo lascia indifferente, o provoca addirittura un rovesciamento dei suoi sentimenti?
R. - Dipende. L’eliminazione di certi nemici andrebbe onorata con una rispettabile sbornia.
D. - Quale virtù apprezza maggiormente in un uomo?
R. - La lealtà.
D. - Vuol dirmi qual è secondo lei la differenza esistente fra superbia e orgoglio? Si ritiene orgogliosa?
R. - Siccome la differenza tra superbia ed orgoglio non è una opinione, la dovrebbero conoscere tutti. Per quello che mi riguarda forse sono orgogliosa. Ho un grande rispetto di me stessa.
D. - C’è una ”cosa” nella vita cui, come dice un abusato "modo di dire” preferirebbe, pur di non affrontare la morte?
R. - Preferirei morire piuttosto che di affrontare l’angoscia di una altra guerra nel mio Paese.
D. - Avrebbe preferito essere Beatrice, la signora Bovary, la signora de Renai o la Regina Vittoria?
R. - Nessuna delle quattro, poverette!
D. - Quale sarebbe il suo partner ideale?
R. - Io non ho un solo partner ideale. Fra i tanti quelli che vorrei avere vicino a me sono Spencer Tracy e Marion Brando.
D. - Se venisse posta nell’alternativa: non recitare nemmeno più una sillaba, contro l'acquisto di non importa qual bene materiale, quale sarebbe la sua risposta?
R. - Per nessun bene materiale. Sacrificherei il mio lavoro
solo in un caso. Se mio figlio potesse avere le sue gambe come io gliele avevo fatte.
D. - Dovendo raccontare una favola ad un bambino, quale sceglierebbe?
R. - Non so raccontare favole, nè ai grandi nè tanto meno ai bambini.
D. - Ci sono delle colpe che è disposta a perdonare e delle virtù che, al contrario, la infastidiscono?
R. - Perdono tutte le colpe che si commettono per amore. Non perdono l’eccessiva bontà.
D. - Una soubrettina in mal di pubblicità decide, per far parlare di sè, di inscenare il proprio suicidio, ma sbaglia dose e muore. Come reagisce lei a questa notizia? Invierebbe dei fiori, seguirebbe il suo funerale, deplorerebbe la sua idiozia?
R. - Mi darebbe una gran pena un fatto simile. Ma nei tempi in cui viviamo bisogna capire e perdonare anche questo.
D. - Se una sua ammiratrice compisse un lunghissimo viaggio per venirla a vedere, la cosa (che le è già forse accaduta) le farebbe piacere, la infastidirebbe o la lascerebbe del tutto indifferente?
R. - Comunque... mi commuoverebbe!
D. - Quale pensa possa essere il "toccasana” per risolvere l’attuale crisi del Cinema italiano?
R. - Serietà e onestà!
D. - Sofia Loren, Mangano, o Lollobrigida?
R. - Al mondo c’è posto per tutti.
D. - Come mai non partecipa ai Festival e alle manifestazioni che all’estero hanno veduto le nostre attrici graziose ambasciatrici del Cinema italiano?
R. - Ammiro le mie graziose colleghe che svolazzano per il mondo. A me dà pensiero persino di attraversare la strada davanti a casa mia!
Enrico Roda, «Tempo», 1955
Ischia, giugno
In una piccola insenatura nascosta all’occhio indiscreto dei turisti, sudo sfondo di un paesaggio che sembra appartenere ad un sogno, alcune suore si trovano a bordo di una barca Una di esse, evidentemente la più esperta, muove i remi con disinvoltura e dirige le operazioni per la pesca. Le altre «sorelle» gettano la rete e fanno del loro meglio per rendersi utili, ma si capisce che non hanno molta dimestichezza con questa insolita attività. Nè potrebbe essere altrimenti, perchè le suore non hanno mai dimostrato spiccate attitudini marinaresche; ma tant'è, le vie della Provvidenza essendo infinite, nulla di strano che Anna Magnani nelle vesti di Suor Letizia — una suora che può vantare una lunga esperienza missionaria, dotata di un vivo senso pratico e di una non comune energia — abbia deciso di provvedere con la pesca alle immediate esigenze di un antico monastero, tra le cui mura vivono alcune suore in estrema povertà.
