Come diventai Abbe Lane
Nell'iniziare il racconto della sua vita, l'esuberante danzatrice di Brooklyn rievoca i suoi successi di bambina prodigio, ricorda come già allora avesse molti amici ma nemmeno una amica, e spiega in che modo seppe cogliere la prima grande occasione della sua carriera.
Sono nata a Brooklyn, Nuova York, nell’epoca della grande crisi: il 14 dicembre 1934. A questo numero quattro, "che è ripetuto due volte nella mia data di nascita, sono molto affezionata. Esso è legato infatti a molti e felici avvenimenti della mia vita. Quando avevo quattro anni, per esempio, ci trasferimmo in una casa nuova, più bella e più spaziosa; questa casa era situata al quarto piano; a quattro anni feci il mio debutto come cantante alla radio; a quattordici anni calcai per la prima volta le scene... E ci sono molti altri quattro nella mia carriera. Senza dubbio è un numero che mi porta fortuna. I miei genitori sono nati in America, ma mia madre è di origine spagnola e mio padre di origine tedesca. Quando nacqui, mio padre possedeva un negozio di vestiti da uomo e mia madre era una ragazza bruna, di carnagione e di capelli, piccola, minuta e bellissima. A sedici anni partecipò a un concorso di bellezza e venne eletta Miss Nuova York. A quei tempi non esisteva ancora il concorso per l’elezione di Miss America, e quello di Miss Nuova York era il titolo più importante e più ambito. Infatti mia madre, come già si usava, dopo l'elezione venne presentata a un regista; e se da quell’ incontro non sortì nessuna conseguenza pratica, la "colpa" fu di mio padre, che, proprio in quell’anno, la chiese in sposa.
Abbe Lane, a Roma, prova a piedi nudi una nuova danza. L'attrice è nata a Nuova York, nel vivace quartiere di Brooklyn, ventidue anni fa. Suo padre, di origine tedesca, era proprietario di un negozio di abbigliamento maschile, la madre, di origine spagnola, era indossatrice in una modisteria.
Io venni alla luce in circostanze piuttosto drammatiche. Mia madre era incinta di sette mesi, quando, andando a far compere in un magazzino di merci, mise il tacco della scarpa nell’interstizio di una scala mobile. La persona che la seguiva non si accorse del suo impedimento, e la urtò con una certa violenza facendola cadere a terra. Lì per lì sembrò che non le fosse successo nulla di grave; ma, avvicinandosi il giorno del parto, si manifestarono delle serissime complicazioni. Il medico consigliò il ricovero in clinica e un pronto intervento chirurgico. Ma per l’operazione ci volevano molti soldi, e quelli erano tempi brutti, erano, come ho detto, gli anni della grande crisi. Invano mio padre chiese aiuto agli amici: nessuno in quel periodo prestava soldi a nessuno. Allora, disperato, decise di disfarsi dell’unica fonte di ricchezza e di guadagno, e vendette il negozio. Prima di entrare nella sala operatoria, il chirurgo gli disse: «Il caso è molto grave. Se, come credo, dovremo scegliere, chi dobbiamo salvare, la madre o il figlio?». «La madre», rispose pronto mio padre. Per fortuna invece non ci fu bisogno di nessuna scelta e il chirurgo disse che sarebbe stato un vero peccato se io non fossi nata. A differenza di quasi tutti i bambini, che vengono alla luce rossi e paonazzi come pomodori il colorito del mio corpo era di un incarnato sorprendentemente roseo e delicato, e la forma della mia testa perfetta Posso affermare, senza timore di sbagliarmi, che quel chirurgo fu il primo dei miei numerosi ammiratori.
A dieci anni Abbe Lane lavorò per la prima volta in un film, una commedia musicale. Eccola (in primo piano) "soubrette" di una compagnia di minuscole ballerine, durante una ripresa. Nel film, oltre che ballare, cantava anche alcune canzoncine composte appositamente per lei.
A sinistra la piccola Abbe a un anno e mezzo, con la madre. Della madre l’attrice ricorda che l’assecondò nella sua vocazione e che ricorreva a sotterfugi per accompagna la dai registi, contro il parere del marito. Al centro, questa graziosa fanciulla paffuta è Abbe Lane, a sette anni, in vacanza al mare. Era già una bambina prodigio ma non per questo trascurava la scuola ed era molto diligente. A destra, un fotografo ambulante ha scattato questa immagine di Abbe Lane a otto anni, in compagnia del padre nel corso di un viaggio a Washington. La bimba era già fermamente convinta che il suo avvenire era sul palcoscenico.
Della mia prima infanzia ricordo solo che abitavamo, io, i miei genitori e mio fratello Léonard, maggiore di me di alcuni anni, in un grande casamento in prossimità del-l’Hudson. Dalle finestre si scorgevano il fiume color verde bottiglia, la sagoma scura e poderosa del ponte George Washington, il via vai dei vaporetti e delle chiatte; attraverso l’aria giungevano fino a noi, allegri o malinconici a seconda dei giorni, i fischi delle imbarcazioni a motore. Poi, davanti alla nostra casa, cominciarono a costruire un enorme edificio, e nello spazio di tre mesi scomparvero il fiume, il ponte, e i battelli: con grande dispiacere di mia madre, cui quella vista piaceva e comunicava, negli intervalli delle faccende domestiche, una certa allegria. Ricordo anche che eravamo, come siamo sempre stati, una famiglia molto unita. Mio padre è un uomo dolce e calmo, che ha sempre pensato alla moglie e ai figli; mia madre è un tipo molto europeo, perchè ama la casa ed ha vivissimo il senso della famiglia. Oggi sono trascorsi 32 anni dal giorno del loro matrimonio, e i miei genitori non hanno mai pensato al divorzio.
Se tenete conto che in America è cosa quasi all’ordine del giorno che le persone si sposino tre o quattro volte nel corso della loro vita, potete apprezzare i loro sentimenti e la qualità del loro carattere. Ma c’è un episodio che forse li illustra ancora meglio: l’episodio che diede luogo al loro primo incontro e alla loro conoscenza. Mia madre era impiegata come mannequin in un grande negozio di cappelli per signora. Ogni giorno, terminato il proprio lavoro, percorreva per far ritorno a casa una determinata strada; come fanno le donne, ogni tanto si fermava a guardare una vetrina, a far compere in certi negozi, a parlare con qualche amica. Mio padre la seguì più volte, ne osservò le abitudini, e un bel giorno sapete che cosa fece? Tappezzò tutta la strada, nei punti in cui mia madre era solita fermarsi, con tanti manifesti che recavano la sua fotografìa e il nome del suo negozio, "Abbey Lane, confezioni per uomo”, via tal dei tali, ecc.; e sotto ad essi dipinse, sul muro, frasi di questo tenore: "Sei la più bella donna del mondo”, "Da due mesi non penso che a te”, "Sono follemente innamorato di te”, "Nessuna ti può stare a pari”, e così via. La mamma era molto bella e corteggiatissima; ma mio padre, mercè questa singolare clamorosa e romantica dichiarazione d’amore, finì con l’avere la meglio su tutti.
Precoce anche fisicamente, come si può constatare da questa fotografìa che là ritrae all’età di undici anni, Abbe Lane cominciò a quell’epoca a lavorare come indossatrice in una Casa di moda per bambini: quattro ore al giorno di passerella.
