Piacciono ai censori le madri di famiglia

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I censori del cinema italiano si fanno forti dei legittimi timori delle madri, spesso angosciate nella scelta dei film per i loro figli. Otto madri di famiglia, otto intellettuali rispondono, polemizzano, denunciano l’inganno

In queste settimane abbiamo scoperto che i censori del nostro Paese nutrono uno sviscerato amore per le «madri di famiglia». Le citano, le invocano, le chiamano a testimoni, affermano di voler tenere conto soltanto del loro parere. Ogni colpo di forbici alle sequenze di un film, ogni divieto contro un’opera teatrale viene giustificato con queste famose richieste delle «madri di famiglia». Ma, insomma, chi sono mai queste «madri di famiglia»? Finora ne abbiamo vista, in carne e ossa, soltanto una: la signora Liana Mosso, che, qualificandosi appunto «soltanto madre di famiglia» intervenne al dibattito degli uomini di cinema sulla censura, accusando i registi in generale di «immoralità». Non fu difficile scoprire, tuttavia, che questa signora, più che come «madre di famiglia», era nota come attivista di circoli parrocchiali e autrice di numerosi opuscoli politici. 

Adesso si parla addirittura della costituzione di una «Associazione di madri di famiglia», destinata ad affiancare l’opera della censura. Un’associazione che parrebbe considerare le madri di famiglia una categoria come ad esempio gli architetti o i medici. Ma è possibile davvero considerare sotto questo profilo tutte le donne che hanno messo al mondo dei figli? L’essere madre può costituire un titolo per far parte, come è stato anche richiesto, delle commissioni di censura? E’ questa la prima domanda che abbiamo posto a un gruppo di donne note nel campo della cultura, dell’arte, della politica, le quali, appunto per essere madri, avrebbero senza alcun dubbio tutte le carte in regola per appoggiare un’iniziativa di questo genere. E le risposte che ne abbiamo avute non si prestano a equivoci. Ecco ad esempio l’opinione di MARISA PASSIGLI, della presidenza dell’UDI : «Non perchè i miei figlioletti, data la loro tenera età, si interessano più ai westerns che ai nudi femminili, credo che in materia di censura, sia giusto dare a Cesare quel che è di Cesare. Proprio perchè desidero che vengano superate nella nostra società tutte le discriminazioni, non ultima quella del sesso, non posso accettare che venga istituzionalizzata la "categoria” o la "corporazione” delle madri di famiglia. Come se i padri o coloro che non hanno figli non fossero ugualmente pensosi dell’avvenire, dell’educazione, del clima nel quale vivono e crescono le nuove generazioni. Tutti gli spiriti aperti vogliono una sana preparazione per i giovani, tutti vogliono che i giovani conoscano la verità della nostra società e tutti vogliono agguerrire i nostri giovani contro le falsità, le meschinerie, le prepotenze di una società non ancora maturata nella democrazia.

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Per questo non è pensabile sostituire artisti, magistrati, uomini e donne di cultura, politici, con i milioni di madri di famiglia, tanto diverse le une dalle altre, e aventi un unico denominatore comune: aver messo al mondo uno o più figli. Chè se si portasse questa sostituzione alle sue estreme conseguenze, noi potremmo vedere, forse, un giorno «la madre di famiglia» —  sol perchè tale, si badi bene — aspirare alla suprema magistratura dello Stato, ossia torneremmo, invece di concorrere a realizzare un mondo equilibrato nella piena collaborazione fra donne e uomini, alla più remota società umana: alla preistorica società matriarcale».

Dello stesso parere è una grande pittrice, ANTONIETTA RAPHAEL : «La possibilità di dare un giusto giudizio dipende dalla apertura mentale, dall’esperienza, dalla cultura che ognuno ha, non dallo stato civile. E' assurdo pensare che una madre, sol perchè tale, sia in grado, ad esempio, di giudicare un’opera di pittura meglio di Picasso !».