Da uno scoglio vicino, il regista Mario Camerini, megafono alla mano, osserva attentamente la scena. «Proviamo ancora una volta», egli dice; e tutto si ripete da capo. Ora si girano i campi lunghi. Per domani sono previsti i primi piani. Da un’altra barca la macchina da presa seguirà le suore per coglierne le varie espressioni, comprese le più riposte sfumature che si alternano sul volto suggestivo ed intensamente drammatico della Magnani. Net frattempo alcuni giornalisti seguono dalla spiaggia le diverse fasi delle riprese. Vi sono, tra gli altri, Angelo Nizza della «Stampa», J. Tody del «Daily Express», Roberto Mangin, direttore della «France-Presse», e Vittorio Calvino, il noto commediografo e soggettista che essendo un vecchio ed affezionato amico di Nanna-rella fa gli onori di casa. Evidentemente l’Oscar assegnatole per «La Rosa tatuata» impegna la Magnani più che mai e fa sentire i suoi effetti anche per quanto riguarda la puntualità del lavoro. Ce lo confermano con evidente soddisfazione, il regista ed il direttore di produzione Emo Bistolfi. Le complesse difficoltà incontrate fino ad oggi durante la lavorazione di «Suor Letizia», cui partecipano Eleonora Rossi Drago, Antonio Cifariello, Luisa Rossi ed altri, non hanno affatto ritardato il ritmo delle riprese.
L’abito che indossano le monache ha già una sua storia piuttosto burrascosa che si è risolta comunque per il meglio. Dopo le prime due settimane di lavorazione, ci fu un grosso ostacolo da superare. La Madre superiora delle Suore francescane, informata che nel film sì vestiva l'abito del suo Ordine, aveva fatto giungere una protesta in Vaticano. Pare che della cosa sia stato messo al corrente anche il Pontefice. Certo è che il Ministro An-dreotti intervenne personalmente presso la produzione, facendo apportare una lieve ma sostanziale modifica agli stessi indumenti. Naturalmente molte scene sono state poi girate una seconda volta. Anna Magnani si è prestata di buon grado a questo lavoro straordinario, con quella pazienza e praticità che sotto altra forma caratterizzano il personaggio cui dà vita con estrema convinzione.
A chi le chiede se si ritiene una donna buona o cattiva, la grande attrice risponde tra l’altro: «Credo di essere molto buona, nella vita, però. Nella vita tutto mi emoziona, mi commuove e mi spinge alla generosità, alla comprensione. Ma di fronte alla macchina da presa divento cinica, spietata, nel seneo che non ammetto si bari, o si cerchi di dare ad intendere di saper fare una cosa se non è vero. Io il mestiere l’ho sudato e sofferto. Ho impiegato molto tempo ed ho faticato per diventare «la» Magnani. Ora sudo e fatico per continuare ad esserlo». A Hollywood disse una volta ad un giornalista americano: «Quando soffro debbo soffrire veramente, anche per esigenze di scena, finché il cuore mi si spezza». Bene, possono sembrare parole grosse, ma chi la conosce o ha il piacere di assistere alle riprese di alcune scene particolarmente impegnative in «Suor Letizia», si rende conto che questa sua affermazione risponde al vero. Basta guardare all’istintiva naturalezza e all’emotività che la distinguono in questo suo ultimo personaggio, uno tra i più complessi e difficili, perchè forzatamente contenuto dalla dolcezza e dalla carità cristiana che l’anima. E’ una Magnani nuova, insomma, tanto più prodigiosa e convincente nel ruolo sostanzialmente diverso e lontano da quelli precedenti. Suor Letizia torna in Italia dopo ventanni di vita missionaria In Africa. Viene incaricata di svolgere un difficile compito in un’isola del golfo partenopeo, dove c’è un antico monastero abitato da poche suore che vivono a stento, dimenticate da tutti fuorché dai creditori. Bisogna chiudere il convento, liquidarne la passività e riportare le sorelle alla Casa Madre. Commossa dallo squallore in cui vivono le povere monache, ella si dedica con tatto ed energia all’incarico affidatole sia pure modificando gli ordini della Madre generale. Una sera scopre tre bambini che stanno per rubare l’unica capretta dea convento. Riesce ad avvicinarne uno, Salvatore, e a farselo amico. Preoccupata per le sorti del piccolo, Suor Letizia lo accoglie nel monastero, mentre nel suo cuore si fa strada un sentimento che le era sconosciuto: l’amor materno. E la storia del film è Impostata appunto sull’affetto di Suor Letizia per il bambino, un affetto che la induce a prendere coraggiose iniziative. Grazie alla sua intraprendenza il convento non sarà chiuso. Diverrà rifugio dei piccoli diseredati come Salvatore. Suor Letizia dovrà poi separarsi dal suo piccolo amico, non senza prima averne assicurato l’avvenire. Soffocherà nel cuore la sua grande malinconia e ripartirà nuovamente per terre lontane.