I miei genitori mi avevano fatto iniziare degli studi professionali, con l’idea di fare di me una maestra, però la passione del canto prese ben presto in me il sopravvento. Del resto, mia madre dice che ancora prima di parlare io cantavo; presso la mia culla c’era sempre una radio accesa, e i miei primi vagiti sarebbero stati influenzati dal ritmo delle musiche radiofoniche Non posso giurarlo. Fatto sta che cominciai la mia carriera giovanissima. Avevo quattro anni quando cantai per la prima volta alla radio; e ben presto divenni popolare come "bambina prodigio". Poi ebbi anche le prime proposte di lavoro cinematografico, e a dieci anni interpretai, per la Warner Brothers, il mio primo film: una commedia musicale. Risalgono a quegli anni anche i miei primi studi di danza. Indubbiamente sono stata una bambina molto precoce. Erano studi per modo di dire: prendevo qualche lezione, ma poi facevo tutto da sola, a casa. Nella mia camera da letto avevano sistemato, lungo una parete, una sbarra; e nella parete di fronte, un grande specchio. Così io eseguivo i movimenti delle braccia e delle gambe e ne potevo controllare al tempo stesso l’esattezza. Non pensavo ancora che mi sarebbe piaciuto diventare una ballerina: mia madre era semplice-mente dell’opinione che tutte le ragazze debbano curare, fin da bambine, l’armonia del proprio corpo mediante la danza. Ma più volte, nel corso della mia carriera, mi sono poi sentita ripetere che posseggo una straordinaria capacità di muovere e di atteggiare le mani, ballando. Ebbene, questa scioltezza, questa liquidità delle mani mi deriva certamente da quegli esercizi in tenera età.
La mamma mi fu di valido aiuto in questi primi passi. Essa aveva molta fiducia in me, e fece di tutto per assecondare la mia vocazione, anche contro il parere di papà. Ricordo che la prima volta che ci recammo da un regista, essa gli disse che noi due uscivamo per delle spese. Io poi dovetti tornare molte volte da produttori, registi, ispettori di produzione, maestri di ballo e di canto: a papà dicevamo che si andava al cinema, a visitare un museo, a trovare degli amici, e non gli parlammo mai nè di canti nè di balli. Naturalmente, un giorno papà venne a scoprire tutto e fece una scenata alla mamma. La rimproverò di avviare la figlia per una strada tanto pericolosa, e le disse che lei era una bella ragazza, ma si era sposata troppo giovane e quindi non aveva nessuna esperienza della vita. Da quel giorno mi sorvegliò attentamente e mi obbligò a riprendere gli studi.
Ero bambina, i primi successi non mi avevano ancora montato la testa, e ritornai con diligenza alla vita studentesca. Debbo dire che i professori erano molto soddisfatti di me: dicevano che mi applicavo con amore allo studio e che ero dotata di una grande intelligenza. Non lo dico io, lo dicevano loro. Essi mi consigliavano pure di portare a compimento gli studi, e di prendere il diploma di maestra. Effettivamente terminai gli studi, e, a sedici anni, mi diplomai; e se in fondo al mio cuore non ci fosse stata l’ambizione del palcoscenico a quest’ora probabilmente sarei un’ottima insegnante di inglese e di storia. A scuola, naturalmente, avevo moltissimi amici, ragazzi e ragazze, ma via via che crescevo mi accorsi che i sentimenti delle donne nei miei riguardi cambiavano, mi accorsi che esse provavano gelosia verso di me.
Non riuscivo a capire perchè ciò accadesse, e mi dispiaceva di non avere delle amiche. Comunque i ragazzi mi stavano molto appresso e avevo una lunga teoria di amici: essi venivano anche a trovarmi a casa mia, dopo scuola, non così le ragazze. Dal canto mio, pur essendo molto popolare a scuola e molto socievole con tutti, allegra e piena di vita, ero incline a giudicare i miei compagni dei simpaticissimi amici ma non più che dei bambini; essi erano buoni per giocare a baseball, ballare, raccontare barzellette, ma nel mio intimo li trovavo stupidi e inesperti. Istintivamente, fin da allora, io cercavo la compagnia di persone più anziane e più mature di me: questo è un tratto peculiare del mio carattere, e tale disposizione di animo mi ha accompagnato sempre nella vita.
Ad un certo momento mi accorsi che mi mancava veramente qualcosa; che l’applicazione agli studi non riusciva a colmare la mia nostalgia, a lungo soffocata, del palcoscenico. Ballare, cantare, recitare, erano più importanti per me — lo avvertivo chiaramente — che mangiare e dormire: erano tutto nella vita. Volevo che la carriera di attrice che avrei intrapreso mi desse un rapido e clamoroso successo, come usa da noi, in America, con una enorme pubblicità. L'idea del successo mi inebriava: dormivo, mangiavo, pensavo soltanto in quella funzione. Cosi un giorno, avevo undici anni, spedii una mia fotografìa a una famosa Casa di moda, e cominciò un altro periodo della mia precoce carriera. Divenni mannequin, mannequin per bambini. La Casa per la quale lavoravo è quella da cui sono uscite alcune famose stars del cinema, Lizabeth Scott, Laureen Bacali, Grace. Kelly. Anche questo pensiero solleticava la mia vanità, e mi applicavo al lavoro con grande entusiasmo e grande tenacia. La mattina, dalle 9 alle 13, andavo a scuola; il pomeriggio, dopo essermi truccata a cambiato abito, dalle 14 alle 18 mi esibivo sulla passerella. Il sabato, che per la scuola era giorno festivo, lavoravo dalle 10 alle 6 del pomeriggio. Senza dubbio, per una ragazzina della mia età si trattava di una fatica non indifferente, e infatti, dopo alcuni anni, mi ammalai piuttosto gravemente. Ma in quegli anni, dagli 11 ai 14, imparai molte cose: imparai a indossare i vestiti, a camminare, a guardare in una determinata maniera, a essere sofisticata. Tutto questo per richiamare l’attenzione dell'altro sesso.
Debbo dire che, fin da allora, ci riuscivo assai bene. Ricordo che, quando camminavo per strada, gli uomini si fermavano e cominciavano, sapete come si usa fare a Nuova York, a fischiare. Anche dal punto di vista fisico, ero ima ragazzina precoce. Da mio padre avevo preso l'altezza, da mia madre il tipo fisico e la bellezza: da questo singolare incrocio di razze è uscita poi fuori una ragazza che ha qualcosa di americano, — le gambe lunghe, con le caviglie sottili, — ma quasi nulla della tipica ragazza americana, bionda atletica sportiva. Il mio tipo è, salvo qualche correzione, un tipo latino. Potrei essere, indifferentemente, una italiana una spagnola una sudamericana. A quei tempi, poi, mi avvicinavo al tipo latino ancora di più, perchè i miei capelli erano di un nero corvino. Me li sono tinti di rosso, più tardi, un po' in omaggio al mio ideale di donna: Rita Hayworth, anche lei di origine spagnola, anche lei lanciata da Cugat; e un po' per non fare troppo ” tipo caratteristico ”. Con i capelli neri e con gli occhi neri assomigliavo infatti troppo a una tipica ragazza spagnola, e un’attrice, invece, prima di essere tipica deve essere originale.
