Approfondimenti e rassegna stampa - Fred Buscaglione
Ecco, amici, se avessi avuto una colonna di giornale a disposizione, molte volte io avrei preso la penna in mano e magari, nella foga, avrei infilzato il foglio di carta invece di scriverci sopra in bella calligrafia, come adesso faccio, quanto segue: Titolo (avrei scritto prima di tutto): Umiliateli senza pietà.
Sottotitolo: E’ tempo di rivelare alle donne che, contrariamente a quanto si è lasciato loro credere finora, i cosiddetti « galli » in effetti non battono chiodo.E poi avrei attaccato:
Finché si scherza va bene; io in una canzone posso scrivere quello che mi pare perchè tanto, le mie canzoni hanno il solo scopo di divertire voi (possibilmente) e me. Però nella vita non è lecito essere buffoni olire un certo limite. Alludo a quella manifestazione di malcostume che va sotto il nome di « gallismo ». Un giovanotto esce di casa al mattino e, se non ha importunato un certo numero di signore per la strada o in autobus, se non ha tentato approcci con tutte coloro che ha potuto avvicinare, non rincasa soddisfatto.
Conoscete il personaggio: con gli altri uomini non parla che di donne, di quelle che ha avute e di quelle che ha rifiutate; con le donne fa una fatica enorme per trattare qualsiasi argomento di conversazione in chiave di galanteria. Il suo scopo supremo è di farsi credere un ossesso, una specie di maniaco dell'amore, uno che — se la Natura non gli avesse fortunatamente elargito bellezza, intelligenza, fascino, e quindi la possibilità di riscuotere sempre successo — avrebbe dovuto suicidarsi.
Bene; ora voi direte: ma che gliene importa a Fred? Perchè se la prende tanto a cuore? Io me la prendo per due motivi: primo, perchè dei « galli » mi irrita la totale mancanza di rispetto per le donne; secondo, perchè essi contribuiscono a mantenere in piedi quella favola del maschio conquistatore che tanto danneggia i tipi come me, i tipi cioè (anche contro le apparenze) perbenino i quali lasciando per cavalleria una parte di iniziativa alle donne, finiscono a volte col fare la figura dei babbei.
E così, .dicevo, molte volte avrei preso la penna in mano — nel caso in cui qualcuno avesse messo a mia disposizione dello spazio su un giornale, come inaspettatamente ora è accaduto — per smascherare i « galli » rivelando alle donne che in realtà, contro tutte le apparenze, questi signori non battono chiodo. Insisto: se c’è un personaggio che non combina niente, in materia di approcci, questo è il « gallo ». Chi combina qualcosa, infatti, 1) ha poco tempo a disposizione per parlarne; 2) si guarda bene dal fare chiacchiere per evitare complicazioni e per non rischiare di compromettere la perfetta riuscita dei propri affari.
Era questo che volevo dire e l’ho detto. Mi reputerei soddisfatto se, proprio in questo momento, non mi cogliesse il sospetto che tutto ciò le donne lo sanno perfettamente, assai meglio di me. Pazienza, la buona intenzione rimane. Vogliatemi bene.
Fred Buscaglione, «Noi donne», 1959
«Il Musichiere», 10 dicembre 1959 - Fred Buscaglione
Paolo Manfredi, R.R., «Il Piccolo di Trieste», 4 febbraio 1960
Solitudine e malinconia del cantante "duro"
Ricordo di Fred Buscaglione
Era a Roma una sera, pochissimo tempo prima di capo d’anno. A un semaforo, tra piazza del Popolo e via Cola di Rienzo aveva dovuto fermarsi anche lui ma nessuno l’aveva notato. Stava tranquillo su una Giulietta rossa col solito vestito blu e il fazzoletto bianco e i polsi della camicia stiratissimi che gli uscivano di tre dita dalla giacca. Era stato per i suoi polsi che mi ero accorta di lui ed ero rimasta a guardare i polsi perchè non volevo guardare la sua faccia a così pochi passi da un anno nuovo. lo insistevo a dire che Fred aveva la morte distesa sulla faccia già da tantissimo tempo e gii altri insistevano che non era morte ma wisky e insonnia e posa.
Aveva la morte distesa sugli occhi da tanto tempo e tutti gliela potevano vedere anche quando rideva. Veniva avanti e cantava e si appoggiava sempre a qualcosa, stanchissimo, e poi diceva grazie e sorrideva. Allora, estremamente chiara e aderente, la morte gli luccicava addosso più di ogni altra cosa.
Aveva cantato una sera alla televisione italiana, forse uno o duo mesi fa.
Doveva essere una serata allegra e lui era triste. Era il suo addio alla televisione, nessuno allora avrebbe potuto pensarlo che lui non sarebbe mai più ricomparso e non avrebbe mai più riunito quelle due dita incerte per dire che amava una piccola strega dannata viziata coccolata stupida eccetera; mai più tossito, rauco avvilito tetro u-briaco lugubre e finito per dire che la bambola» lo aveva ucciso.