Anna Magnani conta di fare ancora due o tre film. Confessa che poi vivrà finalmente come una madre qualsiasi insieme a suo figlio: «Ho sempre sognato che diventasse un grande pittore», aggiunge. Luca ha tredici anni. Per lui Nannarella non riposa sugli allori.
Nei giorni scorsi per salutare la Magnani è giunta anche Ginger Rogers, la quale dopo aver espresso ai giornalisti tutta la sua ammirazione per la squisita sensibilità drammatica della nostra attrice, si è detta entusiasta di Ischia, che ella pittorescamente definisce l’isola dell’eterna giovinezza. Accompagnata dal marito, ha visitato le terme radioattive di Lacco Ameno, dove trascorrerà le sue vacanze non appena sarà di ritorno da Hollywood. Inizierà l’interpretazione di un film tra una settimana. Alla vigilia della sua partenza, Ginger ha offerto un cocktail al «Regina Isabella», durante il quale ha detto che l’Italia è il più bel Paese del mondo, ma che Ischia è l’angolo più incantevole d’Italia.
Gino Barni, «Il Piccolo di Trieste», 8 giugno 1956
Nessun avvenimento del cinema ha mai interessato Roma quanto l'assegnazione ad Anna Magnani del premio Oscar per la sua interpretazione del film «La rosa tatuata», tratto da un lavoro del commediografo Tennessee Williams. L'esuberante folla romana ha applaudito la sua «Nannarella» in tutti i luoghi in cui la grande attrice si è recata ed in modo particolare dinanzi all’ingresso di un grande albergo in via Veneto in cui ella ha tenuto una brillantissima conferenza stampa ai rappresentanti del giornalismo di tutto il mondo.
«Tutti dicevano che mi avrebbero dato l'Oscar», ha detto tra l'altro la Magnani che appariva commossa per il conferimento dell'ambitissimo premio, «ma io continuavo a dire di no per scaramanzia». L’attrice ha saputo del riconoscimento delle proprie doti di interprete la mattina prima dell'alba, quando è stata svegliata da un giornalista americano. Poi, passato l'uragano dei telegrammi, delle felicitazioni e degli auguri, Anna ha piantato in asso tutti ed è volata a Losanna, dove si trova in cura suo figlio Luca, colpito da poliomielite.
«Novelle film», 1956
La colpa più grave della cinematografia italiana — quella che i tecnici di queste cose assegnano alla categoria dei «peccati contro lo Spirito Santo» e giudicano senza possibilità di remissione — è nell'aver ecceduto nell’esportazione di carne. «Toujours perdrix»: l’abbondanza ha provocato la noia. La noia, il fastidio. Il fastidio» lo scandalo. Già in molti Paesi a fondo quacquero questa carne italiana d’esportazione è guardata con diffidenza e sospetto. L’ignoranza delle cose nostre all’estero è grande e di certo non giovano a dissiparla le «ambasciatrici d’italianità» che, di quando in quando, diramiamo ai quattro angoli del mondo, con Io scopo principale di richiamare l’attenzione sulla nostra produzione pellicolare e quello subordinato di rinfrescare la memoria sulla nostra terra di santi, di eroi e di poeti. Care ragazze, brave ragazze, splendide ragazze, le «ragazze-carne», come le chiamano gli inglesi, han tutto da guadagnare — al pari di certa pittura — ad essere viste in distanza: più cresce la distanza più ci guadagnano. Imperdonabile leggerezza, quindi, quella di coloro che s’ostinano a farle toccar con mano ora dai turchi, ora dagli svedesi, ora dai tedeschi. Errore enorme: sia pur lentamente, com’è loro costume, questi popoli «realizzano» che esse sono «effettivamente» carne, «tutta» carne, «solo» carne. E se ne sgomentano, e cessano di adorarle; perché eran persuasi, senza aver troppo approfondito, ch’esse fossero concetti platonici. Solo noi, loro compatrioti, sappiamo da sempre che non lo sono e soffriamo (moderatamente) per loro quando ci accade di cogliere nelle cronache dì giornali stranieri il sottinteso ironico onde sono descritti i fatti memorabili delle nostre dive in trasferta e riportati — ahimè — i loro detti.