Fino a questo momento mi ero preparata, cimentandomi in diversi campi e ottenendo un certo successo. Avevo guadagnato il primo denaro. La mia prima paga, quando lavoravo alla radio, era di quindici dollari alla settimana; come mannequin, cominciai con 7 dollari all’ora, e quando diventai famosa i dollari salirono a 25. Ricordo con gioia che con il mio primo chèque regalai alla mamma una borsa di pelle, per il "mather day”. Avevo avuto anche le mie prime, cocenti delusioni. La più grave fu quella procuratami da un tale che mi fece firmare un contratto per un film da girarsi a Hollywood. Io e la mamma gli credemmo. Era un tipo elegante, molto per bene, che si era presentato sciorinando fotografie di famose stars. Il giorno della nostra partenza per la California si stava dunque avvicinando, e io ero, figuratevi, tutta elettrizzata, quando papà, scrivendo a un parente a Hollywood, venne a sapere che non esisteva il film, non esisteva la Casa che doveva produrlo, non esisteva nulla. Quel tale tanto per bene era un lestofante. Io piansi per la delusione una settimana intera. Mi ero dunque anche maturata; ciò che ancora mi era mancata era una buona occasione per mettermi in luce.
L’occasione parve presentarsi quando compii i quattordici anni. Lessi infatti su di un giornale che il famoso impresario teatrale George Abbott cercava una ragazza da lanciare nella commedia musicale "Barefoot Boy with Cheek". Non avevo nessuna esperienza di teatro e chiesi consiglio a mia madre: essa mi spinse ad avere fiducia in me stessa e a tentare. Così quella mattina mi presentai arditamente negli uffici di Abbott.
La segretaria mi disse che il celebre impresario era molto occupato e mi chiese, non senza malizia, per quale ragione io volessi vederlo, «Ma per recitare, naturalmente», risposi piccata. «Bene», essa disse, «in tal caso dovrete aspettare». E così aspettai, cinque ore il primo giorno, cinque il secondo e cinque il terzo. Ogni giorno portavo con me, dentro la borsetta, la colazione, che consumavo sotto gli occhi divertiti della segretaria. Finalmente il quarto giorno Mr. Abbott, un uomo alto elegante dai capelli grigi, mi ricevette. Era un uomo molto importante, ma io, benché avessi solo quattordici anni, non avevo paura di lui.
In Xavier Cugat (che nella foto accompagna con la chitarra una improvvisazione della danzatrice) Abbe Lane ha trovato non soltanto un affettuoso marito ma anche l'uomo che ha saputo comprendere e sfruttare la sua personalità e che l’ha avviata sulla strada del successo. Sono sposati dal 1952. Allora Abbe Lane aveva diciassette anni e il suo grande sogno era Hollywood.
E’ un principio al quale mi sono sempre attenuta: nella vita bisogna chiedere, senza aver paura di nessuno nè della risposta. Perchè che cosa vi può accadere nella peggiore delle ipotesi? Che vi rispondano di no. Dunque vai sempre la pena di provare a chiedere. L’unica persona della quale, lo confesso, avrei, un certo timore, è il Presidente Eisenhower.
Abbott mi squadrò lungamente, poi mi chiese: «Perchè ci tenete tanto ad ottenere quella parte?». Risposi con fermezza e con entusiasmo: «Perchè so cantare, danzare, e anche recitare». La mia ambizione dovette piacergli. «Quanti armi avete?» mi chiese. Dovete sapere che a Nuova York esiste una legge secondo la quale una ragazza non può recitare se non ha compiuto i sedici anni. Io ne avevo quattordici, ma naturalmente dissi sedici. Abbott sorrise incredulo, ma mi disse di ritornare l’indomani. Tornai a casa piuttosto emozionata e non vissi che per aspettare l’alba del giorno dopo. La mattina mi recai al teatro da Mr. Abbott. Avevo indossato un vestito blu, un mantello nero, un cappello dalla tesa ampia, e un paio di scarpe col tacco altissimo. Nel teatro c’erano due-centocinquanta ragazze che aspiravano al medesimo ruolo; Abbott, dopo una minuziosa cernita ne scelse venticinque, e diede loro da studiare la parte. Che la studiassero durante la notte e ritornassero l’indomani. Il giorno dopo, di 25 ne rimasero solo sei; e il giorno seguente soltanto una; e quell’una ero io. Ero felice, straordinariamente felice; era il primo passo veramente importante della mia carriera.
Abbe Lane, «Tempo», anno XIX, n.38, 19 settembre 1957
Con la disinvoltura e la schiettezza tipiche del suo temperamento, l’attrice fa alcune imprevedibili dichiarazioni sulla sua vita sentimentale e spiega le burrascose circostanze superate per riuscire ad essere la terza moglie di Xavier Cugat
E i primi amori? I romanzi sentimentali? I flirts? Non è un argomento facile, ma non per la ragione che forse immaginate. Se finora non ho detto nulla di queste cose, è perchè non c’è stato nella mia giovinezza niente di veramente importante, e che sia degno d’essere ricordato. Certo, io sono un tipo molto sentimentale, e nelle piccole cose, negli affetti, negli atteggiamenti, non perdo mai la mia femminilità; ma ho un carattere più complesso di quanto possa sembrare. Sono in realtà molto seria. E ho una forte volontà: qualità questa che mi deriva dalla parte tedesca della mia natura. Questa volontà io la avevo messa al servizio della mia ambizione. Desideravo fare carriera, avere successo; perciò lavoravo, studiavo, mi preparavo, e tutto ciò éhe non aveva attinenza con la mia vita professionale, con la mia carriera, passava immediatamente in seconda linea. La famiglia, gli amici, e anche l'amore. Sembrerà incredibile, ma io non ho mai avuto molto tempo per pensare all’amore. Piacevo molto, è vero, ma sotto questo aspetto la mia famiglia ha sempre pensato al modo di tenermi sottochiave; i miei genitori erano molto preoccupati per la mia estrema giovinezza, e mi accompagnavano e mi seguivano dappertutto. Mia madre venne con me anche durante la prima tournée con Cugat, perchè per la sua mentalità c’erano troppi uomini nell’orchestra, e lei teneva molto alla mia reputazione. Dunque, nei primi anni mi protesse la mia famiglia; poi, subito dopo, venne Cugat a prendere il posto di mio padre.
Il primo incontro fra Abbe Lane e Xavier Cugat avvenne per caso in uno studio della televisione americana. Il musicista, dopo averla ascoltata, le offerse subito di cantare nella sua famosa orchestra. Insieme iniziarono una prima lunga tournée attraverso gli Stati Uniti. La fotografia, che ritrae la coppia durante uno spettacolo a Hollywood, risale appunto a quel periodo: 1950. Abbe Lane aveva perciò (per curioso che possa sembrare vedendola) soltanto quindici anni!
Dopo il debutto con Abbott, ravvenimento di maggior rilievo nella mia carriera fu uno spettacolo di rivista organizzato da Michael Todd, l’attuale marito di Elizabeth Taylor. Mi esibivo come ballerina, nel secondo tempo dello spettacolo, in una rumba indiavolata. La rivista tenne il cartellone per un anno intero a Broadway e una serà venne in teatro Cugat. Dovetti, in realtà, fargli impressione. Mi presentavo sola sul palcoscenico, attorniata da tredici uomini: indossavo un vestito nero, con un lungo spacco laterale, un cappello nero, e il pubblico applaudiva moltissimo. Non avevo ancora compiuto quindici anni. Ma quella sera non accadde nulla. Di avergli fatto impressione, me ne accorsi solo una settimana dopo quando lo incontrai, per caso, negli studi della televisione. Il destino volle che Cugat in quel periodo cercasse una cantante, perchè la sua se ne era andata ad Hollywood, ed egli stava organizzando una tournée in Sud America. Pensava di lanciare un’altra cantante, in grande stile. «Lei», mi disse sorridendo, tè la stessa ragazza che recita per Todd?». E avendoglielo confermato, mi propose di cantare per lui il giorno seguente in ima audizione speciale. Mentre lui parlava, ero emozionatissima. Lo ammiravo, e adoravo la sua musica; conoscevo a memoria e possedevo tutti i suoi dischi. Ricordo come fosse oggi che quando avevo dodici anni feci una lunga coda per assistere al suo spettacolo a Broadway. Ero in fila insieme con una amica, e mentre attendevamo pazientemente il nostro turno, le dissi: «Che cosa darei per poter cantare un giorno con Cugat!».