Del resto, l’assurdo non riguarda soltanto le «madri di famiglia». Come giustamente osserva la signora IOLANDA TORRACA, segretaria del Consiglio nazionale delle donne italiane: «La censura nei paesi che si ostinano a conservarla può essere esercitata solo da persone che hanno competenza in materia e non da uomini politici e funzionari che quasi sempre sono estranei al mondo del teatro e del cinematografo. L’uomo della strada non può nemmeno lui essere un giudice qualificato peichè le sue reazioni sono troppo istintive e in genere ostili al nuovo. Dove sarebbero andati a finire tutti i movimenti di innovazione artistica nel passato, se fosse prevalso il giudizio dei censori e dell’uomo qualunque?».

1960 12 18 Noi donne Censura f2Due inquadrature di «Kapò» (sotto) e di «Rocco e i suoi fratelli», l'uno vietato ai minori, l'altro tartassato dai censori. I criteri che hanno mosso i censori non sono certo educativi : sia «Rocco» che, ancor di più, «Kapò», infatti, si schierano senza equivoci contro la corruzione, l'avvilimento della dignità umana.

In verità, questo frenetico appello alle "madri di famiglia” suscita in noi il fondato sospetto che, con questo pretesto, si voglia contrabbandare tutt’altra merce. La professoressa LAURA INGRAO è esplicita a questo proposito : «La presenza di alcune "madri di famiglia” in commissioni di censura è una vecchia aspirazione clericale: ricordo di aver polemizzato sull’argomento quando i miei figli erano due, invece di cinque: quindi almeno una dozzina di anni fai Mi pare che la questione fosse allora quella del cinema e della pubblicistica per ragazzi : e anche allora in nome della morale e del retto crescere delle future generazioni si proponeva che le zie di Scelba, le nuore di Rebecchini e le cognate di Tambroni esercitassero una funzione squisitamente femminile e domestica come portavoci delle ansie e delle preoccupazioni comuni alle madri di famiglia. Singolare categoria, questa delle "madri”, chiamate in ballo in altri tempi per la loro molto patriottica e guerresca prolificità, richiamate in ballo poi ogni volta che in loro nome si vogliono allungare le gonne alle ballerine o dissuadere i giovani dal guardare in faccia la realtà». Ed ERMINIA ROMANO direttrice d’orchestra, avverte: «Si è forse dimenticato che gli italiani hanno ormai, da molti decenni, imparato a conoscere il vero significato dei "veti” posti dalle censure governative? Basti riflettere — per non parlare della censura fascista — alla furia accanita con la quale la censura borbonica si scagliò contro le opere di Verdi: ha forse questo fatto impedito alla musica verdiana di percorrere il suo lungo e glorioso cammino o, tantomeno, impedito al popolo italiano di sperare quel rinnovamento politico e umano che urgeva?».

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Ecco uno dei nodi della questione: con il pretesto dell’educazione dei giovani, della morale, delle richieste delle «madri di famiglia», in realtà, assai spesso si tende a soffocare il dibattito delle idee, e impedire la denuncia delle piaghe sociali. E, quindi, dicendo che si agisce per cancellare l’immoralità negli spettacoli e nella letteratura, si finisce per farsi complici dell’ingiustizia e della immoralità nella vita. Del resto, ne abbiamo la prova proprio nell’operato attuale della censura italiana. «Tutti i films e le commedie contro cui il censore, magistrato o no, si è scagliato in questi ultimi tempi» osserva la signora TORRACA, «erano delle opere che affrontavano problemi seri, senza dubbio in maniera cruda e violenta, ma non certo per scopi pornografici o di speculazione. Ora, nel momento stesso in cui si proibivano o si imponevano tagli a queste opere, per i cinematografi romani correvano films che ben altrimenti possono danneggiare la psicologia dei giovani, i cosiddetti film dell’orrore e i gialli dell’angoscia, e i giornali pubblicavano pagine intere di cronaca sul ragazzo diciassettenne che confessava di aver strangolato il suo occasionale amico!.».

