Il «compagnuccio» Sordi

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1951 Epoca Alberto Sordi intro

Ventisette anni fa, in una strada di Trastevere, un bambino finì sotto un’automobile in corsa. Urla di donne, pianti di parenti, disperazione, e grida di raccapriccio: il bambino, dopo qualche secondo, venne fuori strisciando per terra e poggiato su mani e piedi. Cantava come se venisse fuori dalla bagnarola di lamiera nella quale la madre gli faceva «il bagnetto» due volte al giorno. Quel bambino era Alberto Sordi. Tutti gridarono al miracolo; alcune popolane presero il bambino sulle spalle e, seguite da una processione di gente e di sfaccendati che cantavano gli inni al Signore, lo portarono nella chiesa di Santa Maria in Trastevere.

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«Senta, lei, moderi le parole, sa! E guardi bene con chi parla, ha capito?»

Il bambino fu spogliato e messo seduto su un tronetto, sul marmo più alto dell’altare. Alberto Sordi a tre anni, nudo, con nella mano sinistra un mappamondo a colori con la crocetta infìssa nel polo nord, rideva beato dinanzi alla folla di popolane che salmodiavano in coro : «Il bambinello ! Oh ! Il bambinello ! Gra-zia ! Gra-zia ! Gra-zia !»

Fu quello il primo spettacolo di Sordi. A sei anni ne dette altri, con il coro di «voci bianche» della Cappella Sistina. Alberto aveva una voce d’angelo, sottilissima e delicatina. Per quattro anni il bambino si vestì da paggetto e da chierichetto, finché una mattina, svegliandosi, disse : «Buon giorno, mamma». Ci fu un lungo silenzio; la madre dopo qualche minuto, mormorò timidamente : «Ripeti, Albertino... su da bravo, ripeti...». Alberto guardò uno per uno i parenti e disse ancora : «Buon giorno, mamma». Dalla sua bocca la voce uscì grave, profonda, pesante e cupa come un tonfo. Nella gola di un bambino di dieci anni era nata, quella mattina a Trastevere, la voce di Oliver Hardy.

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Alberto Sordi a 10 anni. Aveva voce da basso, la voce di Oliver Hardy. A 15 anni faceva l’atleta e, nei tagli di tempo, incideva.

Con quella voce in corpo, dopo qualche anno, Alberto Sordi si presentò al pubblico leggermente rivoluzionario del cinema-teatro Pace di Milano. Aveva la cravatta attaccata al braccio sinistro, come i comici di avanspettacolo periferico, la camicia senza colletto, e il cappello storto; col suo partner doveva far morire da ridere il pubblico poco cerimonioso.

A quello strano figliolo biondino, dalla voce profonda, tutto capitò tra i quindici e i sedici anni, come si legge nelle biografie dei registi di Hollywood. Alberto Sordi racconta di aver fatto l’assicuratore e di esser stato liquidato, nel giro di due mesi, perché aveva acquistato clienti tra i più poveri di Milano, e poi fa seguire: «Avevo quindici anni, sedici forse». Racconta di certe incisioni su dischi in cui faceva dieci personaggi e trenta rumori ; erano favole per bambini, e aggiunge: «Avevo quindici anni». Fu allora che frequentò la scuola serale di recitazione della Varini.

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A 16 anni, in frac, accompagnava la Fougez nel finale di una rivista. 1945: «Za Bum»; per Alberto si aprono le vie della notorietà

A quindici anni, sedici forse, gli misero un bel frac e, insieme ad altri sette disgraziati, faceva un largo sorriso finto e accompagnava la Fougez, nell’ultimo quadro di una rivista. Sempre allora, il padre, suonatore di tuba al Teatro dell’Opera, gli fece prendere lezioni di canto. Dopo tre mesi Alberto fu ammesso a un’audizione, sul palcoscenico dell’Opera. Il maestro Santini dirigeva l’orchestra per la prima volta davanti a un Don Basilio di quindici anni. Il ragazzo cominciò con la sua bella voce da basso, ma a un tratto s’accorse che non arrivava alla nota, e supplì con la mimica. L’audizione si volse al comico; il padre aveva nascosto il volto tra le mani, bianco come un lenzuolo, mentre i suoi amici’ orchestrali e il maestro Santini si divertivano fino alle lagrime. Alberto Sordi, impassibile, continuò: canto e mimica, mimica e canto.

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1948: Sordi e le sue scoppiettanti macchiette entrano in ogni casa. 1951 : l' «amichetto vostro» tenta il passo dal microfono allo schermo.

«Questo sì che è un Don Basilio!» esclamò Santini alla fine, mentre gli orchestrali applaudivano, «peccato che nessuno lo vuole così, peccato!» Ma il ragazzo aveva altro da fare; andava alla Radio, si sistemava su una scaletta, lontano dal microfono, e faceva l’orco o il banditore dalla voce terribile come il tuono. Andava al doppiaggio e prestava la voce italiana a Ollio. Faceva il generico al cinema : c il bel giovane spensierato dal sorriso convincente». Lui, con quella faccia da bambino angelico che cede le polizze di assicurazione ai barboni milanesi!

Oltre i quindici e i sedici anni c’è un’altra storia da raccontare, forse più bella di questa. Non la racconteremo, non vi diremo di Sordi suonatore di piatti nella banda del suo reggimento, che si rifiutava di salutare i superiori perché: «Io sono un musicante e non un soldato! Io ho la cetra sul braccio!» Non vi diremo della grande avventura radiofonica; son cose che ormai molti conoscono.

Gian Domenico Giagni, «Epoca», anno II, n.21, 3 marzo 1951


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Gian Domenico Giagni, «Epoca», anno II, n.21, 3 marzo 1951