Andai all'audizione con un vestito di chiffon nero e tutto accadde nello spazio di mezza ora: cantai tre o quattro canzoni, e, appena l’ultima nota si spense nel teatro vuoto, Cugat mi si avvicinò e, senza ambagi, com’è suo costume, mi annunciò che ero ingaggiata, «Si comincia fra una settimana», disse. Mi sembrava di vivere una favola. Ho più volte ripensato, in seguito, agli avvenimenti di quei giorni e sempre mi sono stupita della loro singolare concatenazione. Ricordo bene che il giorno in cui incontrai Cugat io non volevo recarmi agli studi della televisione; ero stanca, avevo un terribile raffreddore, e stavo per telefonare che quella sera non avrei potuto cantare. Mi trascinavo svogliata per la casa, da una stanza all’altra.
Mia madre mi osservava e a un certo punto mi disse: «Abbe, hai promesso, devi andare». «Okay», risposi e andai. Quell' okay fu la mia fortuna, perchè quello fu un giorno memorabile, un giorno che cambiò interamente la mia vita, la mia carriera, e la mia personalità. L’incontro con Cugat, infatti, non solo trasformò la mia esistenza da così a così: con lui ebbi la prima automobile, la prima pelliccia, i primi gioielli, feci il primo viaggio all’estero, partecipai ai primi cocktail-parties... Ma mi aprì la via del successo, e influì positivamente anche sulla formazione della mia personalità.
Terminata la sua prima tournée, negli Stati Uniti, Abbe Lane ne cominciò subito un'altra, sempre con Cugat, nel Sud America. Fu un’esperienza dura durante la quale la giovanissima cantante conobbe il panico. Nella foto: a Quito, in Ecuador, Cugat dona un cagnolino ad Abbe.
A quei tempi io non ero molto diversa da una qualsiasi ragazza americana. Non avevo la dolcezza e la duttilità della donna europea. Le mie ambizioni avevano un solo nome: Hollywood, e non sognavo neppure lontanamente di potere un giorno lavorare all’estero, per esempio in Italia. Ero una ragazza piena di inesperienze: Cugat, che è un uomo dal carattere cordiale espansivo e controllato al tempo stesso, aveva il fascino dell’esperienza e dell’età. Mi insegnò tante cose. Mi diede preziosi consigli sul modo di vestire, di trattare la gente, di comportarsi con il pubblico. Mi introdusse nell'ambiente dei suoi amici, tutte persone più o meno celebri. E, soprattutto, mi insegnò una cosa molto importante: ad apprezzare il successo, a lavorare per il successo. Contro ogni disappunto, contro ogni delusione, a credere sempre in un grande successo. Per ottenerlo, mi diceva, bisogna piangere, maturarsi: il successo non giunge da solo, lo si strappa alla vita.
Quando entrai nella sua orchestra, non ero affatto un tipo esplosivo, ma egli mi disse che avevo delle grandi possibilità. Cugat naturalmente aveva un interesse personale per me, perchè poi mi sposò, tuttavia apprezzava anche il mio talento, la mia tenacia, il mio desiderio di arrivare'. E mi fu sempre vicino, e di grande aiuto. La prima volta che mi presentai al pubblico con lui ero terribilmente nervosa; non potevo pensare senza timore che fra pochi istanti sarei rimasta sola, in mezzo al palco-scenico, davanti a tanta gente. Non credevo alla realtà: cantavo nell’orchestra di Xavier Cugat. io, Abbe Lane. Il mio istinto era di correre via, fuggire di là, ma Cugat mi venne vicino, e, prima che la musica cominciasse, mi disse: «Non essere nervosa, la gente ti ama, avrai un grande successo». Le sue parole, il tono della sua voce, mi calmarono e improvvisamente mi sentii sicura di me, fiduciosa, felice: cantavo nell’orchestra di X. Cugat, avevo realizzato il sogno della mia vita.
Una cosa che non mi aspettavo furono le difficoltà del lavoro. Pensavo che fosse facile e brillante la vita di una cantante. Mi immaginavo che dovesse consistere nel dormire fino a mezzogiorno, pensare allo spettacolo della sera, e, dopo lo spettacolo, nell’essere invitata a grandi pranzi e feste a base di caviale e di champagne. Mi sbagliavo: è una vita dura. Dopo lo spettacolo, non si ha nessuna voglia di partecipare a ricevimenti, si arriva esausti all'hotel, ci si getta nel letto, per un sonno profondo e senza sogni, e la mattina ci si alza presto, e prima si provano le canzoni, poi c’è la prova dei vestiti, e poi si mangia alla svelta qualche cosa, e non certo le cose deliziose che si mangiano in Italia. E bisogna lavorare, lavorare. Dopo sei mesi di questa I vita, intervallata da continui ! spostamenti da una città all’altra, io ero già molto diversa dalla Abbe Lane degli inizi. Avevo visto Paesi, incontrato differenti persone, cantato molte canzoni: ero diventata più matura ed esperta, quasi un’altra persona.
Abbe Lane, sovrastata da un enorme Xavier Cugat in cartapesta, canta per la televisione americana in uno spettacolo in cui presentò alcune canzoni napoletane. L’esperienza sudamericana la aveva resa molto popolare.
Un’insolita Abbe Lane, non truccata e con un semplice abitino, attende, in una nota sartoria romana, di provare i modelli creati appositamente per lei, per il suo debutto in un night-club di Las Vegas. La fotografia risale al luglio scorso.
Il primo giro di rappresentazioni lo compimmo attraverso gli Stati Uniti. Fu durante questa tournée che vissi alcune delle ore più angosciose della mia carriera. Ricordo ancora quel giorno in cui arrivammo ad Albany, una piccola città distante da Nuova York cinquecento chilometri. Scendemmo all’albergo alle 11 di mattina; i miei bagagli dovevano giungere, insieme agli strumenti, alle quattro del pomeriggio. Io li aspettavo con impazienza. Quando ecco, invece dei vestiti, arriva la notizia che l’autobus si era ribaltato, i bagagli si erano aperti, e i vestiti erano andati a finire in mezzo al fango. Avevo cosi perduto tutto il mio guardaroba e avevo solo tre ore di tempo per procurarmi degli altri vestiti. Ma che cosa potevo fare? Figuratevi che era un giorno di festa e tutti i negozi erano chiusi, e i proprietari dei negozi, a quell’ora, praticamente introvabili. Mi venne una idea.
Dalle finestre della mia camera pendevano delle tende di raso verde abbastanza nuove: forse con quella stoffa si poteva rimediare qualcosa. Chiamai la cameriera e staccammo le tende; Cugat le pagò naturalmente ad un prezzo superiore al loro valore; e io, mia madre e la cameriera, lavorammo eroicamente per tre ore nel mio appartamento ad arrangiare un vestito. Demmo l’ultimo punto, pochi minuti prima dello spettacolo. Non era un capolavoro, ma poteva andare: e infatti anche quella sera ottenni un lusinghiero successo. Non vi dico però la mia pena, io che sapevo in che modo il vestito era stato confezionato: avevo paura che durante un movimento più brusco o più irruento i punti cedessero e io mi ritrovassi, d’un tratto, senz’abito.