«La censura» ribadisce l’avvocato GABRIELLA NICCOLAY, «ci preoccupa proprio per quello che è accaduto in questi ultimi tempi. Abbiamo visto proiettare films assai dubbi moralmente e privi di qualsiasi valore artistico, mentre abbiamo visto colpire con le severe forbici della censura films che avevano avuto della critica tutta, alla loro presentazione nelle varie mostre internazionali del cinema, il riconoscimento dell’o. pera d’arte. «Vietano ai minori di anni 16 film come "Kapò”» dice l’attrice ROSSANA PODESTÀ’, «e lasciano circolare tranquillamente film come "Costa Azzurra”! E in questi giorni ho visto su un settimanale un servizio su uno strip-tease che ha fatto arrossire anche me».

Sono fatti che dimostrano come la moralità che viene tanto sovente invocata a copertura di certi divieti sia spesso, in realtà, un’ipocrita scusa. Tanto più che, purtroppo, vi sono nel nostro mon. do, quotidianamente, esempi vivi e reali assai più deleteri di quelli che possono vedersi su uno schermo o su un palcoscenico. Come efficacemente dice FILOMENA BOVET NITTI, vice capo del laboratorio di chimica terapeutica dell’Istituto superiore di sanità: «Piuttosto che mettere le foglie di fico alle statue e perseguitare registi non conformisti, i nostri "tartufo” e le "madri di famiglia” di professione dovrebbero pensare che la morale non è soltanto sessuale e che i giovani possono essere assai più turbati dalla corruzione spicciola, dal prestigio della raccomandazione. dalla mancanza di ideali sociali e nazionali delle loro famiglie che non dallo spettacolo di un film neorealista o dalla nudità integrale delle statue del Foro Italico».

1960 12 18 Noi donne Censura f4Il film cui appartiene questa inquadratura, che aveva il significativo titolo «Femmine di lusso», ha avuto libero corso: eppure, al di là delle solite immagini scollacciate, il suo effetto sulle menti degli spettatori poteva essere soltanto di totale istupidimento.

Continuando il discorso, afferma ANTONIETTA RAPHAEL : «La prima preoccupazione di una madre dovrebbe essere quella della vita reale, della vita quotidiana: ci sono già tante cose illecite, spesso, che i bambini in tenerissima età apprendono in casa propria ! Essenziale è preparare i ragazzi ad affrontare la vita: allora lo spettacolo non potrà più, comunque, essere una minaccia per loro. Ma la verità è che, a volte, vien fatto di pensare che sarebbe opportuno mandarle a scuola, le madri, perchè imparassero a discernere ciò che è immorale da ciò che non lo é».

«Non possiamo sperare di preservare i nostri figli dal male chiudendo loro alcune finestre sulla vita, che oggi è quel che è: la realtà entra nostro malgrado da tutte le fessure» rileva IOLANDA TORRACA e ribadisce : «Il problema è molto più profondo ed è di come renderli più forti di fronte alle suggestioni dei facili guadagni, delle facili eccitazioni, di tutte le forme deteriori di edonismo che oggi travolgono i deboli. La vecchia massima buddista del non vedere, non sentire, non parlare, appartiene a tempi troppo lontani dalla nostra civiltà: oggi i giovani vogliono vedere, voglio senti, re, vogliono parlare».

La verità e il coraggio, queste sono dunque le vere armi della moralità del nostro tempo. Come dice ERMINIA ROMANO: «Nessuna mamma dovrebbe sottrarsi all’obbligo di affrontare e chiarire con i propri figli — in un clima di serenità e di sincerità assoluta — i problemi di fondo che ogni giorno pone la vita: quelli che nascono nell’ambito familiare e quelli che si pongono in ordini sociali più ampi».