Aveva cantato, allora, una ninna nanna «dura». Prima aveva avuto un lungo colloquio con la sua coscienza ma Fred non aveva voluto aver niente a che fare con la coscienza. Si proclamava incosciente e rideva di quella voce tenera e implorante che gli suggeriva cose che lui non amava più. Poi era diventato roco cantando la ninna nanna e, per la prima volta, a-veva creato un bambino per le sue canzoni.
Era un bambino che non poteva addormentarsi senza una ninna nanna e il suo papà aveva per forza dovuto cantare ; ma era un papà gangster, un papà a duro», tanto amaro, tanto duro, tanto finito. Tanto commovibile.
Casi era diventata una ninna nanna sofferta e dolcissima, malinconicamente affettuosa e appassionata. E Fred aveva finito, davanti al video, per commuoversi e commuovere veramente. Cosi che a-veva insinuato negli altri il sospetto di non essere quello che voleva sembrare ma di essere, sinceramente, un uomo triste e romantico.
Era stata la più autentica incarnazione del mondo falso che rappresentava.
Figurava una generazione bruciata e finita, senza altri ideali che wisky e curve bionde, senza nessuna speranza e desideri ina con tanti ricordi amari e tanta solitudine.
Di questo mondo che non esiste Fred era la sola figura vera fino a quando non aveva confessato tenerezza con quella strana ninna nanna per il primo bambino della sua vita. Ma subito dopo è tornato nel mondo dei personaggi dal wisky facile e dalle supermoleggiate atomiche; e ci era tornato solo il tempo necessario per morire.
- In un’ora squallida, su un autobus deserto, adagiato su un cappotto e con la testa fracassata, il cantante arrugginito che pareva un benzi-naro del Far West è morto solo lasciando a tutti la possibilità di dare la colpa alla sfortuna.
Tornando a quei polsi che mi avevano colpito pochi giorni prima dell'anno nuovo. oggi io mi rimprovero di averli guardati senza misericordia. Erano, allora, ancora l’unica cosa viva e notevole di una creatura che stava per finire.
Indosso, sotto la giacca blu coi bottoni d’oro che era diventata un po' la sua divisa, gli hanno trovato mi portafogli logorato e consunto. Era il vecchio portafogli dei vecchi tempi quando il piccolo e sconosciuto musicista Fred Buscagliene Scriveva «Non sparare» e «Porfirio Villarosa» senza una briciola di successo.
Aveva camminato, per la strada della canzone, sperduto e solitario, restando dietro a tutti per moltissimi anni. Era povero e inguaribilmente triste. Poi, il solito colpo di vento. La fortuna galoppò con lui per la strada fino all’alba del tre di febbraio. Del vecchio Fred non era rimasto che quei portafogli logorato; la tristezza e la malinconia erano invece state sepolte dalla ruggine della voce e dall’amarezza delle parole, che si creavano in lei.
Correva all'alba facendo posto sulla sua automobile rosa alla solitudine e alla malinconia che gli tornavano accanto quanto si era spenta l’ultima nota delle voci esterne.
Solitudine e malinconia e-rano con lui nell’alba mentre Fred sentiva il peso della morte sdraiarglisi addosso sempre con più insistenza. Poi è arrivato l’autobus che l’ha portato, disteso sui. suo corridoio, a morire un poco più in là, nel centro della Roma dorata dove Fred si era finalmente fatto un tronetto di note basse.
Solitudine e malinconia erano rimaste a guardia dell’automobile che era stata soffice come una cassata spagnola mentre gli amici di Fred singhiozzavano seduti sulle lamiere sventrate e colorate di rosa.
Erano una violenta Teresa con un fucile carico, uno spericolato Porfirio vagabondo, una piccola capricciosa seducente, un uomo imbottito di wisky, un altro uomo che era rimasto solo col suo rimpianto davanti alla luna sulla riva del mare e un bambino che non poteva dormire senza la ninna nanna del suo papà.
Erano le piccole patetiche figure di vita che Fred aveva creato per divertire la gente e che avevano reso triste lui. Triste al punto da indurlo a errare, solo e all’alba, lungo una strada dove passavano i camion carichi di tufo e pietrisco per la costruzione delle case nuove di Roma.
Edgarda Ferri, «La Gazzetta di Mantova», 11 febbraio 1960
Eri grande, Fred!
Riferimenti e bibliografie:
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Fred Buscaglione, «Noi donne», 1959
- «Il Musichiere», 10 dicembre 1959
- Paolo Manfredi, R.R., «Il Piccolo di Trieste», 4 febbraio 1960
- Edgarda Ferri, «La Gazzetta di Mantova», 11 febbraio 1960
- «Noi donne», 1960