Non era trascorso un anno dal giorno in cui Abbe Lane aveva incontrato Cugat e già la giovane di Brooklyn, ormai sicura della sua arte, era contesa dai vari studi della televisione americana e dai maggiori teatri. La foto, scattata nel corso di uno ”sketch” televisivo, è del 1951.
Un’avventura ancora più romanzesca mi capitò durante la successiva tournée in Sud America. Fu una tournée molto importante, perchè della Compagnia facevano parte ben trenta orchestrali e trenta artisti. Visitammo quasi tutte le capitali degli stati del Sud America: Montevideo, Quito, Buenos Aires e fummo a Rio de Janeiro durante il tradizionale e indiavolato carnevale.
Io ero eccitatissima. La vita mi sembrava un sogno. Ero felice di viaggiare, felice di avere dei bei vestiti, non sontuosi come quelli di oggi ma ugualmente deliziosi. Tutti erano molto gentili con me. Guadagnavo centocinquanta dollari alla settimana, e naturalmente era spesata di tutto.
Ebbi qui il mio primo vero successo, soprattutto presso le donne. Per la maggior parte, le donne latine hanno i capelli neri, e io, che già allora avevo una capigliatura fiammeggiante, provocavo sensazione per le strade. «La ruvia, la ruvia», dicevano additandomi. Fu il primo dei numerosi appellativi, inventati dal pubblico o coniati per me da» giornalisti: subito dopo me ne applicarono un altro assai divertente, ”Abbe la bomba di Brooklyn”.
Eravamo dunque partiti da Montevideo in aereo diretti all’Ecuador, e la mattina dopo dovevamo valicare le Ande; ma durante la prima parte del viaggio, di notte, l’aereo accusò un guasto al motore e il pilota dovette deviare la rotta ed effettuare un atterraggio di fortuna sull’aeroporto di Antofagasta, nel Cile. Con noi c’erano tutti i sessanta componenti dell’orchestra, e anche la mamma. Dopo circa un paio d’ore, un autobus ci venne a prendere per condurci a dormire da qualche parte.
Cascavamo tutti dal sonno. La sera prima avevamo preso l’aereo a Montevideo appena terminata la rappresentazione, e gli orchestrali indossavano ancora i loro costumi. Non avevano avuto nemmeno il tempo di togliersi le cravatte rosse. Era notte fonda — una notte particolarmente scura, per di più, senza luna, lo ricordo bene — quando arrivammo in città. C’era un grande silenzio per le strade, ma non il silenzio tranquillo delle città di provincia addormentate, bensì un silenzio teso, misterioso, pieno di rumori soffocati. Infatti, non appena incrociammo le luci dei primi lampioni, scorgemmo gente in divisa, armata, con i fucili imbracciati in posizione di sparo; e la piazza dove l’autobus si fermò, davanti a un albergo che si rivelò deserto, abbandonato, si riempì ben presto di soldati. Eravamo capitati nel bel mezzo di una rivoluzione, e, a giudicare dall’ atteggiamento degli uomini che ci circondarono. si sarebbe detto che essi non ci avevano scambiato per dei loro amici. Invano tentammo di spiegarci, di farci capire. Le bocche dei fucili continuavano a essere puntate contro di noi; parole minacciose risuonavano nell’aria. Finalmente un sergente si avvicinò a Cugat e gli gridò: «Dite subito ai vostri uomini di togliersi quelle cravatte; ma subito». «Perchè?», tentò di obiettare Cugat. «Le dico di fargliele togliere subito», replicò con voce alterata il sergente. Naturalmente gli orchestrali ubbidirono e per un momento fu tutto uno sventolìo di cravatte rosse. Poi, non senza un brivido, capimmo: il partito rivoluzionario aveva scelto come proprio simbolo la cravatta rossa e noi avevamo rischiata la fucilazione.
Al rientro negli Stati Uniti, dopo questa tournée la mia posizione era cambiata. Ora potevo scegliere il mio repertorio nell’orchestra, e se, quanto a esperienza, non ne possedevo ancora tanta da potermi considerare una star, tuttavia avevo avuto dei lusinghieri successi, e una enorme pubblicità. Si stava anche avvicinando il momento del mio matrimonio. Cugat, l’ho già detto, quando mi invitò a far parte della sua Compagnia, aveva anche un debole per me: durante i mesi seguenti, mentre mi lanciava con le sue musiche e la sua orchestra, mi fece naturalmente una corte discreta. I nostri nomi, artisticamente, cominciavano ad essere accoppiati. Bastarono questi fatti per fornire alla sua seconda moglie, dalla quale egli viveva separato ormai da vari anni, il pretesto per organizzare una vasta campagna di stampa, a sfondo scandalistico. La prima moglie di Cugat era una cantante; la seconda non si interessava affatto di musica, eppure essa cercò in tutti i modi di danneggiare il nome di Cugat, con le sue cervellotiche accuse, per poterne, come dire?, ereditare la fama e prendere il posto nel cuore degli ammiratori.
I coniugi Cugat hanno la passione dei cani e prediligono una razza piccolissima, di cui posseggono un’intera famiglia. Ecco Abbe Lane mentire si occupa del nutrimento di uno dei suoi cani.
Naturalmente non cavò un ragno da un buco. Invano essa andò sbandierando sui giornali, che avevano per ragioni di pubblicità tutto l’interesse a soffiare sul fuoco, il proprio nome; invano assicurò che sarebbe riuscita a diventare più famosa di Xavier. Dopo tre mesi di inutili tentativi era ancora al punto di partenza, e cambiò idea. Non era impresa per lei soppiantare Cugat. Molti altri ci si sono provati, e si sono rotti le corna. Xavier è un musicista originale, lo era già venticinque anni fa; e poi, oltre ad ascoltare quel particolare genere di musica, la gente voleva vedere lui. il direttore d’orchestra con la sua personalità, il suo charme, la sua arte singolare. Ciò che invece alla moglie di Cugat riuscì fu di addossare a lui, con le sue insinuazioni, tutte le responsabilità del divorzio; che infatti, in totale, è venuto a costare a mio marito la bella somma di duecentomila dollari.
Ma anche di queste insinuazioni, sulla base delle quali i giornali trovarono il modo di sbizzarrirsi, il tempo è intervenuto ben presto a fare giustizia. E io credo che il giudizio più esatto e più spiritoso su tutta la questione sia stato quello espresso da un giornalista americano: «Dopo aver visto la terza moglie di Cugat, «penso», egli scrisse, «che Xavier Cugat avesse perfettamente ragione».
Abbe Lane, «Tempo», anno XIX, n.39, 26 settembre 1957
Nel concludere il racconto della sua vita l'attrice illustra i legami sentimentali ed economici con il marito e contessa che la sua maggiore ambizione, oggi, è quella di riuscire simpatica anche alle donne
Mi sono sposata a diciassette anni, cioè alla stessa età in cui si sposò mia madre: come quello di mia madre, il mio è stato un matrimonio felice. Le nozze furono precedute da un breve fidanzamento, in occasione del quale Xavier mi regalò un brillante di forma rettangolare che vale cinquantamila dollari. E', assieme con l’anello del matrimonio, il gioiello al quale sono più affezionata. Da allora ad oggi sono passati sei anni circa e la nostra famiglia, in questo frattempo, non è cresciuta: io però desidero avere dei figli e Xavier pure. Non mi piacerebbe tuttavia averli fino a quando continueremo a fare vita randagia: trascinarmi dietro dei bambini in giro per il mondo, da un Paese all’altro, da un albergo all’altro, non è il mio ideale. Avrei troppo poco tempo per occuparmi di loro. Vorrei quindi avere dei figli il giorno in cui. come è nelle mie intenzioni, riuscirò, tralasciando la danza e il canto, a interpretare non più di due film all’anno. Fare del cinema è infatti oggi la mia ambizione principale. Speriamo che ciò accada prima che io abbia cinquant'anni.