In questa prospettiva di una educazione che tenda più a rafforzare il mondo interiore dei ragazzi che non a elevare attorno a loro ipocrite, e spesso inefficaci, barriere esterne, si può certo e si deve porre la scelta degli spettacoli adatti a chi non ha ancora raggiunto la piena maturità. E’ giusto che certi film, certe opere teatrali non siano offerte indiscriminatamente ai ragazzi: e questo è veramente un compito dei genitori, che conoscono meglio di ogni altro la sensibilità e il carattere dei propri figli. Naturalmente, in questo qua'-dro, anche il «divieto ai minori» può avere una funzione: purché sia. però, ispirato a criteri rigorosamente educativi e non all’iprocrita paura delle idee. Film che, come Kapò, suscitano l’orrore dello spettatore contro i crimini del fascismo, contro l’avvilimento della personalità u-mana sono assolutamente salutari: è morale che i giovani li vedano e li ricordino. Con film come questi, appunto, si rafforza il loro mondo interiore. E. d’altra parte, certi divieti dovrebbero essere compensati, come in Italia non si fa, da una produzione diretta ai giovani, ai minori: quella produzione che in altri Paesi è ricca di opere di alta poesia.

1960 12 18 Noi donne Censura f5L'orrore del film come «Psyco», dal quale è tratta questa immagine, non turba i censori. La cosa che più sembra attirare le forbici della censura sono le idee, l'impegno realistico, la denuncia dei vizi e delle storture della società.

Al di là di questo preciso problema educativo, non c’è posto per la censura. Giustamente afferma l’avvocatessa NICCOLAJ : «Alla moralità e all’educazione dei nostri figli dobbiamo pensare noi madri senza con ciò impedire alla società di esprimersi liberamente. A noi la responsabilità di scegliere e di discernere e di fare accostare i giovani, con intelligente graduazione, ai problemi della vita. Essere più rigorosi nel fare osservare il divieto di assistere alla proiezione di certi film ai minori di 16 anni sarebbe un gran bene, come potrebbe essere un bene aumentare il limite di età a 18 anni per il libero ingresso in qualsiasi cinema. Ma al di fuori di ciò, non c’è null’altro da fare se non lasciare che le opere che hanno qualità artistiche, che esprimono idee e conducono a pensare, circolino senza vincoli di censura preventiva e siano eventualmente e soltanto sottoposte al vaglio del magistrato, così come allo stesso vaglio è sottoposta la stampa e ogni altro mezzo di espressione».

Questo è il problema più vasto della censura, alla quale tutte le personalità cui ci siamo rivolti si sono dichiarate contrarie, come sintetizza FILOMENA BOVET NITTI :

«In un paese democratico dovrebbero bastare le leggi vigenti per impedire spettacoli veramente e soltanto immorali. Un’opera d’arte, o soltanto l’aspirazione all’opera d’arte, non può mai costituire offesa alla morale».

Ecco, quindi, perchè appare solo un pretesto quello d’invocare le «madri di famiglia», come hanno confermato tutte le nostre intervistate. Da qualsiasi punto di vista lo si voglia prendere, il problema della censura è un problema generale e non di categoria, nè tanto meno «familiare». E in questo senso ha certo molti aspetti che non abbiamo esaminato in questa breve rassegna di opinioni, perchè non era questo il compito che ci eravamo posti. Varrà dire soltanto che se in realtà si intende auspicare, come avviene da parte dei più onesti, una produzione che sia su un livello dìù alto e abbia una maggiore varietà e profondità di contenuti (mentre oggi c’è forse un eccessivo indugiare sugli esclusivi problemi del sesso), la questione non può mai essere di repressione burocratica. Per andare avanti, verso opere migliori, la strada da percorrere è esattamente l’opposta: è quella di una battaglia ideale che aiuti gli artisti a guardare più a fondo nella realtà e ad avere più coraggio nel vederne gli sviluppi verso un avvenire più degno dell’uomo.

G.C., «Noi donne», 18 dicembre 1960


Noi donne
G.C., «Noi donne», 18 dicembre 1960