Una almeno si salva, lodiamo Iddio (o chi per Esso), la quale non ha bisogno di far inchini c riverenze ai potenti, né pellegrinaggi in nessuna terra più o meno santa e neppure di tenerci al corrente delle proprie vicissitudini anatomiche per occupare — senza sottintesi ironici — le cronache dei giornali di tutto il mondo.
Si chiama Anna Magnani, attrice drammatica» e il suo nome è legato a quanto di più durevole ha prodotto li cinema italiano dal 1945 in qua, da «Roma, città aperta» a «Bellissima» ; l’unica che sia stata chiamata a interpretare un film in America non in seguito a complicate alchimie finanziarie ma proprio e soltanto per se stessa, perché si chiama Anna Magnani; perché non è il prodotto d’uno dei tanti, formidabili «uffici stampa», sui quali poggiano le fortune di così gran parte della nostra industria cinematografica, ma perché ha il temperamento di Anna Magnani, il talento di Anna Magnani: qualità che non si possono fingere, non a lungo quantomeno. Ora le è stato assegnato dal critici di New York con 13 voti su 16 il premio per la miglior interpretazione femminile dell’anno (quella di Serafina nel film «The rose tattoo», «La rosa tatuata» tratto dalla commedia di Tennessee Williams). E nessuno — caso raro — ha trovato niente da ridire: non ci sono state riserve, non contestazioni, non recriminazioni.
La stampa, per spiegare con un esempio la qualità dei sentimenti provati assistendo alla prima del film ha evocato come termini di paragone i nomi di Eleonora Duse e Greta Garbo. Scrive il «New York Times»: «Mai prima d'ora ci è accaduto di essere posseduti da un’emozione così intensa, nemmeno quando sui nostri schermi appariva Greta Garbo. Forse soltanto Eleonora Duse avrebbe potuto eguagliare in sensibilità l’attrice di ”Roma, città aperta”». Rincalza la «Saturday Reviev of Literature»: «...un evento del genere si verifica una volta sola nel corso di un’Intera generazione. Mal Hollywood ha avuto occasione di vedere un’interprete come Anna Magnani. Nulla ha potuto l’apparato hollywoodiano contro la personalità dell’attrice: essa non si è lasciata travolgere. Ha vinto. Per la prima volta un’attrice straniera si è preso il lusso di ignorare Hollywood, di sconfìggere Hollywood...».
L’elenco delle citazioni potrebbe seguitare: ma non è il caso di riproporre alla Magnani, tradotti, i ritagli stampa che le sono ormai pervenuti in lingua originale. Constatiamo invece, che il successo di Anna Magnani in America — di questi tempi in cui la dignità dell’attore è ogni giorno più compromessa, complice il complesso autolesionistico degli stessi interessati — rappresenta qualcosa come una inconsapevole, splendida, generosa vendetta. Senza attore non vi può essere vero teatro né vero cinema ma, tutt’al più, ingegnosi surrogati dell’uno e dell’altro. E’ una verità che tutti quanti fingiamo, spesso e volentieri, di aver scordato.