Il giorno del nostro matrimonio fu un giorno piuttosto movimentato. Dovemmo, fra l’altro, attraversare due volte l’America per tutta la sua larghezza. Ci trovavamo infatti in California a lavorare e ci sposammo in Florida, a Miami Beach, il 5 maggio 1952; la sera di quello stesso giorno dovemmo tornare in California, per prendere parte allo spettacolo. Due ore se ne andarono dunque per il viaggio di andata, due per quello di ritorno, cinque per le pubblicazioni: il resto per la cerimonia e per il ricevimento, che si svolsero nella casa dei miei genitori Io indossavo un vestito di raso bianco e una mantiglia spagnola; c’erano molti amici comuni, fra i quali numerosi componenti dell’orchestra, che ci improvvisarono un accompagnamento musicale; Cugy. benché avesse al suo attivo altre due esperienze matrimoniali. appariva molto nervoso.
Tutto andò liscio. Il bello, anzi il brutto, venne il giorno dopo quando mi accorsi, alzandomi, di avere delle strane macchie rosse sparse su tutto il corpo. Allarmata, chiamai un medico. «Sono molto spiacente di doverle annunciare, giovane signora», mi disse il medico dopo una visita molto accurata, «che lei ha contratto il morbillo». Li per lì Cugy ne fu molto divertito. «Sapevo di avere sposato una bambina». disse sorridendo «ma non fino a questo punto». Credo però che lo fu assai di meno quando apprese che, per timore del contagio, avrei dovuto essere isolata per almeno una decina di giorni.
Abbe Lane con uno degli abiti di creazione italiana che indossò alcuni mesi fa a Las Vegas, durante una serie di spettacoli in un famoso locale notturno. L’attrice sostiene che ogni donna desiderosa di ottenere successo dovrebbe preoccuparsi innanzitutto di imparare a camminare e a questo scopo frequentare, almeno per qualche settimana, una scuola per indossatrici.
Il mio matrimonio diede la stura naturalmente a un mucchio di chiacchiere. La gente diceva che l’avevo fatto per la carriera: che avevo sposato un uomo celebre, più anziano di me, per interesse: molti disapprovarono insomma il mio comportamento. Ma io sapevo che sarei stata felice, solo con lui. Io so quello 'he voglio, anche lui lo sa. e la gente ha avuto torto. Certamente Cugat era un uomo celebre. Quando lo conobbi aveva alle sue spalle venti anni di ininterrotti successi. Aveva interpretato per la Metro Goldwin Mayer ben venti film, con gli attori più popolari dello schermo, da Lana Turner, a Robert Taylor, da Walter Pidgeon a Jane Russell e a tanti altri. Aveva inciso circa due milioni di dischi. Cole Porter aveva scritto per lui ”Beguin thè Beguine”. I suoi maggior successi si chiamano "Brasil”, "Perfidia”, "La paloma”, "Green eyes”. Era il più noto direttore d’orchestra di un certo genere di musica: lo chiamavano "il re della rumba”, lo specialista dei ritmi ispano-americani e del folklore sudamericano. Bene: tutto ciò che cosa significa? Significa semplicemente che la celebrità faceva parte del suo fascino di uomo: cui una notevole esperienza della vita, una eleganza innata di modi, una non trascurabile conoscenza dell’altro sesso aggiungevano altri elementi di attrazione.
Io ero giovanissima, lo ammiravo, ne fui conquistata. Se Cugy trovò in me quello che cercava, io trovai in lui protezione, serietà, rispetto e saggezza. Ero innamorata di Cugy? Vi assicuro che non l'ho sposato per avere il piacere di dirgli buongiorno la mattina: ne ero molto innamorata. Un uomo d’altronde non può essere giudicato dalla sua età e dal suo aspetto, ma dalla sua mente. Un uomo di venticinque anni può essere simile a un vecchio, e rendere infelice una donna, e un altro di cinquantacinque può avere un temperamento giovanile, essere ricco di humour e di entusiasmo, può avere sempre venticinque anni. Cugat è intelligente, sa come convincermi, come dirigermi, come consigliarmi. Io sono un tipo di ragazza che non può essere compressa; sono felicissima di vivere, amo la vita, ogni minuto della vita; e lui me la lascia godere in pieno, mi lascia sentire l’ebbrezza della mia personalità. E' lui il primo, per esempio, a rallegrarsi di ogni mio successo. Non solo dei miei successi artistici, ma anche dei miei successi come donna. Se faccio colpo sulla gente, se provoco ammirazione, egli se ne rallegra: se un giorno mi accade di indossare un vestito particolarmente provocante non è certo lui che solleva obiezioni, anzi molte volte è accaduto che io ero un po’ perplessa a proposito di una toilette audace e Cugy mi ha completamente rassicurata.
Nel corso di un trattenimento mondano a Roma nel 1955: Abbe Lane con Janet Leigh, moglie di Tony Cnrtis. Tra le due attrici si intravede Xavier Cugat. Abbe Lane è particolarmente affezionata all’Italia perchè vi ha vissuto le sue più importanti (testo segue alla foto successiva)
Sono cose un po’ difficili da spiegare, perchè su questo argomento si corre facilmente il rischio di essere fraintesi. Aggiungerò dunque che l’abilità di Cugat è consistita nel concedermi la più ampia libertà, ma con juicio. Così, in pratica, succede che io sono libera di fare di testa mia, ma attendo sempre la sua approvazione: se sto per comprare un vestito chiedo consiglio a lui: se devo decidere di fare un film, prima mi metto d’accordo con lui. E così via. Il risultato di tutto ciò è che Cugy non è affatto geloso di me. Certo, mio marito è spagnolo, e come tutti gli spagnoli ha un fondo di gelosia nel suo temperamento; ma si tratta di una gelosia normale, quella che fa un gran piacere alle donne, e che, se non esistesse, sarebbe sintomo di disamore. Il suo motto, a questo riguardo, è semplice ed espressivo: «Si guarda ma non si tocca». Entro questi limiti c’è posto per la mia coquetterie e per tutte le forme lecite di ammirazione. Egli sa benissimo che una attrice deve essere ammirata, vi garantisco anzi che, se non avessi ammiratori, ne sarebbe molto più dispiaciuto di me.
So che gli italiani sono particolarmente sensibili all’argomento gelosia, perciò, sebbene la cosa ci riguardi assai poco, voglio dilungarmi ancora un po’. Non esiste fra noi, innanzitutto, nessuna gelosia circa il lavoro. Cugat è un uomo "arrivato”; da più di venticinque anni, è celebre in tutto il mondo. Non sono quindi i miei successi che gli possono dare ombra; anzi, è vero esattamente il contrario. La nostra condizione, a questo riguardo, è l’ideale, perchè succede veramente che l’armonia di molti matrimoni fra artisti venga incrinata dalla gelosia. Quanto al resto, bisogna mettere nel conto sia la nostra mentalità americana: una donna, da noi, è libera di avere molte amicizie maschili, senza che ciò significhi nulla per lei, dal punto di vista sentimentale; sia lo humour di Cugat. Voglio raccontarvi, a questo riguardo, un episodio molto significativo capitatomi tre anni fa a Milano.