Anna Magnani è giunta in tempo a farcela tornare a mente: sarà opportuno che i primi ad esserne di nuovo convinti siano i suoi colleghi ìn arte, i meno solleciti, i più dimentichi della loro essenziale funzione nel nascere di questo mistero creativo che si chiama spettacolo. Che quella di «Annarella nostra» sia stata un’enorme interpretazione è ancora dimostrato da un particolare su cui le cronache non si sono — a nostro avviso — soffermate abbastanza. Se n’è accorta persino Marilyn Monroe che, domandata di che cosa pensasse di Anna Magnani: «What do you think of Magnani?», ha risposto con un sospiro: «Divine, just divine», «è divina, semplicemente divina...».
Questa «Rosa tatuata», questa Magnani nella «Rosa tatuata», dicono i critici americani, è veramente una cosa che muove le montagne. Lo crediamo.
Gigi Cane, «Noi donne», 1956
Sapete che mi hanno offerto di interpretare il personaggio di Anna Karenina? ». La voce di Nannarella è rotta dall'emozione, qualcosa, come un tremito, incrina il suo viso mobilissimo. Ma è solo un attimo. Subito dopo, la testa arruffata reclinata all'indietro, ella scoppia in una delle sue favolose risate. Poi con le mani nervose accende una sigaretta, con un gesto netto respinge una ciocca di capelli, e scrolla le spalle, come a voler cancellare quell’istante di debolezza, a voler ristabilire la misura consueta.
Ma Anna Magnani è davvero commossa. Commossa profondamente dall'accoglienza che i cittadini sovietici hanno riservato a lei e agli altri attori italiani andati in URSS a portare • La Lupa » di Verga e « Romeo e Giulietta » di Shakespeare, i due spettacoli allestiti da Franco Zeffirelli. A tutti, sì; ma soprattutto a lei. Non è difficile capire perchè un popolo cordiale e pieno di comunicativa come quello sovietico si sia innamorato di Anna Magnani. La sua eccezionale bravura di interprete, la sconvolgente verità del personaggio della Lupa da lei creato non sono che una spiegazione parziale. Perchè l'immediata corrispondenza stabilitasi tra il pubblico sovietico e la nostra attrice attraverso il mezzo della sua interpretazione è stata qualcosa di più e di più profondo del rapporto, sia pure vivo e diretto, tra un grande attore e un pubblico sensibile.
La chiave sta nell’umanità così ricca di Nannarella, nella sua bella spontaneità, nella sua personalità aperta, fresca, giovane. Per questo Nannarella è tanto commossa, quando parla della proposta ricevuta a Mosca di sostenere il ruolo di protagonista in un film tratto dal famoso romanzo di Leone Tolstoi. Perchè è questa la testimonianza più significativa — più significativa ancora degli applausi senza fine, delle feste organizzate in suo onore, delle strette di mano e dei sorrisi di simpatia — dell'affetto che s'è conquistata. Anna Karenina è uno dei personaggi più cari al popolo russo: offrirlo a un'attrice straniera equivale ad una dichiarazione di stima e amicizia.
Se il film si farà, Anna Magnani avrà l'occasione di dire grazie nel modo che le è più congeniale: creando, con la sua istintiva, totale partecipazione, un personaggio vero, vivo, umanissimo. La sua Anna Karenina avrà forse dei tratti un po' troppo latini, ma sarà certo, come la volle Tolstoi, una donna piena d'amore.
«Radiocorriere TV», 1966
E' morta Anna Magnani
L’attrice è stata stroncata da un male inguaribile
Giancarlo Grazzini, «Corriere della Sera», 27 settembre 1973
Morte di un'attrice - La Magnani
Indro Montanelli, «Corriere della Sera», 27 settembre 1973
L'attrice che personificò il nuovo cinema italiano
E' morta Anna Magnani
L'attrice che personificò il nuovo cinema italiano. Aveva 65 anni: la fine ieri pomeriggio, nella clinica dove era stata ricoverata per un tumore - Già affermata attrice nel teatro di prosa e rivista, rinnovò d'un tratto il nostro cinema con la grande interpretazione di "Roma città aperta" - La relazione artistica e umana con Rosselli™ e le successive incarnazioni del suo costante personaggio, la popolana di Roma, elementare e autentica - Poche ebbero la sua fortuna di nascere dialettali e diventare universali
Leo Pestelli, «La Stampa», 27 settembre 1973
Anna Magnani, il furore è donna
ANNIVERSARI Cent’anni fa nasceva la grande Anna Magnani, interprete ineguagliata di tanto cinema, da Fellini a Visconti, da Rossellini e De Sica. Cattolica e moderata diede comunque scandalo nell’Italia degli anni Cinquanta
Quando vedemmo per la prima volta Roma, di Federico Fellini, eravamo ragazzetti e Roma - quella vera - era una città della fantasia. Però avevamo già visto abbastanza cinema da riconoscere quel signore seduto in trattoria, ad un tavolino sfiorato dalle rotaie del tram: Alberto Sordi; e quella donna pedinata dalla voce di Fellini, che tenta di blandirla e si becca un sacrosanto «A Federi, ma va a dormì»: Anna Magnani. Nannarella faceva solo una «ospitata» in quel film, e rimane un grande rimpianto che lei e Fellini non abbiano mai più lavorato assieme.
C'era tutta Anna e c'era tutta Roma, in quella scena: e imparando che Fellini non amava girare dal vero e preferiva ricostruire qualunque cosa a Cinecittà, rimanemmo convinti a lungo che anche quell'incontro fosse avvenuto in qualche angolo magico del Teatro 5. Solo anni dopo scoprimmo che quella era la vera casa dell’attrice: grazie alla nipote di Anna, la brava attrice Olivia Magnani, che ancora ci abita. Anna viveva a Palazzo Altieri, nel centro storico di Roma: in piazza del Gesù, davanti alla vecchia sede della Democrazia Cristiana. Si può scriverlo senza attentare alla privacy della nipote Olivia, né di chiunque altro: proprio a Palazzo Altieri si è tenuta qualche giorno fa la prima di una serie di celebrazioni per il centenario della nascita (Anna nacque a Roma il 7 gennaio del 1908).
Era una donna libera amò uomini sposati che non l’avrebbero mai sposata (Rossellini) ed ebbe un figlio fuori dal matrimonio
In quell'occasione sono state dette cose giuste e cose sorprendenti. A noi, saremo sinceri, fa ancora una certa impressione sentir dire all'onorevole Giulio Andreotti che «le dobbiamo tanto, come dobbiamo tanto al cinema italiano di quell'epoca, che ci ha fatto riprendere quota in un mondo dove avevamo molti nemici». Ma pensa, a noi avevano raccontato come fra i nemici del grande cinema di allora ci fosse proprio l’onorevole in questione, enunciatore della famosa teoria dei «panni sporchi che si lavano in famiglia»; il tutto per un film, Umberto D., girato non da un pericoloso bolscevico, ma da un artista popolare come Vittorio De Sica. E anche la Magnani fu accusata di «dare scandalo» nell'Italietta degli anni '50: era una donna libera, amò uomini già sposati o che mai l’avrebbero sposata (come Rossellini, che le preferì la Bergman), ebbe un figlio fuori dalle leggi di Santa Romana Chiesa, Luca, al quale giustamente e orgogliosamente diede il proprio cognome. Del resto anche lei l'aveva avuto dalla madre e oggi quello stesso cognome, Magnani appunto, è portato con sacrosanta fierezza dalla nipote. Una discendenza matrilineare arrivata ormai alla quarta generazione, qualcosa che la Sacra Rota e Papa Ratzinger difficilmente potrebbero accettare. .. eppure Anna era religiosa, e da diva numero 1 del nostro cinema non disdegnò di frequentare politici (fra i quali lo stesso Andreotti) e prelati.