In quel tempo lavoravo al Teatro Lirico: fiori, regali, lettere, inviti, mi giungevano dalle persone più disparate. E un giorno mi arrivò il seguente telegramma: «Abbe Lane, ho visto il vostro spettacolo a Roma e a Milano tutte le sere, per tre settimane di seguito. La sola cosa che mi resta da fare è di uccidere vostro marito». Mostrai il telegramma a Cugat ed egli, invece di arrabbiarsi, ne fu molto divertito: disse che sarebbe stato molto divertente conoscere un uomo così spiritoso.
esperienze cinematografiche e perchè - come lei stessa afferma nella sua biografia - è il Paese dove è stata più apprezzata come attrice. Nel suo ultimo film, "Parola di ladro”, diretto da Puccini e Loy. ha avuto, per la prima volta, una parte completa, in cui cioè non si limita a danzare.
La più recente immagine di Abbe Lane, intenta a firmare autografi all’aeroporto di Ciampino. nei giorni scorsi. E' reduce, con il marito, da un breve viaggio a Madrid dove ha firmato un contratto che dal 18 novembre prossimo e per un anno, la terrà impegnata a Broadway in una commedia musicale.
Il telegramma, badate, era firmato: recava il nome di un nobile milanese. Non tutte le cose che mi sono capitate sono naturalmente così divertenti. Ricordo che una volta, a Caracas, ricevetti, una dietro l’altra, tre lettere al Grand Hotel dove alloggiavo. Erano lettere redatte con stile minatorio da un ricchissimo venezuelano, che si proclamava molto innamorato di me. Diceva che avrebbe mandato qualcuno a prendermi per condurmi nella sua dimora, una casa di sogno, degna dei racconti delle Mille e una notte, diceva; e si dilungava a descrivermene dettagliatamente le meraviglie, gli ori, i marmi, le preziose suppellettili, le raffinate comodità, i sontuosi saloni, gli angoli intimi e segreti. Egli mi aveva visto a teatro ed era rimasto folgorato; ora, a tutti i costi, a costo di rapirmi, desiderava incontrarsi con me, parlarmi da vicino, conoscermi di persona. Dopo la terza di queste lettere, il cui tono diventava sempre più incalzante e trafelato, cominciai ad avere paura e chiesi protezione all’Ambasciata americana. Mi fu risposto che il venezuelano era persona molto importante e che era meglio non fare scandali. Ottenni però una guardia del corpo: due poliziotti fuori della mia porta in permanenza, giorno e notte, e una scorta per quando uscivo a fare spese o andavo al cinema o al teatro. Con una simile protezione, naturalmente non accadde nulla.
Anche a Roma ho molti ammiratori. Ricordo che un giorno, al Foro Italico, c’erano dieci o quindicimila uomini che non volevano lasciarmi andar via e urlavano a squarciagola e cadenzatamente il mio nome: Abbe Lane, Abbe Lane! Era proprio un trionfo: lo assaporai in pieno, e concessi un altro bis: il pubblico si placò. Non così in Uruguay, dove ima volta mi accadde una cosa terribile. Finito lo spettacolo, io e Cugy stavamo rientrando in albergo in due macchine differenti, quando un gruppo di cinquemila uomini assalì letteralmente la mia automobile con grida di giubilo e di ammirazione. La mia meraviglia si tramutò rapidamente in panico. Mi trovavo al centro di una folla scatenata e incontrollabile, che avrebbe ben presto passato la misura. Infatti, premendomi da tutte le parti, quegli uomini cominciarono a strapparmi di dosso i vestiti. Non so proprio come riuscii a cavarmi fuori da quel guaio e ad arrivare in albergo; quando rientrai nel mio appartamento non avevo quasi più nulla addosso ed ero in preda a un forte choc. Ricordo che Cugat, benché a quei tempi non fossimo ancora sposati, era molto seccato.
Normalmente, però, lo ripeto, non è affatto geloso, e fra noi questo non è mai argomento di discussione. Il nostro matrimonio, del resto, si basa su delle fondamenta molte solide. Abbiamo molte cose in comune, io e Cugy: il carattere entusiasta e ottimista, l’amore per la musica, l’interesse per i viaggi, la goloseria per gli stessi cibi, Cugy, a questo riguardo, dice che sono una moglie meravigliosa, e come americana addirittura eccezionale. Dice che so come si prende un marito con la gola. Quanto ai nostri affari ci regoliamo così: allorché lavoro per lui, Cugat mi dà uno stipendio. la cui entità varia a seconda del luogo in cui mi esibisco. Recentemente, per esempio, ci siamo esibiti per alcuni mesi ad una rete televisiva americana: Cugat guadagnava 25 mila dollari per ogni programma e a me ne dava cinquemila. E’ una bella cifra, ma bisogna ricordarsi che non sono solo una donna ma anche un’attrice: e se da un lato guadagno molto, dall’altro spendo.
Lo stipendio non lo ricevo direttamente da mio marito, ma dal suo ufficio di Nuova York. Cugy infatti ha una grande amministrazione in America, che si occupa di disparati affari. Oltre a essere direttore d’orchestra, egli possiede un allevamento di cani di razza, una grande fattoria in California, una ditta di cravatte che ogni anno lancia una nuova cravatta con il titolo dell’ ultima danza di Cugat — quest'anno vanno molto di moda le cravatte Calypso, — una ditta di bicchieri, e una fabbrica di strumenti musicali per bambini, che sono la ri-produzione, in proporzioni ridotte, degli strumenti della sua orchestra. Così i ragazzini americani possono imparare, fin dalla più giovane età, a suonare la conga o le maracas. Cugat inoltre è a capo della Music Corporation of America, la più grande organizzazione musicale americana, della quale sono soci, fra gli altri. Clark Cable, Marilyn Monroe, Frank Sinatra: e poco tempo fa abbiamo fondato insieme un’altra Corporation, la Cugat-Lane Corporation, con lo scopo di produrre film per la televisione, film dei quali io e lui siamo gli interpreti. Certamente a me piace guadagnare molto denaro, ma.mi piace soprattutto risparmiarlo. E ci riesco. Il mio motto, a questo riguardo, è: i soldi che guadagno li deposito in banca e mio marito mi regala i gioielli.
Fino all’età di quindici anni non avevo mai messo piede fuori di Nuova York; dai quindici in poi ho fatto un paio di volte il giro del mondo. Sono nata sotto il segno del Sagittario. Gli astri mi avevano predetto successi e viaggi: ho avuto gli uni e gli altri. Dopo la tournée in Sud America, io e Cugat partimmo per l’Oriente e toccammo Manila, Hong Kong, Tokio e Singapore. Tornati in America, lavorai per la TV e girai due film a Hollywood, subito dopo ci imbarcammo per l'Europa con tutta l'orchestra. Demmo spettacoli in Italia, in Francia e in Spagna. Ricordo che a Barcellona e a Valencia tutte le sere ci venivano ad applaudire cinquantamila persone. Un mese di vacanze al Messico, ed eccoci di nuovo in viaggio per l’Oriente: questa volta ci fermammo a Bangkok. Poi di nuovo l’America, l'Italia, la Spagna, l’America, l’Italia.
Non ho veramente avuto il tempo di annoiarmi in questi anni; non mi sono mancate distrazioni incidenti avventure. La più singolare mi accadde a Bangkok quando recitammo davanti al re e alla regina. Cugat aveva appena terminato di presentarmi come la sua deliziosa consorte, come la sua Teina, quando io, muovendomi verso il centro del palcoscenico, emozionata com’ero, inciampai in un gradino e ruzzolai in un vaso di fiori sottostante. Avevo un vestite così stretto che non potevo fare un movimento e quindi non riuscivo più ad alzarmi. In quel momento il re era in piedi, e per ragioni di etichetta, nessuno poteva darmi una mano ad uscir fuori. Era una impasse veramente assurda: fu il momento più terribile della mia carriera. Una situazione meno imbarazzante ma non dissimile si creò quando debuttai al Foro Italico quattro anni fa. Avevamo ottenuto un successo entusiasmante, ognuno a Roma veniva tre o quattro volte ad applaudirci. Una sera, mentre eseguivo il mio numero, il pubblico si mise a gridare, scandendola con forza, una parola della quale afferravo il suono ma non il significato. A quei tempi sapevo sì e no dieci parole di italiano. Me ne stavo quindi sorridente in mezzo al palcoscenico mentre tutti gridavano: ”la mossa, la mossa!”, ridendo al mio palese imbarazzo. La situazione si prolungò per molto tempo fra le urla del pubblico, i miei sorrisi impacciati, le risa, e il suono cadenzato di quella misteriosa parola.
A proposito della quale, ora che ne conosco e ne apprezzo il significato, (sono sicura che piacerebbe anche agli americani). bisogna che spieghi di che si tratta. Mi è stato chiesto più di una volta. Non l’ho inventata io ”la mossa”, nè Cugat. Questo movimento particolare che si esegue durante la danza ebbe grande successo molti anni fa a Portorico e a Cuba. Fu lanciato durante una eccitante rumba, una danza che allora riscuoteva lo stesso successo che oggi riscuotono il mambo e il cha-cha-cha. Nata ai tempi in cui i negri delle isole si mescolarono ai conquistatori spagnoli, incrocio di frenesia africana e di sensualità iberica, la rumba venne importata per la prima volta in America da Cugat. Egli naturalmente la interpretò con la sua sensibilità d’artista e le diede un successo mondiale. Con la rumba arrivò anche la mossa, che poi è passata in altri balli, per esempio il cha-cha-cha.
Tutti sanno che fu a causa della ”mossa” che i miei rapporti con la TV italiana, felicemente iniziati, diventarono alla fine delicati. E’ vero, ma non è tutta la verità. E’ vero cioè che prima dell'ultima rappresentazione un funzionario mi si avvicinò e mi disse: «Questa sera, Abbe, niente mossa!». Ma sembra che il problema fosse di carattere più generale e riguardasse tutta me stessa: per gli schermi della TV, io sarei infatti un tipo dotato di un eccessivo sex-appeal. Ecco una parola che mi gira attorno come una mosca sul miele e che ricorre continuamente sulla bocca di tutti, croce e delizia del nostro tempo: che cos’è il sex-appeal, in che cosa consiste, chi ne è dotato e chi no, si può acquistare? Essendo, a quanto pare, parte in causa, voglio tentare di dare anch’io una risposta a tali domande.
Nella camera da letto dell’appartamento che occupa quando è a Roma, Abbe Lane ha appeso una riproduzione di un quadro di Gauguin. Ha infatti una grande passione per le arti figurative e - aspetto insolito in una attrice del suo temperamento e che stupirà molti suoi ammiratori - conosce piuttosto profondamente la pittura contemporanea mondiale. Ha in progetto, fra l’altro, di farsi fare il ritratto da Massimo Campigli. L’opera andrà ad arricchire la già notevole collezione di quadri d’autore che i coniugi Cugat posseggono nella loro abitazione di Hollywood.
D cinema di quindici venti anni fa diede una grande pubblicità alle attrici sexy: le attrici ”sexy” avevano degli occhi languidi, un maquillage molto sofisticato, complicati modi di vestire, un atteggiamento voluto. Ciò contribuì a dare un’idea molto sbagliata di quello che è il sex-appeal. Non è un atteggiamento, uno stile esteriore che si può acquistare, è qualcosa che sta dentro una donna e che trapela in modo suggestivo. Non ha nulla a che vedere con la bellezza vera e propria: è una carica potente e segreta di femminilità. Attrici sexy sono, secondo me, Audrey Hepbum, Ava Gardner, Sofia Loren. Oggi le ragazze amano apparire sexy. Ma quelle che, appena alzate la mattina, si guardano nello specchio e si domandano: che cosa debbo fare oggi per apparire o per essere sexy?, vi assicuro che non hanno minimamente afferrato il significato di tale espressione.
Gli stessi principi valgono per definire il sex-appeal maschile. Esso è identico a! sex-appeal femminile. E’ qualcosa che promana dal di dentro ed esula dalla bellezza del corpo: è espressione, intelligenza, sguardo, fascino di atleggia-menti. Gli uomini più interessanti che ho incontrato nella mia vita non erano belli; e, soprattutto, dimenticavano di avere fascino, di essere intelligenti, di essere divertenti. Uomini sexy sono per me Marion Brando, Gerard Philipe, Hemingway, Eisenhower.
La seconda volta che sono venuta in Italia è stato due anni fa. Ero stata invitata ad interpretare due film: Lo scapolo e Donatella, e avevo accettato con gioia. Ormai da vari anni, infatti, le mie ambizioni sono cambiate: io voglio cioè che il pubblico si dimentichi di Abbe Lane ballerina e cantante e impari ad apprezzare Abbe Lane attrice. Credo che in Italia riuscirò a realizzare questo proponimento. E' un Paese nel quale se una persona è fornita di talento, può farlo valere. Il mio fisico poi si avvicina a quello delle attrici italiane e penso che i ruoli che hanno interpretato la Loren e la Lollo fossero adatti anche a me. Mi sento del tutto a mio agio nella parte di ragazza italiana. Naturalmente la recito a modo mio, mettendoci la mia personalità, ma questo capita a ogni attrice ed è anzi la ragione per la quale non nutro gelosie o invidie per nessuno. Dato che ogni attrice ha una propria inconfondibile personalità, penso che nel cinema ci sia posto per tutte. '
L’Italia è il luogo nel quale ho trascorso il più lungo soggiorno fuori dagli Stati Uniti e nel quale ritorno più volentieri; è anche il Paese dove, finora, sono stata apprezzata di più come attrice e ho interpretato il maggior numero di film. In Parola di ladro, il mio ultimo film, ho avuto finalmente una parte completa. Credo però di avere anche altre frecce al mio arco e di poter apparire sullo schermo sotto molteplici aspetti: nelle vesti di ragazza semplice, sentimentale, comica, brillante, oppure seria, a piacere. Bisogna però che io riesca a sfatare un pregiudizio: quello che mi classifica come un tipo vamp. La cosa che oggi più ambisco è conquistare l'amicizia e la simpatia delle donne. Quella degli uomini ce l'ho già. Vorrei che esse non vedessero più in me il tipo della donna-che-porta-via-loro-il-marito, ma la ragazza dolce, sentimentale, seria, fedele, che io sono. Spero che il racconto della mia vita abbia servito anche a questo scopo.
Abbe Lane, «Tempo», anno XIX, n.40, 3 ottobre 1957
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Abbe Lane, «Tempo», anno XIX, n.38,39 e 40, 19, 26 settembre e 3 ottobre 1957 |