Questo, sì, è un tema su cui si dovrebbero fare revisioni - non revisionismi - a 360 gradi: chi a destra accusa la sinistra della famosa «egemonia culturale», o chi a sinistra si vanta di tale mito, dovrebbe chiedersi come mai alcuni degli artisti più radicali e rivoluzionari del cinema italiano del dopoguerra non fossero affatto «comunisti». Rossellini, Fellini, De Sica, Totò, Sordi e la stessa Magnani erano cattolici e moderati, ma quando c’era
Per il comunista Pier Paolo Pasolini fu l’indimenticabile «Mamma Roma» Era rivoluzionaria nelle scelte personali
il talento lavoravano con incalliti «intellettuali di sinistra» come Amidei, Visconti, Zavattini, lizzarli, De Santis o Pasolini. Per quest'ultimo, Anna Magnani fu un'indimenticabile Mamma Roma nel film omonimo, e chissà quanto si divertirono, lei e Pier Paolo, a far pronunciare all’ex prostituta la battuta con la quale rimette in riga il figlio ribelle: «Ahò, ma che te metti a fa’ er compagno?». La verità è che il miglior cinema italiano di quegli anni fu per natura intrinseca rivoluzionario, anche quando era scritto diretto e interpretato da persone che nella vita non lo erano affatto. Rivoluzionaria, Anna, a suo modo lo fu: ma per motivi caratteriali ed esistenziali, per le scelte personali di cui sopra, non per astratti furori ideologici. Furori, certo, ne aveva: ma molto molto concreti! Quando si arrabbiava, era meglio non essere nei paraggi: il famoso aneddoto della «orfana» di spaghetti messa in testa, a mo' di cappello, a Rossellini durante una scenata di gelosia è solo uno dei tanti. Questa esuberanza si trasferiva intatta nei suoi personaggi, temperata però da una tecnica senza pari, maturata in anni e anni trascorsi - in coppia con Totò, e con altri - sui palcoscenici del varietà. Infatti la cosa più giusta, a Palazzo Altieri, l'ha detta Carlo Lizzani: «Le attrici di oggi ricercano una naturalezza che spesso coincide con una noncuranza della dizione. Ci vorrebbe una Magnani al giorno, per ricordare a chi recita oggi che la naturalezza è qualcosa di estremamente costruito. Dietro Anna c'era un lungo lavoro di preparazione e studio».
Sante parole: ragazze e ragazzi, tutti a scuola, a lezione di Magnani.
RICORDANDO NANNARELLA
Tra le varie iniziative dedicate alla memoria della grande attrice romana, la riedizione di «Nannarella», il libro biografico curato da Giancarlo Governi. Pubblicato per la prima volta nel 1981, il volume viene riproposto arricchito di testimonianze. Un’altra biografia particolare la sta preparando il figlio Luca insieme a Matilde Hochkoflen «Anna sconosciuta», ritratto dell'attrice da una prospettiva inedita e più intima arriverà in libreria entro la fine dell'anno. Anche le Poste Italiane le renderanno omaggio con l'emissione di un francobollo speciale da 60 centesimi, raffigurante Usuo volto. È inoltre in preparazione un documentario sulla vita dell'attrice - la prima italiana ad essere premiata dall'Academy con l’Oscar (nel '56 per «La Rosa Tatuata») con interviste a Luchino Visconti, Marcello Mastroianni e Franco Zeffirelli. Domani Nannarella sarà ricordata anche da Sky Cinema Classics con il collettivo «Siamo donne» (1953), «Carosello del varietà», con Totò e Fabrizi (1955), e il documentario «Anna Magnani - Ritratto d’attrice».
Un omaggio teatrale le sarà dedicato sabato presso il Comunale di Morrovalle, dove va in scena «Nannarella», profilo di Anna Magnani in 2 tempi di Mario Moretti e Daniela Rotunno, adattamento e regia Tonino Simonetti, interprete Loretta Tartufoli.
Alberto Crespi, «L'Unità», 6 marzo 2008
Riferimenti e bibliografie:
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- La Stampa
- La Nuova Stampa
- Stampa Sera
- Nuova Stampa Sera
- Corriere della Sera
- Corriere d'Informazione
- Il Piccolo di Trieste
- Il Piccolo della Sera
- Il Piccolo delle ore diciotto
- Anton G. Bragaglia, «Cinelandia», 1 marzo 1946
- Tullio Cicciarelli, «Il Lavoro», 14 gennaio 1948
- «Il Piccolo di Trieste», 17 febbraio 1950
- Noi donne», anno VII, n.3, 20 gennaio 1952
- Enrico Roda, «Tempo», 1955
- Gino Barni, «Il Piccolo di Trieste», 8 giugno 1956
- «Novelle film», 1956
- Gigi Cane, «Noi donne», 1956
- «Radiocorriere TV», 1966
- Alberto Crespi, «L'Unità», 6 marzo 2008